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TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I, 11 agosto 2007, sentenza n. 726
 
V.I.A. - Rifiuti - Impianto di trattamento di rifiuti pericolosi - Autorizzazione - Omissione della procedura di V.I.A. - Proprietario di un’abitazione limitrofa all’impianto - Risarcimento del danno biologico-esistenziale e del deprezzamento subito dall’immobile. Va risarcito il danno subito dal proprietario di un immobile limitrofo ad un impianto per il trattamento dei rifiuti pericolosi ove sia stata omessa la procedura di VIA prima dell’autorizzazione e l’impianto sia stato esercitato nonostante l’assenza della VIA (nella specie, il collegio ha condannato l’amministrazione, in solido con il titolare dell’autorizzazione, al risarcimento del danno biologico-esistenziale - degrado della qualità della vita sotto forma di sofferenza psicologica e fisica per i rumori e le altre emissioni dell’impianto e per il timore di gravi danni alla salute e sofferenza psicologica collegata all’impossibilità per la ricorrente di far valere tempestivamente ed efficacemente le proprie ragioni - nonché al risarcimento del deprezzamento subito dall’immobile a causa della vicinanza dell’impianto, posto che è stato ritenuto presumibile che la VIA preventiva avrebbe condotto a una diversa localizzazione, oltre che a diverse modalità costruttive). Pres. ed Est. Pedron - G.P. (avv.ti Asaro e Mina) c. Regione Lombardia (avv. Fidani) e S.A. s.r.l. (avv. Dell’Anno) - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia, sez. I - 11 agosto 2007, n. 726
V.I.A. - Mancato svolgimento della V.I.A. anteriormente al provvedimento 
autorizzatorio - Violazione di legge - Indebolimento della tutela prevista per i 
beni della vita individuali e collettivi - Scelte ambientali - Principi della 
precauzione e dell’azione preventiva. Il mancato svolgimento della VIA prima 
dell’autorizzazione non costituisce una semplice irregolarità nella successione 
degli atti procedimentali ma è una violazione di legge che impedisce ai privati 
una partecipazione efficace all’azione amministrativa e condiziona le scelte 
successive della stessa amministrazione, indebolendo la tutela prevista per i 
beni della vita individuali e collettivi (proprietà, domicilio, salute, 
ambiente). Le scelte ambientali, peraltro, devono essere guidate in via 
prioritaria dai principi di precauzione e dell'azione preventiva (art. 174, par. 
2 del Trattato CE) e pertanto le conseguenze negative devono essere previste in 
anticipo ed evitate, non semplicemente mitigate dopo che l’attività pericolosa 
sia già stata insediata sul territorio(cfr. il primo periodo del sesto 
considerando della direttiva 85/337/CEE). Se poi delle correzioni risultano 
necessarie una volta che l’attività pericolosa sia in svolgimento, queste in 
base all’art. 174 par. 2 del Trattato CE devono essere effettuate “alla fonte”, 
ossia immediatamente, quando è ancora possibile evitare conseguenze dannose per 
i singoli, la collettività e l’ambiente senza incidere su aspettative ormai 
consolidate dei soggetti economici (primi fra tutti i committenti e i gestori 
delle opere o degli impianti). Pres. ed Est. Pedron - G.P. (avv.ti Asaro e Mina) 
c. Regione Lombardia (avv. Fidani) e S.A. s.r.l. (avv. Dell’Anno) - T.A.R. 
LOMBARDIA, Brescia, sez. I - 11 agosto 2007, n. 726
V.I.A. - V.I.A. intervenuta in fase successiva all’autorizzazione di un impianto 
di trattamento di rifiuti - Effetto sanante - Esclusione. La VIA intervenuta 
in una fase successiva all’autorizzazione dell’impianto e all’inizio 
dell’attività non ha effetto sanante né rispetto ai provvedimenti di 
autorizzazione né rispetto all’attività svolta dai committenti o dai gestori 
(cfr. Corte di Giustizia Sez. II del 16 settembre 2004 C-227/01 
Commissione/Spagna punto 57, sulla necessità che i soggetti interessati siano 
messi in condizione di esprimere il proprio parere prima che inizi l’esecuzione 
del progetto). Pres. ed Est. Pedron - G.P. (avv.ti Asaro e Mina) c. Regione 
Lombardia (avv. Fidani) e S.A. s.r.l. (avv. Dell’Anno) - T.A.R. LOMBARDIA, 
Brescia, sez. I - 11 agosto 2007, n. 726
V.I.A. - Mancanza di V.I.A. tempestiva - Giudizio risarcitorio - Estromissione 
del titolare dell’autorizzazione - Esclusione - Ragioni. Nell’ipotesi di una 
pretesa giudiziaria non riguardante il cattivo uso di un’autorizzazione allo 
smaltimento di rifiuti speciali, ma direttamente riferita al titolo 
autorizzativo di cui è contestata la conformità al diritto comunitario in 
mancanza di VIA tempestivamente eseguita, il titolare dell’autorizzazione 
all’esercizio dell’attività di smaltimento dei rifiuti non può essere estromesso 
dal giudizio risarcitorio, non configurandosi come mero controinteressato 
rispetto ai provvedimenti della Regione. Nella procedura di VIA, infatti, il 
committente è un soggetto attivo sul quale ricade l’onere di chiedere il 
pronunciamento delle autorità informandole del progetto e fornendo tutti i 
dettagli rilevanti, come previsto dal secondo periodo del sesto considerando 
della direttiva 85/337/CEE. La mancata richiesta dell’attivazione della 
procedura di VIA comporta pertanto il concorso del committente con la Regione in 
ordine all’insediamento sul territorio di un’attività pericolosa sulla base di 
atti autorizzativi inadeguati. Pres. ed Est. Pedron - G.P. (avv.ti Asaro e Mina) 
c. Regione Lombardia (avv. Fidani) e S.A. s.r.l. (avv. Dell’Anno) - T.A.R. 
LOMBARDIA, Brescia, sez. I - 11 agosto 2007, n. 726
VIA - Attività illegittimamente autorizzata in mancanza di V.I.A. preventiva - 
Misure inibitorie - Sopravvenuta impossibilità di adozione - Ristoro sostitutivo 
- Risarcimento. Quando le misure inibitorie dell’attività - illegittimamente 
autorizzata in mancanza di VIA preventiva - non possono più essere adottate, il 
risarcimento costituisce un ristoro sostitutivo, per i soggetti danneggiati ,non 
solo nei confronti dell’amministrazione ma anche nei confronti dei titolari 
dell’autorizzazione, i quali beneficiano dell’assenza della VIA (cfr. Corte di 
Giustizia Sez. V del 7 gennaio 2004 C-201-02 Wells punti 57-58). Pres. ed Est. 
Pedron - G.P. (avv.ti Asaro e Mina) c. Regione Lombardia (avv. Fidani) e S.A. 
s.r.l. (avv. Dell’Anno) - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia, sez. I - 11 agosto 2007, 
n. 726
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA
SEZIONE STACCATA DI BRESCIA (SEZIONE PRIMA)
N. 00726/2007 REG. SEN.
N. 00526/2006 REG. RIC.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 526 del 2006, proposto da: 
GIACOMELLI PIERA, rappresentata e difesa dagli avv. Alessandro Asaro e Andrea 
Mina, con domicilio eletto presso il secondo in Brescia via Solferino 51; 
contro
REGIONE LOMBARDIA, rappresentata e difesa dall'avv. Viviana Fidani, con 
domicilio eletto presso l’avv. Donatella Mento in Brescia via Cipro 30; 
nei confronti di
SYSTEMA AMBIENTE SRL, rappresentata e difesa dall'avv. Paolo Dell'Anno, con 
domicilio eletto presso l’avv. Vito Salvadori in Brescia via XX Settembre 8; 
per la condanna
- al risarcimento del danno conseguente all’illegittimo svolgimento 
dell’attività di smaltimento rifiuti da parte della società Ecoservizi spa 
(incorporata in Systema Ambiente srl);
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lombardia;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Systema Ambiente srl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 maggio 2007 il dott. Mauro Pedron;
Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Considerato quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorso ha per oggetto la richiesta di risarcimento danni formulata dalla 
signora Piera Giacomelli nei confronti della Regione e della società Ecoservizi 
spa (“Ecoservizi”) per le conseguenze dell’attività di trattamento di rifiuti 
speciali pericolosi e non pericolosi esercitata da quest’ultima su 
autorizzazione regionale nel Comune di Brescia, località Bettole di Buffalora, 
in via dei Santi 58. Poiché Ecoservizi è stata incorporata il 26 settembre 2005 
in Systema Ambiente srl, quale legittimato passivo è stata convenuta questa 
seconda società. Il risarcimento è chiesto con particolare riguardo al fatto che 
l’attività è stata svolta per anni senza la preventiva effettuazione della VIA e 
quindi senza che fosse stata adeguatamente esaminata l’idoneità del sito a 
ospitare l’impianto. L’abitazione della ricorrente si trova a circa 30 metri 
dalla piattaforma di trattamento dei rifiuti. 
2. A sostegno della richiesta di risarcimento la ricorrente indica la sentenza 
del TAR Brescia n. 836 del 9 giugno 2003 e la sentenza del Consiglio di Stato 
Sez. IV n. 5715 del 31 agosto 2004, entrambe emesse tra le medesime parti. In 
primo grado il TAR ha annullato i provvedimenti della Regione con i quali nel 
1999 era stata rinnovata a Ecoservizi per 5 anni ai sensi degli art. 28 e 57 del 
Dlgs. 5 febbraio 1997 n. 22 l’autorizzazione allo smaltimento di rifiuti 
speciali pericolosi e non pericolosi (DGR 6/42443 del 12 aprile 1999; DGR 
6/42740 del 29 aprile 1999; DGR 6/45667 del 15 ottobre 1999). Il TAR ha 
accertato l’insufficienza dell’istruttoria, in quanto i dubbi sulla 
compatibilità ambientale dell’impianto sollevati fino a quel momento da parte di 
soggetti pubblici e privati avrebbero dovuto indurre l’amministrazione a 
svolgere ex novo l’intera procedura di autorizzazione e non solo la fase del 
rinnovo. In appello il Consiglio di Stato ha accolto in termini ancora più ampi 
la tesi della ricorrente affermando che non essendo stata effettuata la VIA in 
sede di prima autorizzazione dell’impianto questa verifica doveva 
necessariamente precedere il primo rinnovo successivo all’entrata in vigore del 
Dlgs. 22/1997. 
3. Occorre peraltro evidenziare che l’attività di smaltimento era già stata 
contestata in precedenza dalla ricorrente e che in seguito ha avuto, sempre su 
impulso della ricorrente, ulteriori esami in sede giudiziaria. Poiché alcune 
delle difese dell’amministrazione e di Ecoservizi presuppongono la conoscenza 
della vicenda nel suo complesso è necessario fare preliminarmente una sintesi 
dei passaggi più significativi. 
4. Nel sito in questione Ecoservizi svolge attività di smaltimento, riciclaggio 
e stoccaggio di rifiuti pericolosi (ex tossico-nocivi) e non pericolosi 
quantomeno dal 1982. Inizialmente la Regione con DGR 3/23795 del 22 dicembre 
1982 ha autorizzato per un periodo di 10 anni ai sensi degli art. 6 e 9 della LR 
7 giugno 1980 n. 94 lo smaltimento di rifiuti speciali (reflui e fanghi) 
attraverso un impianto biologico di trattamento di acidi e alcali esausti. In 
seguito la Regione con DGR 3/40101 del 19 giugno 1984, ancora ai sensi degli 
art. 6 e 9 della LR 94/1980, ha inserito tra le attività autorizzate lo 
smaltimento di diverse tipologie di fanghi inorganici nonché di terreni 
inquinati e scorie in polvere, prevedendo un termine di validità di 5 anni. 
Un’ulteriore autorizzazione regionale (DGR 4/12767 del 30 settembre 1986) 
adottata ai sensi dell’art. 6 lett. d) del DPR 10 settembre 1982 n. 915 ha 
aggiunto alle predette attività lo stoccaggio provvisorio dei rifiuti speciali 
da avviare allo smaltimento. Quest’ultima autorizzazione indicava come termine 
finale il 1 luglio 1990. 
5. L’impianto di smaltimento ha subito un’importante riorganizzazione nel 1989. 
La Regione con DGR 4/41277 del 4 aprile 1989 ne ha infatti autorizzato la 
ristrutturazione, anche in questo caso ai sensi dell’art. 6 lett. d) del DPR 
915/1982, per consentire l’adeguamento tecnologico e un più funzionale 
svolgimento dell’attività. Il progetto autorizzato prevedeva: a) un impianto 
chimico-fisico per il trattamento delle acque inquinate al fine di separare i 
fanghi contenenti metalli pesanti dalle acque poi sottoposte a trattamento 
biologico; b) un impianto biologico per l’abbattimento della frazione organica 
contenuta nelle acque in uscita; c) un impianto di inertizzazione di polveri e 
fanghi liquidi e solidi mediante l’impiego di ossido di calce, cemento e 
silicato di sodio; d) un impianto di pretrattamento dei reflui per consentirne 
l’inserimento nell’impianto chimico-fisico; e) un impianto di ricondizionamento 
e stoccaggio provvisorio dei rifiuti speciali tossico-nocivi; f) un impianto 
TERP (“Total Energy Recovery Process”) per la trasformazione e il 
ricondizionamento degli oli usati in combustibile alternativo. La scadenza 
dell’autorizzazione era fissata al 30 aprile 1994. Il provvedimento conteneva 
dettagliate prescrizioni sulla procedura di trattamento e sulle emissioni in 
atmosfera. Le potenzialità delle singole parti dell’impianto erano così 
indicate: a-b) 70.080 mc/anno per il trattamento chimico-fisico-biologico; c) 
30.000 mc/anno per l’inertizzazione; d) 12.500 mc/anno per il pretrattamento dei 
reflui; e) 40 t/giorno (10.000 t/anno) per il ricondizionamento e lo stoccaggio 
provvisorio; f) 100 t/giorno (25.000 t/anno) per il TERP. Altri limiti erano 
fissati per il volume dei serbatoi e delle vasche di trattamento e stoccaggio. 
6. Dopo l’esecuzione e il collaudo dei lavori di adeguamento Ecoservizi ha 
chiesto di essere autorizzata a trattare quantità maggiori di rifiuti speciali 
nel nuovo impianto di inertizzazione. Accogliendo la richiesta la Regione con 
DGR 5/14193 del 30 ottobre 1991 ha integrato l’autorizzazione del 1989 elevando 
il quantitativo di rifiuti ritirati e smaltiti con questa forma di trattamento a 
75.000 mc/anno (circa 94.000 t/anno). È stata invece negata la possibilità di 
rimettere a nuovo l’impianto di inertizzazione esistente (di cui era previsto lo 
smantellamento) perché un simile intervento avrebbe configurato la realizzazione 
di un nuovo impianto, come tale da sottoporre a specifica istruttoria. La 
Regione ha inoltre ribadito che l’autorizzazione era soggetta a revoca ai sensi 
dell’art. 9 della LR 94/1980 (ossia in caso di pericolosità o dannosità 
dell'impianto non rimediabile attraverso nuove prescrizioni) e comunque era da 
ritenersi condizionata anche alle più restrittive norme sopravvenute. 
7. Con DGR 5/40331 del 5 agosto 1993 la Regione ha autorizzato il potenziamento 
dell’impianto mantenendo peraltro fermi i limiti di conferimento e trattamento 
dei rifiuti speciali stabiliti nel 1989 e nel 1991 (v. sopra ai punti 5 e 6). 
Costituivano oggetto dell’autorizzazione l’incremento della potenzialità della 
linea di trattamento biologico, il recupero del vecchio impianto di 
inertizzazione per il trattamento dei rifiuti in polvere, l’estensione dell’inertizzazione 
alle pile e batterie esauste, l’utilizzazione di una vasca per lo stoccaggio 
provvisorio dei fanghi, l’attivazione di piccoli impianti per il 
ricondizionamento di particolari tipi di rifiuti. La scadenza 
dell’autorizzazione è stata mantenuta al 30 aprile 1994. 
8. Il rinnovo dell’autorizzazione è stato concesso dalla Regione con DGR 5/51227 
dell’11 aprile 1994 ai sensi dell’art. 6 lett. d) del DPR 915/1982. La nuova 
scadenza è stata fissata al 30 aprile 1999. Per quanto riguarda la capacità 
dell’impianto sono state confermate le medesime quantità annue di rifiuti 
indicate nei provvedimenti del 1989 e del 1991 (v. sopra ai punti 5 e 6). È 
stato anche ribadito che l’autorizzazione si intendeva esposta a revoca ai sensi 
dell’art. 9 della LR 94/1980 ed era comunque subordinata alle più restrittive 
norme sopravvenute. Tenuto conto dello studio di compatibilità ambientale 
esaminato dalla conferenza di servizi ex art. 3-bis del DL 31 agosto 1987 n. 361 
nella riunione del 5 aprile 1994 il rinnovo era poi risolutivamente condizionato 
alla sottoscrizione entro il 30 giugno 1994 di un protocollo di intesa tra 
Ecoservizi, Comune di Brescia e Provincia di Brescia per l’individuazione di 
misure mitigative dell’impatto ambientale relativamente alle acque di scarico, 
alla qualità dell’aria, alle emissioni sonore e alla viabilità. 
9. Dopo la sottoscrizione del protocollo (18 novembre 1994) la Regione con DGR 
5/60873 del 13 dicembre 1994 ha confermato il rinnovo dell’autorizzazione fino 
al 30 aprile 1999 prescrivendo l’esecuzione degli interventi indicati ai punti 4 
e 5 del protocollo stesso. 
10. Contro i provvedimenti autorizzativi della Regione del 1993 e del 1994 
indicati sopra ai punti 7-8-9 la signora Giacomelli ha presentato tre ricorsi al 
TAR Brescia. L’esito del contenzioso è però risultato sfavorevole alla 
ricorrente, in quanto il TAR con sentenza n. 433 del 13 aprile 1996 ha respinto 
le impugnazioni giudicando non innovative le autorizzazioni del 1993-1994 
rispetto a quelle (non impugnate) del 1989-1991 e rilevando che, pur trattandosi 
di rinnovo, una valutazione della compatibilità ambientale era comunque stata 
effettuata. Il Consiglio di Stato Sez. IV con sentenza n. 1440 del 6 novembre 
1998 ha confermato la sentenza di primo grado osservando che in base all’art. 27 
comma 8 del Dlgs. 22/1997 la medesima procedura dell’autorizzazione iniziale 
deve essere seguita anche nel caso di “varianti sostanziali”, le quali tuttavia 
non sarebbero configurabili nelle autorizzazioni del 1993-1994. La sentenza del 
Consiglio di Stato dichiara inoltre inammissibile perché presentata solo in 
appello la censura relativa alla mancata effettuazione della VIA ai sensi 
dell’art. 6 della legge 8 luglio 1986 n. 349 e dell’art. 1 comma 1 lett. i) del 
DPCM 10 agosto 1988 n. 377. 
11. Il problema della VIA è stato affrontato in sede amministrativa a partire 
dal 1996. La Regione con DGR 6/22276 del 13 dicembre 1996, dopo aver osservato 
che le autorizzazioni del 1994 (v. sopra ai punti 8 e 9) erano state rilasciate 
senza previo espletamento della VIA, ha dato atto dell’orientamento più 
restrittivo del Ministero dell’Ambiente e ha di conseguenza ingiunto a 
Ecoservizi di attivare entro 90 giorni la procedura di VIA, consentendo peraltro 
la prosecuzione medio tempore dell’attività di trattamento mediante 
inertizzazione in considerazione della carenza di impianti di questo tipo sul 
territorio regionale. Ecoservizi ha ottemperato alla diffida ma ha presentato 
l’istanza di valutazione solo in data 11 maggio 1998. La procedura di VIA è 
stata incardinata presso il Ministero dell’Ambiente. La conclusione del 
procedimento ha richiesto alcuni anni anche a causa del contenzioso promosso da 
Ecoservizi (v. sotto al punto 16). 
12. Prima della conclusione della procedura di VIA la Regione ha nuovamente 
autorizzato l’attività dell’impianto. A questo risultato hanno concorso tre 
provvedimenti. In un primo momento con DGR 6/42443 del 12 aprile 1999 è stata 
autorizzata una variante essenziale consistente nell’adeguamento dell’impianto 
per la messa in riserva degli oli esausti e delle emulsioni oleose (al servizio 
della linea TERP) e per il deposito preliminare delle medesime sostanze. In 
seguito con DGR 6/42740 del 29 aprile 1999 è stato concesso il rinnovo 
dell’autorizzazione per 5 anni, peraltro con l’avvertenza che la Regione avrebbe 
potuto provvedere diversamente una volta acquisito il decreto ministeriale sulla 
VIA. Infine con DGR 6/45667 del 15 ottobre 1999 la Regione ha preso atto della 
rinuncia di Ecoservizi alla variante essenziale e ha confermato il rinnovo 
limitatamente all’impianto esistente. 
13. Contro l’autorizzazione del 1999 la signora Giacomelli ha proposto tre 
ricorsi al TAR Brescia. Come si è anticipato sopra al punto 2 le impugnazioni 
sono state accolte con sentenza n. 836 del 9 giugno 2003, confermata dal 
Consiglio di Stato Sez. IV con sentenza n. 5715 del 31 agosto 2004. Richiamando 
queste sentenze la ricorrente sostiene ora nel presente giudizio a fini 
risarcitori che nel periodo 1999-2004 l’attività di trattamento dei rifiuti è 
stata condotta senza la garanzia formale dell’acquisizione preventiva della VIA 
e senza le garanzie sostanziali costituite dalle misure di mitigazione 
successivamente imposte a Ecoservizi al termine della procedura di VIA. 
14. Sugli inconvenienti prodotti dall’impianto vi sono state negli anni diverse 
verifiche dell’ARPA, in alcuni casi su richiesta della Guardia di Finanza e dei 
NAS. Di questi controlli riferisce una nota dell’ARPA del 7 novembre 2000. Un 
incidente di particolare gravità si è verificato il 13 settembre 2000 presso una 
delle due linee di inertizzazione, dove alcuni inquinanti presenti nei rifiuti 
(alluminio metallico e nitruro di alluminio) a contatto con l’idrato di calcio 
hanno determinato il surriscaldamento della massa e la liberazione nell’ambiente 
di ammoniaca e altri gas. Ancora l’ARPA in una relazione tecnica del 15 maggio 
2002 ha osservato che i campioni di fanghi prelevati al termine del processo di 
inertizzazione producevano reazioni esotermiche in grado di liberare ammoniaca 
in forma gassosa (fenomeno espressamente vietato dall’autorizzazione del 1999). 
La mancanza di impianti fissi di aspirazione e abbattimento dei gas facilitava 
la dispersione degli stessi verso l’esterno, soprattutto durante le reazioni 
anomale causate dal trattamento accidentale di rifiuti non conformi. La ASL di 
Brescia in una nota del 17 ottobre 2003 ha evidenziato i problemi di natura 
igienico-sanitaria collegati all’impianto (picchi di carbonio organico totale 
oltre i valori del fondo ambientale) e varie forme di disagio (acustico, 
olfattivo, viabilistico) per gli abitanti della zona. 
15. La procedura di VIA è stata definita in un primo momento con il decreto del 
Ministero dell’Ambiente n. 4902 del 24 maggio 2000. Sulla base delle criticità 
presenti sul territorio (numerosi laghi di cava nel vicino ambito estrattivo; 
alto potenziale di inquinamento della falda; scarico delle acque di seconda 
pioggia nel torrente Garza; rischio di sversamenti accidentali di inquinanti e 
di ricaduta di emissioni sulle aree agricole; relativa vicinanza a una frazione 
densamente popolata e contiguità con alcuni nuclei abitativi) il Ministero ha 
giudicato “ambientalmente incompatibile” il trattamento di inertizzazione. 
Tuttavia per prevenire il rischio di un’emergenza nello smaltimento di rifiuti 
industriali ha rimesso alla Regione la scelta sulla prosecuzione di tale 
attività fino alla data di scadenza dell’autorizzazione fissando a questo scopo 
apposite prescrizioni (compreso l’obbligo di redigere un piano di dismissione 
dell’impianto e di bonifica del sito). 
16. In seguito al ricorso di Ecoservizi il TAR Lazio Sez. II bis con ordinanza 
cautelare n. 7722 del 31 agosto 2000 ha concesso la sospensione in vista della 
rinnovazione dell’istruttoria. Il Ministero dell’Ambiente ha quindi disposto 
l’audizione delle parti e l’acquisizione di osservazioni e in esito a tale 
supplemento istruttorio ha poi adottato il decreto n. 6054 del 30 aprile 2001 
confermativo di quello del 24 maggio 2000. Ecoservizi ha impugnato anche il 
secondo decreto, e il TAR Lazio Sez. II bis con ordinanza cautelare n. 4446 del 
5 luglio 2001 ne ha disposto la sospensione ritenendo necessaria all’interno 
della rinnovata istruttoria anche l’acquisizione di un secondo parere della 
commissione VIA (entrambi i decreti si basavano sul parere n. 323 del 29 luglio 
1999). Questa decisione è stata confermata in sede cautelare dal Consiglio di 
Stato Sez. VI con ordinanza n. 6589 dell’11 dicembre 2001. 
17. Mentre era in corso la nuova procedura di VIA secondo quanto richiesto dalle 
predette ordinanze cautelari la Commissione Europea ha aperto una procedura di 
infrazione contro l’Italia con parere motivato n. 1999/2240 C(2002) 2348 del 26 
giugno 2002 contestando violazioni nell’applicazione della direttiva 27 giugno 
1985 n. 85/337/CEE. Con riguardo a queste contestazioni il Ministero 
dell’Ambiente ha invitato la Regione a sospendere l’autorizzazione dell’impianto 
fino alla conclusione della procedura di VIA. La Regione però con DGR 7/10952 
del 4 novembre 2002 ha preso atto che Ecoservizi si era nel frattempo adeguata 
alle prescrizioni dei decreti ministeriali del 24 maggio 2000 e del 30 aprile 
2001 (escluso il punto relativo al piano di dismissione dell’impianto e di 
bonifica del sito) e di conseguenza ha mantenuto ferma l’autorizzazione di cui 
alla DGR 6/42740 del 29 aprile 1999 integrandone formalmente il contenuto con le 
prescrizioni dei citati decreti ministeriali e con prescrizioni aggiuntive 
riguardanti il processo di inertizzazione. È stato inoltre ribadito l’obbligo di 
presentare un piano di dismissione e bonifica per il caso di cessazione 
dell’attività (in questi termini l’obbligo era già previsto nell’autorizzazione 
del 1999). La procedura di infrazione è stata archiviata nel 2004. 
18. La nuova procedura di VIA si è conclusa con il decreto del Ministero 
dell’Ambiente n. 364 del 28 aprile 2004. Attraverso questo provvedimento il 
Ministero (dopo aver acquisito il parere favorevole con prescrizioni della 
Regione del 7 novembre 2003) si è a sua volta pronunciato favorevolmente sulla 
prosecuzione di entrambe le linee di inertizzazione (fanghi e polveri) ribadendo 
le prescrizioni dei decreti ministeriali sulla VIA del 2000-2001 e introducendo 
ulteriori prescrizioni (verifica della pavimentazione; copertura delle vasche 
ancora a cielo aperto e installazione di impianti di captazione e depurazione 
delle polveri e delle sostanze organiche volatili; insonorizzazione del 
trituratore; verifica della classificazione CER dei fluidificanti utilizzati nel 
processo di inertizzazione; monitoraggio delle falde; monitoraggio in continuo 
delle polveri aerodisperse e dei composti organici volatili; indagini 
fonometriche periodiche per la verifica dei limiti massimi di 
emissione-immissione e dei differenziali). 
19. La Regione con DGR 7/17261 del 23 aprile 2004, preso atto dei risultati 
della conferenza di servizi con Provincia, ARPA, Comune e Ecoservizi tenutasi il 
31 marzo 2004, ha rinnovato per 5 anni l’autorizzazione dell’impianto negli 
stessi limiti dimensionali dell’autorizzazione del 1999 sospendendo però l’inertizzazione 
dei rifiuti tossico-nocivi fino alla conclusione della procedura di VIA. Con DGR 
7/17360 del 30 aprile 2004 la Regione ha preso atto del decreto ministeriale 
sulla VIA del 28 aprile 2004 e di conseguenza ha provvisoriamente autorizzato 
fino al 22 giugno 2004 anche l’inertizzazione di rifiuti tossico-nocivi (in 
particolare delle polveri di abbattimento dei fumi prodotti dagli impianti di 
termodistruzione dei rifiuti solidi urbani). In considerazione delle complessità 
degli interventi necessari per l’adeguamento alle prescrizioni del decreto 
ministeriale sulla VIA, e tenendo conto della necessità di non interrompere il 
servizio di smaltimento delle polveri di abbattimento prodotte dagli impianti di 
termodistruzione, la Regione con DGR 7/17981 del 28 giugno 2004 ha prorogato il 
suddetto termine al 31 dicembre 2004. A chiarimento della propria posizione la 
Regione con DGR 7/18433 del 30 luglio 2004 ha precisato che il carattere 
provvisorio dell’autorizzazione riguardava non l’insieme dei rifiuti 
tossico-nocivi ma solo quelli trattati nelle linee di inertizzazione. Infine con 
DGR 7/20118 del 23 dicembre 2004 la Regione ha approvato il progetto presentato 
da Ecoservizi per l’adeguamento dell’impianto e ha concesso il rinnovo 
dell’autorizzazione fino al 22 aprile 2009 anche per i rifiuti tossico-nocivi 
delle linee di inertizzazione. 
20. Contro il decreto ministeriale sulla VIA n. 364 del 28 aprile 2004 e contro 
le deliberazioni regionali di autorizzazione indicate sopra ai punti 17 e 19 la 
signora Giacomelli ha presentato sette ricorsi davanti al TAR Brescia, il quale 
previa riunione li ha respinti con sentenza n. 782 del 22 luglio 2005. In 
particolare questa decisione ha respinto l’argomento della ricorrente secondo 
cui l’autorizzazione all’esercizio dell’impianto avrebbe dovuto essere 
rilasciata solo dopo la completa attuazione delle prescrizioni dettate in sede 
di VIA. Secondo il TAR deve invece essere ritenuta prevalente, nel bilanciamento 
degli interessi, la prosecuzione dello smaltimento in quanto attività di 
pubblica utilità (l’impianto in questione rappresenta il 23% della capacità di 
smaltimento a livello nazionale e il 27% della capacità dell’Italia 
settentrionale). Per quanto riguarda il principio di precauzione (art. 174 par. 
2 del Trattato CE) il TAR ha affermato che, pur non essendo possibile 
raggiungere un’assoluta sicurezza, dopo le prescrizioni contenute nel decreto 
ministeriale sulla VIA l’amministrazione ha ricondotto il livello di rischio 
entro una soglia accettabile, il che costituirebbe la differenza tra la 
situazione del 2004 e quella del 1999. Contro la suddetta pronuncia la signora 
Giacomelli ha proposto ricorso in appello (tuttora pendente davanti al Consiglio 
di Stato Sez. V sub RG 525/2006). 
21. Al contenzioso davanti ai giudici amministrativi nazionali si è aggiunta la 
sentenza della CEDU Sez. III del 2 novembre 2006 (definitiva il 26 marzo 2007), 
la quale ha riconosciuto che nella vicenda in esame vi è stata lesione del 
diritto al domicilio tutelato dall’art. 8 della Convenzione europea per la 
salvaguardia dei diritti dell’uomo (ratificata per l’Italia dalla legge 4 agosto 
1955 n. 848). La Corte, dopo aver ricordato che né la prima autorizzazione del 
1982 né quella del 1989 relativa all’attività di inertizzazione erano state 
precedute da uno studio ambientale adeguato e che in particolare la seconda 
autorizzazione non era basata su una VIA (punti 86-88), ha evidenziato che in 
questo modo è stata privata di utilità la normativa nazionale posta a tutela dei 
diritti individuali (punto 94). Quindi anche ammesso che le misure di 
prevenzione stabilite dal decreto sulla VIA del 2004 siano state poi in concreto 
adottate la Corte considera preminente il fatto che per molto tempo il diritto 
al domicilio della signora Giacomelli è stato pregiudicato dall’attività 
pericolosa dell’impianto (punti 92, 95, 96). Di conseguenza secondo la Corte non 
è stato raggiunto un giusto equilibrio tra l’interesse pubblico all’esercizio 
dell’impianto e il diritto del privato alla protezione del domicilio (punto 97: 
«la Cour estime que, nonobstant la marge d'appréciation reconnue à l'Etat 
défendeur, celui-ci n'a pas su ménager un juste équilibre entre l'intérêt de la 
collectivité à disposer d'une usine de traitement de déchets industriels 
toxiques et la jouissance effective par la requérante du droit au respect de son 
domicile et de sa vie privée et familiale»). Su questi presupposti la Corte ha 
riconosciuto in via equitativa un risarcimento di € 12.000 per il danno morale 
(punto 104) mentre ha respinto la domanda relativa al danno materiale in quanto 
non vi sarebbe stata dimostrazione del nesso causale (punto 103).
22. Così riassunte le vicende anteriori risulta chiara la posizione delle parti 
nel presente giudizio. La ricorrente, richiamando le pronunce a sé favorevoli 
(v. sopra ai punti 2, 13, 21) chiede la condanna della Regione e di Ecoservizi 
(ovvero della società incorporante) al risarcimento del danno 
biologico-esistenziale e di quello patrimoniale. Il primo è ripartito nelle voci 
dell’invalidità permanente (€ 4.184,02), dell’invalidità temporanea (€ 
104.495,60), e del danno morale (€ 72.138,62). Il secondo è individuato nel 
deprezzamento del valore dell’immobile di proprietà (€ 730.000). La Regione e 
Ecoservizi chiedono la reiezione della domanda della ricorrente richiamando le 
pronunce favorevoli alla permanenza dell’impianto (v. sopra ai punti 10 e 20). 
Entrambi i convenuti sottolineano inoltre di aver assunto un atteggiamento 
collaborativo e rispettoso delle esigenze di tutela della salute pubblica e 
dell’ambiente tanto nel corso della procedura di VIA quanto nella successiva 
fase di rinnovo dell’autorizzazione (v. sopra ai punti 17-19). 
23. In termini generali la domanda risarcitoria della ricorrente appare fondata, 
in quanto l’omessa procedura di VIA prima dell’autorizzazione dell’impianto e 
l’esercizio dell’impianto nonostante l’assenza della VIA danno origine a una 
fattispecie di responsabilità disciplinata dal diritto comunitario e dalla 
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Quest’ultima in 
base all’art. 6(F) par. 2 del Trattato di Maastricht costituisce parte 
integrante dei principi generali del diritto comunitario. 
24. La difesa di Ecoservizi eccepisce che nel caso in esame la procedura di VIA 
non sarebbe stata necessaria perché l’impianto era stato autorizzato ed era 
entrato in funzione molto tempo prima della scadenza del termine di recepimento 
della direttiva 27 giugno 1985 n. 85/337/CEE (3 luglio 1988). La posizione di 
Ecoservizi si sarebbe quindi consolidata in un periodo ancora anteriore ai primi 
contenziosi davanti al giudice amministrativo, i quali hanno riguardato soltanto 
i rinnovi dell’autorizzazione originaria. 
25. Questo argomento non può essere condiviso. Si osserva che secondo la 
giurisprudenza comunitaria devono essere sottoposte a VIA tutte le “nuove 
autorizzazioni” di progetti per i quali si preveda un impatto ambientale 
importante, anche se tali progetti si collegano a opere o attività la cui 
autorizzazione sia stata ottenuta o chiesta anteriormente alla scadenza del 
termine di recepimento della direttiva. Più precisamente le autorizzazioni 
successive alla prima si considerano nuove ai fini della VIA se costituiscono un 
titolo necessario per continuare a svolgere l’attività e se l’autorità 
amministrativa ha il potere di fissare nuove prescrizioni relative allo 
svolgimento dell’attività ambientalmente impattante. Una diversa interpretazione 
svuoterebbe l’effetto utile della direttiva 85/337/CEE (v. Corte di Giustizia 
Sez. V del 7 gennaio 2004 C-201-02 Wells punti 43-47). Entrambe le predette 
condizioni ricorrono nel caso dei rinnovi dell’autorizzazione ai sensi dell’art. 
27 comma 1 del Dlgs. 22/1997 che interessano la vicenda in esame. In effetti 
l’esercizio di un impianto di smaltimento non può proseguire oltre il termine 
finale tassativamente stabilito dall’atto autorizzativo e ciascun rinnovo 
implica la revisione e l’adeguamento delle prescrizioni tecniche a tutela della 
salute pubblica e dell’ambiente. Questa attività autorizzativa per essere esente 
da vizi istruttori richiede necessariamente che la VIA sia effettuata. Sotto 
questo profilo la posizione assunta dal Consiglio di Stato Sez. IV con la 
sentenza n. 5715 del 31 agosto 2004 (v. sopra ai punti 2 e 13) è coerente con la 
giurisprudenza comunitaria. In conformità a questo indirizzo devono essere 
interpretati sia l’art. art. 1 comma 2 DPCM 377/1988 (che prevede la VIA su 
impianti già autorizzati qualora dagli interventi derivi un’opera con 
“caratteristiche sostanzialmente diverse”) sia l’art. 27 comma 8 del Dlgs. 
22/1997 (che richiede la VIA per la realizzazione di “varianti sostanziali”). La 
diversità a cui occorre fare riferimento può dunque consistere anche nel 
cambiamento delle modalità di esercizio della stessa opera in un successivo 
periodo temporale per tenere conto delle norme tecniche e delle indagini 
ambientali sopravvenute. 
26. In subordine si osserva che la necessità della procedura di VIA deriva in 
ogni caso dalla circostanza che nel 1989 l’impianto di smaltimento è stato 
sostanzialmente modificato con l’inserimento delle linee di inertizzazione e con 
la generale ristrutturazione dell’attività (v. sopra al punto 5). Sotto il 
profilo ambientale l’inertizzazione è l’attività a più alto impatto e in effetti 
è quella che ha creato i problemi più seri nel corso della gestione (v. sopra al 
punto 14) e che maggiormente è stata presa in considerazione nelle analisi 
svolte nell’ambito della procedura di VIA (v. sopra ai punti 15, 18, 19). Anche 
la CEDU Sez. III nella sentenza del 2 novembre 2006 ha sottolineato la gravità 
dell’assenza della VIA con riguardo all’attività di inertizzazione (v. sopra al 
punto 21). Sotto il profilo della certezza del diritto si osserva che nel 1989 
erano in vigore sia l’art. 6 della legge 349/1986 (recepimento della direttiva 
85/337/CEE), sia il DPCM 377/1988 (che ha classificato come opere soggette a VIA 
gli impianti di eliminazione dei rifiuti tossico-nocivi mediante trattamento 
chimico), sia il DPCM 27 dicembre 1988 (contenente norme tecniche per la 
redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di 
compatibilità). La procedura di VIA poteva e doveva quindi essere svolta già nel 
1989 prima del rilascio dell’autorizzazione. Doveva poi essere ripetuta nel 1991 
quando il quantitativo di rifiuti trattati mediante inertizzazione è stato 
elevato da 30.000 a 75.000 mc/anno (v. sopra al punto 6) e ancora nel 1993 
quando è stato autorizzato il recupero del vecchio impianto di inertizzazione 
(v. sopra al punto 7). Quest’ultima autorizzazione era stata negata nel 1991 
proprio perché avrebbe di fatto significato la realizzazione di un nuovo 
impianto. Inoltre non essendo mai stata svolta prima, la procedura di VIA doveva 
necessariamente precedere i rinnovi del 1994 e del 1999. La Regione ha invece 
posto il problema solo nel 1996 e solo nel 2002 in seguito alla procedura di 
infrazione ha integrato l’autorizzazione con le prescrizioni dei decreti 
ministeriali sulla VIA del 2000 e del 2001 (v. sopra al punto 17). 
27. Il mancato svolgimento della VIA prima dell’autorizzazione non costituisce 
una semplice irregolarità nella successione degli atti procedimentali ma è una 
violazione di legge che impedisce ai privati una partecipazione efficace 
all’azione amministrativa e condiziona le scelte successive della stessa 
amministrazione. Una diretta implicazione è l’indebolimento della tutela 
prevista per i beni della vita individuali e collettivi (proprietà, domicilio, 
salute, ambiente). In base all’art. 174 par. 2 del Trattato CE le scelte 
ambientali devono essere guidate in via prioritaria dai principi di precauzione 
e dell'azione preventiva. Pertanto le conseguenze negative devono essere 
previste in anticipo ed evitate, non semplicemente mitigate dopo che l’attività 
pericolosa sia già stata insediata sul territorio. In proposito è chiaro il 
primo periodo del sesto considerando della direttiva 85/337/CEE 
(“l'autorizzazione di progetti pubblici e privati che possono avere un impatto 
rilevante sull'ambiente va concessa solo previa valutazione delle loro probabili 
rilevanti ripercussioni sull'ambiente”). Se poi delle correzioni risultano 
necessarie una volta che l’attività pericolosa sia in svolgimento, queste in 
base all’art. 174 par. 2 del Trattato CE devono essere effettuate “alla fonte”, 
ossia immediatamente, quando è ancora possibile evitare conseguenze dannose per 
i singoli, la collettività e l’ambiente senza incidere su aspettative ormai 
consolidate dei soggetti economici (primi fra tutti i committenti e i gestori 
delle opere o degli impianti). 
28. La VIA intervenuta in una fase successiva all’autorizzazione dell’impianto e 
all’inizio dell’attività non ha effetto sanante né rispetto ai provvedimenti di 
autorizzazione né rispetto all’attività svolta dai committenti o dai gestori. In 
questo senso può essere letta la posizione della giurisprudenza comunitaria 
sulla necessità che i soggetti interessati siano messi in condizione di 
esprimere il proprio parere prima che inizi l’esecuzione del progetto (v. Corte 
di Giustizia Sez. II del 16 settembre 2004 C-227/01 Commissione/Spagna punto 
57). Sempre la giurisprudenza comunitaria stabilisce che in base al principio di 
leale collaborazione di cui all’art. 10 del Trattato CE gli Stati hanno 
l’obbligo di eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto 
comunitario, quale deve essere considerata l’omissione della VIA. Nel fare 
questo gli Stati possono procedere con le modalità stabilite dal diritto 
interno. Restano però inderogabili tre principi: a) la VIA deve essere eseguita; 
b) il diritto interno non può stabilire per l’omessa VIA dei rimedi più gravosi 
rispetto a quelli previsti per situazioni analoghe o tali da rendere 
praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti 
conferiti dall'ordinamento comunitario; c) il singolo che subisce le conseguenze 
dell’omessa VIA ha sempre diritto al risarcimento del danno (v. Corte di 
Giustizia Sez. V del 7 gennaio 2004 C-201-02 Wells punti 64-70). 
29. Un’applicazione coerente dei principi comunitari dovrebbe quindi comportare 
la sospensione dell’autorizzazione per il tempo necessario allo svolgimento 
della VIA e la revoca dell’autorizzazione in caso di VIA negativa. Un esame a 
posteriori non è tuttavia in grado di ottenere gli stessi risultati di un esame 
tempestivamente svolto prima dell’autorizzazione. Al riguardo occorre tenere 
conto degli effetti che il tempo produce a favore dei committenti e dei gestori 
e più in generale del rilievo che l’attività può assumere anche nei confronti 
dell’interesse pubblico. Nel caso in esame questi effetti hanno avuto un peso 
determinante. Si osserva infatti che gli stessi decreti ministeriali sulla VIA 
del 2000 e 2001 pur accertando l’inidoneità ambientale del sito hanno 
contemporaneamente riconosciuto che la chiusura dell’attività di inertizzazione 
avrebbe provocato un’emergenza su ampia scala nello smaltimento dei rifiuti 
industriali (v. sopra al punto 15). La necessità di consentire la prosecuzione 
dell’attività di smaltimento sia pure in un quadro di maggiori garanzie per la 
salute pubblica e per l’ambiente è un elemento costantemente presente anche 
negli atti successivi, a partire dal decreto finale sulla VIA del 2004, e 
rientra nel bilanciamento di interessi su cui si basa il rinnovo 
dell’autorizzazione considerato legittimo dalla sentenza del TAR Brescia n. 782 
del 22 luglio 2005 (v. sopra al punto 20). 
30. Essendo ormai intangibile in questa sede il rinnovo dell’autorizzazione 
rimane aperta la sola strada del risarcimento. Questa conclusione non è in 
contrasto con la citata sentenza del TAR Brescia n. 782/2005. Il bilanciamento 
di interessi che ha permesso il rinnovo dell’autorizzazione non può infatti 
operare retroattivamente ostacolando il diritto dei singoli a ottenere una 
compensazione monetaria. Anche la sentenza della CEDU Sez. III del 2 novembre 
2006 ha evidenziato (punti 83, 94, 97) che l’interesse pubblico collegato 
all’attività di smaltimento non può giustificare i danni derivati dal mancato 
svolgimento della VIA prima dell’autorizzazione, quando la ricorrente avrebbe 
potuto ottenere sul piano amministrativo o giudiziario una più efficace tutela 
del proprio domicilio. 
31. Il ritardo nello svolgimento della VIA ha avuto due conseguenze dannose: a) 
ha consentito il radicamento dell’attività di smaltimento spostando la tutela 
per i singoli e la collettività dalla prevenzione alla mitigazione; b) ha 
ritardato l’adozione di adeguati presidi tecnologici mettendo a rischio la 
salute dei singoli e l’integrità dell’ambiente. Sotto il primo profilo si può 
ritenere, sulla base delle criticità ambientali descritte nei tre decreti 
ministeriali sulla VIA, che una valutazione preventiva avrebbe condotto a una 
diversa localizzazione dell’impianto, oltre che a diverse modalità costruttive. 
Anche se il livello di rischio dopo il 2004 può essere considerato accettabile 
(e quindi non ostativo al rinnovo dell’autorizzazione dell’impianto) non può 
essere cancellato il degrado della qualità della vita dei soggetti che abitano 
nelle vicinanze, né la perdita di valore della proprietà. Sotto il secondo 
profilo rilevano le patologie di cui sia data dimostrazione collegabili alla 
suddetta attività e i disagi in primo luogo psicologici che un’attività 
pericolosa non adeguatamente monitorata normalmente provoca nei soggetti che 
vivono nello stesso ambito territoriale. 
32. Sia la Regione sia Ecoservizi sostengono che non vi sarebbe l’elemento 
soggettivo della colpa in quanto l’autorizzazione del 1993-1994 è stata 
giudicata legittima (v. sopra al punto 10) e l’annullamento di quella del 1999 è 
stato superato dalle vicende amministrative e giudiziarie successive (v. sopra 
ai punti 13, 17, 20). 
33. Questa tesi non può essere condivisa. Poiché il mancato svolgimento della 
VIA costituisce una violazione di norme comunitarie, e in effetti il caso in 
esame è stato per un certo periodo oggetto di una procedura di infrazione (v. 
sopra al punto 17), occorre seguire le indicazioni della giurisprudenza 
comunitaria, la quale esclude la possibilità di valutare la buona fede delle 
autorità dello Stato e prende in esame il fatto nella sua oggettività (v. Corte 
di Giustizia Sez. II del 16 settembre 2004 C-227/01 Commissione/Spagna punto 
58). Si deve poi sottolineare che, come si è visto sopra al punto 28, la 
giurisprudenza comunitaria non permette che i rimedi giudiziali siano tali da 
rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei 
diritti conferiti dall'ordinamento comunitario. Per l’ipotesi di omessa VIA 
ricorre quindi la medesima ratio che nel settore degli appalti pubblici ha 
condotto la giurisprudenza comunitaria a dichiarare contrarie all’art. 2 par. 1 
lett. c) della direttiva 21 dicembre 1989 n. 89/665/CEE le norme nazionali che 
impongono al danneggiato di dare dimostrazione della colpa o del dolo 
dell’amministrazione (v. Corte di Giustizia del 14 ottobre 2004 C-275/03 
Commissione/Portogallo punto 31). In entrambe le fattispecie deve infatti essere 
garantito con precedenza su ogni altra considerazione il diritto del danneggiato 
a conseguire un effettivo risarcimento del danno. 
34. Peraltro anche valutando in concreto la posizione soggettiva della Regione e 
di Ecoservizi il risultato non è diverso. Richiamando quanto è stato esposto 
sopra ai punti 11 e 26 si osserva che non vi sono giustificazioni né per 
l’omissione della VIA né per il ritardo con cui il problema è stato posto. 
Oltretutto tra l’ingiunzione della Regione (13 dicembre 1996) e l’effettiva 
presentazione dell’istanza di valutazione da parte di Ecoservizi (11 maggio 
1998) è trascorso un tempo molto ampio, che ha ulteriormente rinviato l’esame 
delle criticità del sito e le lacune dell’impianto. L’accumulo di ritardo ha 
anche impedito di affrontare in modo sistematico gli inconvenienti che in più 
occasioni si sono manifestati nel corso dell’attività di smaltimento (v. sopra 
al punto 14). Nessun affidamento particolare la Regione e Ecoservizi potevano 
infine riporre nelle sentenze favorevoli riguardanti le autorizzazioni del 
1993-1994 (v. sopra al punto 10). In tale contenzioso infatti il tema della VIA 
non è stato trattato. Quando invece la questione è stata esaminata, ossia con 
riguardo all’autorizzazione del 1999, l’esito processuale è stato favorevole 
alla ricorrente (v. sopra ai punti 2 e 13).
35. Ecoservizi eccepisce il proprio difetto di legittimazione passiva sostenendo 
di essere un mero controinteressato rispetto ai provvedimenti della Regione, 
come tale escluso dalla giurisdizione amministrativa nel giudizio risarcitorio. 
La tesi non appare condivisibile. L’esame della questione è stato rinviato a 
questo punto della sentenza in quanto le considerazioni svolte finora sul merito 
della controversia aiutano a inquadrare la posizione di Ecoservizi anche sotto 
questo profilo. 
36. In primo luogo si osserva che la lite tra la ricorrente e Ecoservizi non 
riguarda (o non riguarda principalmente) il cattivo uso di un’autorizzazione 
allo smaltimento di rifiuti speciali ma fa diretto riferimento al titolo 
autorizzativo, di cui è contestata in radice la conformità al diritto 
comunitario in mancanza di una VIA tempestivamente eseguita. Nella procedura di 
VIA il committente è un soggetto attivo sul quale ricade l’onere di chiedere il 
pronunciamento delle autorità informandole del progetto e fornendo tutti i 
dettagli rilevanti, come previsto dal secondo periodo del sesto considerando 
della direttiva 85/337/CEE (“questa valutazione deve essere fatta in base alle 
opportune informazioni fornite dal committente e eventualmente completata dalle 
autorità e dal pubblico eventualmente interessato dal progetto”). Non avendo 
chiesto per lungo tempo l’attivazione della procedura di VIA Ecoservizi non ha 
svolto correttamente la funzione di committente prevista dalla direttiva e ha 
quindi concorso con la Regione a insediare sul territorio un’attività pericolosa 
sulla base di atti autorizzativi inadeguati. 
37. Occorre poi considerare che la giurisprudenza comunitaria oltre ad prevedere 
il risarcimento a favore dei soggetti danneggiati dall’assenza della VIA (v. 
sopra al punto 28) ammette, anche su richiesta degli stessi danneggiati, 
l’adozione di misure quali l’interruzione dell’attività che incidono 
direttamente sui titolari dell’autorizzazione non preceduta da VIA (v. Corte di 
Giustizia Sez. V del 7 gennaio 2004 C-201-02 Wells punti 57-58). Si può così 
ritenere che quando le misure inibitorie non possono più essere adottate (come 
avviene nel caso in esame) il risarcimento costituisca un ristoro sostitutivo 
non solo nei confronti dell’amministrazione ma anche nei confronti dei titolari 
dell’autorizzazione, i quali beneficiano dell’assenza della DIA. In definitiva 
tanto le valutazioni relative alle misure inibitorie quanto quelle riguardanti 
il risarcimento sono subordinate all’esame delle conseguenze che l’assenza della 
DIA produce sulle autorizzazioni rilasciate e sull’attività svolta in base a 
tali autorizzazioni. Questo costituisce il presupposto per concentrare nella 
giurisdizione amministrativa tutte le domande proposte dai soggetti danneggiati 
a causa dell’assenza della DIA. 
38. Rispetto alla pronuncia della CEDU Sez. III del 2 novembre 2006 viene 
proposta l’eccezione del “ne bis in idem”, in quanto la ricorrente avrebbe già 
ottenuto piena reintegrazione patrimoniale per i disagi sopportati a causa della 
vicinanza dell’impianto realizzato e gestito in assenza di VIA. Neppure questo 
argomento può essere condiviso. In effetti la CEDU si è pronunciata sull’intera 
vicenda amministrativa dell’impianto dalla prima autorizzazione del 1982 fino 
alla conclusione della procedura di VIA del 2004. Il riconoscimento di un 
ristoro monetario è stato accordato come equa soddisfazione sulla base dell’art. 
41 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Ai fini 
della determinazione dell’importo è stata ritenuta provata la componente morale 
del danno (ansia sofferta nel corso degli anni) ma non quella patrimoniale. Le 
valutazioni contenute nella sentenza della Corte non costituiscono però un 
giudicato vincolante nel presente giudizio e ostativo a un esame autonomo della 
richiesta di risarcimento. 
39. Nelle sentenze della CEDU occorre distinguere tra i principi di diritto e 
l’esame dei fatti. I principi della Convenzione europea per la salvaguardia dei 
diritti dell’uomo vivono nell’interpretazione giurisprudenziale della CEDU e 
come tali fanno parte delle norme di legge che il giudice nazionale è tenuto ad 
applicare. I fatti sono invece liberamente valutati dai giudici nazionali (v. 
CEDU Sez. I del 27 febbraio 2001 Lucà punto 38), tranne quando un errore di 
fatto commesso dal giudice nazionale possa compromettere i diritti e le libertà 
tutelati dalla Convenzione (v. CEDU GC del 29 marzo 2006 Scordino punto 190). 
40. Questo vale anche quando le sentenze della CEDU si “incrociano” con quelle 
dei giudici nazionali. Si osserva al riguardo che la CEDU si colloca al di fuori 
dell’ordinamento giudiziario dello Stato e in base all’art. 35 della Convenzione 
si pronuncia solo dopo l'esaurimento delle vie di ricorso interne. In alcuni 
casi tuttavia la CEDU respinge l’eccezione preliminare ritenendo inutile il 
percorso di tutti i gradi della giurisdizione interna essendone scontato l’esito 
(v. CEDU GC del 29 marzo 2006 Scordino punto 145), oppure, come è avvenuto nel 
caso che qui interessa, rimette l’eccezione preliminare al merito, e dunque si 
pronuncia su questioni non ancora coperte dal giudicato interno agli Stati. 
Quando questo avviene la CEDU non avoca a sé la giurisdizione nazionale e non 
preclude ai ricorrenti la possibilità di percorrere tutti i gradi interni della 
giurisdizione. L’art. 46 della Convenzione, secondo cui gli Stati sono obbligati 
a conformarsi alle sentenze definitive della CEDU, deve essere letto assieme 
all’art. 19, che attribuisce alla CEDU la funzione di assicurare il rispetto 
degli impegni derivanti dalla Convenzione, e agli art 13 e 35, che fissano il 
principio di sussidiarietà a garanzia delle giurisdizioni nazionali. Pertanto 
gli Stati sono tenuti ad adottare ogni misura generale o particolare che sia 
idonea a dare concreta esecuzione alle sentenze della CEDU, il che avviene 
normalmente in via amministrativa o legislativa (nell’ordinamento italiano una 
specifica competenza al riguardo è stata attribuita al presidente del consiglio 
dei ministri dalla legge 9 gennaio 2006 n. 12), mentre i giudici nazionali si 
pronunciano sulle questioni sottoposte alla loro attenzione applicando i 
principi individuati dalla CEDU e per il resto le norme del diritto interno e 
comunitario. 
41. Nel caso in esame la sentenza della CEDU Sez. III del 2 novembre 2006 ha 
statuito in diritto che l’assenza della VIA lede il diritto al domicilio ed è 
fonte di responsabilità (v. sopra al punto 21). Rispetto a questo principio è 
ammissibile e coerente il riconoscimento in questa sede di un ristoro monetario 
in forma più ampia di quello direttamente liquidato dalla Corte. 
42. Per la quantificazione dell’importo si ritiene necessario utilizzare la 
procedura ex art. 35 comma 2 del Dlgs. 31 marzo 1998 n. 80. In proposito si 
osserva che il ricorso, riguardando l’aspetto risarcitorio di una controversia 
avente ad oggetto l’insediamento di un impianto a elevato impatto ambientale, 
ricade nella materia dell’uso del territorio affidata alla giurisdizione 
amministrativa esclusiva dall’art. 34 commi 1 e 2 del Dlgs. 80/1998. In ogni 
caso dopo i chiarimenti introdotti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 
204 del 6 luglio 2004 la giurisdizione amministrativa si giustifica in quanto 
nelle fattispecie sottoposte a giudizio risultino coinvolti anche poteri 
autoritativi, ossia posizioni giuridiche di per sé ricadenti nella giurisdizione 
generale di legittimità. Data questa premessa, e considerato che il risarcimento 
non è una materia ma uno strumento della giurisdizione, la procedura di 
liquidazione del danno prevista dall’art. 35 comma 2 del Dlgs. 80/1998 può 
essere considerata di carattere generale e quindi applicabile anche al di fuori 
dei casi di giurisdizione esclusiva.
43. Tenendo conto delle richieste formulate dalla ricorrente (v. sopra al punto 
22) e dei profili di danno collegabili al ritardo nello svolgimento della VIA 
(v. sopra al punto 31) si possono stabilire i criteri esposti qui di seguito, in 
base ai quali le parti dovranno raggiungere un accordo sull’importo del 
risarcimento entro 90 giorni dalla comunicazione della presente sentenza:
a) L’invalidità permanente non può dirsi provata, in quanto le relazioni 
medico-legali del 30 giugno 2003 e del 30 settembre 2003 prodotte dalla 
ricorrente evidenziano una serie di disturbi senza chiarire per quali ragioni 
gli stessi debbano essere considerati irreversibili. Allo stato quindi non vi 
sono elementi in base ai quali si possa ritenere che a causa dell’impianto in 
questione si sia prodotta una patologia cronica. Di conseguenza questa voce di 
danno non deve essere presa in considerazione.
b) Deve invece essere risarcito il danno biologico-esistenziale che la 
ricorrente descrive come invalidità temporanea e danno morale. 
c) Sotto la definizione di invalidità temporanea ricadono alcune conseguenze 
ascrivibili al ritardo con cui è stata svolta la VIA e in particolare il degrado 
della qualità della vita in tale periodo sotto forma di sofferenza psicologica e 
fisica per i rumori e le altre emissioni dell’impianto e per il timore di gravi 
danni alla salute. Per la liquidazione di questa voce di danno possono essere 
seguiti i criteri utilizzati dalla ricorrente nel prospetto depositato l’11 
maggio 2007, con alcune precisazioni. Quale base di calcolo possono essere 
utilizzate per analogia le tabelle dei sinistri del Tribunale di Brescia. La 
scelta di un arco temporale di 5 anni a partire dal 1999 appare corretta, in 
quanto copre il periodo tra l’autorizzazione del 1999 e la conclusione della 
procedura di VIA del 2004, tuttavia quali termini iniziale e finale devono 
essere utilizzati rispettivamente il 29 aprile 1999 (data del provvedimento 
regionale che ha disposto il rinnovo) e il 28 aprile 2004 (data del terzo 
decreto ministeriale sulla VIA). Le percentuali di invalidità temporanea devono 
essere rettificate in via equitativa nel 75% fino al 4 novembre 2002, data in 
cui la Regione ha integrato l’autorizzazione con le prescrizioni dei primi due 
decreti ministeriali sulla VIA, e nel 50% per il periodo successivo. 
d) Quale danno morale può essere risarcita la sofferenza psicologica collegata 
all’impossibilità per la ricorrente di far valere tempestivamente ed 
efficacemente le proprie ragioni, come sarebbe avvenuto se la procedura di VIA 
si fosse svolta prima dell’autorizzazione del 1999. In via equitativa la 
liquidazione può essere effettuata nella misura dei 2/3 dell’invalidità 
temporanea come definita sopra alla lett. c).
e) Deve essere risarcito anche il deprezzamento subito dall’immobile di 
proprietà della ricorrente. Considerate le criticità ambientali riscontrate in 
zona la ricorrente, se la procedura di VIA fosse stata svolta secondo il 
corretto ordine procedurale, avrebbe potuto tutelare il proprio interesse a 
distanziare l’impianto avvalendosi dell’interesse pubblico all’individuazione di 
un sito meno problematico. Non avendo avuto tale opportunità la ricorrente deve 
ora essere reintegrata del valore che il proprio immobile ha perso a causa della 
vicinanza dell’impianto. La differenza di valore deve essere calcolata secondo i 
prezzi di mercato utilizzando ogni banca dati disponibile. Come termine di 
confronto possono essere presi immobili con pari caratteristiche, situati in un 
contesto ambientale e urbanistico simile ma lontani da impianti di smaltimento 
di rifiuti speciali o strutture assimilabili. La stima del 23 aprile 2007 
proposta dalla ricorrente deve essere intesa come il limite massimo del valore 
di risarcimento. I confronti con immobili destinati ad attività agricole 
imprenditoriali sono subordinati alla dimostrazione che tale impiego 
dell’immobile della ricorrente sarebbe stato in concreto possibile. 
f) Le somme calcolate secondo quanto stabilito ai punti precedenti devono essere 
rivalutate annualmente. Sulle somme così rivalutate sono calcolati per ciascun 
anno gli interessi legali fino al momento del saldo. 
44. Il ricorso deve quindi essere accolto. Conseguentemente la Regione e Systema 
Ambiente srl (nella qualità di incorporante di Ecoservizi) sono condannati in 
solido a corrispondere alla ricorrente a titolo di risarcimento la somma che 
sarà definita sulla base dei criteri indicati sopra al punto 43. Le spese 
seguono la soccombenza e possono essere liquidate in complessivi € 6.000 oltre 
agli oneri di legge.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione staccata di 
Brescia, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e conseguentemente 
condanna in solido la Regione e Systema Ambiente srl al risarcimento del danno 
con la procedura e secondo i criteri descritti in motivazione. 
Condanna inoltre la Regione e Systema Ambiente srl al pagamento in solido delle 
spese di giudizio, liquidate complessivamente in € 6.000 oltre agli oneri di 
legge. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. 
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2007 con 
l'intervento dei signori:
Mauro Pedron, Presidente, Estensore
Stefano Tenca, Referendario
Francesco Gambato Spisani, Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE 
IL SEGRETARIO 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/08/2007
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
 
 
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