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CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sezione II, 23/01/2007, Sentenza n. 1391
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Emittente radiotelevisiva - Produzione di 
emissioni elettromagnetiche entro il limite consentito - Risarcibilità del danno 
- Esclusione - Fondamento - D.M. n. 381/98 - Art. 674 c.p.. Le immissioni di 
onde elettromagnetiche (nella specie, provenienti dal traliccio di una emittente 
radiotelevisiva) che si mantengano nei limiti della normativa vigente sono 
assistite da una presunzione di non pericolosità; deve escludersi in questi casi 
il diritto al risarcimento di un danno del tutto ipotetico, in mancanza di un 
principio codificato di precauzione che consenta una tutela avanzata a fronte di 
eventi di potenziale ma non provata pericolosità. Presidente F. Pontorieri, 
Relatore E. Malpica. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sezione II, 23/01/2007, 
Sentenza n. 1391
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - Emissioni elettromagnetiche entro i limiti 
legali Art. 674 c.p. - Configurabilità - Esclusione - D.M. n. 381/98. E' da 
escludersi la configurabilità del reato di cui all'art. 674 c.p., nei casi in 
cui è impossibile affermare il supermento dei limiti legali di immissioni 
elettromagnetiche. Presidente F. Pontorieri, Relatore E. Malpica. CORTE DI 
CASSAZIONE Civile, Sezione II, 23/01/2007, Sentenza n. 1391
URBANISTICA E EDILIZIA - Vedute abusive - Specifici accorgimenti che 
ostacolino la veduta - Poteri del giudice. In tema di vedute abusive il 
giudice può imporre specifici accorgimenti che ostacolino la veduta o che 
impediscano concretamente l'esercizio della servitù. Presidente F. Pontorieri, 
Relatore E. Malpica. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sezione II, 23/01/2007, 
Sentenza n. 1391
URBANISTICA E EDILIZIA - Vedute abusive - Riduzione in pristino - 
Risarcimento del danno pregresso - Condizioni. L’illegittimità della veduta 
non è condizionata al danno che in concreto possa derivarne per il titolare del 
fondo sul quale essa si esplica, non significa che in tema di risarcimento del 
danno pregresso (cioè antecedente alla riduzione in pristino) non debba 
valutarsi la lesione subita nella sua concretezza, e cioè anche in relazione 
alla maggiore o minore incidenza dell'intromissione nella sfera privata del 
soggetto passivo, dipendente dalle modalità in cui la veduta era esercitabile. 
Presidente F. Pontorieri, Relatore E. Malpica. CORTE DI CASSAZIONE Civile, 
Sezione II, 23/01/2007, Sentenza n. 1391
URBANISTICA E EDILIZIA - Veduta - Traliccio ad esclusivo uso di sostegno di 
apparecchiature elettroniche - Requisito di "veduta" - Esclusione. Una 
struttura consistente in un traliccio, destinato ad esclusivo uso di sostegno di 
apparecchiature elettroniche, non possiede i requisiti per essere considerata 
"veduta" alla stregua dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità 
(tra cui la normale e permanente destinazione a guardare ed affacciarsi nel 
fondo altrui - Cass. 19.1.1999, n. 450) - valutazione condizionata alla 
particolarità della struttura accertata tramite consulenza tecnica. Presidente 
F. Pontorieri, Relatore E. Malpica. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sezione II, 
23/01/2007, Sentenza n. 1391
URBANISTICA E EDILIZIA - Esecuzione di piccole opere edili - Nomina di un 
direttore dei lavori - Non necessita - Presupposti. Quando si tratta di 
esecuzione di piccole opere edili, non è necessario affrontare la spese per la 
nomina di un direttore dei lavori, essendo sufficiente garanzia le cognizioni in 
possesso di qualsiasi piccola impresa del settore. Pertanto, la non necessità di 
un direttore dei lavori può essere valutata sulla base della comune esperienza 
in relazione all'entità e tipologia delle opere da eseguire. Presidente F. 
Pontorieri, Relatore E. Malpica. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sezione II, 
23/01/2007, Sentenza n. 1391
		
		
Udienza Pubblica del
SENTENZA N.
REG. GENERALE n.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
CIVILE
SEZIONE SECONDA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PONTORIERI Franco                          
- Presidente -
Dott. TRIOLA Roberto Michele                     
- Consigliere -
Dott. TROMBETTA Francesca                     
- Consigliere -
Dott. TRECAPELLI Giancarlo                       
- Consigliere -
Dott. MALPICA Emilio                                 
- rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I coniugi Lacalandra Rosa e Fantasia Paolo, comproprietari di un immobile 
sito in Conversano, alla via Foggia n. 23, convennero in giudizio la s.p.a. 
Telenorba, nonché le ditte Giovene Giovanni e D'Alessandro Pasquale, 
rispettivamente quale appaltatrice dei lavori di escavazione la prima, e 
appaltatrice dei lavori di edificazione la seconda, assumendo di aver subito, a 
seguito della costruzione dell'edificio di proprietà di Telenorba a confine con 
la loro proprietà, danni di varia natura, tra cui lesioni e infiltrazioni dí 
umidità al proprio immobile, violazioni di distanze legali, nonché danni alla 
salute per diffusione di umidità, di rumori e di radiazioni elettromagnetiche 
provenienti dagli impianti e dalle apparecchiature degli studi radiotelevisivi 
realizzati.
Si costituì in giudizio la soc. Telenorba eccependo il proprio difetto di 
legittimazione passiva in ordine ai lamentati danni all'immobile, perché la 
responsabilità era da imputarsi alle ditte esecutrici dei lavori di scavo e di 
edificazione. Negò, tuttavia la sussistenza di ogni altro danno da violazione di 
distanze e da diffusione di rumori e di onde elettromagnetiche, spiegando, 
altresì, domanda riconvenzionale tesa ad ottenere l'abbattimento della 
chiostrina realizzata dagli attori in difformità della concessione edilizia.
All'esito dell'istruttoria, nel corso della quale venne espletata anche 
consulenza tecnica d'ufficio, il Tribunale di Bari condannò Telenorba spa e le 
ditte Giovene Giovanni e D'Alessandro Pasquale, in solido, al risarcimento dei 
danni all'immobile nella misura di £ 31.000.000, comprensiva delle spese di un 
doppio trasloco e dell'indennità di mancato uso dell'appartamento per tre mesi, 
al risarcimento del danno biologico di £ 6.000.000 in favore di Lacalandra Rosa 
e di £ 3.000.000 in favore di Fantasia Paolo; condannò, inoltre, Telenorba spa 
al risarcimento del danno da vedute illegittime in £ 50.000.000, rigettò le 
altre domande, anche proposte in via riconvenzionale, e condannò i convenuti al 
pagamento delle spese processuali.
Avverso la sentenza proposero appello i signori Lacalandra e Fantasia; Telenorba 
spa chiese il rigetto dell'appello e spiegò appello incidentale sia in ordine 
alla condanna al risarcimento del danno per l'esercizio di vedute illegittime - 
assumendo che non esistevano le vedute perché i lastrici solari in questione 
erano tutti destinati ad ospitare impianti tecnologici con accesso solo per 
operazioni di manutenzione - sia in ordine al rigetto della domanda 
riconvenzionale di abbattimento della chiostrina, ed in ordine alla condanna al 
pagamento di tutte le spese processuali nonostante il rigetto di alcune domande 
degli attori. Anche la ditta D'Alessandro Pasquale chiese il rigetto 
dell'appello e spiegò a sua volta appello incidentale deducendo che doveva 
rispondere unicamente la ditta Giovene in ordine ai danni materiali all'immobile 
dei signori Lacalandra-Fantasia e, conseguentemente, non poteva essa neppure 
rispondere per il danno biologico denunciato.
All'esito del giudizio d'appello la corte di Bari accolse per quanto di ragione 
tutti gli appelli proposti, ed in particolare: condannò la soc. Telenorba e la 
ditta Giovene al pagamento in solido della somma di lire 21 milioni oltre IVA 
per danni all'immobile, e della somma di lire 10.000.000 per spese di trasloco e 
indennità di mancata occupazione dell'alloggio; condannò tutti i convenuti in 
solido ( e non solo la soc. Telenorba) al risarcimento in favore degli attori 
del danno biologico liquidato in primo grado; condannò la soc. Telenorba a 
risarcire agli attori il danno da veduta illegittima liquidato in lire 
20.000.000 ed alla eliminazione della veduta sulla terrazza "D" nel tratto D-E, 
mediante realizzazione di parapetto alto mt. 1,80. Rigettò nel resto le 
impugnazioni.
Osservò la Corte - per quanto ancora rileva in questa sede - che in ordine al 
risarcimento dei danni all'immobile, era corretta la valutazione che teneva 
conto delle sole opere da farsi al primo piano ed al balcone su via Foggia, non 
risultando affatto, negli atti di causa, lesioni o riparazioni in altri luoghi, 
come il piano terra e il torrino - scala, indicati nell'atto di appello, di cui, 
tuttavia, non era stata fatta denuncia al momento dei sopraluogo del c.t.u., non 
erano stati segnalati dal consulente di parte degli appellanti-attori che aveva 
regolarmente partecipato a tutti gli atti del c.t.u. senza alcuna riserva, non 
erano stati segnalati dal difensore, che nulla aveva eccepito in ordine alla 
consulenza nella precisazione delle conclusioni o nella comparsa conclusionale 
in primo grado. Escluse, inoltre, la corte che fosse necessaria una direzione 
tecnica qualificata per la esecuzione di tali lavori, negando il diritto a tale 
ulteriore voce di danno.
Quanto al danno biologico affermò il giudice d'appello che, trattandosi di 
aggravamento di una patologia già esistente nelle persone degli 
attori-appellanti, come chiaramente poteva evincersi dalla perizia medico legale 
in atti, appariva corretta la valutazione a punto percentuale del primo giudice, 
per un danno che era solo biologico, considerata la piccola percentuale di 
invalidità rilevata, atteso che le c.d. micropermanenti non possono dar luogo ad 
un risarcimento diverso, e ciò anche a prescindere dalla considerazione che 
nessuna prova era stata offerta di un danno emergente o di un lucro cessante. 
Aggiunse la corte di merito che doveva anche considerarsi che nella specie si 
trattava di un ritenuto aggravamento di patologia preesistente ricollegato alla 
infiltrazione di umidità conseguente alla costruzione della palazzina Telenorba, 
certamente circoscritta nel tempo, atteso che la palazzina Telenorba era stata 
ultimata nel 1988 ed il consulente tecnico di ufficio aveva solo accertato, nel 
1994, manifestazioni di umidità pregressa e non in atto, per cui doveva 
ritenersi che la causa delle infiltrazioni fosse stata precedentemente eliminata 
dalla Telenorba in conseguenza dell'azione possessoria introdotta dalla 
Lacalandra, con ricorso del 3.2.90, e definita con sentenza del Pretore di 
Rutigliano, in data 11.2.92, con la quale era stato confermato il provvedimento 
provvisorio 23.5.90 che aveva ordinato l'esecuzione di opere idonee ad eliminare 
le infiltrazioni, opere che erano state eseguite.
Per quanto riguarda la questione del ripristino delle distanze legali per 
l'esercizio delle vedute illegittime, rilevò la Corte che dalla terrazza "B" 
nessun affaccio era possibile in origine, avendo la detta copertura un cordolo 
perimetrale di delimitazione dell'altezza media di appena 15 cm., per cui 
sarebbe pericoloso l'affaccio, e questo non costituirebbe veduta per la 
impossibilità di una normale inspectio e prospectio nel fondo del 
vicino mediante un affaccio comodo e non pericoloso; inoltre in corso di causa 
era stata posta una ringhiera di protezione a circa due metri dal bordo della 
terrazza che definitivamente aveva eliminato ogni possibilità di veduta sul 
sottostante fondo del vicino. Quanto al traliccio-antenna, osservò la corte 
territoriale che nessuna veduta era esercitatile da esso, non destinato 
ovviamente a tale scopo, trattandosi solo di una struttura di contenimento delle 
apparecchiature di emissione delle reti radiotelevisive, ed essendo ininfluente 
la praticabilità necessaria per le loro eventuali opere di manutenzione. Quanto 
alla terrazza "F" lungo il tratto F-G, essa era delimitata da un muro dello 
spessore di cm. 20 e dell'altezza di m. 1,75, per cui dalla stessa non era 
possibile esercitare una normale e comoda veduta sul fondo urbano vicino, di 
altezza inferiore.
Per quanto riguarda, poi, la diversa domanda relativa ad una pretesa violazione 
delle distanze di tubazioni, in aderenza al muro di confine lungo il tratto D-C, 
poste a mt. 1, ritenne la corte che si trattasse di domanda inammissibile perché 
proposta per la prima volta in appello.
Concluse la corte che l'unica comoda veduta era quella esercitabile dalla 
terrazza D, lungo il tratto D-E, delimitata da un basso cordolo di cm.15 e da 
una sovrastante inferriata di m. 1,65 (h.tot. m.1,80) che era tuttavia 
eliminabile con la costruzione di un parapetto delimitativo della stessa altezza 
totale o con la posa in opera di inferriata idonea ad impedire la visione del 
fondo vicino, essendo indubbio che in tema di vedute abusive il giudice può 
imporre specifici accorgimenti che ostacolino la veduta o che impediscano 
concretamente l'esercizio della servitù.
Per quanto sopra detto, ad avviso della corte doveva non solo disattendersi ogni 
doglianza degli appellanti circa la esiguità della liquidazione in £ 50.000.000 
del danno da illegittime vedute per violazione delle distanze, ma andava al 
contrario parzialmente accolto l'appello incidentale proposto dalla Telenorba 
spa, imponendosi una opportuna riduzione dell'importo a lire 20.000.000, in 
considerazione del fatto che si trattava di una sola veduta, peraltro con 
impossibilità di affaccio, da una terrazza il cui uso è limitato alla sola 
manutenzione di impianti tecnologici, veduta che doveva ritenersi eliminata con 
la sentenza, per la facilità del rimedio imposto.
Quanto al motivo con cui veniva censurato il rigetto della domanda di condanna 
al risarcimento dei danni derivanti dalla diffusione di onde elettromagnetiche, 
la Corte territoriale - premesse brevi considerazioni in ordine al problema dei 
rischi connessi alle radiazioni ed all'elettrosmog in genere - rilevò che la 
giurisprudenza che si era occupata del problema della esistenza di rischi per la 
salute provocati da emissioni elettromagnetiche, sia da elettrodotti che da onde 
a frequenze diverse dagli ELF, aveva nella maggior parte dei casi rigettato le 
domande risarcitorie, allorché i limiti del d.m. 381/98 non erano stati 
superati, sul presupposto che sussisteva una sorta di presunzione di non 
pericolosità per la salute, attesa, anche, la difficoltà di dimostrare il nesso 
causale tra la patologia lamentata e l'azione delle onde. Nella fattispecie, non 
risultava, ad avviso della corte, alcun superamento dei limiti fissati alle 
emissioni di onde elettromagnetiche, sia nelle misurazioni effettuate 
nell'ottobre 1994 dall'Istituto Superiore per la Prevenzione e Sicurezza del 
Lavoro (ISPESL), su richiesta della USL BA/15 di Conversano, sia nelle 
misurazioni effettuate dal Centro di Ricerca per l'inquinamento elettromagnetico 
Radionica, su richiesta del Comune di Conversano, nel marzo 1999, nelle quali il 
valore medio più alto riscontrato nella modalità che più si avvicina alla realtà 
(quella, cioè, di picco veloce), era di 2.1 V/m, di quasi due terzi inferiore al 
limite di 6 V/m di cui al decreto Ronchi del 1998, per cui non vi era una 
presunzione di pericolosità generica della detta emissione. Non vi era, inoltre, 
a dire della corte di merito, alcuna dimostrazione della sussistenza di fatti 
che potessero essere inquadrati nella categoria del c.d. danno esistenziale, né 
della esistenza di un danno biologico dipendente dalle emissioni 
elettromagnetiche, escluso espressamente dal perito medico-legale, che aveva 
riconosciuto solo l'aggravamento di una patologia preesistente spondiloartrosica 
per un soggiorno in ambiente malsano per umidità, non potendo essere presa in 
considerazione, in particolare per quanto evidenziato dai consulenti tecnici 
d'ufficio, l'indagine epidemiologica depositata in atti dagli attori, effettuata 
su un campione di cittadini residenti nella zona interessata, dalla quale era 
desumibile una alterazione del fenotipo linfocitario di sedici volontari, perché 
prettamente sperimentale, priva di riscontri effettivi e di concreto fondamento 
scientifico.
Escluse, infine, la corte d'appello la ricorrenza di un danno morale come 
conseguenza di un fatto illecito astrattamente inquadrabile in una ipotesi di 
reato, osservando che secondo la giurisprudenza di legittimità il fenomeno 
dell'inquinamento provocato da onde elettromagnetiche sarebbe astrattamente 
riconducibile alla previsione dell'art. 674 c.p., ma ciò solo laddove i valori 
del campo elettromagnetico superino i limiti indicati dalla normativa vigente in 
materia, il che non era avvenuto nel caso di specie.
Per la cassazione della sentenza propongono ricorso La calandra Rosa e Fantasia 
Paolo; resiste con controricorso la soc. Telenorba. Non hanno svolto difese gli 
altri intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 112 e 115 
c.p.c. avendo il giudice d'appello immotivatamente omesso di statuire sulla 
richiesta liquidazione dei danni ad altre parti dell'immobile (primo piano e 
chiostrina - scale), non rilevando che nella domanda introduttiva era stato 
chiesto il risarcimento dei danni per lesioni "all'intero immobile" e che tale 
domanda era supportata dalla consulenza di parte - allegata al fascicolo - che 
tali danni illustrava e della quale il tribunale e la corte avrebbero dovuto 
tener conto, non essendo stata neppure mai contestata dalla controparte.
Il motivo è infondato.
I ricorrenti non formulano censure pertinenti alla motivazione addotta dalla 
corte territoriale a fondamento del rigetto della domanda risarcitoria 
concernente le altre parti dell'immobile.
In particolare, la corte di merito ha ritenuto che il tribunale avesse 
correttamente statuito alla stregua delle risultanze della consulenza tecnica 
d'ufficio, che aveva illustrato e descritto i danni liquidati, senza fare parola 
di danni ulteriori, dei quali non vi era traccia alcuna negli atti processuali, 
né erano stati indicati dal consulente di parte in sede di sopralluogo. Le 
conclusioni peritali - osservò la corte - non erano state fatte oggetto di 
rilievo né in osservazioni tecniche del consulente di parte, né in memorie 
difensive o nella stessa comparsa conclusionale, sicché erano state ritenute del 
tutto pacifiche. Alla stregua di detta motivazione, deve rilevarsi che, ove la 
corte di merito avesse erroneamente letto le ricordate risultanze, ovvero avesse 
escluso l'esistenza di rilievi critici e contestazioni che invece erano stati 
ritualmente formulati, saremmo in presenza di un vizio revocatorio che i 
ricorrenti non possono far valere in questa sede.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano omessa o insufficiente motivazione 
sul mancato accoglimento della domanda di liquidazione delle spese necessarie 
per l'esecuzione dei lavori di ripristino.
Assumono i ricorrenti che la corte territoriale non ha tenuto conto delle 
indicazioni del consulente di parte che, pur riconoscendo trattarsi di "piccoli 
lavori" aveva sottolineato che era necessario eseguirli con molta cura secondo 
le avvertenze pubblicate sul bollettino dell'Associazione degli ingegneri ed 
architetti di Puglia.
Anche detto motivo è infondato, per le stesse ragioni esposte con riferimento 
alla censura precedente.
La corte di merito, con motivazione sufficiente, ha ritenuto che, trattandosi di 
piccole opere edili, non fosse necessario affrontare la spese per la nomina di 
un direttore dei lavori, essendo sufficiente garanzia le cognizioni in possesso 
di qualsiasi piccola impresa del settore. I ricorrenti censurano la decisione 
sulla sola base del parere espresso dal consulente tecnico nella perizia 
allegata alla domanda giudiziale, ma non precisano se la questione fosse stata 
posta esplicitamente - al di là della asserita menzione nella relazione peritale 
di parte - e se fosse stata rimessa al c.t.u. la valutazione della necessità 
della direzione dei lavori e la quantificazione del relativo costo. In assenza 
di tali deduzioni esplicite, deve ritenersi corretta la valutazione della corte, 
che ha ritenuto che la non necessità di un direttore dei lavori potesse essere 
valutata sulla base della comune esperienza in relazione alla entità e tipologia 
di opere da eseguire. Ne consegue che la censura mossa si risolve in una 
questione di fatto, in quanto si pone in discussione la valutazione della entità 
e difficoltà delle opere da realizzare, effettuata dalla corte territoriale con 
argomenti adeguati e logici.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione 
degli artt. 900, 905, 872, 2' comma, c.c., nonché illogica, insufficiente e 
contraddittoria motivazione su un punto della controversia.
Si dolgono i ricorrenti della riduzione dell'ammontare del risarcimento 
liquidato in primo grado per la illegittima apertura di vedute (in accoglimento 
dell'appello incidentale della soc. Telenorba) e per il rigetto della domanda di 
ripristino per violazione delle distanze legali.
Sulla prima doglianza assumono che la corte di merito avrebbe fatto ricorso 
all'istituto penalistico del ravvedimento operoso per ridurre l'entità del 
risarcimento in relazione ad una disponibilità della stessa a porre rimedio alla 
veduta con l'adozione degli strumenti imposti dal tribunale. La corte avrebbe 
errato nel ridurre l'ammontare del risarcimento, in quanto esso si riferiva a 
tutto il danno patito dalla apertura sino alla riduzione in pristino, sicché la 
eliminazione della veduta avrebbe solo potuto impedire l'ulteriore aggravamento 
del danno, non ridurre in termini monetari il pregiudizio già prodottosi. 
Inoltre la corte territoriale avrebbe travisato quanto espresso dal c.t.u. , 
secondo cui vi era una comoda veduta sul tratto d-e- della terrazza D, una 
veduta disagevole sul tratto f-g- della terrazza F e un affaccio non praticabile 
sulla terrazza B, pur essendo possibile la veduta, essendo irrilevante ad anzi 
favorendola, la posa in opera di una ringhiera in corso di causa. La 
contraddittorietà della motivazione emergerebbe laddove la corte ha affermato la 
impossibilità di affaccio sulla terrazza B per la pericolosità, e poi ha 
ritenuto del tutto eliminata ogni possibilità di veduta con la posa in opera di 
una ringhiera di protezione. Quanto alla veduta dall'antenna-traliccio, assumono 
che la veduta praticabile attraverso di essa - riconosciuta dal c.t.u. - non 
potrebbe essere condizionata dall'uso più o meno assiduo dell'installazione, 
rimanendo inalterati i contenuti sostanziali della veduta; inoltre quanto alla 
praticabilità della veduta anche sul tratto f-g, anche se non agevole per la 
presenza di un muro alto mt. 1,75, richiamano giurisprudenza di legittimità che 
sottolinea il carattere assoluto della veduta, a prescindere dal danno in 
concreto che possa verificarsi in conseguenza della violazione delle norme sulle 
distanze nella realizzazione di opere idonee all'inspectio e alla 
prospectio.
Anche il terzo motivo è infondato.
Per quanto concerne la diminuzione dell'importo liquidato in primo grado a 
titolo di danno per l'instaurazione di vedute abusive, la corte territoriale ha 
operato una valutazione equitativa con riferimento alle concrete modalità in cui 
si sarebbe potuta esplicare la veduta. Il fatto che la illegittimità della 
veduta non è condizionata al danno che in concreto possa derivarne per il 
titolare del fondo sul quale essa si esplica, non significa che in tema di 
risarcimento del danno pregresso (cioè antecedente alla riduzione in pristino) 
non debba valutarsi la lesione subita nella sua concretezza, e cioè anche in 
relazione alla maggiore o minore incidenza dell'intromissione nella sfera 
privata del soggetto passivo, dipendente dalle modalità in cui la veduta era 
esercitabile. Nella specie, la corte territoriale ha valutato detta incidenza 
con motivazione adeguata e logica, dando ampiamente conto della scarsa 
probabilità (per lo stato dei luoghi e la particolare destinazione dei 
manufatti) che la veduta sia stata effettivamente esercitata. Quanto poi alla 
eliminazione dell'abuso, la corte territoriale ha ritenuto insussistente, per 
una delle terrazze, ogni possibilità di praticabile veduta, anche per le opere 
poste in essere; per altra ha imposto i necessari accorgimenti per impedirla per 
il futuro, ritenendo che essi fossero idonei allo scopo sulla base di cognizioni 
di comune esperienza; infine, per quanto riguarda il traliccio, la corte 
territoriale ha escluso in fatto che si fosse in presenza di una veduta, tenuto 
conto della funzione esplicata normalmente dalla struttura, quale esclusivo 
sostegno di apparecchiature elettroniche, giudicando irrilevante la possibilità 
di veduta da parte di soggetti preposti alla manutenzione nella ipotetica ed 
episodica occasione di accesso per tale scopo; la valutazione della corte - che 
ha ritenuto che la struttura non possedesse i requisiti per essere considerata 
"veduta" alla stregua dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità 
(tra cui la normale e permanente destinazione a guardare ed affacciarsi nel 
fondo altrui - Cass. 19.1.1999, n. 450) - valutazione condizionata alla 
particolarità della struttura accertata tramite consulenza tecnica, non appare 
sindacabile in questa sede in quanto implicante una diversa riconsiderazione del 
fatto. Quanto alla pretesa contraddittorietà motivazionale, va osservato che la 
corte di merito, dopo aver escluso la possibilità di affaccio dalla terrazza B 
per la pericolosità, ha solo addotto un argomento ulteriore, rilevando che le 
opere eseguite in corso di causa fugavano ogni possibile dubbio sulla 
inesistenza della veduta.
Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione 
degli artt. 345 c.p.c. e 872 c.c.. Si dolgono che la corte abbia dichiarato 
inammissibile la domanda diretta ad ottenere l'eliminazione di un pluviale posto 
a distanza non conforme al dettato dell'art. 872 c.c. perché proposta per la 
prima volta in appello. In proposito affermano i ricorrenti che l'esistenza del 
pluviale era stata denunciata sia nella relazione del c.t.u. che in quella del 
c.t.p. e in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado era stata 
formalmente avanzata la domanda.
Il motivo non può trovare accoglimento. 
Premesso che il carattere di novità della domanda non è escluso dal fatto che si 
fosse menzionato il pluviale nella consulenza tecnica d'ufficio o di parte, e 
che non appare neppure sufficiente che i ricorrenti affermino di aver formulato 
la domanda nelle conclusioni definitive, sia perché non riportano il tenore 
delle conclusioni stesse, sia perché non precisano se vi fosse stata 
acquiescenza della controparte, va comunque rilevato che la eventuale 
inesattezza del rilievo della corte di merito sul carattere di novità della 
domanda, cosi come censurata, integrerebbe un vizio revocatorio, perché si 
risolverebbe in una erronea lettura degli atti processuali da parte del giudice 
d'appello, con conseguente inammissibilità della censura in questa sede.
Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione 
artt. 32 cost., 2043 e 2059 c.c.. Si dolgono del rigetto della domanda di 
risarcimento per danni conseguenti alla diffusione elettromagnetica, sulla base 
del solo elemento che le emissioni non superavano i limiti fissati dal decreto 
391/98. Assumono che la impossibilità di ritenere integrato il reato di cui 
all'art. 674 c.p. non esclude la possibilità di ritenere comunque sussistente 
una responsabilità di carattere civile, in quanto il non superamento della 
soglia preclude la responsabilità penale ma non quella civile; nel contempo la 
impossibilità scientifica di dimostrare il legame eziologico tra esposizione a 
campi elettromagnetici e insorgenza di determinate malattie, lungi dal provare 
la natura non pregiudizievole di dette immissioni nei limiti minimi previsti, 
prova il contrario, e cioè l'impossibilità di escludere detto danno anche ai 
valori minimi; il principio di "precauzione" cui si ispira anche la legislazione 
in materia, impone in presenza anche di un pericolo meramente potenziale per la 
salute umana, una anticipazione della tutela volta a prevenire l'insorgenza di 
possibili patologie o di diffusi stati d'ansia o di stress emotivi per coloro 
che abitano in prossimità di sorgenti di onde elettromagnetiche.
La sentenza, ad avviso dei ricorrenti, sarebbe pertanto erronea per aver 
affermato acriticamente la legittimità delle immissioni per il mancato 
superamento dei limiti prefissati dalla legge, senza indagare in concreto quali 
siano stati gli effetti pregiudizievoli delle immissioni sulla salute umana e 
senza che siano stati condotti esperimenti e misurazioni al fine di verificare 
compiutamente l'entità delle immissioni suddette.
Quanto al rigetto della domanda di risarcimento del danno morale, i ricorrenti 
invocano la interpretazione evolutiva dell'art. 2059 c.c. che consente di 
ritenere risarcibili tutti quei danni non patrimoniali che si traducono in un 
pregiudizio esistenziale, nella specie accertato e provato nelle condizioni di 
ansia, stress, frustrazione, abbattimento psicologico, afflizione e menomazione 
della capacità di relazione causata ad essi ricorrenti dal dover vivere 
costantemente a contato con un'antenna di notevoli dimensioni e nel timore degli 
effetti dannosi delle relative emissioni elettromagnetiche. In subordine, 
prospettano i ricorrenti che detto tipo di danno avrebbe potuto essere risarcito 
come danno esistenziale pacificamente riconducibile alla norma dell'art. 2043 
c.c. nella ricostruzione operata dalla più recente giurisprudenza di 
legittimità, danno riscontrabile nella indiscutibile menomazione dello standard 
di benessere dei ricorrenti, costretti trascorrete le loro giornate con 
l'antenna incombente sulla loro abitazione, e liquidabile in via equitativa.
Il motivo è destituito di fondamento.
I ricorrenti censurano la sentenza della corte di merito che non ha riconosciuto 
loro il risarcimento danno biologico non dimostrato e per il quale, comunque, 
non sarebbe dimostrato il nesso di causalità con le onde elettromagnetiche 
emesse dalla stazione trasmittente della controparte. Non si comprende quale 
principio giuridico dovrebbe autorizzare quella "tutela avanzata" richiesta, 
così intensa da consentire il riconoscimento di un danno del tutto ipotetico. La 
corte territoriale, con ampie ed esaustive argomentazioni ha spiegato che le 
misurazioni effettuate in più occasioni hanno dimostrato che le emissioni 
elettromagnetiche degli impianti in discorso non superano mediamente il limite 
di cui al d.m. n. 387/98. E tale limite è assistito da una presunzione di non 
pericolosità; ha inoltre correttamente rilevato la corte di merito che anche 
l'atteggiamento prudenziale che talvolta ha indotto l'autorità giudiziaria ad 
emettere inibitorie per il pericolo di danno alla salute, non consentirebbe però 
il riconoscimento di un risarcimento del danno biologico puramente ipotetico. 
Nella specie, inoltre, la corte ha rilevato che la stessa esistenza di un danno 
biologico era stata esclusa dalla perizia medico-legale e che non poteva avere 
rilevanza - perché priva di concreto fondamento scientifico - l'indagine 
epidemiologica depositata dagli attori su un campione di cittadini residenti 
nella zona interessata, che evidenziava una alterazione del fenotipo 
linfocitario di sedici volontari. Non hanno pregio, poi, le argomentazioni a 
sostegno della risarcibilità di un danno esistenziale individuabile nello stato 
psicologico di insicurezza e timore indotti dalla consapevolezza di essere 
esposti alle emissioni elettromagnetiche. E' fuori di dubbio, infatti, che la 
risarcibilità di un tale danno a carico della Telenorba non potrebbe prescindere 
dall'accertata illiceità del suo comportamento, illiceità, tuttavia, 
individuabile soltanto nella ipotesi di superamento dei limiti di immissione 
previsti dalla normativa vigente. Quanto, infine, al disconoscimento del danno 
morale, ha osservato correttamente la corte che la impossibilità di affermare il 
supermento dei limiti legali di immissioni elettromagnetiche esclude che possa 
ipotizzarsi il reato di cui all'art. 674 c.p.
Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano omessa, insufficiente e illogica 
motivazione su un punto essenziale della controversia, con riferimento alla 
ritenuta non pericolosità dell'inquinamento elettromagnetico determinato 
dall'attività della intimata.
Assumono che la corte territoriale ha basato la propria decisione sul dato del 
mancato superamento dei limiti di legge riscontrato in sede di rilievi 
effettuati nel 1994 dall'Ispel e del centro Radionica nel marzo 1999, secondo 
cui il valore era inferiore di 2/3 al limite fissato nel decreto "Ronchi", senza 
valutare l'attendibilità tecnico-scientifica delle rilevazioni, atteso che in 
precedenti rilevamenti era stato accertato un valore di 5,5 V/m quando il valore 
massimo era di 20 V/m (poi ridotto a 6 nel 1998) e senza tener conto che era 
improbabile che nel 1999, allorché erano stati effettuati i rilevamenti del 
Centro Radionica, i valori fossero diminuiti nonostante l'aumentato numero di 
ripetitori, anziché - come è più logico aumentati, e senza considerare che nella 
sede stradale ove risiedono essi ricorrenti era stato registrato - sia pure per 
una frazione limitata di tempo- un valore di 12 V/m.
Anche l'ultimo motivo è infondato.
I ricorrenti introducono questioni di puro merito, adducendo la esistenza di 
misurazioni del campo elettromagnetico diverse da quelle considerate dalla corte 
d'appello, senza neppure precisare se dette emergenze fossero state dibattute in 
giudizio. Per contro il giudice d'appello si è attenuto a rilevamenti effettuati 
per fini di tutela della salute generale da organismi pubblici, rilevamenti 
della cui attendibilità scientifica non vi era motivo di dubitare; né risulta, 
comunque, che la questione della attendibilità dei rilevamenti sia stata 
specificamente dibattuta nel giudizio, o che sia stata sollecitata apposita 
consulenza tecnica (atteso che la c.t.u. della quale era stata chiesta la 
rinnovazione nelle conclusioni definitive atteneva ai danni e alle vedute). La 
questione posta si presenta, perciò, nuova e, quindi, inammissibile.
Deve, pertanto, concludersi per il rigetto del ricorso, con condanna dei 
ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio, come da dispositivo.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese 
nei confronti della parte costituita, liquidate in curo 2.100,00, di cui euro 
100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Ila sezione, il 18.10.2006. 
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