Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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T.A.R. LAZIO, Roma, 
Sez. III ter - 4 gennaio 2006 (c.c. 1°/12/2005), Sentenza n. 82
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
SEZIONE SECONDA TER
Anno 2005
N. 9448 Reg.Ric.
Anno 2004
composto dai signori
Francesco Corsaro PRESIDENTE
Angelica Dell'Utri COMPONENTE, relatore
Stefania Santoleri COMPONENTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 9448/04 Reg. Gen., proposto da COMUNE DI SONA, in persona 
del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Fausto Scappini e 
Mario Sanino, elettivamente domiciliato presso il secondo in Roma, viale Parioli 
n. 180;
CONTRO
il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE), il 
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dell’ambiente e 
della tutela del territorio, il Ministero per i beni e le attività culturali, il 
Ministero dell’economia e delle finanze, in persona dei rispettivi legali 
rappresentanti in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello 
Stato e domiciliati presso la medesima in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
E NEI CONFRONTI DI
Regione Veneto, in persona del Presidente in carica della Giunta regionale, 
rappresentata e difesa dagli Avv.ti Romano Morra, Antonella Cusin e Luigi Manzi, 
elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, via Federico Confalonieri 
n. 5;
Provincia di Verona, in persona del legale rappresentante in carica, non 
costituita in giudizio;
Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (RFI), in persona del legale rappresentante in 
carica, non costituita in giudizio;
Italferr S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica, non costituita 
in giudizio;
Treno ad Alta Velocità S.p.A. (TAV), in persona del legale rappresentante in 
carica, rappresentata e difesa dall’Avv. Luigi Medugno ed elettivamente 
domiciliata presso il medesimo in Roma, via Panama 12;
CON L’INTERVENTO AD OPPONENDUM
del Consorzio CEPAV Due (Consorzio Eni per l’Alta Velocità), in persona del 
legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Stefano 
Grassi e Jacopo Sanalitro, elettivamente domiciliato presso i medesimi in Roma, 
piazza Barberini n. 12;
per l'annullamento
a.- della deliberazione 5 dicembre 2003 n. 120/2003, con cui il CIPE ha 
approvato il progetto preliminare per la “linea AV/AC Milano-Verona”, ha 
riconosciuto la compatibilità ambientale dell’opera ed ha disposto in ordine al 
finanziamento delle attività da avviare in via anticipata; nonché, per quanto 
necessario e nei limiti dell’interesse dedotto in ricorso, di ogni altro atto 
presupposto, connesso e conseguente, tra cui 
- il verbale della Conferenza dei servizi 19 dicembre 2002 relativo alla 
valutazione del progetto per il quadruplicamento ferroviario veloce 
Torino-Milano-Venezia, tratta Milano-Verona;
- la deliberazione 21 dicembre 2001 n. 121 del CIPE, con la quale il 
quadruplicamento ferroviario predetto è stato incluso nel primo programma delle 
infrastrutture strategiche;
- i pareri della Giunta regionale del Veneto 23 giugno 2003 n. 6015/45.01 e 11 
agosto 2003 n. 8343745.01, non conosciuti;
- la deliberazione 18 agosto 2003 n. 2810 della Giunta regionale del Veneto;
- il parere della Commissione speciale VIA, non conosciuto,
previa, se del caso,
proposizione del giudizio incidentale di legittimità costituzionale per la 
conseguente remissione degli atti alla Corte Costituzionale, per la 
dichiarazione di incostituzionalità
- dell’art. 11 della legge n. 166/2002 per contrasto con il diritto comunitario 
e con gli artt. 10 e 11 Cost., nonché con gli artt. 3, 24, 25, 97 e 113 Cost.;
- dell’art. 1, co. 2, 3, 3 bis della legge n. 443/2001 per contrasto con gli 
artt. 9, 32 e 97 Cost.;
- dell’art. 1, co. 1, 2, 3 e 3 bis della legge n. 443/2001 per contrasto con gli 
artt. 3, 5, 97, 117, 118, 119 e 120 Cost..
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni statali 
intimate, della Regione Veneto e della TAV;
Visto l’atto di intervento ad opponendum spiegato dal Consorzio CEPAV Due;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 1° dicembre 2005, relatore il consigliere Angelica 
Dell'Utri, uditi per le parti gli Avv.ti Scappini, Medugno, Manzi, Grassi e 
l’Avv. dello Stato Di Palma;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O 
Con ricorso notificato il 22 e 27 settembre 2004 il Comune di Sona ha impugnato 
la deliberazione 5 dicembre 2003 n. 120/2003 (in G.U.R.I. 8 giugno 2004), con 
cui il CIPE ha approvato il progetto preliminare per la “linea AV/AC 
Milano-Verona”, ha riconosciuto la compatibilità ambientale dell’opera ed ha 
disposto in ordine al finanziamento delle attività da avviare in via anticipata, 
nonché ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente, tra cui:
- il verbale della Conferenza dei servizi 19 dicembre 2002 relativa alla 
valutazione del progetto per il quadruplicamento ferroviario veloce 
Torino-Milano-Venezia, tratta Milano-Verona;
- la deliberazione 21 dicembre 2001 n. 121 del CIPE, con la quale il progetto in 
questione è stato incluso nel primo programma delle opere strategiche;
- i pareri della Giunta regionale del Veneto 23 giugno 2003 n. 6015/45.01 e 11 
agosto 2003 n. 8343745.01, non conosciuti;
- la deliberazione 18 agosto 2003 n. 2810 della Giunta regionale del Veneto;
- il parere della Commissione speciale VIA, non conosciuto.
Premesse notazioni circa i particolari pregi della zona interessata e, di 
contro, le notevoli opere ivi previste, a sostegno dell’impugnativa ha dedotto:
1.- Violazione e falsa applicazione della legge 21 dicembre 2001 n. 443 e 
dell’art. 16 del D.Lgs. 20 agosto 2002 n. 190.
2.- Violazione e falsa applicazione della direttiva 93/37/CEE e degli artt. 10, 
11 e 97 Cost.; violazione e falsa applicazione del principio del primato del 
diritto comunitario; violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, l. n. 
443/01, dell’art. 1, co. 3, D.Lgs. n. 190/02, dell’art. 131, co. 2, l. n. 
388/00, della legge n. 109/94, del d.P.R. n. 554 del 1999. Eccesso di potere per 
i particolari profili dello sviamento, della disparità di trattamento ed 
ingiustizia manifesta, della falsità dei presupposti, della contraddittorietà, 
della incongruità e della erronea valutazione dei fatti.
3.- Illegittimità costituzionale dell’art. 11 della legge n. 166/2002 in quanto 
in contrasto con gli artt. 10, 11 e 97 Cost. e con il diritto comunitario in 
materia di concorrenza ed appalti pubblici; contrasto sotto altro profilo con 
gli artt. 3, 97, 24, 25 e 117 Cost..
4.- Carenza assoluta di potere e violazione di legge in relazione all’art. 73 
Cost. ed all’art. 10 delle disposizioni sulla legge in generale; conseguente 
nullità della delibera 21 dicembre 2001 n. 121 del CIPE.
5.- Violazione e falsa applicazione della direttiva 2001/42/CEE del parlamento 
europeo e del consiglio, concernente la valutazione degli effetti di determinati 
piani e programmi sull’ambiente, nonché violazione del D.P.R. 14 marzo 2001 
(nuovo piano generale dei trasporti e della logistica). Violazione dell’art. 97 
Cost..
6.- Illegittimità costituzionale dell’art. 1, co. 1 e 2, della legge n. 443/01 
per contrasto con gli artt. 5, 9, 32 e 97 Cost..
7.- Violazione dell’art. 1 della legge n. 443/01 e dell’art. 3 del D.Lgs. n. 
190/02. Carenza di motivazione.
8.- In relazione alla deliberazione 21 dicembre 2001 n. 121: violazione e falsa 
applicazione dell’art. 117 Cost. Eccesso di potere. Carenza di motivazione. 
Invalidità derivata degli atti successivi.
9.- Violazione dell’art. 19 del D.Lgs. n. 190/2002 così come integrato dalla 
sentenza n. 303/2003 della Corte Costituzionale e modificato dal D.Lgs. 14 
novembre 2003 n. 315.
10.- Eccesso di potere sotto i particolari profili della contraddittorietà, 
dell’incongruità, del travisamento e dell’erronea valutazione dei fatti, della 
carenza di istruttoria e di motivazione.
11.- Illegittimità costituzionale della legge 21 dicembre 2001 n. 443 ss.mm. e 
del D.Lgs. 20 agosto 2002 n. 190 in quanto contrastanti con gli artt. 3, 5, 97, 
117, 118 e 120 Cost..
12.- Violazione del principio di precauzione menzionato nell’art. 174, co. 2, 
del Trattato UE.
13.- Violazione delle direttive 79/409/CE e 92/43/CE e del D.P.R. 8 settembre 
1997 n. 357.
Si sono costituiti in giudizio il CIPE, i Ministeri delle infrastrutture e dei 
trasporti, dell’ambiente e della tutela del territorio, per i beni e le attività 
culturali e dell’economia e delle finanze, col patrocinio dell’Avvocatura dello 
Stato, nonché la Regione Veneto e la TAV S.p.A., mentre è intervenuto ad 
opponendum il Consorzio CEPAV Due. Hanno svolto in memoria eccezioni e 
controdeduzioni.
All’odierna udienza pubblica la causa è stata posta in decisione, previa 
trattazione orale.
D I R I T T O
1.- Com’è esposto nella narrativa che precede, forma oggetto principale del 
ricorso in esame, proposto dal Comune di Sona, la deliberazione 5 dicembre 2003 
n. 120/2003, con cui il CIPE ha approvato, ai sensi degli artt. 3 e 18 del D. 
Lgs. n. 190 del 2002 e con le prescrizioni e le raccomandazioni proposte dal 
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il progetto preliminare per la 
“linea AV/AC Milano-Verona”, ha riconosciuto la compatibilità ambientale 
dell’opera ed ha conseguentemente ritenuto perfezionata ad ogni fine urbanistico 
ed edilizio l’intesa Stato-Regione sulla localizzazione dell’opera stessa. Tra 
gli atti presupposti vengono in particolare impugnati il verbale della 
Conferenza dei servizi 19 dicembre 2002 relativo alla valutazione del progetto 
per il quadruplicamento ferroviario veloce Torino-Milano-Venezia, tratta 
Milano-Verona, la deliberazione 21 dicembre 2001 n. 121 del CIPE, con la quale 
il quadruplicamento ferroviario predetto è stato incluso nel primo programma 
delle infrastrutture strategiche, i pareri della Giunta regionale del Veneto 23 
giugno 2003 n. 6015/45.01 e 11 agosto 2003 n. 8343745.01 con la deliberazione 18 
agosto 2003 n. 2810 della stessa Giunta regionale ed il parere della Commissione 
speciale VIA. L’impugnativa viene svolta previa, se del caso, proposizione del 
giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge n. 
166/2002 per contrasto con il diritto comunitario e con gli artt. 10 e 11 Cost., 
nonché con gli artt. 3, 24, 25, 97 e 113 Cost., dell’art. 1, co. 2, 3, 3 bis 
della legge n. 443/01 per contrasto con gli artt. 9, 32 e 97 Cost., e dell’art. 
1, co. 1, 2, 3 e 3 bis della legge n. 443/2001 per contrasto con gli artt. 3, 5, 
97, 117, 118, 119 e 120 Cost..
2.- Dal momento che il ricorso deve ritenersi infondato nel merito, non occorre 
trattare le eccezioni generali in rito formulate dalle controparti resistenti ed 
opponente; se mai, nel corso dell’esame delle singole censure si procederà a 
trattarne la specifica ritualità, in relazione alle avanzate eccezioni o 
d’ufficio, ove rilevanti.
3.- Col primo motivo l’Ente ricorrente, premesso che la legge n. 443 del 2001 ed 
il D.Lgs. n. 190 del 2002 prevedono una serie di deroghe alla normale disciplina 
dettata per l’approvazione e l’esecuzione di opere pubbliche - la più evidente 
delle quali riguarda la procedura di VIA, ma altre importanti concernono il 
riparto delle competenze tra Stato e Regioni ed il ruolo degli Enti locali 
interessati - e che tale normativa derogatoria perciò stesso richiede di essere 
applicata rigorosamente, lamenta che nella specie si sia preferito seguire il 
procedimento così come delineato dalla nuova, predetta normativa, ma il 
procedimento non è stato avviato ex novo e sono state applicate contestualmente 
sia la vecchia che, per la parte sostanziale, la nuova disciplina, utilizzando i 
provvedimenti e/o le valutazioni già adottati e/o approvati, e non soltanto 
risultanze istruttorie delle procedure già compiute quali meri atti istruttori, 
come consente l’art. 16 del cit. decreto legislativo.
Come osservato dalle controparti, la censura è formulata in modo alquanto vago 
ed è pertanto da ritenersi inammissibile, giacché non vengono precisati le fasi 
o gli atti procedimentali che ne sarebbero viziati ed i sottostanti 
provvedimenti e/o le valutazioni che non sarebbero propriamente istruttori.
D’altro canto, ricordato che in tema di progetto elaborato prima della legge 
obiettivo e che, sulla base della normativa all’epoca vigente, sia stato oggetto 
di procedura autorizzativa, approvativa o di valutazione di impatto ambientale, 
la disciplina transitoria del cit. art. 16, co. 2, prevede che “i soggetti 
aggiudicatori possono richiedere l’interruzione della medesima procedura optando 
per l’avvio unitario delle procedure disciplinate dal presente decreto 
legislativo, oppure proseguire e concludere la procedura in corso. Ai fini del 
compimento delle procedure di cui al presente decreto legislativo, possono 
essere utilizzate quali atti istruttori le risultanze delle procedure anche di 
conferenza di servizi già compiute o ancora in corso”, la stessa censura si 
presenta in sé infondata alla stregua delle considerazioni che seguono.
Per sommi capi, la vicenda in trattazione ha avuto origine fin dal dall’anno 
1992, quando un primo progetto preliminare non ebbe l’avallo regionale e fu 
perciò via via sottoposto a numerose modificazioni fino a che, eseguita una 
verifica di Governo sul progetto di quadruplicamento ferroviario veloce e 
conclusi in data 22 marzo 2000 i lavori di un apposito “Tavolo istituzionale per 
gli approfondimenti progettuali” tenutosi presso il Ministero dei trasporti, con 
d.m. 10 ottobre 2000 n. 1063/TAV.8 veniva indetta, ai sensi degli artt. 14 ss. 
della legge 7 agosto 1990 n. 241 e ss.mm.ii., la conferenza di servizi 
“istruttoria” sul progetto relativo alla tratta Milano-Verona, apertasi con la 
seduta del 30 ottobre seguente ed a cui era invitato a partecipare anche il 
Comune attuale ricorrente, il quale aveva così modo di esprimere il proprio 
avviso al pari degli altri partecipanti.
Poi, inserita l’opera nel I Programma delle infrastrutture strategiche di 
preminente interesse nazionale ai sensi della legge n. 443 del 2001 con la 
delibera 21 dicembre 2001 n. 121 del CIPE (di cui si parlerà più diffusamente in 
prosieguo), a richiesta della R.F.I. (che con nota 8 novembre 2002 sollecitava 
la chiusura della conferenza con la definizione del tracciato della linea e 
delle relative connessioni alla rete esistente “per poter procedere, senza 
soluzione di continuità, alla approvazione dell’intero progetto preliminare, 
completo della VIA, secondo le procedure previste dalla legge obiettivo”) ed al 
fine dell’esame della nuova soluzione progettuale in esito all’approfondimento 
avviato con la prima sessione, con nota 20 novembre 2002 n. 1377/TAV.8 il 
Ministro dei trasporti convocava per il 19 dicembre seguente l’ulteriore 
sessione della conferenza dei servizi, nella quale “potranno determinarsi in via 
prioritaria il consolidamento del tracciato con l’acquisizione sul medesimo 
delle relative pronunce, nonché le condizioni per ottenere, per quanto di 
competenza di ciascun soggetto, le intese, i pareri, le concessioni, le 
autorizzazioni, le licenze, i nulla osta e gli assensi di cui alle norme 
vigenti, occorrenti per l’approvazione del progetto”.
Al riguardo, con la sentenza n. 3311 del 2004, resa su ricorso avente ad 
oggetto, tra l’altro, il verbale della sessione conclusiva della conferenza di 
servizi del 19 dicembre 2002, la Sezione ha già avuto modo di osservare “la 
peculiare collocazione della conferenza, indetta ai sensi della normativa 
ordinaria e poi confluita, in ragione della materia trattata, nell’ambito di 
applicazione della c.d. legge obiettivo, in quanto l’opera ferroviaria risulta 
inclusa nel primo programma delle infrastrutture strategiche approvato con 
delibera CIPE 21/12/2001, n. 121”. In particolare, a pagina 3 del relativo 
verbale era “chiarito che <<le Amministrazioni presenti in conferenza sono 
chiamate ad esprimersi su relativi aspetti del progetto preliminare, mediante la 
definizione del tracciato e l’eventuale indicazione di condizioni per ottenere, 
nelle successive fasi di approvazione del progetto, gli occorrenti assensi, 
nulla osta, pareri ed autorizzazioni>> e che <<… per le successive fasi di 
approvazione dell’intervento si seguiranno le procedure individuate dal D.Lgs. 
20/8/2002 n. 190>>; i medesimi concetti risultano poi ribaditi dal Presidente 
della conferenza a pagina 13 del verbale. A conclusione del resoconto della 
conferenza di servizi vi è un’elencazione dei soggetti pubblici (o gestori di 
servizi pubblici) che hanno prestato il proprio assenso al progetto, di quelli 
che, al contrario, hanno espresso parere negativo, e, ancora, di quelli che 
hanno formulato osservazioni e prescrizioni sul progetto stesso, senza che sia 
indicata alcuna determinazione (anche a maggioranza) di conclusione del 
procedimento. Ciò consente, ad avviso del Collegio, di inferire, con sufficiente 
grado di certezza, la natura istruttoria della conferenza di servizi in esame, 
atteggiatasi alla stregua di modulo di concentrazione rituale degli interessi 
pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, e dunque di (modulo di) 
semplificazione procedimentale”. Considerato inoltre che il modello di cui agli 
artt. 14 bis e seguenti della legge generale sul procedimento amministrativo 
sembrava assumere “valenza predecisioria, perché, seppure nella stessa non viene 
adottata una decisione finale, purtuttavia sono enucleate le condizioni al 
ricorrere delle quali le Amministrazioni partecipanti presteranno l’assenso al 
progetto definitivo”, alla stregua del predetto verbale non poteva invece 
dubitarsi “che nella fattispecie concreta in esame la conferenza di servizi 
abbia solo natura istruttoria e non concreti la previsione di cui all’ultimo 
comma del già citato art. 14 bis della legge 7/8/1990, n. 241”, mentre ciò non 
ne evidenziava la difformità dal referente normativo, “dovendosi tener conto 
dello ius superveniens rappresentato dalla legge 21/12/2001, n. 443 (…) e dal 
relativo decreto di attuazione, di cui al D.Lgs. 20/8/2002, n. 190, applicabili 
in quanto il progetto in esame è stato inserito (…) nel primo programma delle 
infrastrutture strategiche …”. Richiamati ancora i contenuti del verbale, si 
riteneva come da questi si evincesse che nella specie “il soggetto aggiudicatore 
ha optato per l’applicazione della procedura di cui al D.Lgs. n. 190/02, con 
acquisizione peraltro nel nuovo contenitore procedimentale di tutti gli atti 
istruttori compiuti, in ossequio non solo ad evidenti ragioni di economia 
procedimentale, ma anche al principio di conservazione dei valori giuridici”; di 
qui il “carattere in autonomo (…) del progetto relativo alla tratta ferroviaria 
Milano-Verona” sortito da detta conferenza di servizi, posto che ai sensi 
dell’art. 3 dello stesso decreto legislativo l’approvazione del progetto 
preliminare compete al CIPE e che, dunque, “il progetto preliminare a cui fa 
riferimento il verbale impugnato (appunto quello della conferenza di servizi del 
19 dicembre 2002: n.d.e.) non è ancora stato approvato e si trova nella fase 
istruttoria …”, anzi consiste in “un atto meramente istruttorio, preparatorio ed 
endoprocedimentale”.
Ciò posto, il Collegio condivide ancora pienamente siffatte argomentazioni, in 
base alle quali appaiono come meramente istruttori, preparatori ed 
endoprocedimentali gli atti e le procedure intervenuti nella vigenza della 
normativa pregressa, la cui utilizzazione appunto “quali atti istruttori” delle 
“risultanze delle procedure anche di conferenza di servizi già compiute ovvero 
in corso” era perciò pienamente consentita dalla disciplina transitoria di cui 
al ripetuto art. 16 del D.Lgs. n. 190 del 2002 nell’ambito della procedura 
unitaria disciplinata dallo stesso decreto, alla quale è stato dato avvio con la 
successiva acquisizione dei pareri preordinati all’adozione della deliberazione 
del CIPE di approvazione del progetto preliminare.
4.- Nel dedurre violazione di legge (direttiva 93/37/CEE, artt. 10, 11 e 97 
Cost., principio del primato del diritto comunitario, art. 1, co. 2, l. n. 
443/01, art. 1, co. 3, D.Lgs. n. 190/02, art. 131, co. 2, l. n. 388/00, legge n. 
109/94 e D.P.R. n. 554 del 1999) ed eccesso di potere sotto vari profili, col 
secondo motivo si sostiene che, poiché nel momento in cui una infrastruttura 
diviene strategica è sottoposta alla disciplina della l. n. 443/01, tale legge 
vada applicata integralmente anche per quanto riguarda l’affidamento della 
realizzazione mediante gara ad evidenza pubblica nel rispetto delle direttive 
UE, senza che possa assumere rilievo la precedente disciplina; ed appunto in 
linea con ciò era l’art. 131, co. 2, della legge n. 388/00, il quale stabiliva 
la revoca delle concessioni rilasciate alla TAV in quanto antecedenti alla l. n. 
109/94 ed alla direttiva 93/37/CEE, ma tale norma è stata abrogata dall’art. 11 
l. n. 166/02, che ha inopinatamente riportato in vita le concessioni TAV e le 
convenzioni già da essa stipulate, violando in tal modo ogni regola al fine di 
garantire che l’aggiudicazione delle opere venga effettuata previa gara, aperta 
alla concorrenza tra imprese europee, non solo nazionali, e che la scelta 
dell’aggiudicataria sia effettuata sulla base della maggior convenienza 
dell’offerta. Pertanto la l. n. 166/02, nonostante il riferimento all’art. 2 
della l. n. 210/1985 (istitutiva dell’ente Ferrovie dello Stato), il quale 
impone il rispetto della normativa comunitaria, si porrebbe in contrasto con la 
l. n. 443/01, che richiede la gara europea, ma soprattutto con le direttive 
comunitarie ed in primo luogo con quella predetta, quindi dovrebbe essere 
disapplicato, giacché l’unica interpretazione compatibile con tali normative 
sarebbe stata quella del proseguimento di un affidamento già revocato per legge 
solo se precedentemente era stata già bandita una gara europea o comunque 
sottoponendo l’affidamento a nuova gara europea. D’altra parte, l’obbligo di 
sottoposizione degli affidamenti che avvengono con la legge obiettivo alla 
disciplina comunitaria apparirebbe affermato anche nella sentenza n. 303/2003 
della Corte costituzionale in tema di opere realizzate con prevalenti fondi 
privati. Col motivo seguente - che per comodità di indagine può essere esaminato 
congiuntamente al secondo - il Comune di Sona aggiunge che, ove l’art. 11 della 
legge n. 166 del 2002 dovesse essere interpretato come derogatorio all’obbligo 
di affidare la realizzazione delle infrastrutture strategiche mediante gara ad 
evidenza pubblica, lo stesso articolo si porrebbe in contrasto, oltre che con la 
normativa comunitaria, segnatamente la cit. direttiva 93/37/CEE, quindi con gli 
artt. 10 e 11 Cost. ed il principio della prevalenza della disciplina 
comunitaria su quella nazionale, con gli artt. 11 e 12 delle preleggi e 97 Cost. 
(principi di ragionevolezza, affidamento e buon andamento della p.a.), poiché 
avrebbe come scopo di far rivivere le concessioni già dichiarate revocate ex 
lege e prevederebbe, perciò, una retroattività irragionevole; infine, dal 
momento che la norma non sarebbe né generale, né astratta, né produttiva di 
effetti normativi, ma conterrebbe l’assetto concreto di situazioni giuridiche 
già ben individuate (il recupero delle concessioni a suo tempo revocate ex lege), 
essa contrasterebbe con i principi costituzionali di garanzia della tutela 
giurisdizionale del cittadino proclamati, sotto diversi aspetti, dagli artt. 24, 
25 e 113 Cost., giacché la volontà del legislatore verrebbe sostanzialmente a 
sostituirsi all’apprezzamento discrezionale della p.a. nell’applicazione della 
legge, privando il destinatario di una siffatta determinazione del riesame 
inerente al sindacato di legittimità in sede giurisdizionale.
Anche questo articolato complesso di censure, che - come si è visto - si 
incentrano sulla prosecuzione dell’affidamento della realizzazione dell’opera al 
general contractor per effetto della prosecuzione della concessione rilasciata 
alla TAV, presta il fianco alle eccezioni di inammissibilità, questa volta per 
carenza di interesse, sollevate dalle controparti.
Invero, non è ravvisabile in capo all’Ente locale ricorrente alcun concreto e 
specifico interesse a contestare la scelta del concessionario e/o dell’affidatario 
dei lavori di cui trattasi, non essendo titolare di alcuna funzione 
amministrativa in materia né, parimenti in materia, è comunque titolare di una 
posizione differenziata rispetto alla generalità dei soggetti giuridici. Le 
doglianze in parola si risolvono, perciò, in un’astratta richiesta di legalità 
dell’azione amministrativa - e dell’operato del legislatore -, senza che risulti 
dimostrata un’avvenuta lesione concreta ed attuale della sfera giuridica 
soggettiva dello stesso Ente dal detto affidamento della concessione e del 
sottostante rapporto di general contracting alla TAV e, rispettivamente, al 
Consorzio CEPAV Due, piuttosto che ad altri soggetti scelti mediante procedura 
ad evidenza pubblica.
Peraltro, le stesse doglianze sono anche infondate nel merito.
In proposito, va premesso che l’art. 131, co. 1, della legge 23 dicembre 2000 n. 
338 (c.d. legge finanziaria 2001) aveva revocato “le concessioni (…) rilasciate 
alla TAV S.p.A. dall’ente Ferrovie dello Stato il 7 agosto 1991 e il 16 marzo 
1992 (…). La società Ferrovie dello Stato S.p.A. provvede (…) all’accertamento e 
al rimborso, anche in deroga alla normativa vigente, degli oneri relativi alle 
attività preliminari ai lavori di costruzione, oggetto della revoca predetta …”. 
L’art. 11, co. 1, della legge 1° agosto 2002 n. 166 ha però abrogato tale norma, 
disponendo espressamente che “proseguono, pertanto, senza soluzione di 
continuità, le concessioni rilasciate alla TAV S.p.A. dall’ente Ferrovie dello 
Stato (…) ed i sottostanti rapporti di general contracting instaurati dalla TAV 
S.p.A. pertinenti le opere di cui all’art. 1, lett. h), della legge 17 maggio 
1985, n. 285, e successive modificazioni” (ovverosia anche le infrastrutture 
ferroviarie per il sistema ad alta velocità). Dal tenore di quest’ultima norma 
risulta evidente come, dopo l’emanazione della legge 21 dicembre 2001 n. 443 
(c.d. legge obiettivo) e nel far rivivere senza soluzione di continuità le 
concessioni del 1991-92 mediante l’abrogazione della norma che ne disponeva la 
revoca, il legislatore abbia inteso far una sorta di rinvio recettizio a tali 
concessioni, manifestando chiaramente - come già ritenuto da questa Sezione - 
“una voluntas legis semplificante, volta a recuperare gli strumenti giuridici 
già approntati per la realizzazione delle infrastrutture ferroviarie”, con la 
conseguenza che la riviviscenza ope legis delle stesse concessioni “rende 
infondata, anche ratione temporis, la censura di violazione delle (sopravvenute) 
regole procedimentali di scelta del contraente” (cfr. 27 luglio 2004 n. 7231 di 
questa Sez. ). Conclusione, questa, in linea con quanto autorevolmente ritenuto 
in altra, ma non dissimile fattispecie in tema di influenza della direttiva 
90/531/CEE sulle fattispecie contrattuali intercorse tra Ente Ferrovie dello 
Stato e T.A.V. e tra questa e general contractors in ordine all’attuazione del 
programma dell’alta velocità in occasione della trasformazione dell’Ente F.S. in 
S.p.A., laddove si è affermato che “devono sicuramente ritenersi fermi gli atti 
concernenti i rapporti tra Ente F.S. (ora S.p.A. Ferrovie) e T.A.V. (atto di 
concessione dell’amministratore straordinario dell'Ente F.S., convenzione 
attuativa, atti integrativi e modificative di questa), in quanto essi attengono 
ad una fase del procedimento già conclusa alla data in riferimento e nessuna 
rilevanza, ai fini in questione, riveste l’avvenuta trasformazione dell’Ente 
F.S. …”; inoltre “Alla medesima conclusione deve giungersi, ad avviso del 
Consiglio, per gli atti concernenti i rapporti tra T.A.V. e general contractors. 
Tale soluzione è pacifica per i contratti stipulati nell’ottobre 1991 e nel 
marzo 1992, ossia in epoca anteriore all’entrata in vigore della direttiva n. 
531, i quali sono contratti definitivi, completi dei prescritti elementi 
essenziali, che pongono immediatamente a carico delle parti determinate 
obbligazioni per le quali si è già avuto un inizio di esecuzione 
(predisposizione della progettazione esecutiva, corresponsione 
dell’anticipazione, etc.)”, posto che “diversamente opinando, si verrebbe ad 
ammettere l’efficacia sostanzialmente retroattiva della nuova disciplina 
(comunitaria: n.d.e), in contrasto con i noti principi in favore della 
irretroattività degli atti amministrativi e della eccezionalità degli effetti 
retroattivi della legge non penale” (cfr. Cons. St., Ag. 1° ottobre 1993 n. 93, 
richiamata da TAV e Consorzio CEPAV Due).
Non senza dire, in relazione a quest’ultimo aspetto, che l’art. 11, co. 1, della 
legge n. 166 del 2002 appare aver posto rimedio a siffatte conseguenze (ed a 
quelle, ulteriori, derivanti dalla revoca delle concessioni, alle quali si 
riferisce l’ultima parte del riportato co. 2 dell’art. 131 l. n. 388 del 2000), 
piuttosto che aver dettato esso stesso una disciplina retroattiva, sicché, ad 
avviso del Collegio, nella relativa disciplina non sono ravvisabili profili di 
irrazionalità e di violazione del principi fondamentali di imparzialità e buon 
andamento dell’amministrazione.
Da tale considerazione discende poi l’irrilevanza della questione se trattasi o 
meno di una c.d. “legge provvedimento”, dal momento che la Corte Costituzionale 
ha ripetutamente affermato come l’adozione di leggi di tal genere non sia di per 
sé illegittima, purché, nel quadro di uno scrutinio di stretta costituzionalità, 
non si risolva in un’operazione arbitraria ed irragionevole (cfr., tra le tante, 
Corte cost., 29 ottobre 2002 n. 429 e 26 maggio 1998 n. 185). E, come detto, 
così non è quella dell’abrogazione del co. 2 dell’art. 131 l. n. 338 del 2000, 
il quale, oltretutto, incidendo normativamente su provvedimenti efficaci, 
partecipava esso stesso della natura di “legge provvedimento” ora imputata 
all’art. 11, co. 1, della legge n. 166 del 2002. 
Infine, se per le ragioni sopra esposte all’attività concernente le concessioni 
di cui trattasi, svolta negli anni 1991-92, non era applicabile la direttiva 
93/37/CEE successivamente emanata, neppure sussiste il contrasto con le norme 
costituzionali menzionate, laddove impongono che l’ordinamento giuridico 
italiano si conformi alle norme di diritto internazionale generalmente 
riconosciute, consentendo le necessarie limitazioni alla sovranità nazionale.
In definitiva, quand’anche - ma così non è - le censure di cui innanzi dovessero 
ritenersi ammissibili, esse non possono essere condivise perché l’art. 11, co. 
1, della legge n. 166 del 2002 autorizza, anzi impone il proseguimento dei 
rapporti tra F.S. S.p.A. e TAV S.p.A. e tra questa e consorzio CEPAV Due, mentre 
la questione di legittimità costituzionale della stessa disposizione di legge 
per contrasto col diritto comunitario e con gli artt. 10 e 11, nonché 3 e 97 
Cost. si rivela manifestamente infondata, come pure quella per violazione degli 
artt. 24, 25 e 113 (erroneamente rubricato come 117), così come dedotta in 
relazione alla carattere di “legge provvedimento” della norma.
5.- Il quarto motivo di ricorso si incentra sull’assunta illegittimità derivata 
della deliberazione 5 dicembre 2003 n. 120 del CIPE a cagione della nullità 
della deliberazione 21 dicembre 2001 n. 121 dello stesso CIPE, costituente atto 
antecedente e presupposto, per carenza assoluta di potere e violazione degli 
artt. 73 Cost. e 10 delle disposizioni sulla legge in generale. Più 
precisamente, osservato che l’art. 1 della legge “obiettivo” n. 443/01, 
promulgata il 21 dicembre 2001, pubblicata il 27 seguente ed entrata in vigore 
l’11 febbraio 2002, prevedeva che in sede di prima applicazione l’individuazione 
delle infrastrutture e degli insediamenti strategici da realizzarsi nell’ambito 
della stessa legge fosse contenuta nel programma approvato dal CIPE entro il 31 
dicembre 2001, si rileva che con la delibera n. 121/2001 n. 121 il CIPE ha 
approvato il “programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi 
strategici” includendovi l’opera per cui è causa (la quale, perciò, segue la 
disciplina derogatoria di cui alla l. n. 443/01 ed al D.Lgs. 190/02), ma tale 
delibera sarebbe nulla ed inefficace perché non era stata neppure pubblicata la 
legge n. 443/01, attributiva del potere di determinare tale programma.
A tanto è agevole opporre l’insegnamento della Corte Costituzionale secondo cui 
la promulgazione attribuisce efficacia ed esecutorietà immediata alla legge nei 
confronti degli organi pubblici chiamati a darvi attuazione (cfr. Corte cost. 20 
ottobre 1983 n. 321).
Invero, con la promulgazione da parte del Capo dello Stato la legge deve 
considerarsi non solo esistente nell’ordinamento giuridico, ma anche, a certi 
fini, efficace nei confronti degli organi pubblici, tra cui il Governo al quale 
fa capo il CIPE, mentre la successiva pubblicazione si configura come atto 
diretto a dare “comunicazione” della stessa ai cittadini per renderne possibile 
la conoscenza ed imporne la generale osservanza (cfr, su fattispecie del tutto 
analoghe, questa Sez., 13 gennaio 2005 n. 1015, 22 luglio 2004 n. 7231 e 11 
giugno 2004 n. 5598).
6.- Col motivo seguente si deduce che, in base alla direttiva 2001/42/CE, 
introduttiva della valutazione ambientale strategica - VAS -, immediatamente 
applicabile per la sua determinatezza, ed alla delibera CIPE 2 agosto 2002 n. 
57, prevedente la verifica della sostenibilità dei piani e programmi mediante la 
VAS, anticipando alla fase di pianificazione e programmazione la ricerca di 
sostenibilità ambientale nelle scelte di piano, la VAS, non sostituita ma 
aggiuntiva al VIA, avrebbe dovuto essere svolta in una fase anteriore alla 
delibera n. 121/01 di approvazione del programma di opere strategiche, anche per 
la previsione del piano generale dei trasporti di cui al D.P.R. 14 marzo 2001 
secondo la quale nella realizzazione del piano va data priorità alle opere che 
abbiano superato la valutazione ambientale strategica, tenuto contro, altresì, 
che l’approvazione del programma costituiva automatica integrazione del suddetto 
piano ai sensi dell’art. 1 della legge n. 443/01.
Anche tale censura non merita accoglimento.
Come in sostanza ammette lo stesso Ente ricorrente, la citata direttiva del 27 
giugno 2001 doveva essere recepita dagli Stati membri entro il 21 luglio 2004. 
Anche ammesso, perciò, che possa essere qualificata come direttiva self 
executing (ma sembra escluderlo l’ottavo “considerando”, secondo cui “Occorre 
pertanto intervenire a livello comunitario un modo da fissare un quadro minimo … 
che … lasci agli Stati membri il compito di definire i dettagli procedurali …”), 
la stessa non sarebbe stata comunque suscettibile di imporre l’effettuazione 
della VAS anteriormente alla scadenza del suddetto termine. Nè la VAS poteva 
dirsi imposta nella fattispecie dal D.P.R. 14 marzo 2001, recante il piano 
generale dei trasporti, il quale, lungi dal prescriverla a pena di invalidità 
per il caso di omissione, ricollega al suo compimento il riconoscimento di una 
semplice “priorità” per le opere che ne abbiano costituito oggetto; priorità che 
però per le infrastrutture di cui alla legge n. 443 del 2001 è autonomamente 
assicurata dall’apposita, speciale disciplina ad esse dedicata (cfr., in 
termini, questa Sez., 31 gennaio 2005 n. 1015, nonché TAR Lazio, Sez. I, 31 
maggio 2004 n. 5118, richiamate dalle controparti). 
Quanto poi alla delibera CIPE 2 agosto 2002 n. 57, con essa (art. 1) si prevede, 
nel quadro della “Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in 
Italia 2002-2010” e tra gli strumenti principali individuati per il 
raggiungimento dei relativi obiettivi, l’integrazione del fattore ambientale in 
tutte le politiche di settore attraverso, tra l’altro, il “verificare la 
sostenibilità dei piani e programmi mediante la valutazione ambientale 
strategica così come prevista dalla Direttiva 2001/42/CE anticipando, già nella 
fase della pianificazione e programmazione, la ricerca delle condizioni di 
sostenibilità ambientale nelle scelte di piano” (punto 5.2.). In tale contesto, 
è chiaro che trattasi non dell’introduzione della VAS prima della trasposizione 
della direttiva nell’ordinamento italiano, ma di un indirizzo programmatico a 
valere nell’ambito della normativa in atto vigente e nel periodo temporale di 
riferimento.
7.- Il sesto motivo investe l’art. 1, co. 1 e 2, della legge obiettivo, in 
ordine al quale si prospetta questione di legittimità costituzionale per 
contrasto con gli artt. 5 (autonomia e decentramento), 9 (tutela del paesaggio e 
del patrimonio storico ed artistico), 32 (tutela del diritto alla salute), oltre 
che 97, Cost.. Premesso che la valutazione di importanti opere pubbliche non può 
prescindere dal rispetto delle norme costituzionali in tema di tutela dei valori 
ambientali, paesaggistici e culturali, mentre l’intervento in parola 
determinerebbe gravissimo impatto sulla vivibilità delle persone, sulla loro 
salute e sull’ambiente, si espone che una simile opera avrebbe dovuto essere 
circondata da un procedimento aggravato - e non semplificato, in particolare per 
la VIA, come previsto dall’art. 1, co. 2 -, finalizzato non solo alla verifica 
dell’impatto sull’ambiente, ma anche a precise procedure di confronto e 
risoluzione delle controversie con gli enti locali coinvolti. Di contro, la 
legge obiettivo derogherebbe alle regole costruite nel tempo sulla base 
dell’esperienza e delle sempre più pressanti esigenze di tutela dei predetti 
valori costituzionali, consentendo di escludere le normali procedure di 
valutazione di impatto ambientale, di conferenza di servizi che rappresenterebbe 
non solo una modalità amministrativa, ma soprattutto l’esplicazione del 
carattere democratico e federale della Repubblica Italiana ed eluderebbe, 
perciò, anche i principi di autonomia e decentramento.
A parte la genericità degli assunti appena sopra sintetizzati, non accompagnati 
da puntuali riferimenti, neppure per quanto riguarda il ruolo degli enti locali 
nel procedimento, il Collegio è dell’avviso che le questioni siano 
manifestamente infondate, poiché lo schema predeterminato dalla legge di delega 
e dal decreto attuativo appare completo e congruo rispetto ai valori 
costituzionali invocati.
Se l’art. 1, co. 2, della legge delega demanda al CIPE, integrato dai presidenti 
delle regioni e delle province autonome interessate, il compito di valutare le 
proposte dei promotori e, per quanto qui interessa, di approvare il progetto 
preliminare ed i provvedimenti occorrenti, quali, ove necessario, la VIA 
istruita dal competente Ministero (lett. c), gli artt. 17 e ss. del D.Lgs. n. 
190 del 2002 già prima delle modifiche introdotte con la legge comunitaria 2004 
18 aprile 2005 n. 62 e dal D.Lgs. 17 agosto 2005 n. 189, cioè già nel testo 
vigente all’atto dell’adozione dei provvedimenti impugnati, disciplinavano 
dettagliatamente la procedura di VIA, definita espressamente obbligatoria e 
vincolante. In estrema sintesi: il soggetto proponente è tenuto a predisporre 
uno studio di impatto ambientale redatto ai sensi del D.P.C.M. 27 dicembre 1988 
e del D.P.R. 2 settembre 1999 n. 348, reso pubblico nelle forme previste dalle 
procedure vigenti (v. anche art. 3) e contenente tutti i puntuali elementi 
elencati all’art. 18, co. 2, e ad inviarlo unitamente al progetto al Ministero 
dell’ambiente, il quale, come il Ministero per i beni e le attività culturali 
per le opere incidenti su aree sottoposte a vincolo di tutela culturale o 
paesaggistica, emette la propria valutazione tenendo conto delle osservazioni 
rimesse dagli interessati a mezzo dell’apposita Commissione speciale e la 
comunica alle Regioni interessate, al Ministero delle infrastrutture e dei 
trasporti nonché, per particolari opere, al Ministero delle attività produttive. 
Né l’anticipazione della VIA al progetto preliminare comporta il venir meno di 
una valutazione effettiva e realistica delle ripercussioni dell’opera 
sull’ambiente, attesa la pienezza dei contenuti descritti dall’art. 19 e tenuto 
conto che l’art. 20 (ora nel testo modificato dall’art. 2 del cit. D.Lgs. n. 189 
del 2005) estende ogni opportuna garanzia al progetto definitivo, il quale, 
oltre ad essere integrato da una relazione del progettista sulla rispondenza al 
progetto preliminare ed alle prescrizioni apposte in sede di approvazione (art. 
4), è sottoposto alla verifica di ottemperanza da parte della stessa Commissione 
speciale e, nel caso sia sensibilmente diverso da quello preliminare, il 
Ministro dell’ambiente può richiedere l’aggiornamento dello studio e la sua 
nuova pubblicazione anche ai fini dell’eventuale invio di osservazioni da parte 
dei soggetti pubblici e privati interessati. Infine, qualora si riscontrino 
violazioni degli impegni presi ovvero modifiche del progetto che comportino 
significative variazioni dell’impatto ambientale, la Commissione ne riferisce al 
Ministro, che ordina di adeguare l’opera e, se necessario, chiede al CIPE la 
sospensione dei lavori ed il ripristino della situazione ambientale a spese del 
responsabile, nonché l’adozione dei provvedimenti cautelari in tema di misure 
provvisorie di salvaguardia, anche a carattere inibitorio, previsti dagli artt. 
8 e 9 della legge 8 luglio 1986 n. 349.
Deve pertanto concludersi nel senso della pienezza delle garanzie approntate, 
pur nell’ottica dell’accelerazione delle procedure di realizzazione delle grandi 
opere di preminente interesse nazionale. Oltretutto, come bene osserva il 
Ministero dell’economia e delle finanze nella relazione in atti, la normativa 
censurata appare chiaramente ispirata all’esigenza di risolvere immediatamente, 
fin dalle prime fasi di elaborazione del progetto, gli eventuali problemi che 
possano incidere sui tempi di esecuzione di tali opere o addirittura precluderne 
la realizzazione - senza che, come detto, tanto comporti l’incompletezza o 
l’incoerenza con la normativa ordinaria della procedura di VIA -, sicché di 
certo non vulnera i canoni di cui all’art. 97 Cost..
Infine, ove con il richiamo ai principi di autonomia e decentramento il Comune 
ricorrente abbia inteso riferirsi alla partecipazione al procedimento degli enti 
locali interessati, neanche sotto questo profilo la medesima normativa risulta 
carente, come meglio sarà precisato in prosieguo. In questa sede, basta rilevare 
che tali enti sono chiamati a partecipare al procedimento di approvazione del 
progetto preliminare, determinante la localizzazione dell’opera con conforme 
variazione degli strumenti urbanistici vigenti, oltre che il riconoscimento 
della compatibilità ambientale, giacché il co. 5 dell’art. 3 del D.Lgs., come 
stabilito dall’art. 1, co. 2, lett. b) della legge, prevede che il CIPE decida 
“con il consenso, ai fini dell’intesa sulla localizzazione, dei presidenti delle 
regioni e province autonome interessate, che si pronunciano, sentiti i comuni 
nel cui territorio si realizza l’opera”; nell’ambito, poi, del procedimento di 
VIA si è visto che tali enti ben possono, a seguito della pubblicazione dello 
studio di impatto ambientale e del progetto, avvalersi della facoltà di proporre 
osservazioni, di cui il Ministro dell’ambiente, attraverso la Commissione 
speciale, deve tener conto. Pertanto, nei limiti in cui la doglianza può 
intendersi, essa non trova fondamento. 
8.- Il settimo motivo, di violazione degli artt. 1 della legge n. 443/01 e 3 del 
D.Lgs. n. 190/02, nonché carenza di motivazione, è diretto a far valere la 
pretesa mancata indicazione di “tutta una serie di parametri economico 
finanziari”, poiché nell’all. A all’impugnata deliberazione per tutta una serie 
di opere non verrebbero indicati i costi, anzi la spesa necessaria sarebbe 
indicata come extracosto, come ad esempio per gli interventi di cui al punto 
1.2.15 delle osservazioni in fase istruttoria, per i quali il costo “sarà 
valutato a parte”. Ma, a prescindere dalle eccezioni in rito sollevate in ordine 
all’interesse a formulare siffatte deduzioni, l’Ente ricorrente omette di 
considerare che, oltre all’aggiornamento della stima globale dell’opera, la 
delibera del CIPE dà atto di un importo complessivo per contingencies previsto 
nella precedente delibera 13 novembre 2003 n. 103, nonché della previsione di 
oneri aggiuntivi derivanti dall’accoglimento delle prescrizioni e dalle misure 
compensative, pari a 384,1 Meuro, di cui 49,1 Meuro valutabili in modo 
sufficientemente certo, mentre il residuo viene “valutato in via di larga 
massima in attesa dello sviluppo delle progettazioni definitive”. D’altro canto, 
le norme invocate non richiedono la specifica quantificazione del costo di 
ciascun singolo intervento, limitandosi a prescrivere l’indicazione degli 
stanziamenti e dei limiti di spesa dell’opera, sia pur compresi quelli per 
eventuali opere e misure compensative, evidentemente proprio in ragione del 
fatto che trattasi di progetto preliminare e che, pertanto, l’individuazione più 
puntuale non può che essere rinviata al definitivo.
9.- Col motivo seguente, che concerne la deliberazione 21 dicembre 2001 n. 121 
ed è rubricato come violazione e falsa applicazione dell’art. 117 Cost, eccesso 
di potere, carenza di motivazione, si contesta lo stesso potere del Governo di 
inserire la linea ferroviaria in parola tra le opere strategiche e, soprattutto, 
si sostiene che sarebbe non corretta la definizione di intervento “di preminente 
interesse nazionale” perché l’opera rientrerebbe tra gli interventi relativi 
alle grandi reti di trasporto affidati dall’art. 117 alla potestà concorrente 
delle Regioni, mentre l’interesse nazionale consisterebbe in un criterio 
generico che, nel contesto della riforma del titolo V, non costituirebbe titolo 
autonomo di competenza statale né giustificherebbe una disciplina che rimetta 
alla discrezionalità del Governo la sua definizione.
Così argomentando il Comune di Sona dimentica che la “linea AV/AC Milano- 
Verona”, di cui si discute, fa parte dell’ “Asse ferroviario sull’itinerario del 
corridoio 5 Lione-Kiev”, la cui rilevanza va ovviamente ben oltre i confini 
nazionali, e non si inquadra perciò in un intervento concernente grandi reti di 
trasporto la cui competenza possa far capo anche ad una Regione. Il “preminente 
interesse nazionale” dell’opera, poi, è certamente ravvisabile in un valore, 
oltremodo specifico, che travalica non solo l’ambito locale, ma la stessa natura 
ferroviaria della medesima opera, per trasferirsi in quello più vasto della 
finalità di modernizzazione e dello sviluppo dell’intero Paese, evidentemente da 
perseguirsi anche col miglioramento dei collegamenti ferroviari sia all’interno 
che da e verso l’esterno; ambito che, peraltro, come detto nella fattispecie in 
esame si inserisce in un quadro europeo.
In realtà, le riferite censure tendono a riproporre una questione di legittimità 
costituzionale già esaminata e disattesa dalla nota sentenza n. 303 del 2003, 
con la quale la Corte Costituzionale ha accertato che il complesso iter 
procedimentale nella specie prefigurato dal legislatore statale non è ex se 
invasivo delle attribuzioni regionali, avendo egli titolo ad assumere e regolare 
l’esercizio di funzioni amministrative su materie in relazione alle quali esso 
non vanti una potestà legislativa esclusiva, ma solo una potestà concorrente. 
Premesso che il nuovo art. 117 Cost. distribuisce le competenze legislative in 
base ad uno schema imperniato sulla enumerazione delle competenze statali 
affidando alle Regioni, con rovesciamento completo della previgente tecnica del 
riparto, oltre alle funzioni concorrenti, le funzioni legislative residuali, la 
Corte ha infatti ritenuto che in tale quadro limitare l’attività unificante 
dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o 
alla determinazione dei principi nelle materie di potestà concorrente 
“significherebbe bensì circondare le competenze legislative delle Regioni di 
garanzie ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie 
che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo 
istituzionale giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla normale 
ripartizione di competenze (…) in ambiti nei quali coesistono, intrecciate, 
attribuzioni e funzioni diverse”, tant’è che “un elemento di flessibilità è 
indubbiamente contenuto nell’art. 118, primo comma, Cost., il quale si riferisce 
esplicitamente alle funzioni amministrative, ma introduce per queste un 
meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida (…) la stessa 
distribuzione delle competenze legislative, là dove prevede che le funzioni 
amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un 
livello di governo diverso per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei 
principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. E’ del resto 
coerente con la matrice teorica e con il significato pratico della sussidiarietà 
che essa agisca come subsidium quando un livello di governo sia inadeguato alle 
finalità che si intenda raggiungere; ma se ne è comprovata un’attitudine 
ascensionale deve allora concludersi che, quando l’istanza di esercizio unitario 
trascende anche l’ambito regionale, la funzione amministrativa può essere 
esercitata dallo Stato. Ciò non può restare senza conseguenze sull'esercizio 
della funzione legislativa, giacché il principio di legalità, il quale impone 
che anche le funzioni assunte per sussidiarietà siano organizzate e regolate 
dalla legge, conduce logicamente ad escludere che le singole Regioni, con 
discipline differenziate, possano organizzare e regolare funzioni amministrative 
attratte a livello nazionale e ad affermare che solo la legge statale possa 
attendere a un compito siffatto”.
 
10.- Col nono motivo si denuncia la violazione dell’art. 19 del D.Lgs. n. 190 
del 2002 (co. 2, come sostituito dall’art. 1 del D.L. 14 novembre 2003 n. 315, 
conv. con mod. dalla legge 16 gennaio 2004 n. 5, a seguito della sentenza 1° 
ottobre 2003 n. 303 della Corte Costituzionale): più precisamente, tale 
doglianza, formulata in relazione al parere positivo con prescrizioni e 
raccomandazioni della Commissione speciale VIA, richiamato nella delibera CIPE 
n. 120 del 2003, viene ancorata al “se” detta Commissione, “come sembra”, non 
fosse stata integrata con i componenti regionali. E’ quindi palese che la 
medesima doglianza, peraltro non accompagnata da una richiesta di acquisizione 
in sede istruttoria, appare articolata su un presupposto di fatto solo 
ipotizzato; essa si rivela, pertanto, a sua volta ipotetica e perciò stesso 
inammissibile. E’ infatti principio processuale amministrativo consolidato che i 
motivi di gravame non possono limitarsi alla generica prospettazione di un 
vizio, ma devono contenere la puntuale indicazione di tutte le circostanze dalle 
quali possa desumersi che il vizio denunciato effettivamente sussista, non 
essendo ammissibili censure non specifiche e meramente ipotetiche o in via 
dubitativa, incompatibili con l’onere di specificazione che grava sul ricorrente 
(cfr., tra le tante, Cons. St., V, 2 aprile 2002 n. 1795).
11.- Col decimo motivo si lamenta che nessuna delle scelte progettuali suggerite 
dal Comune, già con deliberazioni 15 settembre 1992 n. 535 e 18 maggio 1999 n. 
58, poi in occasione della conferenza di servizi, siano state prese in 
considerazione poiché l’unico riferimento rinvenibile nelle prescrizioni e 
raccomandazioni del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti riguarda lo 
spostamento di un’attività produttiva. Quindi la delibera CIPE n. 120 del 2003 
sarebbe viziata per eccesso di potere sotto i profili della contraddittorietà, 
dell’incongruità, del travisamento e dell’erronea valutazione dei fatti, della 
carenza di istruttoria e di motivazione. 
Al riguardo, va rammentato che il Comune di Sona aveva sempre partecipato alle 
diverse fasi procedimentali succedutesi negli anni. Da ultimo, in vista della 
menzionata convocazione per il 19 dicembre 2002 della conferenza di servizi con 
deliberazione 16 dicembre 2002 n. 101 il Consiglio comunale aveva chiesto una 
“ulteriore preventiva valutazione dell’impatto ambientale relativamente al 
passaggio dal corridoio delle colline moreniche”, la “ridefinizione del tratto 
relativo all’attraversamento del centro di Lugagnano” con riguardo alla “ipotesi 
di una galleria in affiancamento all’attuale linea ferroviaria”, avanzando anche 
ai fini di eventuali accordi procedimentali una serie di prescrizioni di 
carattere tecnico ed informativo. Di tanto si dà atto nel verbale della predetta 
Conferenza del 19 dicembre 2002. Dal canto suo, la Regione Veneto ha recepito 
talune prescrizioni nel parere 8 settembre 2003 n. 59 della Commissione 
regionale VIA (punto 3.3) approvato con deliberazione di Giunta 18 dicembre 2003 
n. 2810; prescrizioni in parte recepite anche dal Ministero delle infrastrutture 
e dei trasporti e, quindi, dalla deliberazione CIPE n. 120 del 2003. 
Che, poi, non siano state invece recepite soluzioni di tracciato diverse, è 
questione che va risolta alla stregua del noto e pacifico indirizzo 
giurisprudenziale, emerso in tema di apporti procedimentali nelle più diverse 
materie, secondo cui per principio generale non esiste per l’amministrazione 
procedente un dovere di analitica disamina motivata di ciascun apporto pervenuto 
dagli amministrati, essendo sufficiente una motivazione anche succinta, anche 
non riferita a tutte le osservazioni, desumibile pure attraverso gli atti 
istruttori; indirizzo, questo, di certo applicabile anche in materia di 
infrastrutture strategiche, considerato che l’art. 18, co. 4, del D.Lgs. n. 190 
del 2002 si limita a stabilire che si “tiene conto” delle osservazioni formulate 
dai soggetti interessati (cfr., in fattispecie analoga, cit. TAR Lazio, Sez. I, 
n. 5118/2004 e giurisprudenza ivi citata). 
Dunque, i vizi prospettati devono ritenersi insussistenti, compreso quello di 
difetto di motivazione, avuto altresì riguardo alla vastissima gamma di 
analitiche e dettagliate prescrizioni e raccomandazioni formulate dal Ministro 
delle infrastrutture e dei trasporti (con le quali, giova ribadire, il progetto 
preliminare è stato approvato dalla delibera CIPE n. 120 del 2003), interessanti 
praticamente tutti i profili di incidenza dell’opera sull’ambiente nei suoi vari 
aspetti, a garanzia del rispetto delle istanze di cautela e ponderazione 
avanzate pure dal Comune di Sona.
12.- Sulla stessa linea, col motivo seguente si sospetta di illegittimità 
costituzionale la legge 21 dicembre 2001 n. 443 ss.mm. ed il D.Lgs. 20 agosto 
2002 n. 190 per contrasto con gli artt. 3, 5, 97, 117, 118 e 120 Cost., con 
riguardo al ruolo istituzionale garantito agli enti locali ed ai principi di 
sussidiarietà ed adeguatezza di cui all’art. 118, novellato dalla l. cost. 18 
ottobre 2001 n. 3, i quali sarebbero infatti vulnerati dalla previsione di 
intesta Stato-Regione, che non consentirebbe la reale partecipazione di Comuni e 
Province interessati all’opera. L’art. 3 del D.Lgs. n. 190/02 contrasterebbe 
inoltre con i principi di ragionevolezza, buon andamento ed imparzialità poiché 
nel procedimento di approvazione del progetto si prevede che i Comuni siano 
sentiti mediante un parere consultivo non vincolante e che il CIPE possa farne a 
meno decorso un breve termine decadenziale; nonché in quanto l’approvazione del 
progetto preliminare perfeziona la localizzazione dell’opera ad ogni fine 
urbanistico ed edilizio, con conseguente lesione del riparto di competenze di 
cui agli art. 117 e 118 Cost.
Le censure appena sopra sintetizzate non possono essere condivise. 
Circa la prima di esse, ricordato quanto esposto al precedente paragrafo 9 in 
tema di funzioni legislative concorrenti di governo del territorio (in cui 
rientra l’urbanistica), in questa sede va aggiunto che con la citata sentenza la 
Corte, osservato che “predisporre un programma di infrastrutture pubbliche e 
private e di insediamenti produttivi è attività che non mette capo ad 
attribuzioni legislative esclusive dello Stato, ma che può coinvolgere anche 
potestà legislative concorrenti (governo del territorio, porti e aeroporti, 
grandi reti di trasporto, distribuzione nazionale dell'energia, etc.)”, in 
relazione all’art. 1, co. 1, della legge n. 443 del 2001 ha ritenuto che “non di 
lesione di competenza delle Regioni si tratta, ma di applicazione dei principi 
di sussidiarietà e adeguatezza”, ai quali va annessa “valenza squisitamente 
procedimentale” e da intendersi oggi in senso anche dinamico; applicazione di 
cui è “elemento valutativo essenziale la previsione di un’intesa fra lo Stato e 
le Regioni interessate”, costituente un “procedimento attraverso il quale 
l’istanza unitaria venga saggiata nella sua reale consistenza e quindi 
commisurata all’esigenza di coinvolgere i soggetti titolari delle attribuzioni 
attratte, salvaguardandone la posizione costituzionale”, nella specie prevista 
dall’art. 1, co. 1, della legge n. 443 del 2001, alla quale “è da ritenersi che 
il legislatore abbia voluto subordinare l’efficacia stessa della 
regolamentazione delle infrastrutture e degli insediamenti contenuta nel 
programma”, per concludere nel senso della dichiarazione di infondatezza delle 
questioni di costituzionalità della norma in parola sollevate in riferimento 
agli artt. 117, 118 e 119 Cost..
Quanto, in particolare, alle attribuzioni (amministrative) comunali in materia 
di governo del territorio, la Corte, nell’evidenziare che “le norme impugnate 
perseguono il fine, che costituisce un principio dell’urbanistica, che la 
legislazione regionale e le funzioni amministrative in materia non risultino 
inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le 
procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente già 
effettuate dalla pubblica amministrazione”, ha in sostanza ritenuto conforme al 
principio efficienza - ma anche di ragionevolezza e proporzionalità -, in 
relazione al preminente interesse nazionale ed alle sottese esigenze di 
unitarietà della funzione amministrativa circa le opere strategiche, la 
partecipazione consultiva ed a valenza endoprocedimentale degli enti locali al 
momento decisionale statale realizzato attraverso l’intesa con la Regione 
interessata. 
Siffatte esaustive argomentazioni consentono, dunque, di ritenere manifestamente 
infondate le questioni nella specie proposte in relazione ai medesimi art. 117 e 
118, nonché all’art. 120, anche nei riguardi dell’art. 3, co. 7, del D.Lgs. n. 
190 del 2002 circa le attribuzioni comunali in materia di edilizia ed 
urbanistica.
Quanto alle restanti questioni, con cui si assume il contrasto del detto art. 3 
con i principi di ragionevolezza, buon andamento ed imparzialità laddove prevede 
che ai fini dell’intesa sulla localizzazione le regioni o le province autonome 
interessate si pronuncino “sentiti i comuni nel cui territorio si realizza 
l’opera” e che tale pronuncia deve intervenire nel termine di cui al comma 
precedente (novanta giorni) “anche nel caso in cui i comuni interessati non si 
siano tempestivamente espressi”, si osserva che, come si è visto, il Comune di 
Sona ha fornito il proprio avviso, acquisito dalla Regione, e non ha quindi 
interesse alcuno alla stessa questione, comunque di per sé manifestamente 
infondata.
Sul punto la giurisprudenza, con la quale il Collegio concorda pienamente, ha 
infatti già avuto modo di affermare che il parere in parola è pur sempre 
obbligatorio e non facoltativo, poiché non si può prescindere dalla sua 
richiesta, bensì solo dalla sua acquisizione entro il termine di legge, da 
reputarsi congruo e ragionevole; ed inoltre che tale norma non è suscettibile di 
dubbi di costituzionalità, dal momento che “essa permette, dinanzi al contegno 
di inerzia degli enti locali interessati, di prescindere dall’acquisizione delle 
osservazioni invano loro richieste. Poiché, infatti, a tali enti è comunque 
normativamente assicurata - sol che essi intendano avvalersene - la possibilità 
di una partecipazione attiva al procedimento, ciò si presenta sufficiente al 
rispetto del ruolo loro riconosciuto dalla Costituzione. Laddove, per converso, 
se la disciplina positiva dovesse imporre al procedimento di attendere comunque 
e senza limiti di tempo un’espressa presa di posizione da parte loro, un simile 
assetto, traducendosi in una inammissibile subordinazione degli interessi 
statali a quelli locali, anche in conflitto con il valore del buon andamento, 
sarebbe esso, allora sì, incompatibile con la Carta” (cfr. cit. TAR Lazio, Sez. 
I, n. 5118/04).
13.- Il dodicesimo motivo è imperniato sul principio di precauzione menzionato 
nell’art. 174, co. 2, del Trattato UE, secondo cui “La politica della Comunità 
in materia ambientale mira a un livello elevato di tutela (…). Essa è fondata 
sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della 
correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, 
nonché sul principio <<chi inquina paga>>”.
In proposito si evidenzia che, in presenza di interventi pregiudizievoli per 
l’ambiente, il predetto principio esigerebbe un iter decisionale particolarmente 
approfondito ed ispirato a criteri di cautela, ovverosia un’istruttoria tesa ad 
un’approfondita e completa ricognizione degli effetti delle possibili iniziative 
sull’ecosistema, con possibilità di stabilire le concrete modalità di 
realizzazione solo alla luce di certezze scientifiche circa i loro effetti. 
Anche tale specifica questione è stata già affrontata e negativamente risolta, 
con argomentazioni che meritano l’adesione del Collegio.
Invero, è stato osservato come il principio di precauzione “integri un criterio 
orientativo solo generale e di larga massima (e per giunta ancora in via di 
definizione e consolidamento), capace di ispirare in qualche modo le attività 
normative ed amministrative dell’Unione europea e degli Stati membri ma, almeno 
allo stato, non suscettibile di tradursi, per difetto di concretezza, nel 
preciso comando giuridico che è stato ipotizzato con la doglianza in esame”; 
inoltre “occorre pure considerare che (…) alle istanze della salvaguardia 
ambientale nel settore delle opere pubbliche è già dedicata la normativa 
(comunitaria e nazionale) sulla V.I.A., la cui osservanza (…) è stata fatta 
salva anche dalla normativa speciale della cui applicazione si tratta (sicché 
priva di riscontro è l’idea che il legislatore nazionale abbia imposto la 
realizzazione dell’opera in controversia disinteressandosi del suo impatto 
ambientale). Ora, non si può escludere che la recente codificazione del 
principio di precauzione possa suscitare una riforma della relativa disciplina. 
Finché ciò non avvenga, peraltro, sembra chiaro che è alle regole positive 
vigenti che deve farsi riferimento”. E ciò comporta non che “il progetto di 
un’opera da sottoporre a VIA non debba determinare, per essere assentito, alcun 
impatto sull’ambiente, imponendosi semmai un giudizio comparativo che tenga 
conto, da un lato, della necessità di salvaguardare preminenti valori 
ambientali, ma dall’altro dell’interesse pubblico sotteso all’esecuzione 
dell’opera” (cfr. la ripetutamente cit. TAR Lazio, Sez. I, n. 5118/04, e, in 
tale linea, questa Sez. III ter, n. 1015/05, richiamate in proposito dalle 
controparti).
Non va infine sottaciuto che nella fattispecie in trattazione la presenza delle 
prescrizioni e raccomandazioni di cui si detto innanzi, di natura vincolante, 
comprova che l’Amministrazione non ha mancato di farsi carico delle 
problematiche connesse alla tutela ambientale sotto ogni suo aspetto, tanto che, 
come si è visto, la valutazione positiva di impatto ambientale resa sul progetto 
preliminare è stata subordinata a dette prescrizioni e raccomandazioni e, di 
qui, all’esito favorevole dei prescritti controlli successivi.
14.- L’ultimo motivo, di violazione delle direttive 79/409/CEE (del Consiglio, 
del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici) e 
92/43/CEE (del Consiglio, del 21 maggio 1992, cosiddetta “habitat”), nonché del 
D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357, partecipa dell’inammissibilità per genericità 
affermata al precedente paragrafo 10) in relazione al nono motivo. Si espone, 
infatti, che non è dato comprendere se la valutazione di impatto ambientale 
comprenda anche la valutazione di incidenza sulle varie aree di interesse 
comunitario (SIC) e le zone di protezione speciale (ZPS) del Basso Garda 
(IT3210018), laghetto di Frassino (IT3210003) e Valli del Mincio (IT20B0009), 
presenti nei Comuni di Sona, Peschiera del Garda e Castelnuovo del Garda, né se 
questa sia adeguata, né quali specifiche misure compensative siano state 
adottate per rispettare le due direttive 79/409/CEE e 92/43/CEE in materia di 
protezione ambientale, senza peraltro precisare se e come l’opera interferisca 
con dette aree e zone, né quali misure avrebbero dovuto essere poste in essere e 
non lo sono state, dunque perché le direttive invocate debbano ritenersi 
violate. Si formula, cioè, una doglianza anche in tal caso dubitativa ed 
ipotetica, non accompagnata da richieste istruttorie, che quindi non può avere 
ingresso per le spiegate ragioni. 
In ogni caso, giova evidenziare che, come sottolineato dalle controparti, il 
progetto preliminare è accompagnato da un sostanzioso studio di impatto 
ambientale, il quale abbraccia ogni aspetto della questione, articolandosi in 
tre “quadri di riferimento” (con rispettiva relazione): programmatico, 
contenente anche elaborati cartografici relativi alle “aree vincolate e 
protette” (all. 3, composto di 7 tavole) ed alla “sintesi dei piani regolatori 
generali e comunali” (all. 4, composto di 18 tavole); progettuale; ambientale, 
contenente tra l’altro elaborati cartografici relativi ad “ambiti ecologici 
omogenei e vocazioni faunistiche”, “emergenze storico monumentali ed 
archeologiche” e “paesaggio naturale ed antropico” (all. 5, 6 e 7, composti 
ciascuno da 7 tavole). Pure per questo è pertanto da escludersi che non sia 
stato condotto un serio studio di impatto ambientale e che siano stati 
trascurati aspetti in tema di protezione ambientale, alla quale è dedicata 
l’intera sezione 10 delle prescrizioni, le quali riguardano anche - e 
significativamente - il Comune di Sona. 
Infine, deve escludersi che il progetto preliminare approvato avrebbe dovuto 
essere sottoposto ad un procedimento di valutazione dell’incidenza ambientale 
autonomo da quello di VIA, giacché nessuna norma, nazionale o comunitaria, lo 
richiede - e, per vero, neppure in qualche modo lo si sostiene da parte 
dell’Ente ricorrente - quando, come nella specie, sia già prevista la 
valutazione di impatto ambientale, che, costituendo lo strumento tipicamente 
preordinato ad un giudizio di ammissibilità o meno circa gli effetti diretti ed 
indiretti dell’opera sull’ambiente, si configura anche quale “momento precipuo 
di valutazione delle interazioni della suddetta opera all’interno di un sito di 
importanza comunitaria”; pertanto “la valutazione di impatto ambientale, 
prevedendo di prendere in considerazione le potenziali caratteristiche di 
elementi costituenti fattori di impatto ambientale, non esclude con ciò 
l’obbligo di considerare singolarmente ogni aspetto che da solo costituisca 
elemento importante: le due funzioni, quindi, non risultano in alcun modo 
alternative, integrandosi l’un l’altra, comprendono ed esauriscono ogni altra 
funzione prevista dalla valutazione di incidenza” (cfr. TAR Toscana, Sez. II, 30 
settembre 2003 n. 5222, richiamata dall’opponente Consorzio).
15.- In conclusione, il ricorso dev’essere respinto. Tuttavia, la complessità 
della materia sottoposta al vaglio del Collegio consiglia la compensazione tra 
tutte le parti delle spese di causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione III ter, respinge il 
ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 1° dicembre 2005.
Francesco Corsaro PRESIDENTE
Angelica Dell'Utri ESTENSORE
 
1) Valutazione di impatto ambientale - VAS - Direttiva 2001/142/CE - Assoggettabilità della delibera CIPE 57/2002 alla direttiva - Esclusione - Ragioni. La delibera CIPE 2 agosto 2002, n. 57, in materia di infrastrutture strategiche, non può essere assoggettata alla disciplina di cui alla direttiva 2001/42/CE, introduttiva della valutazione ambientale strategica - VAS, che doveva essere recepita dagli Stati membri entro il 21 luglio 2004. Anche ammesso, perciò, che possa essere qualificata come direttiva self executing (ma sembra escluderlo l’ottavo “considerando”, secondo cui “Occorre pertanto intervenire a livello comunitario un modo da fissare un quadro minimo … che … lasci agli Stati membri il compito di definire i dettagli procedurali …”), la stessa non sarebbe stata comunque suscettibile di imporre l’effettuazione della VAS anteriormente alla scadenza del suddetto termine. Nè la VAS poteva dirsi imposta nella fattispecie dal D.P.R. 14 marzo 2001, recante il piano generale dei trasporti, il quale, lungi dal prescriverla a pena di invalidità per il caso di omissione, ricollega al suo compimento il riconoscimento di una semplice “priorità” per le opere che ne abbiano costituito oggetto; priorità che però per le infrastrutture di cui alla legge n. 443 del 2001 è autonomamente assicurata dall’apposita, speciale disciplina ad esse dedicata. Pres. Corsaro, Est. Dell’Utri - Comune di Sona (avv.ti Scappini e Sonino) c. CIPE e altri (Avv. Stato) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. III ter - 4 gennaio 2006 (c.c.1°/12/2005), Sentenza n. 82
2) Valutazione di impatto ambientale - Legge obiettivo - Grandi opere di preminente interesse nazionale - Anticipazione della VIA al progetto preliminare - Valutazione effettiva delle ripercussioni sull’ambiente - Non può escludersi. In tema di grandi opere di preminente interesse nazionale di cui alla legge obiettivo, l’anticipazione della VIA al progetto preliminare non comporta il venir meno di una valutazione effettiva e realistica delle ripercussioni dell’opera sull’ambiente, attesa la pienezza dei contenuti descritti dall’art. 19 e tenuto conto che l’art. 20 (ora nel testo modificato dall’art. 2 del cit. D.Lgs. n. 189 del 2005) estende ogni opportuna garanzia al progetto definitivo, il quale, oltre ad essere integrato da una relazione del progettista sulla rispondenza al progetto preliminare ed alle prescrizioni apposte in sede di approvazione (art. 4), è sottoposto alla verifica di ottemperanza da parte della stessa Commissione speciale e, nel caso sia sensibilmente diverso da quello preliminare, il Ministro dell’ambiente può richiedere l’aggiornamento dello studio e la sua nuova pubblicazione anche ai fini dell’eventuale invio di osservazioni da parte dei soggetti pubblici e privati interessati. Infine, qualora si riscontrino violazioni degli impegni presi ovvero modifiche del progetto che comportino significative variazioni dell’impatto ambientale, la Commissione ne riferisce al Ministro, che ordina di adeguare l’opera e, se necessario, chiede al CIPE la sospensione dei lavori ed il ripristino della situazione ambientale a spese del responsabile, nonché l’adozione dei provvedimenti cautelari in tema di misure provvisorie di salvaguardia, anche a carattere inibitorio, previsti dagli artt. 8 e 9 della legge 8 luglio 1986 n. 349. Deve pertanto concludersi nel senso della pienezza delle garanzie approntate, pur nell’ottica dell’accelerazione delle procedure di realizzazione delle grandi opere di preminente interesse nazionale. Pres. Corsaro, Est. Dell’Utri - Comune di Sona (avv.ti Scappini e Sonino) c. CIPE e altri (Avv. Stato) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. III ter - 4 gennaio 2006 (c.c. 1°/12/2005), Sentenza n. 82
3) Valutazione di impatto ambientale - Opere sottoposte a V.I.A. - Valutazione di incidenza - Necessità - Esclusione. Nessuna norma, nazionale o comunitaria, richiede un procedimento di valutazione dell’incidenza ambientale autonomo da quello di VIA, quando sia già prevista quest’ultima, che, costituendo lo strumento tipicamente preordinato ad un giudizio di ammissibilità o meno circa gli effetti diretti ed indiretti dell’opera sull’ambiente, si configura anche quale momento precipuo di valutazione delle interazioni della suddetta opera all’interno di un sito di importanza comunitaria; pertanto la valutazione di impatto ambientale, prevedendo di prendere in considerazione le potenziali caratteristiche di elementi costituenti fattori di impatto ambientale, non esclude con ciò l’obbligo di considerare singolarmente ogni aspetto che da solo costituisca elemento importante: le due funzioni, quindi, non risultano in alcun modo alternative, integrandosi l’un l’altra, comprendono ed esauriscono ogni altra funzione prevista dalla valutazione di incidenza. (cfr. TAR Toscana, Sez. II, 30 settembre 2003 n. 5222). Pres. Corsaro, Est. Dell’Utri - Comune di Sona (avv.ti Scappini e Sonino) c. CIPE e altri (Avv. Stato) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. III ter - 4 gennaio 2006 (c.c. 1°/12/2005), Sentenza n. 82
4) Pubblica amministrazione - Legge obiettivo - Grandi opere di preminente interesse nazionale - Iter procedimentale - Violazione delle attribuzioni regionali e degli enti locali - Inconfigurabilità. Il complesso iter procedimentale volto alla definizione di un’opera quale intervento di preminente interesse nazionale, prefigurato dal legislatore statale non è ex se invasivo delle attribuzioni regionali, avendo egli titolo ad assumere e regolare l’esercizio di funzioni amministrative su materie in relazione alle quali esso non vanti una potestà legislativa esclusiva, ma solo una potestà concorrente. Limitare l’attività unificante dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei principi nelle materie di potestà concorrente, come ha rilevato la Corte Costituzionale (sent. n. 303/2003) “significherebbe bensì circondare le competenze legislative delle Regioni di garanzie ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze (…) in ambiti nei quali coesistono, intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse”, tant’è che “un elemento di flessibilità è indubbiamente contenuto nell’art. 118, primo comma, Cost., il quale si riferisce esplicitamente alle funzioni amministrative, ma introduce per queste un meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida (…) la stessa distribuzione delle competenze legislative, là dove prevede che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Pres. Corsaro, Est. Dell’Utri - Comune di Sona (avv.ti Scappini e Sonino) c. CIPE e altri (Avv. Stato) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. III ter - 4 gennaio 2006 (c.c. 1°/12/2005), Sentenza n. 82
5) Pubblica amministrazione - Legge obiettivo - Localizzazione dell’opera di preminente interesse - Parere dei comuni - Obbligatorietà - Inerzia dei comuni - Conseguenze. Il parere dei comuni nel cui territorio si realizza l’opera, di cui all’art. 3 della legge obiettivo, ai fini dell’intesa sulla localizzazione, è obbligatorio e non facoltativo, poiché non si può prescindere dalla sua richiesta, bensì solo dalla sua acquisizione entro il termine di legge, da reputarsi congruo e ragionevole; tale norma non è suscettibile di dubbi di costituzionalità, dal momento che “essa permette, dinanzi al contegno di inerzia degli enti locali interessati, di prescindere dall’acquisizione delle osservazioni invano loro richieste. Poiché, infatti, a tali enti è comunque normativamente assicurata - sol che essi intendano avvalersene - la possibilità di una partecipazione attiva al procedimento, ciò si presenta sufficiente al rispetto del ruolo loro riconosciuto dalla Costituzione. Laddove, per converso, se la disciplina positiva dovesse imporre al procedimento di attendere comunque e senza limiti di tempo un’espressa presa di posizione da parte loro, un simile assetto, traducendosi in una inammissibile subordinazione degli interessi statali a quelli locali, anche in conflitto con il valore del buon andamento, sarebbe esso, allora sì, incompatibile con la Carta” (cfr. cit. TAR Lazio, Sez. I, n. 5118/04). Pres. Corsaro, Est. Dell’Utri - Comune di Sona (avv.ti Scappini e Sonino) c. CIPE e altri (Avv. Stato) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. III ter - 4 gennaio 2006 (c.c. 1°/12/2005), Sentenza n. 82
6) Procedure e varie - Legge - Promulgazione - Efficacia ed esecutorietà immediata nei confronti degli organi pubblici chiamati a darvi attuazione - Pubblicazione nella G.U. - Finalità. La promulgazione attribuisce efficacia ed esecutorietà immediata alla legge nei confronti degli organi pubblici chiamati a darvi attuazione (cfr. Corte cost. 20 ottobre 1983 n. 321). Invero, con la promulgazione da parte del Capo dello Stato la legge deve considerarsi non solo esistente nell’ordinamento giuridico, ma anche, a certi fini, efficace nei confronti degli organi pubblici, tra cui il Governo al quale fa capo il CIPE, mentre la successiva pubblicazione si configura come atto diretto a dare “comunicazione” della stessa ai cittadini per renderne possibile la conoscenza ed imporne la generale osservanza (fattispecie relativa alla deliberazione CIPE del 21 dicembre 2001, n. 121, ritenuta dal TAR valida ed efficace, pur essendo stata emanata anteriormente alla pubblicazione della legge obiettivo n. 443/01, promulgata il 21 dicembre 2001, pubblicata il 27 seguente ed entrata in vigore l’11 febbraio 2002) Pres. Corsaro, Est. Dell’Utri - Comune di Sona (avv.ti Scappini e Sonino) c. CIPE e altri (Avv. Stato) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. III ter - 4 gennaio 2006 (c.c. 1°/12/2005), Sentenza n. 82
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