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 Massime della sentenza

  

 

Corte di Cassazione penale, sez. III, 15 aprile 2003, (c.c. 15 gennaio 2003) n. 17656

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Corte di Cassazione penale, sez. III, 15 aprile 2003, (c.c. 15 gennaio 2003) n. 17656
Pres Toriello - Est. Fiale - PM. Izzo (parz. dift) - Ric. Gonzales ed altro

 

Omissis

Svolgimento del processo e motivi della decisione.


Il Gip del Tribunale di Gela, con ordinanza 24 giugno 2002, disponeva (tra l’altro) il sequestro preventivo di impianti destinati al deposito ed al trasferimento di FOK (Fuel Oli of Cracking) appartenenti e nella disponibilità delle società Enichem ed Agip.

Nello stabilimento Enichem di Gela, presso l’impianto “Etilene 2”, era stata rilevata - infatti - la presenza di FOK (Fuel Oil of Cracking) proveniente dal fondo del frazionamento primario COL, costituito dal 40% di naftaline e dal 60% da idrocarburi aromatici ed altri idrocarburi pesanti. Tale materiale, inviato mediante tubazione a stoccaggio, era stato venduto come olio combustibile all’Agip Petroli.

Il sequestro veniva disposto sull’assunto che il FOK, per la sua composizione chimica e per l’elevata concentrazione di naftaline e degli altri idrocarburi aromatici, non poteva essere considerato olio combustibile e doveva classificarsi come rifiuto del processo di produzione dell’etilene, costituendo una corrente residua del processo stesso.

Tale rifiuto, quale “scarto del processo di produzione dell’etilene”, veniva ritenuto rientrante nella categoria dei fondi di distillazione e residui di reazione indicati con iI codice CER 07 01 08 dei cui all’Allegato D) del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22, concernente i rifiuti pericolosi.

L’attività di stoccaggio e di vendita, conseguentemente, veniva considerata illegittima in quanto posta in essere in violazione del regime di autorizzazioni e comunicazioni prescritte dagli artt. 27, 28, 30, 31 e 33 dello stesso D.L.vo n. 22/1997.

Il Tribunale di Caltanissetta, con ordinanza 19luglio 2002, rigettava l’istanza di riesame proposta nell’interesse di Gonzales Girolamo, Rivoli Giuseppe ed altri.

Rilevava il tribunale che:
- la stessa composizione chimica - illustrata da un collegio di consulenti del P.M. - conferisce al FOK la caratteristica di rifiuto pericoloso, mentre le considerazioni difensive in ordine alla qualificabilità della sostanza come olio combustibile non introducevano valide confutazioni ai dati tecnici contenuti nella consulenza medesima;
- il riutilizzo del FOK, attraverso cessione all’Agip quale semilavorato petrolifero, si configura in realtà come uno smaltimento, cioè una modalità attraverso la quale l’Enichem si disfa di un residuo di distillazione dell’etilene e lo destina ad altro ciclo produttivo nel quale lo stesso prodotto sarà combusto.

Avverso tale ordinanza ha proposto separati (ma sostanzialmente coincidenti) ricorsi il difensore del Gonzales e del Rivoli, il quale - sotto il profilo della violazione di legge - ha eccepito:
a) la necessità di attribuire al FOK la natura di olio combustibile, poiché esso rispetterebbe tutti i relativi parametri di legge (in particolare quelli posti dall’art. 3, punto h, del D.P.C.M. dell’8 marzo 2002).

Il FOK, del resto, è suscettibile di utilizzazione diretta anche come nerofumo per pneumatici e negli ultimi dodici mesi era stato venduto dall’Enichem, proprio per tale scopo, alla Spa Degusta;
b) l’erronea qualificazione del FOK come rifiuto, stante la carenza delle condizioni che configurano tale nozione alla stregua dell’art. 6 del D.L.vo n. 22/1997 [sentenza rientrante nelle categorie riportate nell’Allegato A) e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi];
c) l’omessa verifica, da parte del tribunale - non sussistendo alcun obbligo normativo o regolamentare, per il produttore del FOK, di disfarsene - della presenza, nel caso concreto, degli elementi indicatori della volontà del produttore di disfarsi della sostanza, dando erroneamente per scontato che essa fosse stata abbandonata;
d) il contrasto con l’interpretazione autentica della definizione di “rifiuto” contenuta nel D.L. 8 luglio 2002, n. 139;
e) la insussistenza di un “periculum in mora” effettivo e concreto. Gli impianti destinati al deposito del FOK non erano stati sottoposti in concreto a sequestro; erano state sequestrate, invece, le valvole di intercettazione e le condotte di trasferimento della sostanza, benché le stesse non venissero più utilizzate dal mese di ottobre 2001 in quanto tutta la produzione di FOK veniva ormai ceduta alla S.p.A. “Degusta Italia” per l’impiego come nero-fumo per pneumatici.

Il difensore degli indagati ha depositato poi, in data 14 gennaio 2003, ampia memoria di ulteriore illustrazione dei motivi di ricorso.

Il ricorso è fondato e deve essere accolto nei limiti di seguito specificati.

1. La nozione di “rifiuto”.
1.1. In ambito europeo.

In ambito europeo, le caratteristiche principali della nozione di “rifiuto” sono individuate dall’art. 1 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, n. 75/442/CEE (sui rifiuti in generale), modificata dalla direttiva 18 marzo 1991, n. 9.1/156/CEE e dall’art. i della direttiva del Consiglio 20 marzo 1978, n. 78/319/CEE (sui rifiuti tossici e pericolosi), modificata dalla direttiva 12 dicembre 1991, n. 91/689/CEE.

Secondo tali direttive “per rifiuto si intende qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi secondo le disposizioni nazionali vigenti”.

La direttiva n. 91/156 ha ampliato e specificato tale nozione, riportandone le categorie nell’Allegato I e rinviando alla Commissione il compito di preparare, entro il 10 aprile del 1993, un elenco (suscettibile di riesame periodico) dei rifiuti rientranti nelle suddette categorie.

La nozione medesima è stata altresì recepita dall’art. 2, lett. a), del Regolamento del Consiglio CEE 1febbraio 1993, n. 259/93, relativo ai trasporti transfrontalieri di rifiuti (immediatamente e direttamente applicabile in Italia secondo Corte cost. n. 170/1984).

1.2. Nel D.L.vo 5febbraio 1997, n. 22.

 

Nel nostro Paese le caratteristiche che, in ambito comunitario, individuano la nozione di “rifiuto” sono riprodotte nell’art. 6, comma 1, lett. a), del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22 (che ha recepito le modifiche del 1991 alle due direttive comunitarie sui rifiuti) secondo cui e rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’Allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”.

Tale normativa - attraverso il rinvio all’Allegato A), che riproduce l’Allegato I della direttiva n. 75/442/CEE -riporta l’elenco delle 16 categorie di rifiuti individuate in sede comunitaria, mentre gli Allegati II A e II B della direttiva sono riprodotti, rispettivamente, negli Allegati B) e C) al D.L.vo n. 22/1997.

Il primo elemento essenziale della nozione di “rifiuto”, nel nostro ordinamento, è costituito, pertanto, dall’appartenenza ad una delle categorie di materiali e sostanze individuate nel citato Allegato A), ma l’elenco delle 16 categorie di rifiuti in esso contenuto non è esaustivo ed ha un valore puramente indicativo, poiché lo stesso Allegato “A) - Parte 1” comprende due voci residuali capaci di includere qualsiasi sostanza od oggetto, da qualunque attività prodotti:
- la voce Qi, che riguarda “i residui di produzione o di consumo in appresso non specificati”;
- la voce Q16, che riguarda “qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate”.

È necessario tenere essenzialmente conto, pertanto, delle ulteriori condizioni imposte dalla legge, e verificare cioè, anche e soprattutto, che ii detentore della sostanza o del materiale:
a) se ne disfi;
b) o abbia deciso di disfarsene;
c) o abbia l’obbligo di disfarsene.

1.3. NeI D.L. 8 luglio 2002, n. 138 convertito nella legge 8 agosto 2002, n. 178.

Tali tre diverse previsioni del concetto di “disfarsi” hanno trovato recente “interpretazione autentica” nell’art. 14 del D.L. 8 luglio 2002, n. 138, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale e convertito nella legge 8 agosto 2002, n. 178.

Secondo questa interpretazione:
a) “si disfi” deve intendersi: qualsiasi comportamento attraverso ii quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B) e C) del D.L.vo n. 22/1997;
b) “abbia deciso di disfarsi” deve intendersi: la volontà di destinare sostanze, materiali o beni ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B) e C) del D.L.vo n. 22/1997;
c) “abbia l’obbligo di disfarsi” deve intendersi: l’obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell’elenco dei rifiuti pericolosi di cui all’Allegato D) del D.L.vo n. 22/1997 (che riproduce la lista di rifiuti che, a norma della direttiva n. 91/689/CEE, sono classificati come pericolosi).

Al sensi della nuova normativa, le fattispecie di cui alle lettere b) e c) non ricorrono - per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo - ove sussista una delle seguenti condizioni:
1) gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all’ambiente;
2) gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo, senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell’Allegato C) del D.L.vo n. 22/1997.

È stata così introdotta una doppia deroga alla nozione generale di “rifiuto”, in relazione alla quale:
- la Commissione Europea, il 16 ottobre 2002, ha deciso di aprire una procedura di infrazione (ex art. 169/226 del Trattato) nei confronti del Governo italiano per mancato rispetto della direttiva n. 75/442/CEE come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE, ritenendo configurabile “un’indebita limitazione del campo di applicazione della nozione di rifiuto”.

La Commissione, anche con riferimento alla giurisprudenza della Corte Europea di Giustizia, ha evidenziato che “la nozione di rifiuto non può essere commisurata allo specifico tipo di operazione di recupero o smaltimento che viene effettuata”;
- iI Tribunale monocratico di Terni, con ordinanza 20 novembre 2002, ha richiesto alla Corte Europea di Giustizia di stabilire, con sentenza interpretativa (ex art. 177/234 del Trattato), se la nozione di rifiuto introdotta con le citate direttive CEE debba continuare ad essere intesa ed interpretata in Italia alla luce delle pregresse sentenze emesse in materia dalla stessa Corte di Giustizia ovvero alla stregua dell’art. 14 della legge n. 178/2002.

1.4. Nell’interpretazione della Corte Europea di Giustizia

La Corte Europea di Giustizia, le cui decisioni (siano esse di condanna per inadempimento dello Stato oppure interpretative del diritto comunitario) sono immediatamente e direttamente applicabili in Italia (vedi Corte cost.: n. 113/1985 e nn. 232 e 389 del 1989):
- con le sentenze 28 marzo 1990, cause riunite Vessoso e Zanetti, e 10 maggio 1995, causa c-422/92, ha affermato e ribadito che l’art. i delle direttive n. 75/442/CEE e n. 78/319/CEE relative ai rifiuti, si riferiscono “ad ogni sostanza od oggetto di cui il difensore si disfi, senza distinguere a seconda dell’intenzione del detentore che si disfa della cosa. Una normativa nazionale la quale adotti una definizione della nozione di rifiuto escludente le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica non è quindi compatibile con tali direttive”... “Lo scopo essenziale delle direttive.., vale a dire la protezione della salute umana e dell’ambiente, sarebbe compromesso qualora l’applicazione delle due direttive dipendesse dall’intenzione del detentore di escludere o no una riutilizzazione economica, da parte di altre persone, delle sostanze o degli oggetti di cui si disfa”;
- con la sentenza 15 giugno 2000, Arco, ha riaffermato i concetti anzidetti prospettando che “qualunque sia iI criterio interpretativo adottato [dalle leggi nazionali] per stabilire se una sostanza costituisca rifiuto e qualsiasi modalità di prova lo Stato membro intenda introdurre non si può mai prescindere dalla finalità e dall’efficacia della direttiva [75/4421, che si fonda su una definizione di rifiuto ampia, oggettiva e tale da bilanciare aspetti economici e protezione dell’ambiente”;
- con la sentenza 18 aprile 2002, Palin Granit Oy, ha ribadito che “la nozione di rifiuto non può essere interpretata in senso restrittivo”, tenendo conto che “la politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela ed è fondata in particolare sui principi d~lIa precauzione e dell’azione preventiva”.

Ha introdotto, però, una “apertura” sicuramente significativa per la vicenda in esame, analizzando l’ipotesi “che un bene, un materiale o una materia prima, che deriva da un processo di fabbricazione o di estrazione che non è principalmente destinato a produrlo, può costituire non tanto un residuo quanto un sottoprodotto, del quale l’impresa non ha intenzione di disfarsi ai sensi dell’art. 1, lett. a), comma 1, della direttiva 75/442, ma che essa intende sfruttare o commercializzare a condizioni per lei favoreVoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari”.

Secondo la Corte di Giustizia, una situazione del genere “non contrasterebbe con le finalità della direttiva 75/442. In effetti non vi è alcuna giustificazione per assoggettare alle disposizioni di quest’ultima, che sono destinate a prevedere lo smaltimento o il recupero dei rifiuti, beni, materiali o materie prime che dal punto di vista economico hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e che, in quanto tali, sono soggetti alla normativa applicabile a tali prodotti. Tuttavia, tenuto conto dell’obbligo... di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro natura, occorre circoscrivere tale argomentazione, relativa ai sottoprodotti, alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima sia non solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare e nel corso del processo di produzione. Appare quindi evidente che, oltre al criterio derivante dalla natura o meno di residuo di produzione di una sostanza, il grado di probabilità di riutilizzo di tale sostanza, senza operazioni di trasformazione preliminare, costituisce un secondo criterio utile ai fini di valutare se essa sia o meno un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Se, oltre alla mera possibilità di riutilizzare la sostanza, il detentore consegue un vantaggio economico nel farlo, la probabilità di tale utilizzo è alta.

In un’ipotesi del genere la sostanza in questione non può più essere considerata un ingombro di cui il detentore cerchi di disfarsi, bensì un autentico prodotto”.

1.5. Nell’interpretazione di questa Corte Suprema

Questa Corte Suprema:
- Con sentenza 13 novembre 2002, Passerotti ha affermato che la nuova disciplina del 2002 - benché modificativa della nozione di rifiuto dettata dall’art. 6, primo comma - lett. a), del D.L.vo n. 22/1997 - è vincolante per il giudice, in quanto introdotta con atto avente pari efficacia legislativa della norma precedente.

Essa inoltre - benché modificativa anche della nozione di rifiuto dettata dall’art. 1 della direttiva europea 91/156/CEE - resta vincolante per il giudice italiano, posto che tale direttiva non è autoapplicativa (self executing) e costituisce obblighi per gli Stati dell’Unione Europea ma non direttamente situazioni giuridiche attive o passive per i soggetti intrastatali, sicché ha necessità di essere recepita dagli ordinamenti nazionali per diventare efficace verso questi ultimi. [Nel senso che anche la direttiva 91/689/CEE, in materia di rifiuti pericolosi, rientra tra le direttive aventi l’obiettivo di armonizzare le diverse normative nazionali e non fra quelle con prescrizioni incondizionate e dettagliate, immediatamente applicabili nell’ordinamento interno, vedi Cass., sez. III, 26 giugno 1997, n. 1699].

- Con sentenza 27 novembre 2002, Ferretti ha sostenuto, al contrario, la necessità di non applicare la normativa nazionale contrastante con il Regolamento del Consiglio CEE 1febbraio 1993, n. 259/93 e con l’interpretazione delle sentenze della Corte Europea di Giustizia.

2. La distinzione tra “rifiuto” e “prodotto”

La sentenza 18 aprile 2002, Palin Granit Oy della Corte Europea di Giustizia è la prima ad avere affrontato esplicitamente la questione della distinzione tra prodotti e rifiuti ed i criteri per operare una distinzione siffatta sono stati individuati nell’assenza di operazioni di trasformazione preliminare e nella certezza del riutilizzo senza recare pregiudizio all’ambiente.

Non deve trattarsi, comunque, di sostanze di cui il detentore è obbligato, a disfarsi per espressa volontà del legislatore o della pubblica amministrazione, perché in tal caso il “rifiuto” è tale già prima che il detentore se ne disfi o abbia l’intenzione di disfarsene ed a prescindere da tali evenienze.

3. I limiti dell’accertamento incidentale demandato al tribunale del riesame.

Alla stregua della giurisprudenza delle sezioni unite di questa Corte Suprema, nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto ii riesame di provvedimenti di sequestro:
- la verifica delle condizioni di legittimità della misura da parte del tribunale non può tradursi in una anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità dell’indagato in ordine al reato o ai reati oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria ed attenta della antigiuridicità penale del fatto (Cass., sez. un., 7 novembre 1992, ric. Midolini);
- “l’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto ii profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica. Il tribunale, dunque, non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l’integralità dei presupposti che legittimano iI sequestro” (Cass., sez. un., 29 gennaio 1997, n. 23, ric. P.M. in proc. Bassi e altri).

4. La fattispecie in esame.

Questo Collegio - tenuto anche conto della nuova formulazione dell’art. 117 della Costituzione, introdotta dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 - ribadisce la necessità dell’applicazione immediata, diretta e prevalente, nell’ordinamento nazionale, dei principi fissati (non da direttive che non siano autoapplicative o seif executing) ma dai Regolamenti comunitari (vedi Corte cost., ord. 144/1990) e dalle sentenze della Corte Europea di Giustizia (vedi Corte cost., sent. 389/1999, 255/1999 e 1 13/1985).

Rileva altresì che:
- Le direttive non autoapplicative possono influire sul diritto nazionale attraverso le decisioni della Corte Europea di Giustizia.
- Le sentenze della Corte di Giustizia, a loro volta, sono immediatamente e direttamente applicabili, da parte del giudice italiano, sempre che l’esegesi del diritto comunitario sia incontrovertibile e la normativa nazionale appaia in evidente contrasto.
- Secondo la Corte costituzionale (a partire dalla sentenza n. 170/1984), lì giudice italiano ha l’obbligo di non applicare la norma nazionale in contrasto con quella comunitaria.

Sotto il profilo dei rapporti tra il diritto comunitario e il diritto penale, interno, condivide infine l’orientamento dottrinario che ammette la prevalenza del primo qualora si tratti di definizioni legali di elementi normativi della fattispecie penale soggetti alla determinazione da parte delle norme comunitarie: e tale, senza dubbio, è la nozione di “rifiuto”.

Alla stregua di tali principi e di tutte le considerazioni dianzi svolte, deve allora rilevarsi che, nella fattispecie in esame il Tribunale di Caltanissetta:

- non ha tenuto nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza del comportamento illecito ipòtizzato.

In particolare, sia pure nei limiti del procedimento incidentale, ha omesso di valutare la effettiva natura (coprodotto o morchia di distillazione) che il FOK viene ad assumere nel processo di produzione dell’etilene, anche alla stregua della normativa vigente per gli oli combustibili [assumendo genericamente l’assenza di dati specifici di carattere tecnico contrastanti con la consulenza del P.M. senza fare alcun cenno alla depositata consulenza di parte e senza tenere conto che l’Allegato D) al D.L.vo n. 22/1997 specifica, al punto 2 dell’introduzione, che “l’inclusione nell’elenco non significa che i materiali siano da considerarsi rifiuti in ogni circostanza.

L’inclusione è pertinente soltanto quando venga soddisfatta la definzione di rifiuti ai sensi dell’art. 1, lettera a), della Direttiva 75/442/CEE, purché non si applichi l’art. 2, paragrafo 1, lettera b), della Direttiva”].
Anche il nuovo Catalogo europeo dei rifiuti, peraltro, conferma la necessità di procedere ad individuare se la sostanza o l’oggetto possa essere considerato rifiuto prima di controllare le singole voci del catalogo, giacché il CER offre unicamente un codice omogeneo per la classificazione e la gestione dei rifiuti in tutti i Paesi dell’Unione Europea, ma non per la loro identificazione, e l’inclusione di una determinata sostanza nell’elenco non comporta automaticamente che essa sia rifiuto in ogni circostanza;
- non ha affrontato la questione della distinzione tra prodotto e rifiuto alla stregua dell’art. 14 del D.L. n. 138/2002 comparato alle prescrizioni comunitarie immediatamente operative nel nostro ordinamento ed in particolare ai criteri direttivi indicati dalla sentenza 18 aprile 2002, Palin Granit Oy della Corte Europea di Giustizia.
 

P.Q.M.


Si impone, conseguentemente, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio - per nuova delibazione - al Tribunale di Caltanissetta, il quale si atterrà, nel nuovo giudizio, ai principi di diritto dianzi enunciati.

Il “periculum in mora” non e escluso, invece, da uno stato di momentanea inutilizzazione (per motivi di opportunità correlati alla scelta di una diversa destinazione commerciale) di macchinari ed attrezzature comunque idonei alla funzione per cui sono stati predisposti.
(Omissis).

Così deciso in Roma il 15 gennaio 2003

Deposito 15 aprile 2003

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Rifiuti – Nozione di rifiuto – Art. 6 D. L.vo n.22/1997 – Elementi. In base all’art. 6 decreto legislativo n. 22 del 1997, la nozione di rifiuto si combina di due elementi: l’appartenenza obiettiva di una certa sostanza ad una categoria individuate nell’Allegato A del decreto; la condotta del detentore della res, che di essa si disfi, o abbia deciso di disfarsi o abbia l’obbligo di disfarsi. Pres. Toriello – Est. Fiale – P.M. Izzo (concl. diff.) – Ric. Gonzales ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Penale, 15 aprile 2003, (ud. 15 gennaio 2003), n. 17656

 

2) Rifiuti – Elenco dei rifiuti non ha carattere esaustivo. L’elenco dei rifiuti non è di per sé esaustivo, infatti, lo stesso contempla anche categorie residuali quali le voci Q1 (residui non specificati) e Q16 (sostanze non rientranti nelle categorie precedenti). Pres. Toriello – Est. Fiale – P.M. Izzo (concl. diff.) – Ric. Gonzales ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Penale, 15 aprile 2003, (ud. 15 gennaio 2003), n. 17656

3) Rifiuti – Concetto di rifiuto – Interpretazione autentica ex art. 14 d.l. 138/02 conv. l. 178/2002 – Questione di incostituzionalità – Sussiste. Per un’interpretazione autentica del concetto di rifiuto soccorre l’art 14 del decreto legge n. 138/02 convertito in legge n. 178/02, secondo cui l’intenzione o obbligo di disfarsi della res non ricorrono quando le sostanze in discorso siano effettivamente riutilizzate, nel medesimo o in altro processo produttivo, senza subire trattamenti e senza pregiudizio per l’ambiente, ovvero dopo aver subito un trattamento preventivo che non comporti alcuna operazione di recupero tra quelle indicate nell’allegato C del D. L.vo n. 22 del 1997. (ndr: Sollevando la questione di incostituzionalità numerosi giudici di merito hanno rimesso la norma sull’interpretazione autentica alla Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia Europea ha aperto una procedura di infrazione contro il Governo Italiano). Pres. Toriello – Est. Fiale – P.M. Izzo (concl. diff.) – Ric. Gonzales ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Penale, 15 aprile 2003, (ud. 15 gennaio 2003), n. 17656

4) Rifiuti – Nozione di rifiuto – Interpretazione estensiva – Tutela dell’ambiente – Necessità - Criterio di distinzione tra i rifiuti e i sottoprodotti. Per esigenze di tutela dell’ambiente la nozione di rifiuto deve essere interpretata estensivamente, avendo riguardo al grado di probabilità dell’effettivo riutilizzo senza trasformazioni preliminari della res e tale indice di probabilità può costituire un utile criterio di distinzione tra i rifiuti e i sottoprodotti che tali non sono.Pres. Toriello – Est. Fiale – P.M. Izzo (concl. diff.) – Ric. Gonzales ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Penale, 15 aprile 2003, (ud. 15 gennaio 2003), n. 17656

5) Rifiuti – Le decisioni della Corte di Giustizia Europea sono immediatamente applicabili in Italia - Obbligatoria disapplicazione della norma nazionale in contrasto con quella comunitaria. Secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, in materia di rifiuti le decisioni della Corte di Giustizia Europea sono immediatamente applicabili in Italia e conseguente obbligatoria disapplicazione, da parte dei giudici, della norma nazionale in contrasto con quella comunitaria.Pres. Toriello – Est. Fiale – P.M. Izzo (concl. diff.) – Ric. Gonzales ed altri. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Penale, 15 aprile 2003, (ud. 15 gennaio 2003), n. 17656

 

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