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Legislazione  Giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 Massime della sentenza

  

 

Corte di Cassazione, Sezioni unite penali, 20 marzo 2003, sentenza n. 12878.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Corte di cassazione, Sezioni unite penali

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 

1. Il Gip del Tribunale di Ancona, con provvedimento del 6.4.2002, disponeva il sequestro preventivo, ai sensi dell'art. 321 c.p.p., di 5 manufatti, di cui uno in muratura esteso circa mq 80 e gli altri realizzati in legno o lamiera, nei confronti di C. I., indagato per il reato di cui all'art. 20 lettera b) legge 47/1985 [1].

2. Su richiesta di riesame avanzata dall'interessato, il Tribunale di Ancona riteneva sussistente il fumus boni iuris, nel senso di configurabilità dell'ipotesi di illecito penale prospettata, ma escludeva la ricorrenza del "periculum in mora". Al riguardo, osservava il tribunale che, nel caso di specie, i manufatti risultavano ultimati, per cui essendo cessata la permanenza del reato edilizio prospettato a carico dell'I. e ricorrendo, come di consueto, solo gli effetti permanenti dell'illecito penale, non era configurabile alcuna situazione di pericolo concreto tale da giustificare l'applicazione del provvedimento cautelare. Di conseguenza il tribunale revocava il sequestro disposto, con restituzione dei beni sequestrati alla disponibilità del proprietario.

3. Il Pm presso il Tribunale di Ancona proponeva ricorso per cassazione.

Rilevava che, diversamente da quanto sostenuto dal tribunale, appariva sussistente il pericolo attuale e concreto di un'utilizzazione dei beni da parte dell'interessato in violazione della normativa urbanistica. Chiedeva l'annullamento dell'ordinanza del Tribunale del Riesame.

4. C. I. produceva memoria, con la quale escludeva, innanzitutto, la configurabilità del reato edilizio attribuitogli; aggiungeva comunque che l'immobile ritenuto realizzato abusivamente, ma ormai completato, non poteva essere legittimamente sottoposto a sequestro preventivo, non essendo riscontrabili nel caso le specifiche finalità processuali della misura cautelare. Difatti, "le conseguenze" del reato (menzionate nell'art. 321), per le quali era ipotizzabile un aggravamento o la prosecuzione nel tempo della lesione del bene tutelato, non erano rappresentate da un qualsiasi effetto, ma soltanto da quello attinente agli elementi strutturali tipici dell'illecito o strettamente collegato con questi ultimi, costituendone uno sviluppo ulteriore.

L'I. eccepiva ulteriormente la nullità del decreto di sequestro perché privo, al momento dell'emissione, dell'informazione di garanzia ex art. 369 c.p.p. nonché della connessa informazione sul diritto di difesa dell'indagato di cui all'art. 369-bis c.p.p.

Eccepiva pure la nullità della notifica del ricorso per cassazione proposto dal Pm perché notificato ad uno solo dei due difensori di esso I.. Chiedeva il rigetto del ricorso, ovvero l'accoglimento delle questioni di nullità fatte valere.

5. Il ricorso veniva assegnato alla Sezione terza penale. Il collegio rimetteva il processo alle Sezioni unite, ravvisando la ricorrenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine appunto alla possibilità di disporre il sequestro preventivo di un immobile abusivo di cui era terminata l'edificazione.

Si osservava che la giurisprudenza prevalente della Corte di cassazione aveva manifestato ripetutamente l'avviso che, anche quando l'opera abusiva era conclusa, essa poteva continuare a proiettare le sue conseguenze negative sul territorio e, quindi, perpetuare nel tempo l'offesa al bene tutelato dai reati in materia edilizia, consistente nella lesione dell'equilibrio urbanistico del territorio, determinando un irregolare carico urbanistico ed un aggravio delle infrastrutture.

Per contro, rilevava la terza sezione penale che altro orientamento aveva evidenziato che la lesione del regolare assetto del territorio non era conseguenza dell'uso della libera disponibilità del manufatto illegittimo, bensì era un effetto connaturato alla sua realizzazione e permaneva anche con l'immobile sotto sequestro. In tema, detto orientamento aveva sottolineato la natura formale dei reati edilizi, non dipendendo essi dalla prova di un effettivo danno provocato all'assetto del territorio, potendo gli stessi configurarsi anche nel caso di assenza di permesso di costruire pur essendo l'edificazione conforme agli strumenti urbanistici.

Per di più, doveva evitarsi che la misura cautelare fosse applicata a tutela di interessi in realtà non riconducibili al reato, ma oggetto di tutela con gli strumenti amministrativi di competenza degli organi locali (art. 7 legge 47/1985).
 

MOTIVI DELLA DECISIONE


6. Il ricorso va accolto perché fondato.

Giova, innanzitutto, delineare la natura e le caratteristiche del sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., che, come è noto, viene configurato in due ipotesi: un sequestro obbligatorio che il giudice è tenuto a disporre, su richiesta del Pm, "quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare a protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati"; un sequestro facoltativo, che il giudice può disporre per le cose di cui è consentita la confisca.

L'istituto nuovo, rispetto al codice processuale previgente del 1930, può dirsi che abbia origine dalla bivalenza del precedente sequestro penale, ex art. 337 codice previgente, esperibile per finalità istruttorie ovvero anche in sede non istruttoria da parte della Polizia giudiziaria "per impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori" (vedi art. 219 c.p.p. previgente), ed ancora in sede esecutiva, ai sensi dell'art. 347 c.p.p. previgente con chiare finalità preventive.

La relazione al progetto preliminare del c.p.p. del 1988 mette in rilievo il fine preventivo di detto "tertium genus" delle misure di coercizione reale, nella configurazione autorizzata dalla direttiva n. 31, della legge-delega 81/1987, la quale prende in considerazione appunto l'esigenza di "impedire che i reati vengano portati ad ulteriori conseguenze" sia pure in riferimento a compiti di Polizia giudiziaria; ma, parimenti viene "sottolineata la permanenza del fondamento cautelare processuale consistente nella necessità di tutela della collettività in relazione al protrarsi dell'attività criminosa e dei suoi effetti".

Il sequestro preventivo presenta connotati individuanti che lo inseriscono, nell'ambito processuale, negli istituti intesi ad evitare la probabilità del verificarsi di un evento antigiuridico e che, specie in materia di reati edilizi i quali hanno per oggetto giuridico l'assetto complessivo del territorio con la finalità di salvaguardarlo in tutti i suoi aspetti, comportano l'esigenza di predisporre tecniche di tutela cosiddetta "anticipata" in considerazione della delicatezza e rilevanza del bene giuridico da proteggere.

Si tratta, quindi, di una misura di coercizione reale per esigenze di prevenzione, peraltro connessa e strumentale allo svolgimento del procedimento penale ed all'accertamento del reato per cui si procede, nel senso che è suo scopo quello di evitare che il trascorrere del tempo possa pregiudicare irrimediabilmente l'effettività della giurisdizione espressa con la sentenza irrevocabile di condanna.

In particolare, il sequestro preventivo trova la sua giustificazione nel "finalismo" cautelare di impedire che una cosa pertinente al reato possa essere utilizzata per estendere nel tempo od in intensità le conseguenze del crimine o per agevolare il compimento di altri reati. Il provvedimento inibitorio è inteso a stabilire un vincolo di indisponibilità in riferimento ad una cosa mobile od immobile il cui uso è ricompreso necessariamente nell'agire vietato dalla legge penale.

Ne discende che la misura cautelare in questione va disposta nelle situazioni in cui il non assoggettamento a vincolo della cosa pertinente al reato può condurre, in pendenza dell'accertamento del reato, non solo al protrarsi del comportamento illecito ovvero alla reiterazione della condotta criminosa ma anche alla realizzazione di ulteriori pregiudizi quali nuovi effetti offensivi del bene protetto; tali effetti debbono essere connessi con l'imputazione contestata e l'intervento preventivo collegato con le finalità di repressione del reato.

Più specificatamente va detto che il pericolo, in quanto probabilità di un danno futuro, deve avere caratteristiche di concretezza e richiede, quindi, un accertamento in concreto, sulla base di elementi di fatto, in ordine all'effettiva e non generica possibilità che la cosa di cui si intende vincolare la disponibilità assuma, in relazione a tutte le circostanze del fatto (natura della cosa, la sua connessione con il reato, la destinazione alla commissione dell'illecito, le circostanze del suo impiego), una configurazione strumentale rispetto all'aggravamento o alla protrazione del reato ipotizzato ovvero alla agevolazione alla commissione di altri reati.

I profili anzidetti del provvedimento cautelare preventivo, strettamente correlati con il processo penale in corso, comportano imprescindibilmente l'idoneità dell'accertamento del reato (con la condanna irrevocabile dell'imputato) ad interdire le conseguenze antigiuridiche di esso.

7. In ordine alla questione devoluta alle Sezioni unite, si rileva che la giurisprudenza assolutamente preponderante della Corte è nel senso di ritenere la sussistenza del potere del giudice di disporre il sequestro preventivo di un immobile abusivamente costruito anche nell'ipotesi in cui l'edificazione risulti già ultimata. Al riguardo, è stato affermato che le conseguenze che il legislatore intende neutralizzare mediante il sequestro preventivo non sono identificabili con l'evento del reato in senso naturalistico e neppure con l'evento in senso giuridico (cioè, la lesione del bene penalmente tutelato), cosicché esse possono essere aggravate o protratte anche dopo la consumazione del reato medesimo. In particolare, si è detto che l'utilizzazione dell'immobile costruito in violazione degli strumenti urbanistici vigenti non modifica il perfezionamento del reato già avvenuto e nulla aggiunge alla lesione del bene formalmente tutelato, che è quello del previo controllo pubblico sulle trasformazioni del territorio, ma sicuramente aggrava e prolunga la lesione dell'equilibrio urbanistico del territorio, che è il valore sostanziale al quale è finalizzato il controllo pubblico sulle trasformazioni del territorio (vedi così, tra le decisioni più significative: Cassazione, sezione terza, 23.2.95, Forti; 15.1.97, Messina; 15.2.00, Scritturale; 12.6.01, D'Amora). In altre decisioni (vedi così: Cassazione, sezione terza, 11.1.02, Luongo) si è specificato che la costruzione abusiva, anche dopo il suo completamento, può determinare conseguenze negative sul regolare assetto del territorio aggravando i cosiddetti carichi urbanistici. In più recenti sentenze del citato orientamento prevalente (vedi Cassazione, sezione terza, 8.2.02, Gullotta; 19.3.02, Volpe; 4.10.02, Grilli) si sottolinea, peraltro, la necessità che il giudice configuri le conseguenze del reato, che la misura cautelare deve impedire, in termini di pericolosità attuale e concreta; in specie, occorre che il giudice manifesti una valutazione prognostica in concreto di detti effetti, senza ricorrere ad enunciazioni astratte o generiche attesa la illegittimità dell'"equazione tra pertinenzialità della cosa ed automatica emissione della misura cautelare reale".

L'orientamento contrario (soprattutto, Cassazione 3.7.2001, Minopoli) giustifica la mancata possibilità di emissione di sequestro preventivo a fronte di una costruzione ultimata, non ravvisando conseguenze ulteriori rispetto all'ipotesi criminosa perfezionatasi in tutti i suoi elementi costitutivi, la quale, di per sé, si palesa già idonea eventualmente a ledere il regolare assetto del territorio. Detta impostazione evidenzia anche il carattere formale (di pura condotta) dei reati edilizi, e l'attuale inammissibilità di un provvedimento ex art. 221 c.p.p. inteso ad evitare la perpetrazione di ulteriori reati, atteso che allo stato, per esempio, il riferimento all'art. 201 Testo unico leggi sanitarie (divieto di abitare gli edifici sprovvisti di certificato di abitabilità: fattispecie criminosa in precedenza ripetutamente menzionata dalla giurisprudenza) non è più praticabile, essendo stato l'illecito depenalizzato ai sensi dell'art. 70 lettera b) decreto legislativo 507/99.

8. Queste Sezioni unite sono dell'avviso che l'orientamento prevalente manifesti una corretta interpretazione letterale e logico-sistematica dell'istituto del sequestro preventivo, secondo le linee di esso suevidenziate in via generale ed applicate nella materia dei reati edilizi.

Difatti, le conseguenze antigiuridiche che il sequestro preventivo tende ad evitare si configurano come ordinarie della fattispecie criminosa già eventualmente realizzata in tutti i suoi elementi (cioè, in relazione sia alla condotta dei cosiddetti reati formali e sia all'evento naturalistico che integra la consumazione dei reati materiali).

Come è noto, i reati edilizi hanno natura permanente e la relativa consumazione perdura fino alla cessazione dell'attività abusiva, in genere sino al momento di completamento del manufatto; pertanto, pur cessata la permanenza, l'effetto lesivo del bene giuridico protetto perdura nel tempo, ma tale evenienza è comune chiaramente a tutti i reati, anche a quelli qualificati come istantanei, dai quali discendono pregiudizi spesso prolungati e più o meno irreparabili.

Distinte, invece, nella previsione di cui all'art. 321 c.p.p., sono le specifiche conseguenze che possono determinarsi a causa del mancato impedimento della libera disponibilità della cosa pertinente al reato in capo all'autore di esso ovvero di terzi. Dette conseguenze diverse, necessariamente antigiuridiche, sono sicuramente ipotizzabili nel caso in cui il reato siasi consumato ed in particolare l'edificio sia stato portato a termine.

In tal guisa, deve qualificarsi, in modo esemplificativo, come antigiuridica l'implicazione proveniente dalla perpetrazione dell'illecito amministrativo ex art. 221 Testo unico leggi sanitarie, non più inquadrato "nell'agevolazione di commissione di altri reati" ma certamente costituente una situazione illecita ulteriore prodotta dalla condotta (la libera utilizzazione della cosa) che il provvedimento cautelare è finalizzato ad inibire.

Sotto altro profilo, va detto che la Corte di cassazione ha più volte ribadito che l'interesse sostanzialmente tutelato nell'ambito dei reati edilizi è rappresentato dalla vigilanza e controllo del territorio mediante l'adeguato governo pubblico degli usi e delle trasformazioni dello stesso, bene questo esposto a pregiudizio da ogni condotta che produca alterazioni dell'ordinato ed equilibrato assetto e sviluppo territoriale in danno del benessere complessivo della collettività e della sua attività, il cui parametro di legalità è dato dalla disciplina degli strumenti urbanistici e dalla normativa vigente (v. così, in primo luogo, Cassazione, Sezioni unite 12.11.93, Borgia; e, poi, tra le altre: 4.4.95, Marano; 12.5.95, Di Pasquale). Al riguardo, le decisioni della Corte, nel giustificare l'adozione della misura coercitiva in questione, hanno fatto talora riferimento all'aggravamento del carico urbanistico sulle infrastrutture preesistenti che potrebbe essere provocato dal libero uso dell'immobile abusivo.

9. Il concetto di carico urbanistico appare meritevole di attento approfondimento. Questa nozione deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento cosiddetto primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all'insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell'attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l'effetto che viene prodotto dall'insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto non definito dalla vigente legislazione, ma che è in concreto preso in considerazione in vari standards urbanistici di cui al decreto ministeriale 1444/68 che richiedono l'inclusione, nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle varie zone; b) nella sottoposizione a concessione e, quindi, a contributo sia di urbanizzazione che sul costo di produzione, delle superfici utili degli edifici, in quanto comportino la costituzione di nuovi vani capaci di produrre nuovo insediamento; c) nel parallelo esonero da contributo di quelle opere che non comportano nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad autorizzazione; d) nell'esonero da ogni autorizzazione e perciò da ogni contributo per le opere interne (art. 26 legge 47/1985 e art. 4 comma 7 legge 493/93) che non comportano la creazione di nuove superfici utili, ferma restando la destinazione dell'immobile; e) nell'esonero da sanzioni penali delle opere che non costituiscono nuovo o diverso carico urbanistico (art. 10 legge 47/1985 e art. 4 legge 493/93).

Le conseguenze antigiuridiche, ulteriori rispetto alla consumazione del reato, attengono sostanzialmente al volontario aggravamento o protrarsi della offesa del bene protetto anche dopo la commissione della fattispecie penalmente illecita, ponendosi in stretta connessione con la stessa. D'altro canto, il collegamento di detti effetti pregiudizievoli con il procedimento di repressione del reato comporta necessariamente che l'accertamento irrevocabile di questo sia idoneo ad impedire definitivamente il verificarsi delle conseguenze antigiuridiche.

Nella materia di che trattasi, tale risultato viene conseguito con l'emanazione, per le opere abusive, dell'ordine di demolizione ex art. 7 legge 47/1985 (adottato dal giudice con la sentenza di condanna, salvo che le opere siano state altrimenti demolite).

Detto provvedimento è formalmente giurisdizionale ma qualificabile sostanzialmente come sanzione amministrativa; esso, comunque, pur esulando dalla nozione di effetto penale, costituisce atto dovuto per l'Autorità giudiziaria, privo di contenuto discrezionale e conseguenziale alla sentenza di condanna (vedi così Cassazione, Sezioni unite 19.6.96, Monterisi; 19.12.97, Poli; 6.7.00, Callea; 12.1.00, Giusta).

10. Il pericolo, attinente alla libera disponibilità del bene, come già si è detto, deve presentare i caratteri della concretezza e dell'attualità. In tal senso si sono pronunciate espressamente queste Sezioni unite (Cassazione Sezioni unite, 14.12.1994, Adelio), sottolineando che, ancorché manchi per le misure cautelari reali una previsione esplicita di concretezza come quella codificata per le misure sulla libertà personale alla lettera c) dell'art. 274 c.p.p., è nella fisiologia del sequestro preventivo di cui all'art. 321 c.p.p., quale misura anch'essa limitativa di libertà costituzionalmente garantite, che il pericolo debba essere contrassegnato dalla effettività e dalla concretezza.

Pertanto, spetta al giudice di merito con adeguata motivazione compiere una attenta valutazione del pericolo derivante dal libero uso della cosa pertinente all'illecito penale. In particolare, vanno approfonditi la reale compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa da parte dell'indagato o di terzi possa implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo della offensività. In altri termini, il giudice deve determinare, in concreto, il livello di pericolosità che la utilizzazione della cosa appare in grado di raggiungere in ordine all'oggetto della tutela penale, in correlazione al potere processuale di intervenire con la misura preventiva cautelare.

Per esempio, nel caso di ipotizzato aggravamento del cosiddetto carico urbanistico va delibata in fatto tale evenienza sotto il profilo della consistenza reale ed intensità del pregiudizio paventato, tenendo conto della situazione esistente al momento dell'adozione del provvedimento coercitivo.

Nell'ambito di siffatto accertamento, possono venire in rilievo gli interventi di competenza della pubblica amministrazione in relazione alla sanatoria di costruzioni edificate senza concessione urbanistica ma conformi agli strumenti urbanistici (vedi artt. 22, 13, 11 legge 47/1985). Il che potrebbe comportare il venir meno del "periculum in mora" (ed anche dell'ipotesi di reato prospettata), richiesti per l'emissione della misura preventiva (vedi in tema di incidenza della concessione edilizia in sanatoria sul decreto di sequestro; Cassazione 22.6.93, Cipriano; 12.5.95, Di Pasquale).

11. In ordine alle deduzioni esposte da C. I. con memoria difensiva, va detto che il decreto di sequestro preventivo, emesso dal Gip del Tribunale di Ancona (poi annullato dal Tribunale del riesame per la ritenuta non ricorrenza del "periculum in mora"), appare contenere adeguata argomentazione circa la sussistenza, invece, del "fumus commissi delicti".

Parimenti infondata si palesa la censura concernente la nullità del decreto di sequestro. Difatti, dagli atti di causa risulta che il procedimento incidentale si è svolto in modo del tutto rituale con rispetto di quanto disposto negli artt. 321, 365, 369, 369-bis c.p.p. e, quindi, dei diritti di difesa dell'indagato (vedi sul punto, Cassazione, Sezioni unite, 23.2.00, Mariano). In particolare, il decreto di sequestro è stato adottato dal giudice in data 9.4.2002, l'informazione di garanzia ex articolo 369 c.p.p. e l'informazione ex art. 369-bis c.p.p. sono state disposte l'8.4.02, e poi i tre atti sono stati notificati contestualmente all'interessato in data 10.4.02; l'esecuzione del provvedimento cautelare ha avuto luogo il successivo giorno 15 aprile.

Altresì destituita di fondamento si palesa l'eccezione di nullità della notifica del ricorso per cassazione proposto dal Pm. Invero, dagli atti emerge che il ricorso in parola non è stato notificato né ai difensori né all'indagato; peraltro, la giurisprudenza di questa Corte è nel senso, da un verso, che l'impugnazione, ex art. 584 c.p.p., deve essere notificata solo alla parte privata e non al rispettivo difensore (vedi così Cassazione, 8.1.97 Persico; 25.6.99, Gusinu), e comunque l'unica conseguenza di tale omissione consiste nell'obbligo del giudice di procedere, tramite la cancelleria del giudice "a quo", alla notifica non compiuta, salvo che non risulti "aliunde" che la parte interessata abbia avuto conoscenza dell'atto impugnato (vedi, Cassazione 28.3.96, Moro).

Nel procedimento in esame, ricorre evidente la prova che l'I. è a conoscenza del ricorso avanzato dal Pm, tanto è vero che egli ha rilasciato formale delega in data 13.9.2002 al proprio legale per la difesa innanzi a questo organo di legittimità.

12. In definitiva, l'ordinanza impugnata va annullata, al fine di un nuovo esame della questione relativa alla ricorrenza delle esigenze cautelari, con rinvio al Tribunale di Ancona.

Il giudice di rinvio dovrà uniformarsi al seguente principio di diritto.

Il sequestro preventivo, ex art. 321 c.p.p., di cose pertinenti al reato può essere adottato anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi; in specie, per i reati edilizi, è ammissibile il sequestro di un immobile costruito abusivamente, la cui edificazione sia ultimata. Le conseguenze, ulteriori rispetto alla consumazione del reato, discendenti dall'uso dell'edificio abusivamente realizzato e che il provvedimento coercitivo reale tende ad inibire, debbono avere carattere antigiuridico con implicazione nell'azione vietata dalla legge penale. Pertanto, l'applicazione della misura coercitiva di prevenzione, con natura cautelare, richiede la connessione con il procedimento di repressione del reato, il cui accertamento irrevocabile deve essere pure idoneo ad impedire definitivamente gli effetti pregiudizievoli anzidetti. Il pericolo del verificarsi di questi ultimi esige il requisito della concretezza e va accertato dal giudice in punto di fatto, con adeguata motivazione.


P.Q.M.


La Corte suprema di cassazione, a Sezioni unite, annulla l'impugnata ordinanza e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Ancona.


Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2003

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) La sussistenza del potere del giudice di disporre il sequestro preventivo di un immobile abusivamente costruito anche nell'ipotesi in cui l'edificazione risulti già ultimata - l'utilizzazione dell'immobile costruito in violazione degli strumenti urbanistici vigenti. La giurisprudenza assolutamente preponderante della Corte è nel senso di ritenere la sussistenza del potere del giudice di disporre il sequestro preventivo di un immobile abusivamente costruito anche nell'ipotesi in cui l'edificazione risulti già ultimata. Al riguardo, è stato affermato che le conseguenze che il legislatore intende neutralizzare mediante il sequestro preventivo non sono identificabili con l'evento del reato in senso naturalistico e neppure con l'evento in senso giuridico (cioè, la lesione del bene penalmente tutelato), cosicché esse possono essere aggravate o protratte anche dopo la consumazione del reato medesimo. In particolare, si è detto che l'utilizzazione dell'immobile costruito in violazione degli strumenti urbanistici vigenti non modifica il perfezionamento del reato già avvenuto e nulla aggiunge alla lesione del bene formalmente tutelato, che è quello del previo controllo pubblico sulle trasformazioni del territorio, ma sicuramente aggrava e prolunga la lesione dell'equilibrio urbanistico del territorio, che è il valore sostanziale al quale è finalizzato il controllo pubblico sulle trasformazioni del territorio (vedi così, tra le decisioni più significative: Cassazione, sezione terza, 23.2.95, Forti; 15.1.97, Messina; 15.2.00, Scritturale; 12.6.01, D'Amora). In altre decisioni (vedi così: Cassazione, sezione terza, 11.1.02, Luongo) si è specificato che la costruzione abusiva, anche dopo il suo completamento, può determinare conseguenze negative sul regolare assetto del territorio aggravando i cosiddetti carichi urbanistici. In più recenti sentenze del citato orientamento prevalente (vedi Cassazione, sezione terza, 8.2.02, Gullotta; 19.3.02, Volpe; 4.10.02, Grilli) si sottolinea, peraltro, la necessità che il giudice configuri le conseguenze del reato, che la misura cautelare deve impedire, in termini di pericolosità attuale e concreta; in specie, occorre che il giudice manifesti una valutazione prognostica in concreto di detti effetti, senza ricorrere ad enunciazioni astratte o generiche attesa la illegittimità dell'"equazione tra pertinenzialità della cosa ed automatica emissione della misura cautelare reale". Corte di Cassazione, Sezioni unite penali, 20 marzo 2003, sentenza n. 12878.

 

2) Opere abusive - il concetto di carico urbanistico - standards urbanistici - le conseguenze antigiuridiche - consumazione del reato - l'emanazione dell'ordine di demolizione costituisce atto dovuto per l'Autorità giudiziaria, privo di contenuto discrezionale e conseguenziale alla sentenza di condanna - natura del provvedimento. Il concetto di carico urbanistico deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento cosiddetto primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all'insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell'attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l'effetto che viene prodotto dall'insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto non definito dalla vigente legislazione, ma che è in concreto preso in considerazione in vari standards urbanistici di cui al decreto ministeriale 1444/68 che richiedono l'inclusione, nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle varie zone; b) nella sottoposizione a concessione e, quindi, a contributo sia di urbanizzazione che sul costo di produzione, delle superfici utili degli edifici, in quanto comportino la costituzione di nuovi vani capaci di produrre nuovo insediamento; c) nel parallelo esonero da contributo di quelle opere che non comportano nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad autorizzazione; d) nell'esonero da ogni autorizzazione e perciò da ogni contributo per le opere interne (art. 26 legge 47/1985 e art. 4 comma 7 legge 493/93) che non comportano la creazione di nuove superfici utili, ferma restando la destinazione dell'immobile; e) nell'esonero da sanzioni penali delle opere che non costituiscono nuovo o diverso carico urbanistico (art. 10 legge 47/1985 e art. 4 legge 493/93). Le conseguenze antigiuridiche, ulteriori rispetto alla consumazione del reato, attengono sostanzialmente al volontario aggravamento o protrarsi della offesa del bene protetto anche dopo la commissione della fattispecie penalmente illecita, ponendosi in stretta connessione con la stessa. D'altro canto, il collegamento di detti effetti pregiudizievoli con il procedimento di repressione del reato comporta necessariamente che l'accertamento irrevocabile di questo sia idoneo ad impedire definitivamente il verificarsi delle conseguenze antigiuridiche. Nella materia di che trattasi, tale risultato viene conseguito con l'emanazione, per le opere abusive, dell'ordine di demolizione ex art. 7 legge 47/1985 (adottato dal giudice con la sentenza di condanna, salvo che le opere siano state altrimenti demolite). Detto provvedimento è formalmente giurisdizionale ma qualificabile sostanzialmente come sanzione amministrativa; esso, comunque, pur esulando dalla nozione di effetto penale, costituisce atto dovuto per l'Autorità giudiziaria, privo di contenuto discrezionale e conseguenziale alla sentenza di condanna (vedi così Cassazione, Sezioni unite 19.6.96, Monterisi; 19.12.97, Poli; 6.7.00, Callea; 12.1.00, Giusta). Corte di Cassazione, Sezioni unite penali, 20 marzo 2003, sentenza n. 12878. 

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