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Corte  Costituzionale, 26 luglio 2002, n. 407.

(Con nota dell’Avv. Leonardo Salvemini)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Cesare Ruperto Presidente; Riccardo Chieppa Giudice;  Gustavo Zagrebelsky;  Valerio Onida; Carlo mezzanotte; Guido Neppi Modona; Piero Alberto CapotostI; Annibale Marini; Franco Bile; Giovanni Maria Flick; Francesco Amirante; Ugo De Siervo; Romano Vaccarella;  Ha Pronunciato La Seguente:

 SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, 4, comma 2, 5, commi 1 e 2, della legge della Regione Lombardia 23 novembre 2001, n. 19 (Norme in materia di attività a rischio di incidenti rilevanti), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 23 gennaio 2002, depositato in Cancelleria il 31 successivo ed iscritto al n. 6 del registro ricorsi 2002.

Visto l’atto di costituzione della Regione Lombardia;

udito nell’udienza pubblica del 21 maggio 2002 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

uditi l’avvocato dello Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giuseppe Ferrari e Massimo Luciani per la Regione Lombardia.

 

Ritenuto in fatto

1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri solleva, con ricorso notificato il 23 gennaio 2002, depositato il successivo 31 gennaio, questione di legittimità costituzionale in via principale degli artt. 3, comma 1, 4, comma 2, 5, commi 1 e 2, della legge della Regione Lombardia 23 novembre 2001, n. 19 (Norme in materia di attività a rischio di incidenti rilevanti) - pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia del 27 novembre 2001, supplemento ordinario n. 48 - in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere h) ed s), della Costituzione, nonché agli artt. 8, 9, 15, 18, 21 e 28 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose), ed all'art. 72 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59). 

2. - Il ricorrente premette che la disciplina delle attività a rischio di incidenti rilevanti sarebbe riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettere h) ed s), nel testo modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, in quanto riconducibile alle materie «sicurezza» e «tutela dell’ambiente».

L’art. 18 del d.lgs. 17 agosto 1999, n. 334, ai sensi dell’art. 72 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, ha attribuito alle regioni il potere di regolamentare il procedimento di istruttoria tecnica, le autorità titolari delle competenze conseguenti, il raccordo con il procedimento di valutazione di impatto ambientale, le modalità di coordinamento dei soggetti che svolgono l’istruttoria tecnica, le procedure per gli interventi di salvaguardia dell’ambiente e del territorio. Le regioni potrebbero, quindi, disciplinare esclusivamente gli interventi strumentali, nel rispetto della disciplina stabilita dalla legge statale, che sarebbe invece violata dalle disposizioni impugnate. 

2.1. - Il ricorrente deduce che l’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 334 del 1999 stabilisce che, «affinché sorga l’obbligo del rapporto preliminare di sicurezza», le sostanze pericolose presenti in determinati stabilimenti «debbono essere in quantità uguali o superiori a quelle indicate nell’allegato I, parti 1 e 2, colonna 3 (v. richiamo all’art. 8.1)».

L’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 19 del 2001 dispone, invece, che il rapporto preliminare debba essere presentato dal gestore di nuovi stabilimenti, qualora negli stessi siano presenti sostanze pericolose in quantità uguale o superiore a quella indicata nell’allegato I, parte 1, colonna 2 e parte 2, colonna 2 del d.lgs. n. 334 del 1999. Dunque, secondo la difesa erariale, «le quantità indicate nella norma statale sono più elevate di quelle richieste dalla norma regionale che in questo modo ha ampliato la sfera normativa della legge statale», non limitandosi a disciplinare le materie indicate nell’art. 18 del d.lgs. n. 334 del 1999, né ad esercitare le funzioni amministrative conferite dall’art. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998. 

2.2. - L’art. 28 del d.lgs. n. 334 del 1999 ha disposto che, sino alla emanazione del decreto di cui all’art. 10, sono applicabili i criteri fissati nel decreto del Ministro dell’ambiente del 13 maggio 1996.

L’art. 4, comma 2, della legge regionale in esame, in via transitoria e fino al termine fissato dalla legge statale, ad avviso dell’Avvocatura, avrebbe invece illegittimamente stabilito che sono obbligatori gli elementi previsti dal suo allegato 2, i quali non coincidono con quelli richiesti dalle norme dello Stato. 

2.3. - L’art. 21, comma 3, del d.lgs. n. 334 del 1999 dispone che per le modifiche di impianti e di depositi, di processi industriali, della natura o dei quantitativi di sostanze pericolose individuate con il decreto di cui all'articolo 10, ossia per quelle che potrebbero costituire aggravio del preesistente livello di rischio, deve essere avviata l'istruttoria per la valutazione del rapporto di sicurezza.

L’art. 5, commi 1 e 2, della legge regionale impugnata, in contrasto con la norma statale, dispone invece che, anche qualora le modifiche «non comportano aggravio di rischio», debba essere redatta una scheda valutativa tecnica, la quale, ovviamente, presuppone un’attività preparatoria.

Secondo l’Avvocatura, le norme impugnate realizzerebbero effetti innovativi e sarebbero costituzionalmente illegittime, dato che il livello di sicurezza, salvo che non sussistano situazioni ambientali differenti - ciò che non accade nel caso in esame -, dovrebbe essere identico sull’intero territorio nazionale. La fissazione di adempimenti differenziati realizzerebbe «alterazioni sotto il profilo della concorrenza in danno di quelle imprese che si trovano ad operare in regioni la cui disciplina più gravosa costringe ad affrontare costi maggiori».

Infine, conclude il ricorrente, la circostanza che l’art. 10 della legge regionale rinvia la sua entrata in vigore alla data della stipulazione dell’accordo di programma Stato-Regione ex art. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998, non inciderebbe sull’interesse all’impugnazione poiché, una volta concluso detto accordo, le norme censurate diverrebbero immediatamente efficaci. 

2.4. - La difesa erariale, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, ha insistito per la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme impugnate, ribadendo le argomentazioni svolte nel ricorso. 

3. - Nel giudizio si è costituita la Regione Lombardia, chiedendo che la Corte dichiari il ricorso manifestamente inammissibile e, in linea gradata, manifestamente infondato.

Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, la resistente deduce che il ricorso sarebbe inammissibile per difetto di interesse all’impugnazione, poiché l’efficacia delle norme censurate è condizionata alla stipulazione di un accordo di programma tra Regione e Stato, il quale, rifiutando il proprio assenso alla stipula di siffatto accordo, può impedire che la legge impugnata produca effetti.

Nel merito, la Regione Lombardia sostiene che, sebbene il controllo sugli impianti e sulle industrie a rischio di incidenti rilevanti riguardi sia la materia “sicurezza”, sia la materia “tutela dell’ambiente”, gli artt. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998 e 18 del d.lgs. n. 334 del 1999 dimostrerebbero che questo controllo interferisce con le materie “governo del territorio”, “tutela della salute” e “protezione civile”, attribuite alla competenza legislativa di tipo concorrente della Regione. Inoltre, il d.m. 9 maggio 2001, disponendo che «le Regioni assicurano il coordinamento delle norme in materia di pianificazione urbanistica, territoriale e di tutela ambientale con quelle derivanti dal decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 e dal presente decreto», nonché «il coordinamento tra i criteri e le modalità stabiliti per l'acquisizione e la valutazione delle informazioni di cui agli articoli 6, 7 e 8 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 e quelli relativi alla pianificazione territoriale e urbanistica» (art. 2, commi 1 e 3), conforterebbero che la prevenzione ed il controllo sui rischi di incidenti rilevanti è riconducibile anche a materie attribuite alla competenza legislativa regionale di tipo concorrente.

Dunque, secondo la resistente, nell’esercizio della propria competenza in materia di governo del territorio e di tutela della salute dei cittadini, nel rispetto dei principi fondamentali fissati dalla legge statale, essa legittimamente avrebbe stabilito una disciplina più rigorosa, estendendo l’obbligo di redigere il rapporto di sicurezza e la scheda di valutazione dei rischi (artt. 3 e 5 della legge regionale n. 19 del 2001). Inoltre, a suo avviso, per numerose materie elencate nell’art. 117 della Costituzione sarebbe difficile stabilire i confini tra competenza statale e regionale e, proprio per questo, occorrerebbe applicare il criterio teleologico e, comunque, riconoscere, come nel caso della protezione ambientale, che la Regione è titolare di competenza legislativa in riferimento ai profili che interessano anche materie di sua competenza, potendo in ogni caso emanare quelle norme che garantiscono una maggiore tutela del bene della salute.

Infine, conclude la resistente, le norme, sotto il profilo della concorrenza, non pregiudicano le imprese che svolgono attività nella Regione Lombardia e, ragionevolmente, allo scopo di garantire la tutela del territorio e della salute umana, pongono rimedio ad una «disciplina statale palesemente lacunosa».

4. - Le parti, all’udienza pubblica, hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte. 

Considerato in diritto

1.  - Il giudizio in via principale promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso in epigrafe, nei confronti della Regione Lombardia ha ad oggetto gli artt. 3, comma 1, 4, comma 2, 5, commi 1 e 2, della legge regionale 23 novembre 2001, n. 19 (Norme in materia di attività a rischio di incidenti rilevanti), in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere h) ed s), della Costituzione, nonché agli artt. 8, 9, 15, 18, 21 e 28 del decreto legislativo n. 334 del 1999 ed all'art. 72 del decreto legislativo n. 112 del 1998.

Premesso che la disciplina delle attività a rischio di incidente rilevante è riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, a norma dell'art. 117, secondo comma, lettere h) ed s), della Costituzione, il ricorrente sottolinea che questo tipo di riserva, innanzi tutto, esclude, per definizione, che i livelli di sicurezza per attività egualmente pericolose possano essere diversi da regione a regione ed in secondo luogo esclude conseguentemente che possano essere previsti adempimenti diversificati per le varie imprese, con possibile alterazione anche delle regole della concorrenza. Le disposizioni regionali impugnate sarebbero pertanto, ad avviso del ricorrente, costituzionalmente illegittime, in quanto invadono la competenza esclusiva dello Stato in materia di "sicurezza" ed "ambiente", avendo altresì un contenuto che, sotto vari profili, è difforme e contrastante rispetto ad una serie di norme "fondamentali" della disciplina statale. 

2.  - In linea preliminare va respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, sollevata dalla difesa della Regione Lombardia, in base all'argomento che l'art. 10 della legge impugnata subordina l'efficacia della legge stessa alla "stipulazione dell'accordo di programma tra Stato e regione, di cui all'art. 72 del d. lgs. n. 112/98". Va infatti osservato che l'impugnativa da parte dello Stato delle leggi regionali è sottoposta, ai sensi dell'art. 127 della Costituzione, ad un termine tassativo riferito alla pubblicazione e non anche all'efficacia della legge stessa e, d'altra parte, la pubblicazione di una legge regionale, in asserita violazione del riparto costituzionale di competenze, è di per sè stessa lesiva della competenza statale, indipendentemente dalla produzione degli effetti concreti e dalla realizzazione delle conseguenze pratiche (cfr. sentenza n. 332 del 1998). 

3.  - Nel merito, il ricorso è infondato.

La disciplina specifica delle attività a rischio di incidenti rilevanti si è sviluppata soprattutto in ambito comunitario, a decorrere dalla direttiva 82/501 CEE del 24 giugno 1982 -c.d. "direttiva Seveso"- la quale introdusse prescrizioni dirette alla prevenzione dei rischi industriali, coinvolgendo specialmente il responsabile dell'attività a rischio. Il decreto di attuazione -d.P.R. 17 maggio 1988, n. 175- stabilì infatti una serie di obblighi a carico dei fabbricanti, prevedendo altresì un complesso procedimento di controllo, con l'intervento di una pluralità di soggetti pubblici, nel cui ambito le regioni, in particolare, furono chiamate a svolgere compiti di vigilanza sugli impianti a minore pericolosità, soggetti alla c.d. "dichiarazione", nonché sul rispetto delle misure di sicurezza.

Il predetto atto comunitario è stato modificato dalla direttiva 96/82 CE del 9 dicembre 1996, che ha accentuato il profilo del controllo tecnico-ispettivo, anche prevedendo forme di pianificazione urbanistica ed ambientale del territorio esterno agli stabilimenti. In attesa dell'attuazione di questa direttiva, l'art. 72 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, ha innovato il quadro organizzativo precedente, conferendo alle regioni, sia pure previa adozione di una specifica normativa, anche le competenze amministrative concernenti gli impianti a maggiore pericolosità, soggetti alla c.d. "notifica", e mantenendo allo Stato essenzialmente compiti di indirizzo e coordinamento.

Successivamente il decreto di recepimento -d.lgs. 17 agosto 1999, n. 334- ha ulteriormente ampliato le precedenti competenze delle regioni attribuendo ad esse anche la disciplina dell'attività procedimentale connessa all'istruttoria tecnica, nonché l'individuazione delle procedure più idonee per l'adozione degli interventi di salvaguardia dell'ambiente e del territorio di insediamento degli stabilimenti. 

3.1.  - Lo scrutinio di costituzionalità delle disposizioni regionali censurate va pertanto condotto sulla base del quadro di riparto delle competenze tra Stato e regioni, sul quale ora incide la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che reca “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”.

A questo scopo, il primo problema da risolvere, ai fini della determinazione della competenza ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, riguarda l'individuazione della "materia" alla quale ricondurre la legge regionale in esame; materia che, secondo il ricorrente, è da identificare nei disposti delle lettere h) e s) dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione.

In proposito, appare improprio, nella fattispecie in esame, il riferimento alla materia "sicurezza", di cui alla lettera h) del citato art. 117. Non sembra infatti necessario a questo scopo accertare, in una prospettiva generale, se nella legislazione e nella giurisprudenza costituzionale la nozione di "sicurezza pubblica" assuma un significato restrittivo, in quanto usata in endiadi con quella di "ordine pubblico", o invece assuma una portata estensiva, in quanto distinta dall'ordine pubblico, o collegata con la tutela della salute, dell'ambiente, del lavoro e così via. E' sufficiente infatti constatare che il contesto specifico della lettera h) del secondo comma dell'art. 117 -che riproduce pressoché integralmente l'art. 1, comma 3 lettera l), della legge n. 59 del 1997- induce, in ragione della connessione testuale con "ordine pubblico" e dell'esclusione esplicita della "polizia amministrativa locale", nonché in base ai lavori preparatori, ad un'interpretazione restrittiva della nozione di "sicurezza pubblica". Questa infatti, secondo un tradizionale indirizzo di questa Corte, è da configurare, in contrapposizione ai compiti di polizia amministrativa regionale e locale, come settore riservato allo Stato relativo alle misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico (sentenza n. 290 del 2001).

Alla luce di queste considerazioni, le disposizioni legislative in questione non possono rientrare nell'ambito materiale riservato alla competenza esclusiva dello Stato dalla lettera h) dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione. 

3.2.  - La disciplina in esame è invece riconducibile al disposto dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, relativo alla tutela dell'ambiente.

A questo riguardo va però precisato che non tutti gli ambiti materiali specificati nel secondo comma dell'art. 117 possono, in quanto tali, configurarsi come "materie" in senso stretto, poiché, in alcuni casi, si tratta più esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie (cfr. sentenza n. 282 del 2002). In questo senso l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, qualificabile come "tutela dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (cfr., da ultimo, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998).

I lavori preparatori relativi alla lettera s) del nuovo art. 117 della Costituzione inducono, d'altra parte, a considerare che l'intento del legislatore sia stato quello di riservare comunque allo Stato il potere di fissare standards di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. In definitiva, si può quindi ritenere che riguardo alla protezione dell'ambiente non si sia sostanzialmente inteso eliminare la preesistente pluralità di titoli di legittimazione per interventi regionali diretti a soddisfare contestualmente, nell'ambito delle proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato.

Anche nella fattispecie in esame, del resto, emerge dalle norme comunitarie e statali, che disciplinano il settore, una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti e funzionalmente collegati con quelli inerenti in via primaria alla tutela dell'ambiente. A questo proposito occorre, innanzi tutto, ricordare che nei "considerando" della citata direttiva 96/82/CE si afferma, tra l'altro, che la prevenzione di incidenti rilevanti è necessaria per limitare le loro "conseguenze per l'uomo e per l'ambiente", al fine di "tutelare la salute umana", anche attraverso l'adozione di particolari politiche in tema di destinazione e utilizzazione dei suoli. Più specificamente, il citato decreto legislativo di recepimento n. 334 del 1999, dopo avere, all'art. 1, premesso che il decreto stesso contiene disposizioni finalizzate a prevenire incidenti rilevanti connessi a determinate sostanze pericolose e a "limitarne le conseguenze per l'uomo e per l'ambiente", all'art. 3, comma 1, lettera f), definisce "incidente rilevante" l'evento che "dia luogo ad un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana o per l'ambiente". E gli stessi concetti vengono sostanzialmente ribaditi anche negli artt. 7, comma 1, e 8, commi 2 e 10, cosicché si può fondatamente ritenere, in riferimento alle norme citate, che il decreto in esame attenga, oltre che all'ambiente, anche alla materia "tutela della salute", la quale, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, rientra nella competenza concorrente delle regioni.

Così pure rientra nella competenza concorrente regionale la cura degli interessi relativi alla materia "governo del territorio", cui fanno riferimento, in particolare, gli artt. 6, commi 1 e 2, 8, comma 3, 12 e 14 dello stesso decreto, i quali prescrivono i vari adempimenti connessi all'edificazione e alla localizzazione degli stabilimenti, nonché diverse forme di "controllo sull'urbanizzazione". Anche le competenze relative alla materia della "protezione civile" possono essere individuate in alcune norme del citato decreto, come, ad esempio, l'art. 11, l'art. 12, l'art. 13, comma 1 lettera c), comma 2 lettere c) e d), l'art. 20 e l'art. 24, le quali prevedono essenzialmente la disciplina dei vari piani di emergenza nei casi di pericolo "all'interno o all'esterno dello stabilimento". Infine, alcune norme, come, in particolare, i citati artt. 5, commi 1 e 2, ed 11 dello stesso decreto, sono riconducibili anche alla materia “tutela e sicurezza del lavoro”, egualmente compresa nella legislazione concorrente.

In definitiva quindi il predetto decreto n. 334 del 1999 riconosce che le regioni sono titolari, in questo campo disciplinare, di una serie di competenze concorrenti, che riguardano profili indissolubilmente connessi ed intrecciati con la tutela dell'ambiente. 

4.  - Così definito il quadro degli interessi sottostanti alla vigente disciplina sulle attività a rischio rilevante, ne deriva che essa ha un'incidenza su una pluralità di interessi e di oggetti, in parte di competenza esclusiva dello Stato, ma in parte anche -come si è visto- di competenza concorrente delle regioni, i quali appunto legittimano una serie di interventi regionali nell'ambito, ovviamente, dei principi fondamentali della legislazione statale in materia, la cui violazione peraltro prospetta il ricorrente, anche se in via subordinata.

Alla luce di queste considerazioni è da respingere il motivo principale di ricorso, secondo cui, nel caso di specie, la materia de qua dovrebbe ritenersi di competenza legislativa statale esclusiva, afferendo essa sia alla tutela dell'ambiente che alla sicurezza pubblica. Ma è altrettanto da respingere il motivo prospettato in via subordinata, secondo cui "ove volesse considerarsi tale legge regionale alla stregua di atto regolamentare di competenza regionale", alcune norme di essa sarebbero illegittime sotto il profilo del mancato rispetto dei limiti fissati dal citato decreto legislativo n. 334 del 1999. 

In proposito è da osservare, indipendentemente dalla inammissibile "degradazione" della legge regionale a regolamento regionale, che i ricordati artt. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998 e 18 del d.lgs. n. 334 del 1999 stabiliscono che le regioni provvedono a disciplinare la materia con specifiche normative ai fini, in particolare, di "garantire la sicurezza del territorio e della popolazione". In questa ottica vanno appunto respinte le prospettate censure incentrate sull'asserito superamento dei limiti prestabiliti dal citato decreto legislativo n. 334 del 1999, dal momento che la Regione Lombardia può ragionevolmente adottare, nell'ambito delle proprie competenze concorrenti, una disciplina che sia maggiormente rigorosa, per le imprese a rischio di incidente rilevante, rispetto ai limiti fissati dal legislatore statale, proprio in quanto diretta ad assicurare un più elevato livello di garanzie per la popolazione ed il territorio interessati. 

In questo senso, d'altronde, si è già espressa questa Corte, quando in una vicenda analoga, a proposito dei limiti massimi di esposizione ai campi elettrico e magnetico, ha ritenuto non incostituzionale una disciplina regionale "specie a considerare che essa se, da un canto, implica limiti più severi di quelli fissati dallo Stato, non vanifica, dall'altro, in alcun modo gli obiettivi di protezione della salute da quest'ultimo perseguiti" (sentenza n. 382 del 1999). 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, 4, comma 2, 5, commi 1 e 2, della legge della Regione Lombardia 23 novembre 2001, n. 19 (Norme in materia di attività a rischio di incidenti rilevanti), sollevata, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe. 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002. 

F.to: Cesare RUPERTO, Presidente - Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore - Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere.  

Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2002.  Il Cancelliere   F.to: FRUSCELLA

  

Analisi della sentenza della Corte Costituzionale n.407/2002    ^

(Nota dell’Avv. Leonardo Salvemini)

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 407 depositata in cancelleria il 26 luglio 2002, ha segnato una serie di profili e criteri importanti per addivenire ad una chiara lettura dei rapporti tra Stato e Regioni, alla luce del nuovo titolo V della costituzione introdotto con la L.c. 3/2001.

In particolare la Corte ha segnatamente dato una chiara linea di lettura dell’art. 117 commi 2 e 3.

La Corte ha proseguito, sulla scia della sentenza 282 del 2002, nella sua analisi del nuovo art. 117 cost, in particolare ribadendo dapprima il criterio distintivo tra materia, competenza ed interesse, quale strumento metodologico - interpretativo di base delle prerogative legislative esclusive statali, regionali ed infine concorrenti per poi spingersi ad enunciare una serie di principi che appaiono essere di indubbio interesse scientifico.

La Corte aveva già affermato con la predetta sentenza n. 282 che “ quanto poi ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, non si tratta di una "materia" in senso stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle. Nella specie la legge impugnata non riguarda tanto livelli di prestazioni, quanto piuttosto l’appropriatezza, sotto il profilo della loro efficacia e dei loro eventuali effetti dannosi, di pratiche terapeutiche, vale a dire di un’attività volta alla tutela della salute delle persone, e quindi pone il problema della competenza a stabilire e applicare i criteri di determinazione di tale appropriatezza, distinguendo fra ciò che é pratica terapeutica ammessa e ciò che possa ritenersi intervento lesivo della salute e della personalità dei pazienti, come tale vietato “

Con la sentenza 407, la Corte ha riaffermato che “la disciplina in esame, norme in materia di attività a rischio di incidenti rilevanti, è invece riconducibile al disposto dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, relativo alla tutela dell'ambiente. A questo riguardo va però precisato che non tutti gli ambiti materiali specificati nel secondo comma dell'art. 117 possono, in quanto tali, configurarsi come "materie" in senso stretto, poiché, in alcuni casi, si tratta più esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie. In questo senso l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, qualificabile come "tutela dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e s’intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale” 

Appare chiaro come la Corte Costituzionale distingua nettamente tra materie e competenze nella definizione del comparto di appartenenza, se alle regioni o allo stato, e quindi, nella statuizione di un’eventuale violazione da parte degli stessi degli ambiti legislativi non di competenza, in base al nuovo art. 117 cost.

La Corte, tuttavia, non lascia intendere i criteri di definizione di una materia o competenza, lasciando tuttavia trapelare che non è possibile identificare, per alcune materie come la “ tutela dell’ambiente” un'unica ambito di rilevanza specifico, ben potendo la stessa materia interferire con altre competenze ed interessi la cui disciplina spetti, in maniera concorrente o esclusivo, ad altro soggetto.

Da qui la Corte arriva a definire l’ambiente, ma potrebbe valere per la salute, per la sicurezza ecc. , quale “ valore costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una materia "trasversale”, ovvero di competenza statale e/o regionale.

La Corte arriva ad affermare, infine, un ulteriore importante principio secondo cui, definita una materia ex art. 117 cost, quale valore costituzionalmente protetto, è possibile che a riguardo si possano manifestare competenze diverse, regionali o statali, concorrenti o esclusive, ma che spetterà allo Stato quelle “determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale”

Se applicato in via generale, questo principio potrebbe apparire fonte di una lettura riduttiva del nuovo titolo V, non certo in senso federalista, ma che, di converso, potrebbe rappresentare un importante strumento di tecnica legislativa onde evitare un vertiginoso aumento dei ricorsi alla Corte stessa.

 Avv. Leonardo Salvemini 

 

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