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Legislazione  giurisprudenza                                                                                         Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

Consiglio Stato, sez. IV, 6 Luglio 2002, n. 3728.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 8577 del 1995 proposto dalla Telecom Italia s.p.a., in persona del suo legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Sanino e Luigi Cocchi ed elettivamente domiciliata in Roma, Viale Parioli n. 180, presso lo studio del primo,

contro

il Comune di Varazze, non costituito in giudizio,

e nei confronti

della Regione Liguria, non costituita in giudizio,

per l'annullamento

della sentenza n. 136 in data 2 maggio 1995 pronunciata tra le parti dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, Sezione I;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore il cons. Corrado Allegretta;

Udito alla pubblica udienza del 29 gennaio 2002 l'avv. Sanino;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria la Società Italiana Per l’Esercizio Telefonico - SIP impugnava, chiedendone l'annullamento, il provvedimento n. 19448 in data 21 settembre 1990, con il quale il Sindaco del Comune di Varazze aveva rigettato l’istanza avanzata dalla Società in data 28 luglio 19990, intesa ad ottenere la concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell’art. 13 L. 28 febbraio 1985 n. 47 per il mutamento di destinazione d’uso con opere edilizie realizzato in un immobile in quella piazza Bovani, e conseguentemente aveva ordinato il ripristino dei luoghi allo stato anteriore alla modificazione d'uso. Impugnava, altresì, tutti gli atti presupposti e preparatori, tra i quali, espressamente, il parere reso dalla Commissione edilizia il 21 settembre 1990 e, in subordine, gli artt. 11 bis e 14 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale vigente.

A sostegno dell’impugnativa la ricorrente deduceva, con riguardo al diniego di sanatoria:

1) violazione e falsa applicazione dell'art. 31 lett. c) L. n. 457 del 1978 nonché degli artt. 11 bis e 14 delle n.t.a. del p.r.g.; eccesso di potere per falsità dei presupposti e travisamento dei fatti; difetto di motivazione e di istruttoria; in quanto l'intervento in oggetto poteva essere classificato come di risanamento o di restauro conservativo, trattandosi di intervento marginale rispetto all’organismo edilizio nel suo complesso;

2) in subordine: illegittimità degli atti di approvazione del PRG con particolare riguardo all'art. 11 bis delle NTA del PRG per violazione dell'art. 31 della I n.457\78 ed illegittimità derivata del provvedimento di diniego, qualora la citata normativa di attuazione fornisse una lettura riduttiva della definizione delle categorie d'interventi edilizi contenuta nella L. 457/78.

Con riguardo all’ingiunzione di ripristino, si deduceva in ricorso:

1) illegittimità derivata e violazione dell'art. 13 della L. n. 47/85, per illegittimità del diniego sanatoria;

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 9 e 10 della L. n. 47/85; eccesso di potere per falsità dei presupposti e travisamento dei fatti; contraddittorietà, illogicità e perplessità; sviamento di potere; essendo il provvedimento di demolizione fondato su due norme (artt. 7 e 9 cit.) tra loro distinte e disciplinanti una diversa valutazione, da parte, del legislatore, dell'abuso commesso, al quale invece si sarebbe dovuto applicare l'art. 10, trattandosi, nella specie, di intervento di restauro e risanamento conservativo.

Il ricorso è stato respinto con la sentenza in epigrafe indicata, contro la quale la Telecom Italia s.p.a., nel frattempo succeduta alla SIP, ha proposto l’appello in esame. La ricorrente ripropone sostanzialmente i motivi già dedotti in primo grado, contestando le ragioni sulle quali si fonda la sentenza, di cui chiede l’annullamento. Domanda, per l’effetto, l’accoglimento dell’originario ricorso e l’annullamento degli atti impugnati; con vittoria di spese.

Nella non costituzione delle parti appellate, la causa è stata trattata all’udienza pubblica del 29 gennaio 2002, nella quale, sentito il difensore presente, il Collegio si è riservata la decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.

Punto cruciale della controversia è la qualificazione da dare ai lavori eseguiti dalla ricorrente al fine di adattare il fabbricato oggetto del provvedimento impugnato alle esigenze derivanti dall’esercizio del servizio pubblico telefonico, di cui era concessionaria.

Il Comune ha ritenuto che l’intervento non fosse ascrivibile tra quelli di manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria e restauro conservativo assentibili, ai sensi della normativa tecnica di attuazione del vigente piano regolatore generale (artt. 11 bis e 14), con diretta autorizzazione ed in assenza di strumento urbanistico attuativo.

Secondo la ricorrente, invece, la fattispecie integra l’ipotesi del restauro e risanamento conservativo di cui all’art. 31 lett. c) della L. 5 agosto 1978 n. 457.

Questo assunto non può essere condiviso.

Secondo la definizione che ne dà la lettera c) dell’art. 31 citato, gli interventi di restauro e risanamento conservativo sono “quelli rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili”.

Nel caso in esame, le opere edilizie di cui si tratta consistono, tra l’altro, anche nella demolizione e ricostruzione di muri portanti e nella realizzazione, nella maggior parte dei locali, del cosiddetto pavimento galleggiante per il passaggio di cavi e tubazioni. Con esse si è provveduto ad adattare due piani di un edificio ricadente in centro storico (zona A1), destinati ad attività ricettiva alberghiera, “alle esigenze S.I.P. per l’installazione di apparecchiature di controllo indispensabili per la corretta gestione degli impianti telefonici nel comprensorio …” (come si legge nella relazione illustrativa del progetto).

L’intervento eseguito, pertanto, in primo luogo, non era diretto - come vuole la definizione dettata dalla norma e lo stesso significato proprio dei termini “recupero” e “risanamento” - a conservare l’organismo edilizio, attraverso il consolidamento, il ripristino o il rinnovo di suoi elementi costitutivi, ed a restituirgli una funzionalità non più esistente o compromessa. Esso aveva lo scopo di trasformare l’immobile al solo fine di adattarlo alla progettata diversa destinazione d’uso.

In secondo luogo, il mutamento di destinazione, che in linea di principio è consentito in entrambe le fattispecie normative del restauro-risanamento conservativo e della ristrutturazione, nella prima ipotesi soffre la limitazione, imposta dalla norma, della compatibilità con gli elementi tipologici, formali e strutturali del fabbricato. Nel nostro caso, la nuova destinazione ad uffici tecnologicamente attrezzati non appare compatibile, quanto meno, con la tipologia dell’edificio, costruito per essere adibito alla residenza; se non con elementi formali della costruzione, come le altezze dei singoli vani.

Sono da condividere, inoltre, le considerazioni svolte dal giudice di primo grado con riferimento al peso urbanistico connesso al mutamento di destinazione di cui si tratta, che rendono ragione della disposizione di cui all’art. 14 delle n.t.a. del vigente piano regolatore generale, a norma della quale, senza l’intermediazione di uno strumento urbanistico attuativo, non sono consentiti interventi diversi dalla manutenzione, ordinaria e straordinaria, e dal recupero e risanamento conservativo.

Nella residua ipotesi di ristrutturazione, infatti, la nuova destinazione d’uso è svincolata dal limite di compatibilità sopra evidenziato e, pertanto, sia pure nell’ambito della destinazione di zona, ben potrebbe incidere sugli standards urbanistici. Di qui la necessità del piano attuativo, nella stesura del quale la verificazione degli standards costituisce momento ineliminabile.

Così qualificato l’intervento edilizio controverso, si rivelano infondate tutte le censure dedotte dalla ricorrente, che sulla diversa qualificazione di risanamento conservativo si basano.

Senza fondamento deve ritenersi, altresì, il motivo riproposto con il quale si lamenta che nel provvedimento impugnato sia fatto congiunto richiamo a due norme, gli artt. 7 e 9 della L. n. 47 del 1985, tra loro distinte e relative a differenti tipi di abuso e che, ad ogni modo, trattandosi di intervento di restauro e risanamento conservativo non sia stato applicato, nella specie, il successivo art. 10.

Il provvedimento, invero, irroga la sanzione dell’eliminazione delle opere realizzate, al fine del ripristino della destinazione d’uso. Si tratta di sanzione prevista, per il caso di mancanza di concessione edilizia, da entrambe le disposizioni sopra citate, le quali, essendo in rapporto di specialità la seconda rispetto alla prima, ben possono essere richiamate congiuntamente.

Quanto all’invocato art. 10, esso non può trovare applicazione, vertendosi nella specie, come s’è visto, di intervento soggetto a concessione edilizia.

L’appello, in conclusione, va respinto.

In mancanza di costituzione delle parti appellate, non v’è luogo a provvedere sulle spese e competenze del grado di giudizio.

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello in epigrafe.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, nella camera di consiglio del 29 gennaio 2002 con l'intervento dei Signori:

Agostino Elefante                      - Presidente

Corrado Allegretta                      - Consigliere rel. est.

Goffredo Zaccardi                       - Consigliere

Francesco D’Ottavi                     - Consigliere

Marzio Branca                           - Consigliere

 

 

L'ESTENSORE                                           IL PRESIDENTE                                 IL SEGRETARIO

f.to Corrado Allegretta                                  f.to Agostino Elefante                          f.to Franca Provenziani

 

M A S S I M E

1) Definizione degli interventi di restauro e risanamento conservativo - significato proprio dei termini “recupero” e “risanamento”. Secondo la definizione che ne dà la lettera c) dell’art. 31 della L. 5 agosto 1978 n. 457, gli interventi di restauro e risanamento conservativo sono “quelli rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili”. Nel caso in esame, le opere edilizie di cui si tratta consistono, tra l’altro, anche nella demolizione e ricostruzione di muri portanti e nella realizzazione, nella maggior parte dei locali, del cosiddetto pavimento galleggiante per il passaggio di cavi e tubazioni. L’intervento eseguito, pertanto, in primo luogo, non era diretto - come vuole la definizione dettata dalla norma e lo stesso significato proprio dei termini “recupero” e “risanamento” - a conservare l’organismo edilizio, attraverso il consolidamento, il ripristino o il rinnovo di suoi elementi costitutivi, ed a restituirgli una funzionalità non più esistente o compromessa. Esso aveva lo scopo di trasformare l’immobile al solo fine di adattarlo alla progettata diversa destinazione d’uso. Consiglio  di  Stato  Sezione V, 6 luglio 2002 n. 3728

2) Il mutamento di destinazione - le fattispecie normative del restauro-risanamento conservativo e della ristrutturazione - la nuova destinazione d’uso - standards urbanistici. Il mutamento di destinazione, che in linea di principio è consentito in entrambe le fattispecie normative del restauro-risanamento conservativo e della ristrutturazione, nella prima ipotesi soffre la limitazione, imposta dalla norma, della compatibilità con gli elementi tipologici, formali e strutturali del fabbricato. Nel caso in specie, (si è provveduto ad adattare due piani di un edificio ricadente in centro storico (zona A1)) la nuova destinazione ad uffici tecnologicamente attrezzati non appare compatibile, quanto meno, con la tipologia dell’edificio, costruito per essere adibito alla residenza; se non con elementi formali della costruzione, come le altezze dei singoli vani. Nella residua ipotesi di ristrutturazione, infatti, la nuova destinazione d’uso è svincolata dal limite di compatibilità sopra evidenziato e, pertanto, sia pure nell’ambito della destinazione di zona, ben potrebbe incidere sugli standards urbanistici. Di qui la necessità del piano attuativo, nella stesura del quale la verificazione degli standards costituisce momento ineliminabile. Consiglio  di  Stato  Sezione V, 6 luglio 2002 n. 3728

 

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