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Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. del 23 aprile 2002, n. 2199.

 

REPUBBLICAITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato il seguente:

 

DECISIONE

 

sul ricorso in appello n. 3549/2001 proposto da AXA ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  Avilio Presutti e Giancarlo Faletti con domicilio eletto  in Roma  Piazza S.Salvatore in Lauro 2   presso Avilio Presutti

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, Rappresentata e Difesa dall’Avvocatura Gen. Stato con domicilio  in Roma Via Dei Portoghesi 12

Associazione di Utenti e Consumatori ADUSBEF non costituitosi

sul ricorso in appello n. 3796/2001 proposto da ASSIMOCO S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  domenico bonaccorsi di patti, luigi medugno e Stefano D'ercole  con domicilio eletto  in Roma  Largo Del Teatro Valle 6  presso Stefano D'ercole

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

ONLUS - Associazione di Utenti e Consumatori ADUSBEF non costituitosi;

ISVAP - Istituto Vigilanza Associazioni Private e di Interesse Collettivo non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 3797/2001, proposto da BAYERISCHE ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  Domenico Bonaccorsi Di Patti, Luigi Medugno e Stefano D'ercole   con domicilio eletto  in Roma  Largo Del Teatro Valle 6  presso Stefano D'ercole

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

ISVAP-ISTIT.VIGILANZA ASSICUR. PRIVATE E DI INTERESSE COLLETTIVO non costituitosi;

e nei confronti di

ASSOCIAZIONE DI UTENTI E CONSUMATORI ADUSBEF - ONLUS non costituitosi

sul ricorso in appello n. 3802/2001 proposto da IL DUOMO ASSICURAZIONI E RIASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  DOMENICO BONACCORSI DI PATTI,  LUIGI MEDUGNO e STEFANO D'ERCOLE   con domicilio eletto  in Roma  LARGO DEL TEATRO VALLE 6  presso STEFANO D'ERCOLE

contro

AUTORITA'   GARANTE   DELLA  CONCORRENZA  E  DEL MERCATO,

rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

ASSOCIAZIONE DI UTENTI E CONSUMATORI ADUSBEF (ONLUS) non costituitosi;

ISVAP-ISTITUTO VIGILANZA SU ASSICURAZIONI PRIVATE E DI INTERESSE COLLETTIVO non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 3803/2001 proposto da HELVETIA COMPAGNIA SVIZZERA DI ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  DOMENICO BONACCORSI DI PATTI, LUIGI MEDUGNO e STEFANO D'ERCOLE  con domicilio eletto  in Roma  LARGO DEL TEATRO VALLE 6  presso STEFANO D'ERCOLE

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

ASSOCIAZIONE DI UTENTI E CONSUMATORI ADUSBEF - ONLUS non costituitosi;

ISVAP - ISTITUTO VIGILANZA ASSICURAZIONI PRIVATE E DI INTERESSE COLLETTIVO non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 3804/2001 proposto da MAECI ASSICURAZIONI E RIASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  DOMENICO BONACCORSI DI PATTI, LUIGI MEDUGNO e STEFANO D'ERCOLE  con domicilio   eletto   in  Roma   LARGO   DEL   TEATRO   VALLE   6    presso

STEFANO D'ERCOLE

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

ASSOCIAZIONE DI UTENTI E CONSUMATORI ADUSBEF - ONLUS non costituitosi;

ISVAP-ISTITITUTO VIGILANZA ASSICURAZIONI PRIVATE E DI INTERESSE COLLETTIVO non costituitosi

sul ricorso in appello n. 10025/2001 proposto da VITTORIA ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  ALDO FRIGNANI e AVILIO PRESUTTI, con domicilio eletto  in Roma  PIAZZA S.SALVATORE IN LAURO 10  presso AVILIO PRESUTTI

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

ADUSBEF - ASSOCIAZIONE UTENTI E CONSUMATORI non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 10026/2001 proposto da LA PIEMONTESE ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  AVILIO PRESUTTI e ERASMO BESOSTRI GRIMALDI DI BELLINO con domicilio eletto  in Roma  PIAZZA S.SALVATORE IN LAURO 10  presso AVILIO PRESUTTI

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

ASSOCIAZIONE DI UTENTI E CONSUMATORI ADUSBEF non costituitosi

sul ricorso in appello n. 10031/2001  proposto da  GAN ITALIA S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  ALDO FRIGNANI e AVILIO PRESUTTI, con domicilio eletto  in Roma PIAZZA S.SALVATORE IN LAURO 10  presso AVILIO PRESUTTI

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

ASSOCIAZIONE UTENTI E CONSUMATORI ADUSBEF non costituitosi

sul ricorso in appello n. 10147/2001 proposto da COMPAGNIA ASSICURATRICE UNIPOL S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  LUIGI MEDUGNO e STEFANO D'ERCOLE con domicilio eletto in Roma, LARGO DEL TEATRO VALLE 6  presso STEFANO D'ERCOLE

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

ASSOCIAZIONE UTENTI E CONSUMATORI - ADUSBEF non costituitosi;

CODACONS non costituitosi;

RCLOG S.R.L. non costituitosi;

ISVAP ISTITUTO VIGILANZA ASSICURAZIONI PRIVATE non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 10148/2001 proposto da ASSIMOCO S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  LUIGI MEDUGNO e Avv.  STEFANO D'ERCOLE  con domicilio eletto  in Roma LARGO DEL TEATRO VALLE 6  presso STEFANO D'ERCOLE

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma VIA DEI PORTOGHESI 12

ASSOCIAZIONE UTENTI E CONSUMATORI ADUSBEF-ONLUS non costituitosi;

CODACONS non costituitosi;

RCLOG S.R.L. non costituitosi;

ISVAP-ISTITITUTO VIGILANZA ASSICURAZIONI PRIVATE E DI INTERESSE COLLETTIVO non costituitosi

sul ricorso in appello n. 10149/2001  proposto da BAYERISCHE ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  LUIGI MEDUGNO e Avv.  STEFANO D'ERCOLE  con domicilio eletto  in Roma  LARGO DEL TEATRO VALLE 6  presso STEFANO D'ERCOLE

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma VIA DEI PORTOGHESI 12

ASSOCIAZIONE UTENTI E CONSUMATORI ADUSBEF - ONLUS non costituitosi;

CODACONS non costituitosi;

RCLOG S.R.L. non costituitosi;

ISVAP-ISTITUTO VIGILANZA ASSICURAZIONI PRIVATE E DI INTERESSE COLLETTIVO non costituitosi

sul ricorso in appello n. 10150/2001 proposto da DUOMO ASSICURAZIONI E RIASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  LUIGI MEDUGNO e STEFANO D'ERCOLE   con domicilio eletto in Roma LARGO DEL TEATRO VALLE 6  presso  STEFANO D'ERCOLE

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO,   rappresentata  e  difesa dall’AVVOCATURA  GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

ASSOCIAZIONE UTENTI E CONSUMATORI - ADUSBEF non costituitosi;

CODACONS non costituitosi;

RCLOG S.R.L. non costituitosi;

ISVAP ISTITUTO VIGILANZA ASSICURAZIONI PRIVATE E DI INTERESSE COLLETTIVO non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 10151/2001 proposto da HELVETIA COMPAGNIA SVIZZERA DI ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  LUIGI MEDUGNO e STEFANO D'ERCOLE con domicilio eletto  in Roma   LARGO DEL TEATRO VALLE 6  presso  STEFANO D'ERCOLE

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

ASSOCIAZIONE UTENTI E CONSUMATORI - ADUSBEF non costituitosi;

CODACONS non costituitosi;

RCLOG S.R.L. non costituitosi;

ISVAP - ISTITUTO VIGILANZA ASSICURAZIONI PRIVATE E DI INTERESSE COLLETTIVO non costituitosi

sul ricorso in appello n.10152/2001 proposto da MAECI ASSICURAZIONI E RIASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  LUIGI MEDUGNO e STEFANO D'ERCOLE con domicilio eletto in Roma  LARGO DEL TEATRO VALLE 6  presso  STEFANO D'ERCOLE

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

ASSOCIAZIONE UTENTI E CONSUMATORI - ADUSBEF non costituitosi;

CODACONS non costituitosi;

RCLOG S.R.L. non costituitosi;

ISVAP ISTITUTO VIGILANZA ASSICURAZIONI PRIVATE E DI INTERESSE COLLETTIVO, non costituitosi,

sul ricorso in appello n. 10304/2001 proposto da S.P.A. LA NAZIONALE COMPAGNIA DI ASSICURAZIONE E RIASSICURAZIONE, rappresentata e difesa dagli Avv.  STEFANO CRISCI con domicilio eletto  in Roma  VIA PARIGI 11   

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS non costituitosi;

ADUSBEF non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 3787/2001  proposto da ZURIGO COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI S.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  GIUSEPPE MINIERI e LORENZO PINTUS  con domicilio eletto  in Roma PIAZZA CARDELLI . 4    presso  CARLA GROSSI

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

VITTORIA ASSICURAZIONI S.P.A. non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 4550/2001 proposto da ROYAL & SUN ALLIANCE ASSICURAZIONI SUN INSURANCE OFFICE, rappresentata e difesa dagli Avv.  ANTONIO LIROSI e MATTEO FUSILLO con domicilio eletto  in Roma  VIA DELLE QUATTRO FONTANE 20 presso GIANNI ORIGONI

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma VIA DEI PORTOGHESI 12

sul ricorso in appello n. 9964/2001 proposto da NUOVA MAA ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  ANDREINA DEGLI ESPOSTI, LORENZO CAPOTOSTI e RICCARDO VILLATA, con domicilio eletto  in Roma  VIA F. DENZA 50/A  presso   DEGLI ESPOSTI ANDREINA VILLATA RICCARDO

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 9966/2001 proposto da SAI SOCIETA' ASSICURATRICE INDUSTRIALE S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  ANDREINA DEGLI ESPOSTI, LORENZO CAPOTOSTI e RICCARDO VILLATA, con domicilio eletto  in Roma VIA F. DENZA 50/A presso  DEGLI ESPOSTI ANDREINA VILLATA RICCARDO

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 9967/2001 proposto da ITAS ISTITUTO TRENTINO ALTO ADIGE PER ASSICURAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avv.  LORENZO CAPOTOSTI con domicilio eletto  in Roma  VIA PARIGI 11

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 9969/2001 proposto da COMMERCIAL UNION INSURANCE S.P.A., rappresentata e difesa dall’Avv.  LORENZO CAPOTOSTI  con domicilio eletto  in Roma  VIA PARIGI

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 9970/2001 proposto da LA FONDIARIA ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dall’Avv.  LORENZO CAPOTOSTI  con domicilio eletto  in Roma  VIA PARIGI

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa  dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in

Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 9971/2001 proposto da HDI ASSICURAZIONI S.P.A. (già BNC Assicurazioni s.p.a.), rappresentata e difesa dall’Avv.  LORENZO CAPOTOSTI  con domicilio eletto  in Roma VIA PARIGI

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 9972/2001 proposto da MILANO ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dall’Avv.  LORENZO CAPOTOSTI  con domicilio eletto  in Roma   VIA PARIGI 11

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 9973/2001 proposto da MEIEAURORA ASSICURAZIONI S.P.A. (GIA' MEIE ASS. S.P.A.), rappresentata e difesa dall’Avv.  LORENZO CAPOTOSTI  con domicilio eletto  in Roma  VIA PARIGI 11

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 10022/2001 proposto da SARA ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  GIOVANNA VOLPE PUTZOLU e GIUSEPPE GUARINO  con domicilio eletto  in Roma  VIA PARIGI 11    presso   GIOVANNA VOLPE PUTZOLU

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS non costituitosi;

ADUSBEF - ASSOCIAZIONE UTENTI E CONSUMATORI non costituitosi

sul ricorso in appello n. 10028/2001 proposto da RC LOG S.R.L., rappresentato e difeso da:Avv.  GIOVANNI CAVANI e RAFFAELE CAVANI, con domicilio eletto  in Roma  PIAZZA CARDELLI . 4   presso  CARLA GROSSI

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12,

e nei confronti di

VITTORIA ASSICURAZIONI S.P.A. non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 10029/2001 proposto da MEDIOLANUM ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa da:Avv.  GIUSEPPE MINIERI e LORENZO PINTUS  con domicilio eletto  in Roma  PIAZZA CARDELLI . 4    presso  CARLA GROSSI

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

VITTORIA ASSICURAZIONI S.P.A. non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 10072/2001 proposto da LLOYD ITALICO ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  ANTONIO LIROSI, CARLINO SCOFONE e MATTEO FUSILLO  con domicilio eletto  in Roma   VIA DELLE QUATTRO FONTANE, 20   presso ANTONIO LIROSI

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS non costituitosi;

ADUSBEF non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 10073/2001 proposto da ROYAL INTERNATIONALE

INSURANCE HOLDINGS LTD-ROYAL INSURANCE, rappresentata e difesa dagli Avv.  ANTONELLO LIROSI,  MATTEO ROSSI con domicilio eletto  in Roma VIA DELLE QUATTRO FONTANE 20  presso ANTONELLO LIROSI (ORIGONI & PARTNERS)

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS non costituitosi;

ADUSBEF non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 10093/2001 proposto da TORO ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  EUGENIO BARCELLONA, FRANZO GRANDE STEVENS e MARIO SANINO con domicilio eletto  in Roma  VIALE PARIOLI, 180  presso  MARIO SANINO

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS non costituitosi;

ASSOCIAZIONE UTENTI E CONSUMATORI ADUSBEF - ONLUS non costituitosi

sul ricorso in appello n. 10094/2001 proposto da NUOVA TIRRENA S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  EUGENIO BARCELLONA, FRANZO STEVENS GRANDE e MARIO SANINO con domicilio eletto  in Roma  VIALE PARIOLI, 180  presso  MARIO SANINO

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS non costituitosi;

ASSOCIAZIONE UTENTI E CONSUMATORI - ADUSBEF non costituitosi

sul ricorso in appello n. 10095/2001 proposto da AUGUSTA ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  EUGENIO BARCELLONA, MARIO SANINO e FRANZO GRANDE STEVENS con domicilio eletto  in Roma  VIALE PARIOLI, 180  presso  MARIO SANINO

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS non costituitosi;

ASSOCIAZIONE UTENTI E CONSUMATORI- ADUSBEF non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 10096/2001 proposto da ALLIANZ SUBALPINA S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  FRANCESCO DENOZZA, GIUSEPPE MORBIDELLI, MARIO SANINO e MICHELE ROMA con domicilio eletto  in Roma  VIALE PARIOLI, 180  presso   MARIO SANINO

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS non costituitosi;

ASSOCIAZIONE UTENTI E CONSUMATORI - ADUSBEF non costituitosi

sul ricorso in appello n. 10131/2001 proposto da SOCIETA' REALE MUTUA ASSICURAZIONI, rappresentata e difesa dagli Avv.  CARLO PARVIS, GIOVANNI GAZZOLA, LUCIO ANELLI e MARCO WEIGMANN  con domicilio eletto  in Roma VIA DELLA SCROFA 47    presso LUCIO ANELLI

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

CODACONS non costituitosi;

e nei confronti di

ADUSBEF non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 10135/2001 proposto da S.P.A. ITALIANA ASSICURAZIONI, rappresentata e difesa dagli Avv. GIOVANNI GAZZOLA, GUIDO CANALE, LUCIO ANELLI e MARCO WEIGMANN  con domicilio eletto in Roma VIA DELLA SCROFA 47 presso LUCIO ANELLI

contro

AUTORITA'  GARANTE  DELLA  CONCORRENZA  E  DEL  MERCATO,

rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

ASSOCIAZIONE UTENTI E CONSUMATORI - ADUSBEF non costituitosi;

CODACONS non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 10308/2001 proposto da S.P.A. RAS RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA', rappresentata e difesa dagli Avv. GIUSEPPE MORBIDELLI, LUIGI MEDUGNO e STEFANO D'ERCOLE con domicilio eletto  in Roma  VIA LARGO DEL TEATRO VALLE 6  presso STEFANO D'ERCOLE

contro

AUTORITA'  GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

CODANCONS non costituitosi;

e nei confronti di

ADUSBEF non costituitosi

sul ricorso in appello n. 10317/2001 proposto da FATA FONDO ASSICURATIVO AGRICOLTORI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  AURELIO PAPPALARDO, CLAUDIO TESAURO, DOMENICO BONACCORSI DI PATTI,  GAETANO SCOCA,  GIUSEPPE GUARINO,  GUSTAVO MINERVINI, LUIGI MEDUGNO e STEFANO D'ERCOLE con domicilio eletto  in Roma VIA G.PAISIELLO, 55  presso  FRANCO GAETANO SCOCA

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma VIA DEI PORTOGHESI 12

sul ricorso in appello n. 10318/2001 proposto da ASSICURAZIONI GENERALI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  AURELIO PAPPALARDO, CLAUDIO TESAURO, DOMENICO BONACCORSI DI PATTI,  GIUSEPPE GUARINO, GUSTAVO MINERVINI, LUIGI MEDUGNO e STEFANO D'ERCOLE con domicilio eletto  in Roma  VIA G.PAISIELLO, 55  presso FRANCO GAETANO SCOCA

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma VIA DEI PORTOGHESI 12,

e nei confronti di

CODACONS, rappresentato e difeso dall’Avv.  CARLO RIENZI con domicilio  eletto in Roma VIALE GIUSEPPE MAZZINI N.73  pressoUFFICIO LEGALE CODACONS

ADUSBEF non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 10319/2001 proposto da ASSITALIA LE ASSICURAZIONI D'ITALIA S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.  AURELIO PAPPALARDO,  CLAUDIO TESAURO, DOMENICO BONACCORSI DI PATTI,  FRANCO GAETANO SCOCA, GIUSEPPE GUARINO, GUSTAVO MINERVINI,  LUIGI MEDUGNO e STEFANO D'ERCOLE con domicilio eletto  in Roma  VIA G.PAISIELLO, 55 presso FRANCO GAETANO SCOCA

contro

AUTORITA' GARANE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma VIA DEI PORTOGHESI 12

e nei confronti di

CODACONS, rappresentato e difeso dall’Avv.  CARLO RIENZI con domicilio  eletto in Roma VIALE GIUSEPPE MAZZINI N.73 presso  UFFICIO LEGALE CODACONS

ADUSBEF non costituitosi;

sul ricorso in appello n. 10320/2001 proposto da LLOYD ADRIATICO S.P.A., rappresentata e difesa dagli  Avv.  FRANCO GAETANO SCOCA e MARIO NUZZO con domicilio eletto  in Roma  VIA G.PAISIELLO, 55  presso FRANCO GAETANO SCOCA

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12

sul ricorso in appello n. 10338/2001 proposto da WINTERTHUR ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv. FRANCESCO CEFALY e MARIO SANINO  con domicilio eletto  in Roma VIA BERTOLONI  N.55    presso  FRANCESCO CEFALY

contro

AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GEN. STATO con domicilio  in Roma  VIA DEI PORTOGHESI 12;

CODACONS non costituitosi;

ASSOCIAZIONE DI UTENTI E CONSUMATORI - ADUSBEF non costituitosi;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione I, n. 6139/2001 pubblicata il 5 luglio 2001;

Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità appellata e del Codacons;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive

difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 26 febbraio 2002 relatori il Consigliere Lanfranco Balucani e il Consigliere, estensore, Roberto Chieppa.

Uditi gli Avv.ti Presutti, Faletti, Medugno, Frignani, Besostri, Crisci, Minieri, Lirosi, Villata, Capotosti, Guarino, Cavani Giovanni, Cavani Raffaele, Scofone, Rossi, Barcellona, Sanino, Denozza, Morbidelli, Roma, Anelli, Gazzola, Scoca, Minervini, Tesauro, Rienzi, Nuzzo, Cefaly e gli Avv.ti dello Stato Sclafani e Braguglia;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

 

F A T T O

 

Nel corso del 1998 veniva svolta un'analisi campionaria condotta dal Centro Tutela Concorrenza e Mercato della Guardia di Finanza in relazione alle concrete modalità di assunzione delle polizze per l'assicurazione auto.

L'indagine della Guardia di Finanza interessava un campione di 90 agenzie rappresentative dei primi 15 gruppi assicurativi nel ramo della Responsabilità Civile Auto per volume di premi raccolti nel 1997.

In data 30 ottobre 1998 perveniva all'Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito Autorità) il rapporto del Centro Tutela Concorrenza e Mercato della Guardia di Finanza, dal quale emergeva, tra l'altro, che tutte le agenzie interpellate avevano rifiutato di assumere il rischio incendio e furto separatamente da quello relativo alla RCA sia per le autovetture sia per i ciclomotori.

L’Autorità avviava, con delibera dell'8 settembre 1999, un’istruttoria al fine di verificare se l'omogeneità del comportamento delle imprese potesse derivare da un'intesa realizzata dalle imprese di assicurazione interpellate, in violazione dell'articolo 2 della legge n. 287/90.

A seguito di verifiche ispettive svolte nel settembre del 1999 presso le sedi di alcune imprese di assicurazione coinvolte e presso l'associazione di categoria, ANIA, veniva rinvenuta documentazione relativa anche ad un'attività di scambio di informazioni, avente ad oggetto, tra l'altro, i premi commerciali e le condizioni contrattuali, realizzata da numerose imprese di assicurazione, attraverso il ricorso ad una società esterna (RC Log.).

Sulla base di tale ulteriore documentazione, l'Autorità, nell'Adunanza del 10 novembre 1999, deliberava un'estensione oggettiva e soggettiva del procedimento, al fine di verificare se lo scambio di informazioni tra le imprese di assicurazione potesse essere suscettibile di determinare una violazione dell'articolo 2 della legge n. 287/90. L'estensione riguardava ulteriori 14 imprese di assicurazione, nonché la stessa RC Log.

Nel corso della successiva attività istruttoria emergeva che altre imprese avevano partecipato allo scambio di informazioni realizzato attraverso RC Log e, pertanto, l'Autorità deliberava, in data 3 febbraio e 10 marzo 2000, nuove estensioni soggettive del procedimento ad ulteriori 13 imprese di assicurazione.

In data 12 maggio 2000 veniva inviata alle parti la Comunicazione delle Risultanze Istruttorie (C.R.I.). A seguito del ricevimento di detta Comunicazione tutte le parti hanno esercitato il diritto di difesa attraverso la produzione di ampie memorie ed allegati; talune hanno richiesto (ed ottenuto) audizione separata di fronte all’Autorità, in ragione della "riservatezza delle informazioni oggetto del procedimento". All'audizione finale delle parti, svoltasi il 15 giugno 2000, partecipavano 24 imprese.

In data 14 luglio 2000 perveniva all’Autorità il parere dell’ISVAP, come previsto dall’art. 20, comma 4, della legge n. 287/90.

In data 27 luglio 2000 l’Autorità deliberava:

“a) che le società Assicurazioni Generali Spa, Assitalia - Le Assicurazioni d'Italia Spa, AXA Assicurazioni Spa, Bayerische Assicurazioni Spa, Levante Norditalia Assicurazioni e Riassicurazioni Spa, Lloyd Adriatico Spa, Lloyd Italico Assicurazioni Spa, Milano Assicurazioni Spa, SAI - Società Assicuratrice Industriale Spa, Sara Assicurazioni Spa, Società Reale Mutua di Assicurazioni, Toro Assicurazioni Spa, Compagnia Assicuratrice Unipol Spa, Winterthur Assicurazioni Spa e Zurigo Compagnia di Assicurazioni Sa hanno posto in essere, in violazione dell'articolo 2, comma 2, della legge n. 287/90, un'intesa orizzontale consistente in una pratica concordata di vendita congiunta di polizze CVT e RCA;

b) che le società Assicurazioni Generali Spa, Assitalia - Le Assicurazioni d'Italia Spa, AXA Assicurazioni Spa, Bayerische Assicurazioni Spa, Lloyd Adriatico Spa, Lloyd Italico Assicurazioni Spa, Milano Assicurazioni Spa, SAI - Società Assicuratrice Industriale Spa, Sara Assicurazioni Spa, Società Reale Mutua di Assicurazioni, Toro Assicurazioni Spa, Compagnia Assicuratrice Unipol Spa, Winterthur Assicurazioni Spa, Zurigo Compagnia di Assicurazioni Sa, Allianz Subalpina Spa Società di Assicurazioni e Riassicurazioni, BNC Assicurazioni Spa, Commercial Union Insurance Spa, GAN Italia Spa Compagnia Italiana di Assicurazioni e Riassicurazioni, Helvetia Compagnia Svizzera di Assicurazioni, Il Duomo Spa di Assicurazioni e Riassicurazioni, Compagnia Italiana di Previdenza, Assicurazioni e Riassicurazioni Spa, La Fondiaria Assicurazioni Spa, Mediolanum Assicurazioni Spa, Meie Assicurazioni Spa, Nuova Tirrena Spa di Assicurazioni, Riassicurazioni e Capitalizzazioni, Riunione Adriatica di Sicurtà Spa, Royal & Sun Alliance Assicurazioni Sun Insurance Office Ltd, Vittoria Assicurazioni Spa, Allstate Diretto - Assicurazioni Danni Spa, Assimoco Spa Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni Movimento Cooperativo, Augusta Assicurazioni Spa, Azuritalia Assicurazioni Spa, FATA - Fondo Assicurativo tra Agricoltori Spa di Assicurazioni e Riassicurazioni, ITAS - Istituto Trentino Alto-Adige per Assicurazioni, Società di Mutua Assicurazione, La Nationale Compagnia Italiana di Assicurazioni e Riassicurazioni Spa, La Piemontese Assicurazioni Spa, Maeci Assicurazioni e Riassicurazioni Spa, Nuova MAA Assicurazioni Spa e Royal International Insurance Holdings Ltd hanno posto in essere, in violazione dell'articolo 2, comma 2, della legge n. 287/90, una complessa ed articolata intesa orizzontale, nella forma di una pratica concordata, consistente nello scambio sistematico di informazioni commerciali sensibili tra imprese concorrenti;

c) che le imprese citate al punto a) cessino dall'attuazione e dalla continuazione dell'infrazione accertata, si astengano da ogni intesa analoga a quella accertata e presentino, entro quattro mesi dalla notificazione del presente provvedimento, una relazione circa le misure adottate per rimuovere l'infrazione accertata;

d) che le imprese citate al punto b) cessino immediatamente dall'attuazione e continuazione delle infrazioni accertate, si astengano da ogni intesa analoga a quella accertata e comunichino entro 60 giorni dalla notificazione del presente provvedimento le misure adottate per rimuovere l'infrazione accertata;

e) che, in ragione della gravità e durata dell'infrazione di cui al punto b), alle società di seguito indicate venga applicata la sanzione amministrativa pecuniaria nella seguente misura (lire):

Allianz Subalpina                      15.563.969.006

Allstate                                     0

Assimoco                                 1.160.332.075

Assitalia                                    52.985.054.147

Augusta                                    2.094.039.401

AXA                                         32.668.659.589

Azuritalia                                  878.383

Bayerische                               3.053.583.613

BNC                                         3.187.271.766

Commercial Union               1.248.196.618

Duomo                         2.097.354.376

Fata                                         3.105.818.162

Fondiaria                                  32.926.045.327

Gan                                          8.469.660.868

Generali                                    59.137.453.396

Helvetia                        4.078.666.185

Italiana                                     3.791.566.344

ITAS                                         1.245.183.198

Lloyd Adriatico              50.897.996.960

Lloyd Italico                              7.301.075.421

Maeci                                       1.962.203.294

Mediolanum                              1.206.406.969

Meie                                         12.124.835089

Milano                                      39.814.482.037

Nationale                                  2.014.707.844

Nuova MAA                               7.452.978.416

Nuova Tirrena                            15.762.140.611

Piemontese                              1.645.447.122

RAS                                         94.769.616.966

Reale Mutua                             22.995.966.031

Royal Insurance                        673.930.143

Royal & SunAlliance                  2.305.758.961

Sai                                           70.328.409.529

Sara                                         14.029.013.318

Toro                                         31.234.699.457

Unipol                                       33.050.995.425

Vittoria                         3.860.317.679

Winterthur                                 41.230.512.384

Zurigo                                       18.369.282.494”

Avverso il descritto provvedimento le imprese di assicurazione e RC LOG proponevano separati ricorsi, che venivano riuniti e respinti dal Tar del Lazio con sentenza n. 6139 del 5-7-2001.

Le imprese indicate in epigrafe hanno impugnato l’indicata sentenza con separati ricorsi, producendo ampie memorie ed ulteriore documentazione a sostegno dei motivi di appello, che saranno illustrati nella parte in diritto della presente decisione.

L’Autorità si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione degli appelli ed in alcuni giudizi, indicati nell’intestazione della presente decisione, si è costituto anche il Codacons proponendo analoga richiesta.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

 

D I R I T T O

 

1. Considerazioni preliminari

1.1. Preliminarmente deve essere disposta la riunione degli appelli, in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

Al riguardo, alcune delle imprese appellanti si sono lamentate del fatto che la riunione dei ricorsi, disposta dal Tar, abbia determinato gravi carenze nel contenuto motivazionale della decisione impugnata, in cui sono state esaminate le varie questioni, come sollevate in linea di massima dalle ricorrenti, senza affrontare gli specifici profili dedotti dalle imprese con riferimento alla propria singola posizione.

L’assunto è privo di fondamento, in quanto il Tar ha riunito i motivi analoghi proposti dalle imprese ed ha poi esaminato le censure relative alle singole posizioni delle compagnie.

Peraltro, anche in ipotesi di parziale omessa pronuncia del giudice di primo grado, ciò comporterebbe solo l’esame del motivo da parte di questo giudice di secondo grado in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello; si ritiene comunque di utilizzare lo stesso metodo fatto proprio dal Tar: il contestuale esame dei motivi analoghi con espressa valutazione delle censure autonome o che presentano profili specifici inerenti la singola impresa.

Si rileva solo incidentalmente, con riguardo alle lamentate carenze ed errori determinati dall’approccio metodologico della sentenza impugnata, che la complessità della questione ed il coinvolgimento di un elevato numero di parti ha indotto in evidenti errori anche le imprese appellanti, alcune delle quali nel formulare i motivi di appello hanno fatto riferimento a posizioni proprie di imprese diverse (vedi, ad esempio, i motivi proposti da Fata in ordine alla questione dell’abbinamento, cui Fata era estranea e che devono pertanto essere ritenuti inammissibili per carenza di interesse).

1.2. L’Avvocatura dello Stato ha eccepito l’inammissibilità di alcuni motivi, formulati per la prima volta in appello e di alcune produzioni documentali, non depositate presso il Tar e non facenti parte del procedimento.

In realtà si tratta per lo più di motivi con cui venivano specificate ed illustrate censure già proposte in primo grado, salvo quanto si dirà in seguito in relazione alle singole censure.

Per quanto attiene alle produzioni documentali si osserva che il fatto che non si tratta di atti del procedimento non preclude certo la produzione in giudizio, mentre le contestate perizie di parte prodotte in appello devono ritenersi ammissibili sia perché depositate a supporto di richieste istruttorie (CTU) sia perché costituenti mera integrazione di quelle prodotte in primo grado e contenenti osservazioni relative anche alle obiezioni contenute nella sentenza impugnata (v. , in particolare, l’integrazione della perizia del Prof. Ottaviani).

1.3.1. Alcune appellanti (v., in particolare, Lloyd Adriatico) hanno rilevato che la limitazione del sindacato giurisdizionale, propria dell’impostazione del Tar, avrebbe precluso l’effettivo controllo dell’operato dell’Autorità, vanificando la stessa tutela giurisdizionale, che è stata per di più limitata anche in ordine al controllo delle gravi sanzioni pecuniarie irrogate. Si lamenta inoltre che il Tar abbia ignorato i nuovi mezzi istruttori introdotti dal legislatore e, in particolare, la C.T.U., richiesta da diverse parti.

Infine, il giudice di primo grado, nel limitare il proprio sindacato alla verifica della legittimità dell’impugnato provvedimento, non avrebbe proceduto alla verifica della verità del fatto assunto dall’Autorità a fondamento della propria decisione.

Tale ultima affermazione, riferita dall’appellante alle pagine 20 e 21 della impugnata sentenza, non trova riscontro nei principi affermati dal Tar, che ha sì inteso limitare il proprio sindacato ai soli vizi di legittimità, ma non ha in alcun modo escluso l’accertamento del fatto, sottolineando solo l’impossibilità di sostituire proprie valutazioni di merito a quelle effettuate dall’Autorità e a queste riservate (v. pag. 21 della decisione appellata).

Ciò premesso, il motivo proposto coinvolge comunque la natura del sindacato giurisdizionale sui provvedimenti dell’Autorità antitrust e sulle sanzioni da questa irrogate; la questione richiede un approfondimento, tenuto anche conto dei profili di incostituzionalità dedotti da alcune imprese in ordine ad una interpretazione “limitativa” del sindacato giurisdizionale sugli atti dell’Autorità antitrust (v., in particolare, Ras in ordine al controllo sulle sanzioni)

Si ricorda che la Sezione ha già in precedenza ritenuto che i provvedimenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato sono sindacabili in giudizio, per vizi di legittimità, e non di merito. Purché si rimanga nell’ambito dei vizi di legittimità, il sindacato giudiziale non incontra limiti, potendo essere esercitato, oltre che in relazione ai vizi di incompetenza e violazione di legge, anche in relazione a quello di eccesso di potere in tutte le sue forme. Allorché, peraltro, viene dedotto, avverso i provvedimenti dell’Autorità, il vizio di eccesso di potere, il giudice, nell’ambito del suo sindacato, circoscritto alla sola legittimità dell’atto, e non esteso al merito delle scelte amministrative, può solo verificare se il provvedimento impugnato appaia logico, congruo, ragionevole, correttamente motivato e istruito, ma non può anche sostituire proprie valutazioni di merito a quelle effettuate dall’Autorità, e a questa riservate. (v. Cons. Stato, VI, n. 1348/200, Italcementi; n. 1671/2001 Caldaie; n. 4118/2001, Vigilanza privata).

Nel confermare detto orientamento si ritiene di dover approfondire la questione in relazione alle censure mosse dalle appellanti, che lamentano l’insufficienza di un sindacato di tale tipo soprattutto con riferimento all’accertamento dei fatti posti a fondamento dell’impugnato provvedimento.

I provvedimenti dell’Autorità antitrust hanno natura atipica e sono articolati in più parti, che corrispondono alle fasi del controllo svolto dall’Autorità:

a) una prima fase di accertamento dei fatti;

b) una seconda di “contestualizzazione” della norma posta a tutela della concorrenza, che facendo riferimento a “concetti giuridici indeterminati” (quali il mercato rilevante, l’abuso di posizione dominante, le intese restrittive della concorrenza) necessita di una esatta individuazione degli elementi costitutivi dell’illecito contestato (le norme in materia di concorrenza non sono di “stretta interpretazione”, ma colpiscono il dato sostanziale costituito dai comportamenti collusivi tra le imprese, non previamente identificabili, che abbiano oggetto o effetto anticoncorrenziale (v. sul punto Cons. Stato, VI, n. 1189/2001, Rischi Comune Milano);

c) una terza fase in cui i fatti accertati vengono confrontati con il parametro come sopra “contestualizzato”;

d) un ultima fase di applicazione delle sanzioni, previste dalla disciplina vigente.

E’ errata la tesi sostenuta da alcune appellanti, secondo cui il controllo di legittimità precluderebbe al giudice amministrativo la verifica della verità del fatto posto a fondamento dei provvedimenti dell’Autorità.

A seguito del progressivo spostamento dell’oggetto del giudizio amministrativo dall’atto al rapporto controverso (pretesa fatta valere, secondo alcuni) deve ormai ritenersi superato quell’orientamento che negava al giudice amministrativo l’accesso diretto al fatto, salvo che gli elementi di fatto risultassero esclusi o sussistenti in base alle risultanze procedimentali.

Del resto, anche nei giudizi di legittimità, l’ammissibilità dei c.d. vizi sintomatici estrinseci all’atto ha condotto a ritenere che il giudice amministrativo abbia il potere di conoscere le questioni di fatto la cui risoluzione è necessaria per verificare l’esistenza dei vizi dell’atto impugnato.

L’introduzione nel processo amministrativo dello strumento della C.T.U., dapprima per la sola giurisdizione esclusiva (art. 35, comma 3, D. Lgs. n. 80/98) e poi anche in quella di legittimità (art. 44 del T.U. n. 1054/1924, come novellato dall’art. 1 della legge n. 205/2000), ha fatto cadere anche quelle limitazioni di carattere processuale che venivano invocate a fondamento della limitazione del sindacato del giudice amministrativo.

L’estensione delle materie di giurisdizione esclusiva (per quel che qui interessa, vedi l’art. 33, comma 1, della legge n. 287/90) ha confermato il potere del G.A. di pieno accesso al fatto, idoneo nel contempo alla tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi.

In definitiva, i fatti posti a fondamento dei provvedimenti dell’Autorità antitrust possono senza dubbio essere pienamente verificati dal giudice amministrativo sotto il profilo della verità degli stessi; ciò presuppone la valutazione degli elementi di prova raccolti dall’Autorità e delle prove a difesa offerte dalle imprese senza che l’accesso al fatto del giudice possa subire alcuna limitazione.

Per quanto concerne le fasi sopra indicate sub b) e c), consistenti nell’individuazione del parametro normativo e nel raffronto con i fatti accertati, si osserva che l’Autorità esercita, almeno in parte, un’attività discrezionale di carattere tecnico e non amministrativo (una discrezionalità di tipo amministrativo è ipotizzabile, al più, per i provvedimenti di dispensa o di deroga di cui agli artt. 4 e 25 della legge n. 287/90).

Le valutazioni tecniche dell’Autorità non si fondano su regole scientifiche, esatte e non opinabili, ma sono il frutto di scienze inesatte ed opinabili (in prevalenza, di carattere economico) con cui vengono definiti i sopra descritti “concetti giuridici indeterminati”.

In questi casi la tutela giurisdizionale, per essere effettiva, non può limitarsi ad un sindacato meramente estrinseco, ma deve consentire al giudice un controllo intrinseco, avvalendosi eventualmente anche di regole e conoscenze tecniche appartenenti alla medesima scienza specialistica applicata dall’amministrazione.

L’estensione del sindacato del G.A. sulla discrezionalità tecnica della P.a., e, in particolare, sulle valutazioni tecniche opinabili è stata affermata dalla nota decisione di questo Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 699 del 9-4-99.

La questione è stata recentemente approfondita dalla stessa IV Sezione, che ha distinto tra “un controllo di tipo “forte”, che si traduce in un potere sostitutivo del giudice, il quale si spinge fino a sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile a quella dell’amministrazione”… ed un “controllo di tipo “debole” ..(in cui).. le cognizioni tecniche acquisite (eventualmente) grazie al consulente vengono utilizzate solo allo scopo di effettuare un controllo di ragionevolezza e coerenza tecnica della decisione amministrativa.” (Cons. Stato, IV, n. 5287 del 6-10-2001).

Nella decisione viene sottolineato come la distinzione tra il carattere di opinabilità dei giudizi tecnici (attratti nella cognizione del giudice) e i profili della opportunità (sottratti al sindacato) non è così netta in presenza di valutazioni complesse dell’amministrazione e dell’applicazione dei c.d. “concetti giuridici indeterminati” e che in tali ipotesi deve escludersi il sindacato giurisdizionale di tipo forte (sostitutivo) ed ammettersi solo il sopra descritto controllo di tipo debole.

Ritenendo del tutto condivisibili i sopra enunciati principi ed applicandoli alla materia in esame, si deve ritenere che il sindacato del giudice amministrativo sull’attività discrezionale di natura tecnica, esercitata dall’Autorità antitrust, sia un sindacato di tipo debole, che non consente un potere sostitutivo del giudice tale da sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile o il proprio modello logico di attuazione del “concetto indeterminato” all’operato dell’Autorità.

L’indice dell’assenza del potere sostitutivo deve ricercarsi soprattutto nelle esigenze di efficienza e buon andamento dell’amministrazione, di cui all’art. 97 Costituzione, e nella rilevanza della materia della tutela della concorrenza, affidata dal legislatore ad una Autorità amministrativa, caratterizzata da una particolare composizione e qualificazione tecnica, oltre che da un elevato grado di autonomia e indipendenza.

Detti principi possono ora essere tradotti in concrete regole, che devono guidare il giudice amministrativo nel sindacato giurisdizionale sui provvedimenti dell’Autorità antitrust.

Il giudice deve verificare direttamente i fatti posti a fondamento di tali provvedimenti ed esercita un sindacato di legittimità sull’individuazione del parametro normativo da parte dell’Autorità e sul raffronto con i fatti accertati. In tale ultimo ambito il G.A. può censurare le valutazioni tecniche, compreso il giudizio tecnico finale, che, attraverso un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza tecnica, appaiono inattendibili.

La descritta natura del sindacato del giudice amministrativo appare, peraltro, corrispondente all’orientamento della Corte di Giustizia CE, secondo la quale il sindacato del giudice comunitario, esercitato sulle valutazioni economiche complesse fatte dalla Commissione, si limita alla verifica dell'osservanza delle norme di procedura e di motivazione, nonché dell'esattezza materiale dei fatti, dell'insussistenza d'errore manifesto di valutazione e di sviamento di potere, restando salva ogni verifica in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 85, n. 1; si tratta quindi di un sindacato di legittimità, che non preclude né l’accertamento pieno del fatto né il controllo sull’attendibilità delle valutazioni tecniche, del tipo di quello descritto in precedenza (v., segnatamente, sentenze 11 luglio 1985, causa 42/84, Remia, punto 34, e 17 novembre 1987, cause riunite 142/84 e 156/84, BAT e Reynolds, punto 62; 28 maggio 1998, C-7/95, John Deere, punto 34).

Il giudice amministrativo non può, quindi, sostituire le proprie valutazioni a quelle dell’Autorità; esemplificando, il giudice non può sostituire l’individuazione del mercato rilevante operata dall’Autorità, ma può verificarne la correttezza secondo quanto detto in precedenza; parimenti il giudice non può sostituire la specificazione del parametro normativo violato a quella dell’Autorità, né può modificare l’impostazione dell’indagine, e quindi del provvedimento, ma solo verificarne la legittimità; basti pensare alla scelta (legittima) operata nel presente provvedimento dall’Autorità di non indagare gli effetti concreti della pratica contestata, limitandosi all’accertamento dell’oggetto anticoncorrenziale e degli effetti potenziali.

L’impostazione generale seguita dall’Autorità nello svolgere una determinata indagine e nelle conseguenti valutazioni ad essa rimesse non può quindi essere modificata dal giudice, cui spetta solo il compito di verificarne la legittimità, anche sotto il profilo delle regole tecniche applicate.

Nell’esercizio di detto sindacato è ammissibile in astratto l’utilizzo della C.T.U. (richiesta da alcune parti anche nel presente giudizio di appello e di cui si lamenta il mancato utilizzo da parte del Tar), ma tramite tale mezzo probatorio può essere delegato al consulente l’accertamento sotto il profilo tecnico di un ben individuato presupposto del fatto o comunque gli potrà essere chiesto un ausilio finalizzato ad ampliare la conoscenza del giudice con apporti tecnico – specialistici (ben delimitati nel quesito) appartenenti a campi del sapere caratterizzati da obiettiva difficoltà (cfr. sempre, Cons. Stato, IV, n. 5287/2001). Non appare invece ammissibile far “ripercorrere” dal C.T.U. le complesse valutazioni rimesse in prima battuta all’amministrazione e sottoposte poi, con gli anzidetti limiti, al sindacato giurisdizionale (è anche significativo il fatto che la Corte di Giustizia abbia ritenuto ammissibile la C.T.U. nell’ambito dei giudizi in materia di concorrenza, ma abbia poi utilizzato lo strumento con estrema cautela; per un caso di utilizzo, vedi Corte Giust, CE, , C – 89/85, 31-3-93, Woodpulp – Pasta di legno, in cui è stato affidato ai periti l’incarico di accertare alcuni fatti contestati alle imprese e determinate caratteristiche del mercato in esame)

Come si vedrà in seguito, la decisione del Tar di non ricorrere all’utilizzo della C.T.U. appare corretta non per l’inammissibilità dello strumento di prova, ma per la non rilevanza nel presente giudizio.

1.3.2. Le appellanti sostengono che il sindacato effettuato dal Tar non abbia consentito una effettiva verifica delle sanzioni irrogate.

Al riguardo, si osserva che è invece diversa la natura del sindacato del giudice amministrativo sulle sanzioni pecuniarie irrogate dall’Autorità.

Mentre le sanzioni di carattere ripristinatorio (diffida) conseguono necessariamente all’accertamento dell’infrazione, le sanzioni pecuniarie vengono applicate dall’Autorità in presenza dell’elemento della gravità dell’infrazione (art. 15, comma 1, della legge n. 287/90), oltre che nelle ipotesi di inottemperanza alla diffida (art. 15, comma 2) e di omissione o rifiuto di fornire informazioni richieste o di esibire documenti o produzione o esibizione di documenti falsi (art. 14, comma 5).

Nella prima ipotesi (che qui interessa) la tutela giurisdizionale deve essere riconosciuta in maniera piena, tenuto conto della vigenza, in materia di sanzioni pecuniarie, del principio di legalità, che tutela il diritto del privato a non subire imposizioni patrimoniali al di fuori dei casi previsti dalla legge (art. 23 Cost.).

Considerata la necessità di un sindacato ampio sull’irrogazione della sanzione pecuniaria, il rinvio di cui all’art. 31 della legge n. 287/90 alle disposizioni, “in quanto applicabili”, contenute nel capo, I, sezioni I e II della legge n. 689/1981, limitato alle sole sanzioni amministrative pecuniarie, deve essere interpretato, anche alla luce del successivo art. 33 che prevede la giurisdizione esclusiva del G.A., come esteso anche al tipo di cognizione prevista dall’art. 23 delle legge n. 689/81, che consente al giudice (in questo caso, quello amministrativo) di annullare in tutto o in parte (l’ordinanza) o di modificarla anche limitatamente all’entità della sanzione dovuta (la contraria tesi sostenuta da Cass., sez. unite, n. 52/1994 era riferita all’assenza dei poteri di cui al citato art. 23 in capo al Pretore, spettando la giurisdizione al giudice amministrativo, senza individuazione specifica dei poteri di cognizione di quest’ultimo).

E’ in questo caso consentito al giudice amministrativo un controllo più penetrante, che si spinge fino alla sostituzione della sanzione irrogata dall’Autorità e si fonda ovviamente sulla base dei parametri normativi di riferimento (art. 11 della legge n. 689/81 ed art. 15 della legge n. 287/90).

Tale interpretazione appare conforme anche ai precedenti della Sezione, in cui per le sanzioni pecuniarie dell’Autorità antitrust è stata affermata la sussistenza di una giurisdizione piena del giudice, che ha il potere di modificare la misura della pena, e anche di ridurla, in ipotesi di riscontro di una illegittimità o una inopportunità dell’operato dell’autorità amministrativa, operato che, pertanto, è sindacabile da parte del giudice amministrativo in caso di violazione di legge, illogicità, travisamento dei fatti, ed anche iniquità (Cons. Stato, VI, n. 1671/2001, Caldaie, punto. 12.3.1).

Anche in questo caso il riconoscimento di tale tipo di sindacato giurisdizionale è coerente con i principi affermati in materia dalla giurisprudenza comunitaria, che ha sempre ritenuto la sussistenza di una competenza di merito del giudice, che consenta anche la modifica delle sanzioni irrogate dalla Commissione (v. Trib. Ce, 11-3-99, T-141/94, Thyssen Stahl AG, par. 646 e 674 e Corte Giust. CE, 16-11-2000, C-291/98,, Sarriò – Cartoncino, par. 70-71).

La precisazione della natura del sindacato del giudice amministrativo in ordine ai provvedimenti dell’Autorità antitrust consente di respingere i motivi delle appellanti, descritti in precedenza ed inerenti proprio l’asserita assenza di controllo sull’operato dell’Autorità e di ritenere manifestamente inondate le dedotte questioni di costituzionalità, fondate sull’assenza di una effettiva tutela giurisdizionale nei confronti dei provvedimenti in esame, la cui sindacabilità è invece, come descritto, estesa all’accertamento del fatto, alle valutazioni tecniche ed, in modo pieno, alle sanzioni pecuniarie irrogate.

2. Motivi relativi all’incompetenza dell’Autorità

2.1. Un primo gruppo di motivi di appello concerne la dedotta incompetenza dell’Autorità in ordine ad una fattispecie, la cui valutazione spettava alla Commissione CE..

Le appellanti fondano tale tesi, sull’erronea definizione del mercato geografico rilevante, che sarebbe di dimensione comunitaria, sulla sussistenza comunque di un pregiudizio per gli Stati membri a prescindere dalla dimensione nazionale o meno del mercato rilevante, richiamando anche la Comunicazione della Commissione CE del 16-2-2000, relativa al mercato delle assicurazioni.

Secondo Mediolanum l’art. 1 della legge n. 287/90 imponeva all’Autorità di informare la Commissione CE e di attendere la pronuncia di quest’ultima sulla rilevanza comunitaria della fattispecie.

Secondo altre imprese appellanti (v., in particolare, Meieaurora, Itas, Sai, Milano, Nuova Maa, Commercial Union, La Fondiaria, HDI) la mera partecipazione alla pratica di filiali o succursali di imprese aventi sede in altri Stati U.E. sarebbe di per sé sufficiente a dimostrare il pregiudizio per gli stati membri e la conseguente competenza della Commissione CE. Inoltre, anche il riconoscimento della inapplicabilità del Regolamento di esenzione della Commissione CE n. 3932/92, effettuato dall’Autorità, dimostrerebbe come la stessa abbia invaso le competenze della Commissione, cui unicamente spetta l’applicazione del regolamento.

Le imprese richiamano anche la giurisprudenza comunitaria, relativa al pregiudizio per gli stati membri di una pratica, che, quale quella in esame, riguarda l’87 % del mercato italiano.

2.2. I motivi sono infondati.

E’ opportuno ricostruire il quadro normativo, interno e comunitario, che disciplina il riparto di competenze in materia antitrust tra autorità nazionali e Commissione CE.

L’art. 1, comma 1, della legge n. 287/90 delimita l’ambito di applicazione della legge nelle intese, negli abusi di posizione dominante e nelle concentrazioni di imprese che non ricadono nell'ambito di applicazione degli articoli 65 e/o 66 del Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio, degli articoli 85 e/o 86 (oggi artt. 81 e 82) del Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE), dei regolamenti della CEE o di atti comunitari con efficacia normativa equiparata.

L’art. 54, comma 5, della legge n. 52/1996 prevede che “l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, in quanto autorità nazionale competente in materia di concorrenza, applica, fatto salvo quanto disposto dall'articolo 20 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, gli (ex) articoli 85, paragrafo 1, ed 86 del Trattato istitutivo della Comunità europea, utilizzando i poteri ed agendo secondo le procedure di cui al titolo II, capo II, della medesima legge n. 287 del 1990. L'Autorità informa la Commissione delle Comunità europee e sospende lo svolgimento del procedimento qualora la Commissione inizi, con riguardo alla medesima fattispecie, una procedura a norma dei regolamenti comunitari.”

Tale ultima disposizione è conforme con quanto previsto dai commi 2 e 3 del citato art. 1 della legge n. 287/90, secondo cui “l’Autorità, qualora ritenga che una fattispecie al suo esame non rientri nell'ambito di applicazione della presente legge ai sensi del comma 1, ne informa la Commissione delle Comunità europee, cui trasmette tutte le informazioni in suo possesso. Per le fattispecie in relazione alle quali risulti già iniziata una procedura presso la Commissione delle Comunità europee in base alle norme richiamate nel comma 1, l'Autorità sospende l'istruttoria, salvo che per gli eventuali aspetti di esclusiva rilevanza nazionale.”

Dalla richiamata normativa interna emerge chiaramente come l’unica ipotesi di sospensione dei procedimenti avviati dall’Autorità nazionale sia quella del contestuale avvio di un’istruttoria da parte della Commissione CE, che, nel caso in esame, è pacifico che non sia avvenuto.

E’ quindi infondata la tesi, secondo cui l’Autorità avrebbe dovuto sospendere il procedimento in attesa delle determinazioni della Commissione CE, che non aveva avviato alcun autonomo procedimento.

2.3. La predetta impostazione è del resto pienamente conforme all’orientamento della Commissione CE in ordine al riparto di competenze tra Commissione stessa ed Autorità nazionali, come espresso dalla stessa in alcune relazioni e comunicazioni ufficiali.

Con riguardo all’eccezione delle imprese appellanti, secondo cui tali comunicazioni sono atti amministrativi privi di valore normativo vincolante, si osserva che, pur in assenza del carattere vincolante, le comunicazioni della Commissione Ce rappresentano l’opinione della stessa su una data questione e costituiscono quindi un utile elemento per l’interpretazione della disciplina.

Peraltro, proprio con riguardo al motivo dedotto (incompetenza dell’Autorità nazionale e competenza della Commissione CE), in aggiunta alla già rilevata (e decisiva) assenza di un intervento in atto da parte della Commissione, non può non rilevare il punto di vista espresso in termini generali ed astratti dalla stessa Commissione proprio al fine di facilitare l’uniforme comportamento delle Autorità nazionali e di evitare quindi che ogni singola questione venga preliminarmente rimessa alla Commissione stessa per verificare la competenza a procedere.

Ciò premesso, si osserva che con Comunicazione del 15-10-97 (concernente la cooperazione tra la Commissione e le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri per l'esame dei casi disciplinati dagli articoli 85 e 86 del trattato CE) la Commissione ha evidenziato come l’applicazione delle norme sulla concorrenza debba avvenire sempre più sulla base del principio del decentramento.

Innanzi tutto, mentre la Commissione è competente solo per l'applicazione delle regole comunitarie, le autorità nazionali non si limitano ad applicare la legislazione nazionale, ma partecipano anche all'applicazione degli articoli 85 e 86 del trattato CE. L'implicazione degli Stati membri nella politica di concorrenza comunitaria dà modo di adottare le decisioni a un livello quanto più vicino possibile ai cittadini; solo se, a causa delle sue dimensioni o dei suoi effetti l'azione prevista può essere realizzata meglio a livello comunitario, spetta alla Commissione intervenire. Diversamente, l'intervento compete all'autorità garante della concorrenza dello Stato membro interessato.

Del resto, anche ai sensi dell’art. 9, par. 3, del Regolamento CE n. 17 del Consiglio del 6-2-62, «fino a quando la Commissione non abbia iniziato alcuna procedura, le autorità degli Stati membri restano competenti per l'applicazione dell'articolo 85, paragrafo 1, e dell'articolo 86, in conformità dell'articolo 88 del trattato».

Infatti, continua la Commissione, data la loro vicinanza alle attività e alle imprese sottoposte al loro controllo, le autorità nazionali possono trovarsi in una posizione migliore della Commissione al fine di salvaguardare la concorrenza; le autorità nazionali conoscono meglio i mercati ed in particolare quelli, quale quello in esame, che come si vedrà in seguito, presentano specificità nazionali.

Ovviamente, occorre che l'applicazione del diritto nazionale «non pregiudichi l'uniforme applicazione, nell'intero mercato comune, delle norme comunitarie sulle intese e il pieno effetto dei provvedimenti adottati in applicazione delle stesse»

Al riguardo, la giurisprudenza di questa Sezione ha già sottolineato che l’interpretazione delle norme in materia di concorrenza in senso conforme ed omogeneo ai principi dell’ordinamento comunitario, tra cui rientrano anche le sentenze della Corte di Giustizia, è imposta sia dall’art. 1, comma 4, della legge n. 287/90 (“L'interpretazione delle norme contenute nel presente titolo è effettuata in base ai principi dell'ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza”), sia dal citato art. 54, comma 5, della legge n. 52/96 (Cons. Stato, VI, n. 1189/2001, Rischi Comune Milano).

In sostanza, dopo aver applicato per lungo tempo e fornito le linee interpretative per l’applicazione decentrata del diritto della concorrenza, la Commissione CE ritiene che debbano oggi essere le autorità nazionali ad applicarlo, riservandosi comunque di intervenire in ordine a quelle fattispecie di maggiore rilevanza per l’ordinamento comunitario.

2.4. Alla luce delle precedenti considerazioni possono essere meglio esaminati i singoli profili della censura in esame e, in particolare, quelli attinenti all’erronea definizione del mercato geografico rilevante, che sarebbe di dimensione comunitaria ed alla sussistenza di un pregiudizio per gli Stati membri a prescindere dalla dimensione nazionale o meno del mercato rilevante.

Questa Sezione ha già precisato che per mercato rilevante si intende quella zona geograficamente circoscritta dove, dato un prodotto o una gamma di prodotti considerati tra loro sostituibili, le imprese che forniscono quel prodotto si pongono fra loro in rapporto di concorrenza e che il giudice amministrativo deve verificare che l’operato dell’Autorità, nell’individuare il mercato rilevante, non sia affetto da vizi logici o di ragionevolezza, da difetto di istruttoria o di motivazione (cfr., Cons. Stato, VI, n. 1348/2000, Italcementi; n. 652/2001, Vendomusica).

In sostanza, mercato rilevante è il più piccolo contesto (insieme di prodotti ed area geografica), nel cui ambito sono possibili, tenuto conto delle esistenti possibilità di sostituzione, intese che comportino restrizioni consistenti della concorrenza.

Questa Sezione ha già in passato ritenuto la dimensione nazionale del mercato assicurativo, sebbene in relazione a fattispecie diversa (rischi comune di Milano), evidenziando la sussistenza di differenze tra i vari mercati assicurativi nazionali relative ai canali di distribuzione, alle preferenze dei consumatori ed alla diversa regolamentazione (Cons. Stato, VI, n. 1189/2001, cit., in cui veniva anche richiamata Comm. CE, IV/M.543, Zurigo / Banco di Napoli, 22-2-95).

Del resto, anche recentemente la Commissione ha confermato la dimensione nazionale del mercato geografico delle assicurazioni nel settore danni (v. Comm. Ce, Dec. 12-1-2000, Caso n. IV/M.1712, Generali – Ina).

Come già evidenziato per le comunicazioni della Commissione, le decisioni della stessa, pur trattandosi di atti individuali che obbligano i soli destinatari, costituiscono precedenti con valore di orientamento interpretativo della Commissione sul punto e possono quindi contribuire all’esatto inquadramento di una determinata questione.

Peraltro, proprio con riferimento alla fattispecie anticoncorrenziale contestata appare evidente come il mercato rilevante non possa che essere quello nazionale, caratterizzato da una specificità della disciplina e quindi delle condizioni di concorrenza (v. oltre con riferimento alla particolare forma di pubblicità delle tariffe, prevista dall’ISVAP e invocata dalle stesse appellanti a fondamento delle proprie tesi difensive).

2.5. La competenza dell’Autorità appellata sussiste anche avuto riguardo all’elemento del pregiudizio per gli Stati membri, richiamato da alcune imprese di assicurazioni.

Nella citata comunicazione del 15-10-97, la Commissione evidenziava che per determinare quali casi debbano essere trattati dalla Commissione stessa, è necessario considerare gli effetti dell'accordo o dell'abuso di posizione dominante e la natura dell'infrazione. In linea di principio le autorità nazionali tratteranno i casi che producono effetti essenzialmente sul loro territorio e che presumibilmente, alla luce di un esame preliminare, non soddisfano le condizioni per l'applicazione di un'esenzione ai sensi dell'articolo 85, paragrafo 3 (comunque la Commissione si riserva il diritto di esaminare taluni casi che presentano un interesse particolare per la Comunità).

Sempre secondo la Commissione, gli effetti, attuali o prevedibili, dell'intesa o dell'abuso di posizione dominante sono strettamente legati al territorio nel quale l'intesa o la pratica è posta in essere, nonché all'ambito geografico del mercato dei prodotti o servizi di cui trattasi. Quando l'ambito geografico del mercato è limitato al territorio di uno Stato membro, e se l'intesa o la pratica è posta in essere unicamente in tale Stato, si deve ritenere che gli effetti si producano essenzialmente nel medesimo, anche se, per ipotesi, l'intesa o la pratica fosse idonea ad incidere sul commercio fra Stati membri (v. anche la XXIV Relazione della Commissione sulla politica della concorrenza).

Nel caso di specie, sia la pratica dello scambio di informazioni che quella relativa all’abbinamento delle polizze erano limitate al territorio italiano ed anche gli effetti (potenziali) contestati dall’Autorità avevano tale limitazione.

Il fatto che la pratica contestata riguardasse l’87 % del mercato italiano e fosse economicamente rilevante non costituisce di per sé elemento idoneo per dimostrare il pregiudizio per il commercio con gli Stati membri, in quanto l’elemento della quota di mercato, interessata dall’intesa, non è decisivo ai fini sopraindicati ed è infatti stato valutato in maniera diversa dalla stessa Corte di Giustizia a seconda delle singole fattispecie.

Ciò che rileva, per giurisprudenza costante, è che un accordo o pratica concordata tra imprese, per poter pregiudicare il commercio fra Stati membri, deve consentire di prevedere con sufficiente grado di probabilità, in base ad un insieme di elementi oggettivi di fatto o di diritto, che esso sia atto ad incidere direttamente o indirettamente, effettivamente o potenzialmente, sui flussi commerciali fra Stati membri, in modo da poter nuocere alla realizzazione degli obiettivi di un mercato unico fra Stati (v. Corte Giust. CE 11 luglio 1985, causa 42/84, Remia, punto 22). Dunque, il pregiudizio per gli scambi intracomunitari deriva in generale dalla combinazione di diversi fattori (tra cui anche quello della quota di mercato coinvolta) che, considerati isolatamente, non sono necessariamente determinanti (v. Corte Giust. CE, 15 dicembre 1994, causa C-250/92, DLG, punto 54 e Corte Giust. CE, 21-1-99, C 215/96, Bagnasco, p. 47).

Come già evidenziato, nel caso di specie, la limitazione territoriale delle pratiche contestate, in assenza di ulteriori elementi che le appellanti non hanno fornito, conduce ad escludere l’incidenza anche solo potenziale sul commercio fra gli Stati membri.

E’ pertanto del tutto irrilevante che in altra fattispecie (richiamata dalle appellanti) il Tribunale di Primo grado CE abbia ritenuto che un’intesa che coinvolge l’88 % di un mercato nazionale possa incidere in modo significativo sul commercio tra gli Stati membri (Trib., CE, 27-10-94, T-34/92, John Deere), in quanto dalla quota di mercato coinvolta non può desumersi, di per sé, alcun elemento decisivo, dovendosi verificare l’incidenza per quel determinato mercato di una intesa sul commercio tra gli Stati membri.

Peraltro, nella stessa citata Comunicazione del 15-10-97 la Commissione ha sottolineato come l'importanza economica del caso non costituisce di per sé un motivo che ne giustifichi il trattamento da parte della Commissione, sempre che non venga ostacolato in maniera significativa l'accesso al mercato degli operatori di altri Stati membri (circostanza quest’ultima in alcun modo dimostrata dalle appellanti).

Ciò non significa che, come sostenuto da alcune imprese, l’Autorità debba in via preliminare accertare in modo compiuto l’assenza di pregiudizio per gli Stati membri, in quanto si tratta di una valutazione propria della fase finale del procedimento, attinendo a quella iniziale solo la verifica nei termini anzidetti dell’ambito geografico di riferimento, cui sono anche strettamente connessi gli effetti dell’intesa.

2.6. Secondo alcune appellanti (v. in particolare Bayerische Unipol, Helvetia) la rilevanza comunitaria della fattispecie dovrebbe derivare dalle preoccupazioni, contenute nella Comunicazione della Commissione CE del 16-2-2000 (“Libera prestazione dei servizi e interesse generale nel settore delle assicurazioni”) relative alla compartimentazione nazionale che caratterizza il ramo dell’assicurazione RCA e al corrispondente effetto di chiusura del mercato nazionale.

Si osserva che, come rilevato dall’Avvocatura dello Stato, la citata comunicazione della Commissione interviene ad un livello e con finalità profondamente diverse rispetto alla applicazione della disciplina della concorrenza ai comportamenti di impresa e descrive l’evoluzione del mercato assicurativo ai soli fini della libera prestazione dei servizi, senza implicare un mutamento di orientamento circa la questione dei mercati rilevanti e del pregiudizio per gli Stati membri.

2.7. E’ anche da escludere che la mera partecipazione alla pratica di filiali o succursali di imprese aventi sede in altri Stati U.E. possa essere di per sé sufficiente a dimostrare il pregiudizio per gli stati membri e la conseguente competenza della Commissione CE., in quanto innanzi tutto detta partecipazione appare sicuramente limitata e in secondo luogo anche tale circostanza non appare decisiva ai fini della questione in esame, come peraltro riconosciuto dalla stessa Corte di Giustizia (v. Corte Giust. CE, 21-1-99, C 215/96, Bagnasco, p. 15 e 51; anche la decisione citata dalle appellanti non contiene l’assunto sui cui il motivo viene fondato, v. Corte Giust. CE, 27-1-97, C-45/84, Verband der sachversicherer).

La censura è stata peraltro dedotta in modo del tutto astratto, in quanto fondato sull’incompatibilità ex sé della partecipazione all’intesa di imprese aventi sede in altri Stati membri senza la minima allegazione concernente il pregiudizio per il commercio tra gli Stati membri, derivante nel caso in esame da detta partecipazione.

2.8. Deve anche rilevarsi che, come rilevato dal Tar, le ricorrenti non hanno neppure dimostrato che nel mercato nazionale delle polizze CVT e RCA operino effettivamente contraenti che superano le dimensioni stabilite dall’art. 5 della direttiva del Consiglio n. 357 del 22-6-88 e dal D.Lgs. n. 175 del 17.3.1995.

Pertanto, a prescindere dall’esatta individuazione della categoria dei “grandi rischi”, non vi è alcun elemento, che era onere delle parti appellanti fornire, in base a cui ritenere errata l’appartenenza dei rischi in oggetto alla categoria dei “rischi di massa”

2.9. E’ infondato anche il motivo, con cui le appellanti hanno sostenuto che il riconoscimento della inapplicabilità del Regolamento di esenzione della Commissione Ce n. 3932/92, effettuato dall’Autorità, dimostrerebbe come la stessa abbia invaso le competenze della Commissione, cui unicamente spetta l’applicazione della disciplina sulle esenzioni.

Anche in questo caso la questione può essere meglio chiarita sulla base di alcune comunicazioni della Commissione CE.

Con Comunicazione del 13-2-93 (sempre relativa alla cooperazione tra i giudici nazionali e la Commissione nell'applicazione degli articoli 85 e 86 del trattato CEE) la Commissione ha evidenziato che, mentre in ordine all'applicazione dell'articolo 85, paragrafo 1 e dell'articolo 86 del trattato CEE, i giudici nazionali e la Commissione dispongono di competenze concorrenti, la Commissione ha competenza esclusiva per dichiarare il suddetto divieto inapplicabile a taluni tipi di accordi, decisioni o pratiche concordate.

La Commissione può esercitare tale competenza in due modi: può adottare una decisione di esenzione in casi individuali concernenti intese determinate, ma può anche adottare regolamenti di esenzione riguardanti determinate categorie di accordi, decisioni o pratiche concordate, laddove vi sia abilitata dal Consiglio in virtù dell'articolo 87.

Se i giudici (e le autorità) nazionali non sono competenti ad applicare l'articolo 85, paragrafo 3, possono tuttavia applicare le decisioni e i regolamenti adottati dalla Commissione in virtù di tale disposizione. La Corte di giustizia ha infatti confermato più volte che le disposizioni dei regolamenti sono direttamente applicabili (Corte Giust. CE, Delimitis contro Henninger Bräu, causa C-234/89).

Aggiunge la Commissione che le intese che rientrano nel campo d'applicazione di un regolamento di esenzione per categoria sono esentate dal divieto dell'articolo 85, paragrafo 1 senza che occorra al riguardo una decisione individuale o una lettera amministrativa della Commissione.

Peraltro, proprio nella Relazione al parlamento europeo e al Consiglio sul funzionamento del regolamento della Commissione n. 3932/92 (di cui si discute), la Commissione CE ha sottolineato come il regolamento, al pari di ogni altro regolamento di esenzione, contribuisce alla già descritta applicazione decentrata del diritto comunitario della concorrenza e che sia i tribunali nazionali che le autorità degli Stati membri sono competenti a verificare direttamente se un’intesa soddisfi, o meno, le condizioni di applicazione del regolamento e possa quindi beneficiare di un’esenzione.

Correttamente, quindi, l’Autorità appellata ha accertato (negativamente, come si vedrà oltre) la compatibilità tra le intese contestate e le condizioni di esenzione previste nel citato Regolamento.

2.10 Secondo Mediolanum l’art. 1 della legge n. 287/90 imponeva all’Autorità di informare la Commissione CE e di attendere la pronuncia di quest’ultima sulla rilevanza comunitaria della fattispecie.

Le precedenti considerazioni conducono a ritenere infondato anche tale profilo del motivo proposto, in quanto l’onere di segnalazione da parte delle Autorità nazionali alla Commissione soprattutto per i casi che presentano una particolare rilevanza (v, punto 49 della citata Comunicazione del 15-10-97) non determina in alcun modo la sospensione del procedimento, né viene sanzionato in caso di omissione, fondandosi lo stesso sul principio di leale collaborazione tra organi comunitari ed autorità degli stati membri.

Nel caso in esame, non risulta dagli atti se l’Autorità appellata abbia o meno informato la Commissione CE dell’istruttoria avviata (come avrebbe dovuto), ma la circostanza non è rilevante ai fini del decidere in quanto è pacifico che alcun procedimento era pendente presso la Commissione e che quindi non sussisteva alcun obbligo di sospensione.

Peraltro, le imprese appellanti avrebbero potuto autonomamente informare la Commissione o anche comunicare l’intesa o chiedere una esenzione individuale, ma non lo hanno fatto (v. par. 198 e 234 dell’impugnato provvedimento).

2.11. Delineati in modo compiuto i criteri di riparto delle competenze tra autorità nazionali e Commissione CE, deve essere conseguentemente respinta la richiesta di rinvio pregiudiziale sul punto alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 234 (ex art. 177) del Trattato, formulata dal alcune società appellanti (Meieaurora, Milano, Commercial Union, Sai, Itas, La Fondiaria, HDI).

Sulla base delle precedenti considerazioni, la questione, oggetto della richiesta di rinvio, deve ritenersi risolta senza dubbi interpretativi e proprio sulla base della interpretazione fornita dagli organi comunitari.

Si ricorda che i giudici di ultima istanza non sono tenuti a sottoporre necessariamente alla Corte una questione di interpretazione di norme comunitarie se la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata (cfr, Corte Giust, CE, 6-10-82, C 283/81, Cilfit e Cons. Stato, VI, n. 1885/2000).

3. Motivi relativi al procedimento

3.1. Alcune appellanti hanno riproposto il motivo, relativo alla violazione dell’obbligo di astensione da parte del Presidente dell’Autorità per l’asserita anticipazione di giudizio da parte di quest’ultimo sia nell’audizione del 20 gennaio 2000 presso la Commissione Finanze della Camera che in alcune interviste giornalistiche, in cui si sarebbe espresso con animosità nei riguardi dei soggetti interessati dal procedimento, così dimostrando che il provvedimento finale è viziato per difetto di imparzialità e di obiettività e per sviamento.

Il motivo è infondato.

Innanzi tutto, la censura si fonda sull’erroneo presupposto che al procedimento “antitrust” si possano applicare automaticamente tutte le regole processuali; il che è già stato smentito da questa Sezione che ha escluso l’applicabilità al procedimento in questione delle norme proprie dei procedimenti giurisdizionali, non avendo l’Autorità natura giurisdizionale o paragiurisdizionale (ma amministrativa come confermato dall’art. 4 della legge n. 205/2000), pur riconoscendo la necessità di una attenta verifica del rispetto dei principi del contraddittorio, come previsti in via generale dall’ordinamento e, in particolare, dalla disciplina di settore (v. Cons. Stato, VI, n. 652/2001, Vendomusica cit.).

Ciò premesso, si rileva che comunque le affermazioni richiamate dalle appellanti non costituiscono in alcun modo un’anticipazione di giudizio, ma rappresentano solo l’illustrazione ad organi istituzionali ad alla stampa dell’attività dell’Autorità, che è soggetta a pubblicità obbligatoria nel bollettino ufficiale non solo con riferimento alle determinazioni finali assunte, ma anche con riguardo agli atti di avvio dell’istruttoria, che già contengono un iniziale apprezzamento sui possibili profili di anticoncorrenzialità di un determinato comportamento.

In particolare, il Presidente dell’Autorità si è limitato a manifestare preoccupazione per il fatto che nel settore delle assicurazioni non si possa considerare ancora del tutto realizzato un mercato pienamente concorrenziale e tale affermazione, che non è stata direttamente riferita al procedimento al tempo in corso, ha costituito l’esercizio della propria funzione nell’attività consultiva, che anche è demandata all’Autorità (v. artt. 21 e ss. della legge n. 287/90).

Con riguardo al contenuto delle dichiarazioni direttamente riferite all’indagine in corso, si osserva che il Presidente dell’Autorità non ha fatto altro che fornire un’informazione sullo stato del procedimento, evidenziando che la contestata pratica dell’abbinamento “potrebbe costituire un’intesa lesiva della concorrenza” e che “il procedimento istruttorio in corso è stato esteso per verificare la compatibilità (dello scambio di informazioni rilevato) con la normativa a tutela della concorrenza” (v. pag. 8 del Resoconto stenografico dell’audizione del Pres. Tesauro alla Camera dei Deputati nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’incremento dei premi delle assicurazioni RC auto).

E’ evidente come il Presidente dell’Autorità non abbia anticipato alcun giudizio, ma abbia invece informato gli organi istituzionali circa lo stato ed il contenuto del procedimento in corso, peraltro noto a seguito della pubblicazione del motivato atto di avvio ed estensione dell’istruttoria.

Inoltre, le istanze di astensione presentate nel corso del procedimento da alcune imprese erano state motivatamente respinte con deliberazione dell’Autorità del 20-7-2000.

E’ infine inconferente il richiamo delle ricorrenti ad una decisione del giudice comunitario (Trib.Ce, 6.7.2000, T 62-98, Volksvagen) che ha ritenuto contrario al principio di buona amministrazione le anticipazioni – da parte di un componente della Commissione - sull’importo della sanzione pecuniaria che sarebbe stata irrogata ad una impresa soggetta ad istruttoria, trattandosi in questo caso (e a differenza di quello in esame) di una vera e propria anticipazione di uno specifico contenuto del provvedimento finale da adottare.

3.2. Con specifico motivo Axa e la Piemontese deducono la violazione dell’art. 13 della legge n. 287/90 in quanto i comportamenti contestati avevano costituito oggetto di comunicazione scritta del 10-3-96 da parte di IAMA Consulting all’Autorità e di informazione verbale ad un funzionario dell’Autorità stessa.

Il richiamo alla recente decisione di questa Sezione (Cons. Stato, VI, n. 4053/2001, Carburanti) non è pertinente ed anzi dimostra l’infondatezza della censura.

Nella citata decisione, infatti, la Sezione ha evidenziato come l’applicazione del citato art. 13 sia subordinata ad una comunicazione all’Autorità, che deve necessariamente provenire dall’autore di un comportamento astrattamente valutabile come anticoncorrenziale, mentre nel caso di specie è pacifico che tale comunicazione sia pervenuta da un soggetto terzo rispetto al procedimento poi avviato, essendo privi di rilievo i rapporti tra questo soggetto e altro coinvolto nella procedura.

Peraltro, anche nel contenuto la comunicazione non era idonea a integrare i requisiti minimi per far sorgere l’obbligo di riscontro da parte dell’Autorità, non essendo in alcun modo esplicitata l’esistenza dello scambio di informazioni poi contestato.

E’ superfluo aggiungere che il richiamato colloquio tra il presidente di RC Log ed un funzionario dell’Autorità non può in alcun modo integrare gli estremi per il decorso del termine decadenziale di cui al citato art. 13, a prescindere da ogni accertamento (non rilevante) sul reale svolgimento del colloquio.

3.3. Ulteriore motivo di carattere procedimentale è costituito dalla violazione del diritto di difesa delle imprese sotto il profilo della brevità del tempo assegnato alle stesse per la audizione finale (Unipol, Ras, Zurigo, Mediolanum) e dell’omessa considerazione delle memorie presentate nell’ambito della comunicazione delle risultanze istruttorie (Zurigo, Mediolanum).

I motivi sono infondati sia per una considerazione di carattere generale che con riferimento alla specificità delle censure.

Come già chiarito dalla Sezione, l'eventuale violazione dei diritti della difesa e i suoi effetti vanno esaminati in relazione alla rilevanza del vizio procedimentale dedotto nell’ambito di un complesso procedimento antitrust (v. Cons. Stato, VI, n. 652/2001, cit., in cui è richiamata la c.d. giurisprudenza comunitaria “carbonato di sodio”: Trib. CE, T – 30/91, 29-6-95, Solvay e Trib. CE, T – 36/91, 29-6-95, I.C.I.).

Ciò premesso, non può dubitarsi che nel procedimento in esame alle imprese sia stato consentito di difendersi e controdedurre (con le precisazioni di cui in seguito in ordine al parere dell’ISVAP) ad ogni contestazione mossa dall’Autorità e che non vi sia stata alcuna violazione del principio del contraddittorio in considerazione dell’assenza di elementi in relazione ai quali le imprese non abbiano avuto la possibilità di esprimere il proprio convincimento e di produrre documentazione.

Tenuto quindi conto dei numerosi momenti di garanzia del contraddittorio, presenti nel procedimento, alcun profilo di illegittimità si ravvisa in relazione alla durata di 20 minuti per ciascuna parte dell’audizione finale, che ha il solo scopo di consentire la trattazione anche orale di questioni già ampiamente trattate dalle stesse parti.

Con riguardo all’asserita omessa considerazione di alcune memorie presentate dalle imprese, si condivide il pacifico orientamento della giurisprudenza comunitaria, secondo cui nell'ambito di un procedimento antitrust le prerogative della difesa non richiedono che la Commissione ribatta a tutti i motivi delle imprese interessate, essendo invece sufficiente che sotto il profilo sostanziale venga adeguatamente motivata la tesi accolta in contrapposizione alle posizioni delle parti (cfr., Trib. Ce, 11-3-99, T 141-94, Thyssen Stahl AG)

3.4. Altro gruppo di motivi attiene alla formazione della volontà collegiale dell’Autorità appellata.

Con riguardo alle dedotte carenze del verbale delle sedute dell’autorità del 28- 7- 2000 e del 11-5-2000 si rileva che la Sezione ha già affermato che il verbale non deve contenere l’integrale verbalizzazione della discussione, né tanto meno deve essere indicata l’introduzione di modifiche al testo predisposto dal relatore, in quanto ciò che rileva è solo la approvazione del testo definitivo del provvedimento, dal quale emerge l’iter logico seguito (Cons. Stato, VI, n. 1189/2001, cit.).

Pertanto, nel caso di specie, la verbalizzazione delle sedute dell’Autorità non presenta profili di illegittimità nè si pone in contrasto con il regolamento interno del 29-2-2000, richiamato da alcune appellanti (Nuova Tirrena).

E’ infondata anche la censura relativa alla brevità del tempo impiegato per deliberare, in quanto le appellanti non tengono conto del fatto che i singoli componenti dell’Autorità ben conoscevano gli atti del procedimento, avendoli già esaminati più volte ed è quindi presumibile che si siano limitati alla discussione finale ed alla votazione sul provvedimento da adottare (v. sul punto Cons. Stato, VI, n. 652/2001, cit.).

Anche la dedotta presenza di funzionari dell’Autorità alle sedute della stessa non determina alcuna invalidità del provvedimento finale adottato, rilevato che la partecipazione all'adunanza del responsabile dell'unità organizzativa competente alla raccolta dei dati istruttori, al fine esclusivo della loro sottoposizione ai componenti l'organo deliberante, non è in alcun modo vietata ed anzi riproduce uno schema procedimentale usuale nell'attività di ogni organo collegiale. Peraltro, oltre che priva di riscontri, appare irragionevole la tesi secondo cui la presenza del funzionario abbia potuto influenzare la decisione di un organo collegiale altamente qualificato, quale l’Autorità in questione (cfr. Cons. Stato, VI, n. 1189/2001, cit.).

Infondata, oltre che inammissibile per difetto di rilevanza autonoma, è la questione relativa all’asserita illegittima sottoscrizione del verbale della seduta nel corso della quale è stato deliberato l’invio della comunicazione delle risultanze istruttorie. Peraltro, alcuna disposizione regolamentare prescrive che la redazione definitiva del verbale e l’approvazione dello stesso avvenga contemporaneamente allo svolgimento della seduta oggetto di verbalizzazione o prima della comunicazione del provvedimento deliberato; la tardiva sottoscrizione del verbale della seduta collegiale, relativa per di più ad un atto intermedio del procedimento, non può certo rendere illegittimo il provvedimento deliberato.

3.5 Altre società appellanti (tra cui Sai, Milano e Fondiaria) hanno dedotto la violazione del divieto di auto-incriminazione a causa dell’acquisizione, presso soggetti nei cui confronti era stata aperta l’istruttoria, di elementi di prova diretti ad accertare la sussistenza dell’infrazione.

Il motivo, che ovviamente neanche si pone in relazione alle ispezioni effettuate dall’Autorità, si fonda su un presunto diritto delle imprese di non testimoniare contro se stesse, che non consentirebbe all’Autorità di chiedere (ed ottenere) informazioni dalle imprese nei cui confronti si svolge il procedimento.

Al riguardo, la giurisprudenza comunitaria ha chiarito che l’unico limite che la Commissione incontra nell’esercizio dei propri poteri istruttori è costituito dal divieto di imporre ad un'impresa l'obbligo di fornire risposte attraverso le quali questa sarebbe indotta ad ammettere l'esistenza della trasgressione, che deve invece essere provata dalla Commissione. Di conseguenza, nell'ambito di una richiesta di informazioni, la Commissione può obbligare un'impresa a fornirle tutte le informazioni necessarie per quanto attiene ai fatti di cui quest'ultima sia a conoscenza ed a comunicarle, se del caso, i relativi documenti di cui sia in possesso, anche se possono servire ad accertare che l'impresa stessa o un'altra impresa hanno tenuto un comportamento anticoncorrenziale. La Corte di Giustizia conclude affermando che, con riferimento ad infrazioni di natura economica, segnatamente in materia di concorrenza, non si possa riconoscere ad un'impresa il diritto di non testimoniare contro se stessa, né sulla base di un principio comune agli ordinamenti giuridici degli Stati membri né in forza del richiamo ai diritti garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali o dal patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, negando quindi il principio invocato con il descritto motivo di ricorso (Corte Giust. CE, 18-10-89, C 374-87, Orkem)

3.6. Altre compagnie lamentano l’acquisizione di elementi probatori sullo scambio di informazioni nel corso dell’originario procedimento riguardante la sola pratica dell’abbinamento e, quindi, in assenza della previa notificazione dell’avvio dell’istruttoria (o meglio della estensione di questa).

Si osserva che il dovere dell’Autorità di comunicare l’avvio di una istruttoria sorge solo quando da elementi in suo possesso o portati a conoscenza dell’Autorità stessa emerga una possibile violazione della disciplina antitrust, da verificare nel corso di un formale procedimento.

E’ irrilevante il modo in cui l’Autorità venga in possesso di tali elementi e comunque, nel caso in esame, non può dubitarsi della liceità dell’acquisizione di documenti nel corso di una istruttoria formalmente in corso.

Il fatto che tali documenti non fossero direttamente pertinenti con la violazione contestata non può certo impedirne l’acquisizione e subordinarla all’apertura (o all’estensione) di una istruttoria formale, il cui obbligo sorge, si ripete, solo dopo l’acquisizione e la valutazione di detti documenti.

L’opposta tesi sostenuta dalle ricorrenti condurrebbe all’irragionevole conseguenza di impedire l’acquisizione di documentazione rilevante ai fini antitrust per consentirla solo dopo un’apertura di istruttoria, che peraltro si dovrebbe basare su elementi non acquisibili.

La contraddizione è evidente come è palese il rischio di non reperire quegli stessi documenti in un momento successivo, essendo ragionevole dubitare del fatto che le imprese interessate facciano nuovamente trovare all’Autorità, dopo essere state avvisate dell’avvio del procedimento, elementi idonei a dimostrare un proprio comportamento anticoncorrenziale; accedendo alla tesi delle compagnie, vi sarebbe un ingiustificato ostacolo all’espletamento da parte dell’Autorità del proprio compito di vigilare sul rispetto delle norme in materia di concorrenza (Cfr., Corte Giust., 17-11-89, C 85-87, Dow Benelux NV).

3.7. Numerose imprese appellanti lamentano l’occultamento da parte dell’Autorità di documentazione ed atti utili ai fini difensivi delle compagnie, con particolare riferimento al verbale dell’audizione del Prof. Buzzacchi avvenuta in data 1-2-2000 nell’ambito dell’indagine conoscitiva IC/19 nel settore delle assicurazioni degli autoveicoli (il verbale è stato acquisito agli atti dal giudice di primo grado).

Come correttamente rilevato dal Tar, l’audizione del prof. Buzzacchi è stata disposta nell’ambito dell’indagine conoscitiva nel settore dell’assicurazione autoveicoli (IC/19) distinta dall’istruttoria (I/377), che si è conclusa con la deliberazione in esame. Essendo evidente che tutto il materiale acquisito nell’ambito di una indagine conoscitiva può comunque interessare in qualche modo un’istruttoria relativa ai comportamenti tenuti delle imprese che operano nel settore, ciò non comporta che l’Autorità sia tenuta solo per questo a far confluire nella seconda detto materiale, così facendo perdere unitarietà e specificità a ciascuna delle procedure che la normativa vuole distinte, in considerazione dell’oggetto e della finalità.

L’acquisizione istruttoria disposta dal Tar ha consentito di accertare che, nella specie, il prof. Buzzacchi non è stato chiamato a rispondere sui fatti specifici addebitati alle ricorrenti, ma su temi generali del settore RCA.

L’Autorità non era tenuta, quindi, a far confluire il parere nell’istruttoria in questione né le ricorrenti possono dolersi per non aver potuto accedere ad un parere che era rimasto estraneo al procedimento stesso e che quindi in alcun modo è stato occultato dall’Autorità.

E’ quindi non pertinente il richiamo al “principio della parità delle armi”, che sarebbe stato violato nel procedimento in esame (v. appello Mediolanum), in quanto detto principio presuppone che in una causa di concorrenza l'impresa interessata abbia una conoscenza del fascicolo relativo al procedimento pari a quella di cui dispone la Commissione e non si estende ad atti diversi da quelli presenti nel fascicolo di indagine o comunque acquisiti in quella determinata indagine (il principio di parità delle armi è stato affermato da Trib. CE, T – 30/91, 29-6-95, Solvay e Trib. CE, T – 36/91, 29-6-95, I.C.I. e da Cons. Stato, VI, n. 652/2001, cit.).

Sempre come rilevato dal giudice di primo grado, ben possono le imprese utilizzare il contenuto dell’audizione per dimostrare la fondatezza, anche in sede giurisdizionale, delle proprie tesi.

Peraltro, come si vedrà in seguito, il contenuto dell’audizione del Prof. Buzzacchi investe profili di carattere generale e non rileva ai fini del giudizio sulla sussistenza dell’infrazione contestata.

3.8. La società Generali contesta l’illegittima acquisizione dei documenti, sui l’Autorità ha fondato l’aggravamento nei suoi confronti della sanzione pecuniaria irrogata, trattandosi di documenti coperti dal privilegio “avvocato – cliente” e come tali non acquisibili.

Il documento in questione, in realtà, è una nota interna di un responsabile di divisione, priva di alcun legame con un mandato difensivo o di consulenza conferito ad un legale ed era quindi legittimamente acquisibile dall’Autorità.

4. I motivi attinenti al parere dell’ISVAP

4.1. Le appellanti deducono la violazione dei principi del contraddittorio e del giusto procedimento sotto due profili, entrambi attinenti al parere reso dall’ISVAP:

a) il parere è stato acquisito dall’Autorità dopo la chiusura della istruttoria e delle audizioni delle parti, cui quindi non è stato consentito di controdedurre con riferimento al parere stesso;

b) l’Autorità avrebbe omesso di inviare all’ISVAP la bozza del provvedimento finale.

I due motivi, in evidente contrasto fra loro, sono entrambi infondati.

La richiesta del parere dell’autorità di settore (ISVAP), prevista dall’art. 20, comma 4 della legge n. 287/90, è motivata dalla innegabile interferenza delle attribuzioni di questa con quelle proprie dell’Autorità antitrust e tende a risolvere, con il coinvolgimento della prima nel procedimento avviato dalla seconda, le conseguenti incertezze di disciplina e di vigilanza del mercato.

In coerenza con ciò, ed anche alla stregua delle modifiche legislative di cui all’art. 1, comma 6, lett. c), n. 11) della legge n. 249/97, deve ritenersi che il parere dell’Autorità di settore si colloca nella fase decisoria e non nella fase istruttoria del procedimenti innanzi all’Autorità antitrust, dovendosi quindi escludere che su di esso debba essere aperta una nuova istruttoria (vi sarebbe peraltro il rischio, evidenziato dall’Avvocatura dello Stato, di un indefinita riapertura delle fasi procedimentali secondo un circolo vizioso per cui le osservazioni delle parti sul parere dell’ISVAP andrebbero sottoposte nuovamente all’esame dell’organo consultivo e così via).

Le precedenti considerazioni si fondano direttamente sulle previsioni legislative ed escludono la rilevanza delle censure direttamente attinenti l’art. 14 del D.P.R. n. 217/98 e proposte avverso la suddetta disposizione regolamentare, sostenute anche in udienza dalle compagnie appellanti, che hanno lamentato l’omessa pronuncia del giudice di primo grado (il Tar aveva motivato il proprio cambio di giurisprudenza con l’entrata in vigore del citato DPR e le appellanti contestavano il diretto contrasto con la norma primaria, su cui peraltro si era fondato lo stesso Tar in precedenti decisioni; la questione risulta irrilevante alla luce del quadro interpretativo delle norme primarie, descritto in precedenza).

In relazione al secondo profilo del motivo, si osserva che l’art. 20, comma 4, della legge n. 287/90 prevede che l’ISVAP si pronunci entro 30 giorni dal ricevimento della documentazione posta a fondamento del provvedimento. Il testo è parzialmente diverso dal citato art. 1 della legge n. 249/97, che fa riferimento all’espressione da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, entro trenta giorni dal ricevimento della relativa documentazione, del parere obbligatorio sui provvedimenti, riguardanti operatori del settore delle comunicazioni, predisposti dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Avendo in precedenza escluso che il parere dell’ISVAP intervenga nella fase istruttoria del procedimento antitrust, ne consegue che, anche se non è formalmente richiesto (e quindi non è necessario) che detto parere intervenga sulla bozza definitiva del provvedimento finale, deve comunque risultare che l’Autorità di settore sia informata sugli elementi essenziali della decisione che l’Autorità antitrust si avvia ad assumere.

La Sezione, con riferimento al parere dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha già rilevato la necessità che l’organo chiamato a fornire il proprio apporto sia stato messo in condizione di interloquire cognita causa, ossia sulla base di una rappresentazione degli elementi di fatto capace di consentirle una consapevole ed informata espressione dell’avviso (Cons. Stato, VI, n. 1699/2001, Tim/Omnitel).

E’ quindi questione di specie quella inerente la verifica della piena informazione dell’Autorità di settore.

Con riferimento alla fattispecie in esame, si rileva che l’Autorità antitrust, oltre ad avere inviato all’ISVAP tutta la documentazione posta a fondamento del provvedimento finale, ha trasmesso anche la comunicazione delle risultanze istruttorie, che, come sempre avviene nei procedimenti dell’autorità antitrust, non contiene un mero riepilogo dell’istruttoria svolta, ma anche le conclusioni dell’Autorità.

Dette conclusioni contengono un motivato giudizio sull’anticoncorrenzialità della pratica relativa all’abbinamento (v. par. 214 e ss. C.R.I.) e dello scambio di informazioni contestato (v. par. 232 e ss.) e sulla ritenuta gravità delle infrazioni contestate (par. 258 e ss.).

A differenza di quanto sostenuto da alcune appellanti si tratta quindi di un atto contenente in maniera completa le valutazioni finali dell’Autorità., anche se ovviamente non formalmente corrispondente al successivo provvedimento finale.

E’ quindi evidente come l’Autorità di settore sia stata pienamente informata sugli elementi essenziali della decisione, poi assunta dall’Autorità, ivi compresa l’intenzione di procedere all’irrogazione della sanzione pecuniaria, la cui sola quantificazione era esclusa dagli atti inviati (peraltro, la ratio dell’apporto conoscitivo dell’ISVAP sembra essere estranea all’aspetto della quantificazione della sanzione, ma riguarda il solo aspetto della gravità dell’infrazione, presupposto per l’irrogazione della sanzione pecuniaria).

E’ manifestamente infondata la questione di costituzionalità proposta da alcune appellanti (v., in particolare, Ras, Allianz, Nuova Tirrena e Mediolanum) in ordine all’art. 20, comma 4, della legge n. 287/90, come interpretato dal Tar, in quanto il procedimento descritto non appare in alcun modo lesivo del principio di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione, né tanto meno appare lesiva dello stesso principio l’attribuzione all’Autorità antitrust dei poteri in materia di concorrenza nel campo assicurativo avuto riguardo anche ai richiamati articoli 3 e 41 della Costituzione, assumendo carattere eccezionale la particolare disciplina della tutela della concorrenza nel settore bancario.

4.2. Le compagnie appellanti contestano anche il difetto di valutazione da parte dell’Autorità del parere reso dall’ISVAP.

E’ pacifico che detto parere non sia vincolante, essendo per di più previsto che in caso di decorso del termine in assenza della espressione del parere l’Autorità antitrust possa adottare ugualmente il provvedimento di sua competenza (art. 20, comma 4, della legge n. 287/90).

Pur non essendo vincolante detto parere ha una qualificata efficacia per quanto riguarda le valutazioni normalmente proprie dell’autorità che lo esprime; valutazioni dalle quali l’Antitrust può discostarsi con rigorosa ed esauriente motivazione.

Le valutazioni dell’Autorità di settore assumono quindi una valenza diversa a seconda che si riferiscano alla disciplina ed alle caratteristiche del settore regolato rispetto a quelle attinenti l’applicazione delle norme in materia di tutela della concorrenza.

In entrambi i casi l’Autorità antitrust dovrà motivare il discostamento dal parere dell’autorità di settore, ma nella prima ipotesi la motivazione dovrà essere particolarmente esauriente a differenza della seconda, in cui le valutazioni attengono direttamente alle competenze attribuite al garante della concorrenza.

Già in una precedente decisione, la Sezione ha annullato un provvedimento dell’Autorità appellata anche sulla base della carente motivazione del provvedimento adottato dall’Antitrust con riferimento alle valutazioni espresse dall’ISVAP in ordine alle caratteristiche dell’istituto della coassicurazione ed alle spiegazioni del suo utilizzo (questione attinente direttamente il settore assicurativo; v. Cons. Stato, VI, n. 1187/2001, Rischi Comune Milano).

Ciò premesso, si rileva che nel caso di specie, l’Autorità si è discostata dal parere espresso dall’ISVAP con motivazioni, la cui adeguatezza sarà verificata in seguito unitamente ai connessi motivi proposti in ordine al merito della controversia.

5. Motivi attinenti alla definizione ed alle caratteristiche del mercato rilevante.

5.1. Per quanto riguarda la definizione del mercato rilevante sotto il profilo geografico, contestata dalle imprese, si rinvia a quanto detto in precedenza in ordine alla competenza dell’Autorità antitrust nazionale.

5.2. Diverse società appellanti hanno formulato specifiche censure relative alla parte del provvedimento impugnato con cui l’Autorità ha descritto le caratteristiche del mercato rilevante, contestando, in particolare, le valutazioni dell’Autorità:

a) sul grado di concentrazione del mercato (anche in ragione della mancata applicazione dell’indice di Herfindahl – Hirschman – HHI);

b) sull’esistenza di barriere all’entrata;

c) sulle caratteristiche della domanda;

d) sull’esistenza di anomalie sintomatiche di un mercato non concorrenziale;

e) sulla stabilità delle quote di mercato;

f) sull’andamento delle tariffe e sul confronti con i paesi CE;

g) sulla valutazione dei costi delle imprese assicurative;

h) sulla differenziazione tariffaria tra le imprese.

Negli appelli detti elementi vengono elevati ad elementi costitutivi della fattispecie contestata, come ribadito anche nell’udienza di discussione da parte di alcune imprese.

Accedendo a tale tesi, la dimostrazione dell’infondatezza delle valutazioni espresse dall’Autorità, anche con riferimento ad uno solo di tali elementi, renderebbe illegittimo il provvedimento impugnato.

Come rilevato dal Tar, la tesi non è convincente, in quanto l’Autorità ha utilizzato detti elementi per descrivere il contesto economico all’interno del quale operavano le imprese.

I provvedimenti dell’Autorità antitrust sono dei provvedimenti amministrativi “atipici”, in quanto si discostano, come evidenziato in precedenza, dallo schema classico di provvedimento amministrativo. Sono caratterizzati da un ampia ricostruzione del quadro normativo ed economico di riferimento, dalla puntuale indicazione delle contestazioni mosse e delle tesi delle parti coinvolte e si concludono con le valutazioni giuridiche dell’Autorità.

E’ evidente che in presenza di un provvedimento di tale complessità l’esistenza di errori o di valutazioni opinabili non corrette non è di per sé sufficiente a determinare l’annullamento del provvedimento, ma deve essere valutata alla luce dell’incidenza sulle determinazioni assunte.

Nel caso in esame, gran parte delle suindicate valutazioni relative al contesto economico di riferimento non avevano una diretta incidenza sull’infrazione sanzionata e potevano anche essere pretermesse nel provvedimento finale.

Si tratta per lo più di elementi attinenti ai concreti effetti delle pratiche contestate e che quindi non assumono rilevanza in considerazione del fatto che l’autorità non ha sanzionato le imprese anche per gli effetti anticoncorrenziali determinati, ma per il solo oggetto delle pratiche, ritenuto illecito ai fini antitrust alla luce dei soli effetti potenzialmente restrittivi.

Ciò premesso, le censure rivolte direttamente avverso i suindicati elementi dell’impugnato provvedimento sono prive di rilievo e quindi inammissibili per carenza di interesse, in quanto il provvedimento impugnato si fonda su elementi autonomi e diversi rispetto a quelli sopraindicati.

Come si vedrà in seguito, con particolare riferimento allo scambio di informazioni, alcuni di detti elementi assumono una valenza indiretta al solo fine di verificare la compatibilità della valutazione di anticoncorrenzialità, effettuata dall’Autorità, all’interno di quel determinato contesto economico.

Il che è però cosa diversa dal ritenere che si tratti di elementi costitutivi della fattispecie illecita: per esemplificare, verificare la compatibilità della valutazione di anticoncorrenzialità di uno scambio di informazioni con un determinato mercato è cosa diversa dall’accertare se l’accertamento del grado di concentrazione del mercato è corretto, in quanto nel primo caso la compatibilità può sussistere anche in presenza di un accertamento non rigoroso delle caratteristiche del mercato, mentre nel secondo la non correttezza della valutazione di un singolo elemento del mercato condurrebbe all’invalidità del provvedimento che su di esso si fonda.

Deve quindi ritenersi l’irrilevanza delle censure autonomamente proposte e quindi la non necessità di approfondire le contestazioni mosse dalle appellanti alle valutazioni tecniche espresse dall’Autorità (con rinvio al seguito per la connessione di alcune questione con i motivi direttamente riguardanti lo scambio di informazioni).

6. Motivi relativi all’abbinamento della polizza furto – incendio con la polizza RCA (c.d. “tie-in”)

6.1. Si può ora passare ad esaminare la prima infrazione accertata dall’Autorità: la pratica concordata consistente nell’abbinamento della polizza furto – incendio con la polizza RCA (c.d. “tie-in”).

Si ricorda che agenti della Guardia di Finanza, su incarico dell’Autorità, si sono recati in 90 agenzie assicurative dei primi 15 gruppi assicurativi di Milano, di Roma e di Bari e si sono visti rifiutare la vendita della polizza incendio e furto per una automobile di media cilindrata, separatamente dalla vendita della polizza per la responsabilità civile.

Secondo l’Autorità il rifiuto, da parte di tutte le imprese interpellate dalla Guardia di Finanza, di acquisire solo i rischi incendio e furto costituisce un parallelismo assoluto di comportamenti delle imprese coinvolte, che non può essere motivato da ragioni plausibili diverse dalla concertazione.

Secondo alcune appellanti (v. in particolare, SAI) dalla mancata espressa contestazione da parte dell’Autorità dell’art. 2, comma 2, lett. e) della legge n. 287/90 si ricava che non si è configurata la violazione di tale disposizione con conseguente illegittimità della diffida pronunciata in relazione a comportamenti che non violano alcuna fattispecie legale tipica.

In effetti, con l’impugnato provvedimento l’Autorità non addebita espressamente alle imprese la violazione della lett. e) del comma 2 dell’art. 2 della legge n. 287/90 (“subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l'oggetto dei contratti stessi”).

La mancata indicazione della disposizione sembra significare che l’Autorità abbia preso atto che la garanzia per incendio e furto non sia una “prestazione supplementare”, ma una prestazione semplicemente connessa con la garanzia RCA in relazione al bene cui entrambe le polizze si riferiscono (l’autoveicolo).

L’Autorità ha in realtà contestato una sorta di “tie-in all’inverso”, in cui l’offerta della polizza RCA (obbligatoria) non viene sfruttata per abbinare una garanzia facoltativa (fattispecie oggi vietata dall’art. 4, comma 3, della legge n. 57/2001), ma avviene il contrario: il prodotto connesso e facoltativo (polizza incendio e furto) viene offerto solo insieme alla polizza obbligatoria.

Il motivo proposto da Sai è infondato, in quanto in astratto, l’accertato “tie-in all’inverso” può costituire una violazione dell’art. 2 della legge n. 287/90, poichè le elencazioni della disposizione sono meramente esemplificative e non tipizzano le ipotesi di intese anticoncorrenziali, in relazione alle quali rileva unicamente il dato sostanziale dell’accertamento di comportamenti collusivi tra le imprese (cfr. sul punto, Cons. Stato, n. 1189/2001, secondo cui, come già detto, le norme poste a tutela della concorrenza non sono “di stretta interpretazione”, come invece in precedenza ritenuto da Cons. Stato, VI, n. 1792/96).

Avuto riguardo anche all’ulteriore motivo, secondo cui la pratica di abbinamento contestata sarebbe conforme agli usi commerciali del settore, si rileva che la giurisprudenza comunitaria, nel ribadire che l'elenco delle pratiche abusive contenuto nell'art. 86, secondo comma, del Trattato non è tassativo, ha affermato che anche quando la vendita collegata di due prodotti è conforme agli usi commerciali o quando vi è un nesso naturale tra i due prodotti di cui trattasi, nondimeno essa può configurare abuso ai sensi dell'art. 86, a meno che non sia obiettivamente giustificata (Corte Giust. CE, 14-11-96, C-333/94, Tetra Pak, par. 37).

6.2. Ciò premesso, deve essere in primo luogo esaminato il motivo con cui le società appellanti sostengono l’erronea imputazione alle compagnie di assicurazione dei rifiuti opposti dalle singole agenzie.

Il motivo è infondato.

Come rilevato correttamente dal Tar, il comportamento degli agenti non poteva che rispecchiare le istruzioni delle rispettive Compagnie, sia perché in forza dell’art. 1746 c.c. gli agenti devono adempiere l’incarico affidato “in conformità alle istruzioni ricevute”, sia perché l’accordo ANIA 1994, disponendo che gli agenti devono operare in modo che “le quotazioni di uno stesso affare non risentano – a parità di ogni altra condizione -di criteri sostanzialmente diversi per il fatto che a prestare l’affare siano diverse agenzie”, presupponeva che di fatto l’agente seguisse le istruzioni impartite dalla Compagnia.

Peraltro, l’esistenza di istruzioni diramate da alcune Compagnie alle rispettive agenzie e concernenti modalità di vendita delle polizze CVT condizionatamente alla polizza RCA è stata provata dall’Autorità che ne ha fatto menzione nella delibera.

Sicché pur essendo vero che gli agenti, in linea di principio, dispongono di autonomia imprenditoriale e possono mutare le condizioni di polizza, è altrettanto vero che tale autonomia era di fatto preclusa dall’accordo Ania sopra menzionato e dalle istruzioni delle compagnie.

Inoltre, in presenza di un rifiuto totale opposto dalle singole agenzia, spettava alle imprese provare che si era in presenza di scelte discrezionali di ciascun agente dettate da circostanze di vario genere o occasionali.

Tale prova non è stata fornita.

6.3. Con un gruppo di censure le appellanti deducono l’illegittimità dell’impugnato provvedimento nella parte relativa al tie-in sotto diversi profili:

a) scarsa rappresentatività del campione di imprese oggetto dell’indagine della Guardia di Finanza;

b) assenza di omogeneità dei comportamenti tenuti dalle imprese, che variavano dall’espresso divieto della stipula della polizza incendio e furto disgiunta a sole limitazioni nell’assunzione del rischio separato;

c) difetto di istruttoria in ordine all’effettivo numero delle polizze incendio e furto stipulate dalle imprese;

d) difetto di istruttoria con riguardo alla mancata indagine sulla restante parte del mercato;

e) disparità di trattamento riguardo alle imprese costituenti la restante parte del mercato, che potrebbero continuare a vendere congiuntamente le due polizze con ingiusto danno per le imprese destinatarie della diffida;

f) erronea valutazione delle spiegazioni alternative alla vendita congiunta della polizza, tenuto conto dell’assenza di prove della concertazione e del parere reso dall’ISVAP;

g) mancato accertamento degli effetti della pratica concordata.

In relazione alle censure sub d) ed e) l’Avvocatura dello Stato ha rilevato l’inammissibilità delle stesse per essere state proposte solo con il ricorso in appello.

L’eccezione è fondata solo in relazione al motivo della disparità di trattamento, che risulta peraltro anche infondato in quanto la Sezione ha già rilevato come le imprese sanzionate non possono dolersi della mancata punizione di altre imprese e che l’eventuale illegittimità posta in essere dall’Autorità a vantaggio di altri soggetti, non può essere dedotta come vizio di disparità di trattamento in relazione ad un provvedimento che incide legittimamente in maniera negativa nella sfera dei ricorrenti, i quali al più possono utilizzare gli strumenti concessi dall’ordinamento per stimolare l’esercizio del potere anche nei confronti di altri soggetti o anche impugnare, con articolate e specifiche censure i capi del provvedimento dell’Autorità (ove esistenti) che hanno escluso la responsabilità di altre imprese (cfr. Cons. Stato VI, n. 1671/2001, Caldaie).

In relazione al motivo sub d) (difetto di istruttoria con riguardo alla mancata indagine sulla restante parte del mercato) si rileva che non si tratta di un motivo nuovo ma della specificazione dei vizi sub c) ed f), proposti già in primo grado.

Prima di esaminare le singole censure è opportuno ricordare che l’Autorità ha dedotto dai risultati dell’indagine della Guardia di Finanza l’esistenza di un parallelismo assoluto di comportamenti ed ha poi disatteso il parere dell’ISVAP ritenendo che “la volontà comune delle imprese di isolare il settore CVT dalla concorrenza e di tenere in tal modo elevati i prezzi delle polizze per l'incendio e il furto auto rimane l'unica spiegazione plausibile del parallelismo, consistente nell’abbinamento” (par. 216 del provvedimento impugnato).

Prosegue l’Autorità, rilevando che “se il mercato fosse effettivamente concorrenziale, le imprese non avrebbero convenienza a rifiutare un prodotto (CVT) particolarmente profittevole. Occorre, pertanto, che ciascuna impresa abbia la certezza dell'uniforme comportamento da parte dei suoi concorrenti: altrimenti, nessuna impresa adotterebbe la strategia "suicida" di rifiutare la stipula di una polizza particolarmente profittevole, restando al contempo obbligata per legge a stipulare, sia pure con altri assicurandi, una polizza per la quale invece si profila, a detta delle parti, la certezza statistica della perdita. Risulta così evidente che il rifiuto di contrarre la sola polizza CVT è comportamento che risulta conveniente soltanto nel quadro di certezze scaturenti dalla vincolatività dell'intesa collusiva per le imprese”.

Si evidenzia anche che l’ISVAP aveva segnalato la sussistenza di elementi tecnici ed economici, idonei a giustificare la vendita abbinata della polizza incendio e furto con l’assicurazione RCA e consistenti in guadagni di efficienza nella distribuzione e nella necessità di evitare il rischio di comportamenti fraudolenti degli assicurati. L’Autorità di settore riteneva inoltre l’inesistenza di un parallelismo assoluto, in presenza di direttive non uniformi delle imprese (divieti espressi e semplici limitazioni alla vendita disgiunta) e evidenziava l’assenza di rilevazioni per il restante 42 % dl mercato CVT.

Richiamando quanto detto in precedenza in ordine alla valenza del parere dell’ISVAP e rilevando che proprio in questo caso le osservazioni di quest’ultimo attengono al settore assicurativo e non alla disciplina della concorrenza, si rileva che le motivazioni contenute nel provvedimento impugnato superano solo in parte dette osservazioni e soprattutto denotano carenze sotto il profilo dell’istruttoria sia in relazione alla prova del parallelismo di comportamenti sia alla successiva affermazione dell’assenza di spiegazioni alternative rispetto alla concertazione.

In presenza di direttive non uniformi delle compagnie, il parallelismo del comportamento consistente nell’abbinamento delle polizze poteva fondarsi anche sugli esiti della indagine svolta, ma non poteva prescindere dall’accertamento dell’effettivo numero delle polizze incendio e furto stipulate dalle imprese e da un’indagine circa le ragione della stipula di polizze disgiunte in presenza di percentuali non irrilevanti.

Tra i tanti dati statistici contenuti nell’impugnato provvedimento, manca una tabella contenente le suindicate percentuali, essendosi l’Autorità limitata ad indicazioni generiche e non fondate su un espresso accertamento (v. par. 110 del provvedimento impugnato).

Nella memoria conclusiva in appello l’Avvocatura dello Stato ha supplito a tale carenza fornendo i dati disaggregati per compagnia a dimostrazione della irrilevanza delle percentuali di vendita disgiunta ad eccezione del caso di Toro, per il quale l’Autorità aveva comunque fornito una motivazione delle specifiche ragioni giustificative del dato (v sempre par. 110).

E’ evidente che si tratti di elementi non integrabili in corso di giudizio, il cui rilievo ai fini del giudizio sulla legittimità della diffida pronunciata va valutato unitamente ad altro motivo che risulta anche fondato: il difetto di istruttoria con riguardo all’assenza di spiegazioni alternative al parallelismo.

Si ricorda che la Sezione, in conformità con gli orientamenti della Corte di Giustizia, ha rilevato che un parallelismo consapevole delle condotte tenute da imprese, di per sé lecito, può essere considerato come frutto di un'intesa anticoncorrenziale, ossia di un vietato coordinamento delle condotte, ove emergano indizi gravi, precisi e concordanti rappresentati, alternativamente o cumulativamente:

a) dall’impossibilità di spiegare alternativamente la condotta parallela come frutto plausibile delle iniziative imprenditoriali;

b) dalla presenza di elementi di riscontro (quali contatti e scambi di informazioni) rivelatori di una concertazione e di una collaborazione anomala.

Quanto all’elemento sub a), va soggiunto che mentre di norma la prova dell’irrazionalità della condotta va data dall’Autorità, nel caso in cui emergano elementi di riscontro sub b), l’onere probatorio contrario relativo viene spostato in capo all’impresa. (cfr. Cons. Stato, VI, n. 1699/2001, Tim – Omnitel).

Ricorrendo nel caso di specie l’ipotesi sub a), gravava sull’Autorità l’onere di fornire una prova rigorosa dell’assenza di spiegazioni alternative al parallelismo, tenuto anche delle osservazioni sul punto dell’ISVAP.

La motivazione fornita dall’Autorità è certamente plausibile ma si fonda sul fatto “che ciascuna impresa abbia la certezza dell'uniforme comportamento da parte dei suoi concorrenti” tenuto conto che “il rifiuto di contrarre la sola polizza CVT è comportamento che risulta conveniente soltanto nel quadro di certezze scaturenti dalla vincolatività dell'intesa collusiva per le imprese”.

Detta motivazione collide con l’assenza della minima indagine sulla restante parte del mercato, che, benché costituita da imprese di minori dimensioni, costituisce comunque il 42 % del mercato stesso CVT.

L’Autorità avrebbe dovuto verificare il comportamento delle altre imprese per poi verificare alla luce delle risultanze raccolte le richiamate valutazioni.

Secondo la prospettazione dell’Autorità la convenienza ad adottare una strategia definita “suicida” deriverebbe dalla certezza dell’uniforme comportamento dei concorrenti; tra questi vi è però un 42 % le cui condotte non sono state indagate per verificare se partecipassero alla pratica o, in caso contrario, per valutare la compatibilità (in ipotesi anche possibile) con le descritte conclusioni di un non adeguamento alla pratica di una parte del mercato.

Alcune appellanti hanno evidenziato come il cliente che non sia soddisfatto delle condizioni CVT, ma lo sia per quelle RCA, possa cambiare assicuratore per la CVT, mantenendo il diritto di tenere ferma l’assicurazione RCA (v. appello Generali e Assitalia). Tale affermazione non è del tutto esatta, in quanto proprio il contestato abbinamento delle polizze, renderebbe difficile per quel cliente trovare chi lo assicura per il solo rischio CVT, ma, come evidenzia Milano, le compagnie di assicurazioni estranee all’intesa sarebbero state ben liete di accettare i contratti CVT, peraltro remunerativi come affermato dall’Autorità.

L’Autorità non ha esteso la propria indagine su tale ultimo aspetto e non ha quindi verificato in modo adeguato, sotto il profilo istruttorio, l’attendibilità delle proprie conclusioni.

L’impressione è che l’originario oggetto dell’istruttoria sia stato “trascurato” dall’Autorità nell’ulteriore corso del procedimento, in seguito all’estensione determinata dalle acquisizione degli elementi che hanno condotto al più rilevante filone dell’indagine, sfociato poi nell’accertamento dell’infrazione sanzionata anche pecuniariamente.

Anche l’assenza (non motivata, in quanto il par. 221, richiamato dall'Avvocatura, non affronta specificatamente la questione della non gravità della infrazione) di sanzioni pecuniarie in relazione ad una pratica, che nelle stesse risultanze istruttorie era stata ritenuta grave dall’Autorità, è indice di una minore convinzione della stessa Autorità nel condurre a termine l’istruttoria relativa al tie-in.

Sulla base delle precedenti considerazioni, assorbiti gli ulteriori motivi inerenti la questione ed in parziale riforma della sentenza impugnata, deve essere annullato l’impugnato provvedimento limitatamente ai capi a) e c) dello stesso, relativi alla pratica concordata di vendita congiunta di polizze CVT e RCA, in accoglimento dei ricorsi in appello proposti da Assicurazioni Generali s.p.a., Assitalia – Le Assicurazioni d’Italia s.p.a., AXA Assicurazioni s.p.a., Bayerische Assicurazioni s.p.a., Lloyd Adriatico s.p.a., Lloyd Italico Assicurazioni s.p.a., Milano Assicurazioni s.p.a., SAI – Società Assicuratrice Industriale s.p.a., Sara Assicurazioni s.p.a., Società Reale Mutua di Assicurazioni, Toro Assicurazioni s.p.a., Compagnia Assicuratrice Unipol s.p.a., Winterthur Assicurazioni s.p.a., Zurigo Compagnia di Assicurazioni SA.

Ovviamente le riscontrate carenze istruttorie, relative all’accertamento della intesa contestata, non rendono legittime pratiche concordate quali quelle in astratto descritte dall’Autorità, restando quindi salvi gli eventuali ulteriori provvedimenti della stessa in ordine all’accertamento di comportamenti anticoncorrenziali anche riferiti alla vendita delle polizze RCA e furto – incendio (sulla base di una istruttoria conforme alle indicazioni sopra enunciate).

7. Motivi relativi all’intesa consistente nello scambio di informazioni.

7.1. La pratica concordata sanzionata dall’Autorità

7.1.1. Preliminare all’esame dei motivi di appello proposti è l’esatta individuazione della fattispecie illecita sanzionata dall’Autorità.

Come detto in precedenza, i provvedimenti dell’Autorità sono composti da più parti: in quella in fatto vengono indicati gli elementi raccolti, cui segue una parte in diritto, in cui vengono espresse le valutazione giuridiche, compresa la qualificazione dei fatti alla luce della disciplina antitrust.

Nel caso di specie, l’individuazione della fattispecie sanzionata non si ottiene combinando i paragrafi della parte in fatto con quelli della parte in diritto, ma verificando tramite quest’ultima i fatti aventi un oggetto o un effetto anticoncorrenziale.

Di conseguenza, il riferimento nei paragrafi n. 115 e 116 ad ulteriori scambi di informazioni, avvenuti direttamente tra le imprese al di fuori del circuito Rc Log, non determina una estensione anche a detti scambi della fattispecie sanzionata, che resta quella “valutata giuridicamente” dall’Autorità ai paragrafi 222 e seguenti: “i comportamenti delle imprese di assicurazione, realizzati attraverso i servizi della società RC Log, costituiscono una complessa intesa orizzontale finalizzata allo scambio di informazioni sensibili di natura commerciale. L'intesa si realizza attraverso un unico circuito informativo fondato sul principio della reciprocità, nel senso che ogni impresa invia i propri dati al fine di ricevere quelli dei concorrenti. Per il funzionamento del meccanismo le imprese intrattengono contatti diretti ed indiretti, finalizzati a definire le linee della collaborazione ed, in alcuni casi, a selezionare anche le imprese ammesse allo scambio”.

I contatti diretti e indiretti, cui fa riferimento l’Autorità, non sono gli scambi diretti di informazioni, richiamati in precedenza, ma sono costituiti dai rapporti sempre connessi al circuito Rc Log (decisioni sulla natura ed aggregazione dei dati, ammissione delle imprese ai diversi livelli dello scambio, riunioni dei comitati tecnici ecc.).

Sono pertanto inammissibili per carenza di interesse tutti i motivi relativi all’assenza di prova di contatti diretti tra le imprese, ritenuta la mancata considerazione da parte della stessa Autorità sia ai fini dell’individuazione della fattispecie contestata, sia per la prova di questa.

7.1.2. Come in parte già detto, sono anche privi di rilievo tutti i motivi direttamente proposti avverso gli elementi inerenti gli effetti concreti della pratica contestata, in quanto l’Autorità, come chiaramente esplicitato nel paragrafo 262, ha ritenuto “superflua ogni ulteriore analisi che puntualmente qualifichi determinati esiti del mercato come precisi effetti ad esse (le intese) direttamente riconducibili” e si è quindi limitata a verificare “la natura anticompetitiva delle fattispecie esaminate e soprattutto la potenzialità delle stesse ad incidere in modo sostanziale sulle politiche strategiche delle imprese, con conseguente grave pregiudizio per il benessere dei consumatori”.

Avendo l’Autorità sanzionato l’intesa in ragione del suo oggetto anticoncorrenziale e dei suoi potenziali effetti restrittivi, la rilevazione da parte dell’Autorità di alcune anomalie presenti nel mercato indagato assume un generico valore al solo fine della specificazione delle caratteristiche del contesto di riferimento e non costituisce quindi un presupposto dell’impugnato provvedimento.

Trova quindi conferma anche la non rilevanza nell’ambito del procedimento in esame dell’audizione del Prof. Buzzacchi, di cui le imprese hanno lamentato (infondatamente come già visto) l’occultamento da parte dell’Autorità.

Parimenti non rilevante è la parte del parere del Prof. Prosperetti, relativa agli effetti concreti della pratica sul mercato (ovvero agli elementi indicati dall’Autorità per descrivere il mercato ed elevati dalle parti, in modo non corretto, ad elementi costitutivi della fattispecie sanzionata).

7.2. Lo scambio di informazioni in sé (in generale e nel mercato assicurativo)

7.2.1. Con diversi ed articolati motivi le società appellanti hanno contestato la configurabilità quale intesa anticoncorrenziale di uno scambio di informazioni in sé, non correlato ad altra pratica, quale ad esempio un parallelismo di comportamenti.

A differenza dei casi esaminati con le richiamate precedenti decisioni della Sezione, nella fattispecie in esame non si è in presenza di uno scambio di informazioni utilizzato quale elemento di riscontro del fatto che un determinato parallelismo di comportamenti sia il frutto di un intesa anticoncorrenziale (v. il caso Vendomusica), ma la fattispecie sanzionata è costituita dal solo scambio di informazioni, ritenuto di per sé restrittivo della concorrenza.

L’ammissibilità della natura illecita del solo scambio di informazioni è stata affermata in diverse occasioni dalla giurisprudenza comunitaria.

E’ stata, infatti, data risposta positiva all’ammissibilità della scambio di informazioni quale infrazione autonoma della disciplina della concorrenza, non dipendente quindi dall’accertamento del fatto che lo scambio abbia agevolato la perpetrazione di altre infrazioni (Trib. CE, 11-3-99, T 141-94, Thyssen Stahl AG, par. 385 e 649).

Il primo caso in cui gli organi di giustizia comunitari hanno affrontato la questione è stato quello relativo alla scambio di informazioni realizzato tramite l’associazione professionale dei costruttori o importatori di trattori agricoli operanti nel Regno Unito, in cui è stato affermato che in un mercato oligopolistico fortemente concentrato, un accordo che preveda un sistema di scambio di informazioni tra le imprese di questo mercato riduce o annulla il grado di incertezza relativo al funzionamento del mercato e può alterare la concorrenza tra gli operatori economici in presenza di determinate caratteristiche delle informazioni scambiate: natura sensibile delle stesse, comunicazione ravvicinata e sistematica e divulgazione limitata ai partecipanti allo scambio (Trib. Ce, 27-10-94, T-35/92, John Deere Ltd; decisione confermata da Corte Giust. CE, 28-5-98, C-7/95; Trib. Ce, 27-10-94, T-34/92, Fiatagri UK Ltd, relativa allo stesso caso ed analoga alla precedente; v. anche Trib. Ce, 14-5-98, T-354/94, Stora, par. 107).

Nelle stesse decisioni viene affermato anche che uno scambio di informazioni della natura sopra descritta altera sensibilmente la concorrenza tra gli operatori economici, avendo effetto di rivelare periodicamente, a tutti i concorrenti, le posizioni sul mercato e le strategie dei vari concorrenti e di ridurre o di annullare del tutto il grado di incertezza sul funzionamento del mercato che, in assenza di tale scambio di informazioni, sarebbe esistito.

Gli scambi di informazioni devono essere quindi limitati alla rilevazione ed alla divulgazione in forma aggregata di statistiche in modo tale da impedire la possibilità di un loro impiego che consenta i partecipanti di coordinare il loro comportamento commerciale (v. Dec. Commissione CE,, 13-7-94, Cartoncino, par. 166, confermata sul punto da Trib. 14-5-98, T-334/94, Sarriò e da Corte Giust. Ce, 16-11-2000, C-291/98).

L’orientamento della Commissione CE sul punto era già noto alle imprese fin dal 1977, quando la Commissione aveva ravvisato, in linea di principio, lo scopo o l’effetto di limitare la concorrenza nelle ipotesi di scambio organizzato di dati relativi alle singole imprese, come la reciproca comunicazione delle quantità vendute, dei prezzi e delle condizioni praticate, sottolineando la differenza tra uno scambio di informazioni statistiche (consentito) ed uno scambio vietato, in cui i dati consentono l’individuazione dei singoli operatori (v. VII Relazione sulla politica della concorrenza della Commissione del 1977).

7.2.2. Le società appellanti replicano che proprio la citata giurisprudenza comunitaria, limitando l’illiceità dello scambio ad un mercato di tipo oligopolistico e fortemente concentrato ed escludendolo per un mercato effettivamente concorrenziale, dimostrerebbe l’infondatezza della tesi sostenuta dall’Autorità in relazione al mercato assicurativo, che certamente non può considerarsi oligopolistico e che non è neanche fortemente concentrato.

La tesi è priva di fondamento.

Innanzi tutto il ragionamento si fonda su una erronea interpretazione dei precedenti comunitari, in cui la differenza tra mercato effettivamente concorrenziale (in cui lo scambio di informazioni “può” concorrere a intensificare la concorrenza) e mercato oligopolistico fortemente concentrato (in cui lo scambio può alterare la concorrenza) non viene indicata quale parametro di distinzione in termini assoluti tra uno scambio di informazioni lecito ed uno illecito.

Alcun automatismo deriva dai principi affermati nelle citate decisioni, in cui, premessi in termini generali ed astratti i possibili rischi e i possibili vantaggi per la concorrenza in diversi tipi di mercato, la questione è stata poi risolta sulla base delle caratteristiche specifiche del mercato e dello scambio di informazioni esistente.

Peraltro, appare evidente come i mercati non possano essere semplicisticamente suddivisi tra mercati effettivamente concorrenziali e mercati oligopolistici fortemente concentrati, esistendo, tra i due opposti poli, mercati con caratteristiche intermedie.

In aggiunta a quanto si dirà in seguito circa lo scambio di informazioni nel mercato delle assicurazioni, devono ora essere esaminate le censure mosse dalle imprese alle valutazioni dell’Autorità circa le caratteristiche del mercato assicurativo italiano (in particolare, al grado di concentrazione), che, come già detto, non assumono una valenza autonoma, non trattandosi di un elemento costitutivo della fattispecie illecita, ma rilevano ai fini della verifica della compatibilità tra l’illiceità dello scambio di informazioni ed il mercato di riferimento.

L’Autorità ha ritenuto la compatibilità tra la natura illecita dello scambio di informazioni accertato e un mercato non oligopolistico, quale quello dell’assicurazione auto, rilevando che si trattava di uno scambio da cui derivava un vantaggio per le sole imprese partecipanti e non per il consumatore e che, anche in mercati poco concentrati, l’acquisizione delle informazioni sulle strategie dei concorrenti (più difficile rispetto ai mercati oligopolistici) crea le condizioni per pervenire ad un equilibrio collusivo (v. par. 252 – 255 del provvedimento impugnato).

Risulta quindi che l’Autorità non ha subordinato la ritenuta natura illecita dello scambio di informazioni ad un determinato grado di concentrazione del mercato, ma ha correttamente fondato il suo giudizio sulle caratteristiche delle informazioni scambiate e sugli effetti potenzialmente anticoncorrenziali.

Anche sotto tale profilo risultano quindi irrilevanti le censure relative al grado di concentrazione del mercato (anche in ragione della mancata applicazione dell’indice di Herfindahl – Hirschman – HHI).

Peraltro, il mercato italiano dell’assicurazione auto, come meglio precisato nel punto seguente, presenta certamente delle peculiarità, che non consentono di ricondurlo acriticamente ad uno dei due modelli (mercato effettivamente concorrenziale o mercato oligopolistico altamente concentrato).

Appaiono esenti dai vizi denunciati le considerazioni svolte dall’Autorità circa la non qualificabilità del mercato assicurativo italiano come mercato effettivamente concorrenziale.

In particolare, in aggiunta alle rilevanti quote di mercato detenute dai principali gruppi assicurativi (v. Tabella 8 dell’impugnato provvedimento), l’Autorità ha anche sottolineato l’esistenza di una fitta rete di partecipazioni incrociate nonché di significativi c.d. “interlocking directorship” (legami personali) tra imprese concorrenti (v. par. 90).

La particolare struttura degli assetti proprietari, caratterizzati nel sistema assicurativo italiano da partecipazioni incrociate e indirette e da legami personali (sistema definito di “proprietà circolare”), costituisce un elemento potenzialmente distorsivo della concorrenza, valutato di recente in senso negativo dalla stessa Commissione CE che, in sede di valutazione di una operazione di concentrazione, ha imposto alle parti anche l’alienazione di alcune partecipazioni di minoranza e l’impegno a recidere alcuni legami personali esistenti (contemporanea assunzione di cariche sociali in imprese concorrenti; v. Decisione Commissione CE, 12-1-2000, Caso n. IV/M.1712, Generali – Ina, richiamata nel provvedimento impugnato).

In presenza di tali peculiari caratteristiche del mercato assicurativo italiano, non possono trarsi indicazioni utili per verificare la liceità o l’illiceità di uno scambio di informazioni né dall’esatto grado di concentrazione del mercato, né da astratte definizioni di questo.

7.2.3. La verifica della compatibilità “anticoncorrenziale” di uno scambio di informazioni deve quindi essere effettuata in concreto sulla base del tipo di informazioni scambiate e dei potenziali effetti nel mercato assicurativo.

Le appellanti deducono in primo luogo che i principi affermati in generale dalla giurisprudenza comunitaria non possono essere trasfusi nel settore delle assicurazioni, caratterizzato da una sua specificità.

La tesi di un diritto speciale della concorrenza nel settore delle assicurazioni deve essere senz’altro respinta, tenuto anche conto che la Corte di Giustizia ha chiarito che quando il Trattato CE ha inteso sottrarre talune attività all'applicazione delle norme sulla concorrenza, ha formulato una deroga espressa a tal fine; a differenza di altri settori (ad es., il commercio dei prodotti agricoli) non esiste per le assicurazioni una disposizione che escluda l'applicazione delle norme sulla concorrenza o la subordini ad una decisione del consiglio; perciò, il regime comunitario della concorrenza, quale si desume in particolare dagli artt . 85 e 86 del trattato, si applica in pieno al settore delle assicurazioni. Ciò non implica affatto che il diritto comunitario della concorrenza non consenta di tener conto delle particolarità di taluni settori dell’attività economica, ma spetta alla commissione, nell'ambito dell'art . 85, n . 3, del trattato, il tener conto della natura particolare di vari settori economici e delle difficoltà proprie di questi settori (Corte Giust. CE, 27-1-87, C-45/85, Verband der sachversicherer).

7.2.4. Proprio per il settore assicurativo la Commissione Ce ha preso in esame le peculiarità e le difficoltà del mercato, anche con specifico riferimento allo scambio di informazioni, con il regolamento di esenzione n. 3932/92 della Commissione del 21-12-1992 (relativo all’applicazione dell’art. 85, par. 3, del Trattato a talune categorie di accordi, decisioni e pratiche concordate nel settore delle assicurazioni).

Alcune appellanti contestano l’applicabilità del predetto regolamento alla fattispecie in esame e, in particolare, al ramo RCA e comunque deducono la non esaustività del regolamento e la necessità di una verifica degli effetti anticoncorrenziali anche per le ipotesi non rientranti nei casi di esenzione previsti dal regolamento.

I motivi sono infondati.

Richiamando quanto detto in precedenza circa la competenza dell’Autorità ad applicare il regolamento, si osserva che il regolamento si applica espressamente a tutto il settore delle assicurazioni (le categorie di accordi non ricompresi esulano del tutto dall’oggetto della presenta controversia) e prevede l’esenzione per le intese riguardanti la fissazione in comune di tariffe di premi di rischio basate su statistiche collettive o sul numero dei sinistri (art. 1, lett. a), specificando che l’esenzione si applica al calcolo e alla comunicazione del costo medio della copertura dei rischi (premio puro) o la redazione e comunicazione di tavole di mortalità e di tavole di frequenza dei sinistri (numero dei sinistri nel periodo, totale indennizzi corrisposti; art. 2), purché le predette tariffe o le tavole abbiano natura indicativa, non individuino le imprese di assicurazioni interessate e non includano in alcun modo i caricamenti di sicurezza, i redditi derivanti dalle riserve, le spese amministrative o commerciali, i tributi e l’utile previsto (art. 3).

La ratio delle esenzioni è esplicitata nel considerando 6 del Regolamento, in cui viene evidenziato che la raccolta di statistiche sul numero dei sinistri, sul numero dei rischi singoli assicurati, sul totale delle indennità versate in rapporto ai sinistri e sull’ammontare del capitale assicurato rende possibile una migliore conoscenza dei rischi e facilita alle singole compagnie la valutazione degli stessi, purché i premi puri abbiano solo valore di riferimento, mentre le pratiche concordate sui premi commerciali (premi effettivamente praticati e comprensivi del caricamento per la copertura delle spese amministrative, commerciali, di altri costi, del caricamento di sicurezza e degli utili) non sono esentate.

Come meglio ancora espresso nella Relazione della Commissione del 12-5-99 sul funzionamento del predetto regolamento, la cooperazione tra le imprese per essere esentata deve limitarsi a ciò che è necessario per elaborare dati statistici affidabili sull’ampiezza e sulla frequenza dei sinistri e costituisce un vantaggio soprattutto per i concorrenti che non hanno dimensioni sufficienti per procedere da soli al raggruppamento dei rischi e all’elaborazione di dati statistici affidabili.

E’ evidente quindi che l’esenzione riguarda solo quegli elementi di carattere strettamente statistico, che consentono alle imprese di valutare un rischio da assicurare e di determinare il c.d. premio puro e a tal fine risulta del tutto inutile la disaggregazione dei dati per singola compagnia e l’estensione della cooperazione agli elementi ulteriori che si sommano al premio puro.

Si ricorda che il premio puro si basa soltanto sui dati statistici relativi alla frequenza e all’intensità media del rischio in passato, cui viene applicato un coefficiente che tiene conto delle previsioni relative alla evoluzione del rischio in futuro, tramite cui si ottiene il premio di rischio; il premio commerciale corrisponde al premio di rischio maggiorato dei costi amministrativi e del margine di utile delle imprese. Alla luce del regolamento CE gli assicuratori devono limitare la cooperazione e gli studi in comune alla elaborazione di dati statistici per determinare il premio puro con esclusione dei caricamenti di sicurezza, dei costi e del margine di utile, attraverso cui si giunge al premio commerciale. La cooperazione ammessa deve restare nei limiti di ciò che è necessario per formare gruppi di rischi comparabili mediante dati aggregati (v. punti 4, 5 e 12 della citata Relazione del 12-5-99).

Come si vedrà meglio nei paragrafi successivi relativi alla sensibilità dei dati scambiati, deve ritenersi accertato il fatto che i diversi dati che le imprese si scambiavano all’interno dei vari osservatori di Rc Log non si riferivano in alcun modo ai predetti elementi statistici, né avevano un mero valore indicativo ma riguardavano proprio i premi commerciali, peraltro disaggregati nella struttura e indicati per ciascuna singola impresa.

E’ quindi evidente l’inapplicabilità dell’esenzione prevista dal citato regolamento, che non vieta solo la determinazione in comune delle tariffe, come sostenuto da Mediolanum e Bayerische, ma anche i soli scambi di informazioni sugli elementi attinenti alla formazione delle tariffe.

Né, come sostenuto ad esempio da Bayerische, Unipol e Helvetia, per ritenere inapplicabile l’esenzione è necessario esaminare “quale effetto concretamente produca sul mercato in questione la cooperazione in materia di calcolo dei premi puri”, come indicato nella citata Relazione del 12-5-99 della Commissione (punto 12).

La riportata frase non può essere, infatti, estrapolata dal contesto in cui è inserita, da cui emerge chiaramente che tale ulteriore verifica è necessaria solo in caso di difficoltà nel verificare il soddisfacimento delle condizioni di esenzione, che restano limitate al calcolo del premio puro.

Le appellanti contestano anche l’automatismo tra inapplicabilità della esenzione ed illiceità dello scambio di informazioni.

Al riguardo, deve innanzi tutto essere precisato che, come affermato dalla Sezione in altra occasione, l’inapplicabilità di un Regolamento di esenzione comporta la necessità della verifica in concreto dei presupposti per una esenzione individuale, che però nel caso di specie non risulta essere stata chiesta dalle imprese (v. par. 198 e 234 del provvedimento impugnato).

La giurisprudenza comunitaria ha affermato che qualora una intesa non soddisfi tutte le condizioni prescritte da un regolamento di esenzione e non sia stata concessa (o chiesta) l’esenzione individuale le parti possono comunque dimostrare che l ' accordo di cui trattasi non è per altri motivi incompatibile col divieto di cui all ' art . 85 , n . 1 (Corte Giust. CE, 18-12-1986, C-19/86, VAG France, par. 13).

In effetti, per verificare la sussistenza di una infrazione antitrust è necessario accertare che le intese abbiano per oggetto o per effetto l’impedimento, la restrizione o il falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato rilevante.

L’inapplicabilità di un regolamento di esenzione costituisce certamente un indice rilevante a tal fine, ma deve comunque essere verificata la violazione del divieto previsto dalle disposizioni sulle intese restrittive della libertà di concorrenza.

Come correttamente rilevato dal Tar (v. pag. 96 dell’appellata sentenza), l’Autorità, benché ha affermato l’automatismo tra inapplicabilità del regolamento e illiceità dello scambio di informazioni, ha poi comunque proceduto in concreto alla verifica della anticoncorrenzialità dello specifico scambio di informazioni riscontrato (v. par. 234, ultima parte e paragrafi successivi dell’impugnato provvedimento).

Pertanto, anche ritenendo che dall’inapplicabilità del regolamento di esenzione non derivi automaticamente l’illiceità della condotta contestata, la verifica della legittimità dell’impugnato provvedimento deve essere svolta in concreto con l’esame dei motivi con cui le appellanti contestano la natura sensibile dei dati scambiati e sostengono comunque la liceità dello scambio.

7.2.5. Prima di passare ad esaminare i motivi relativi alla sensibilità dei dati, deve essere verificata la compatibilità dell’illiceità dello scambio di informazioni con il mercato di riferimento sotto un altro profilo, consistente nel fatto che il settore RCA è in perdita.

Nel parere dell’ISVAP era evidenziato che “scambi informativi tra imprese che registrano ancora perdite rilevanti, possono essere utili al processo tecnico di tariffazione e devono pertanto ritenersi consentiti”.

Secondo il prodotto parere del Prof. Prosperetti da un punto di vista economico, l’esistenza di perdite per tutti gli operatori di un settore, che siano permanenti, rende impossibile sostenere che le attività delle imprese possa impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza, configurando un danno per i consumatori”.

In sostanza, in presenza di un mercato in perdita (peraltro è in perdita il solo settore RCA e non anche l’ARD), non sarebbero configurabili intese anticoncorrenziali, in quanto i prezzi praticati già non coprono i costi e quindi sono inferiori al teorico prezzo di un mercato concorrenziale.

In queste ipotesi lo scambio di informazioni avrebbe addirittura una finalità pro-competitiva.

La tesi è infondata.

L’applicazione delle norme poste a tutela della concorrenza prescinde dall’andamento del mercato di riferimento e in alcun modo è subordinata all’assenza di perdite permanenti in quel mercato.

Come rilevato dall’Autorità, il settore RCA è peraltro un mercato peculiare, in cui l’obbligatorietà dell’assicurazione determina il c.d. “effetto traino” sugli assicurati, che vengono “acquisiti” come clienti dalle compagnie con l’evidente possibilità di estendere il rapporto all’assicurazione di altri rischi, compreso quello CVT.

Altrimenti non si comprenderebbe il motivo della permanenza sul mercato RCA delle compagnie assicuratrici, che lamentano tutte perdite nel settore.

Inoltre, un organizzato sistema di scambio di informazioni sensibili elimina ogni incertezza sul comportamento dei concorrenti, disincentivando ogni diversa politica commerciale, potenzialmente idonea anche a mutare le condizioni di perdita del mercato.

Infine, la intesa è stata sanzionata per il solo oggetto anticoncorrenziale e non anche per gli effetti concreti, risultando quindi del tutto irrilevanti i riflessi della pratica sulle tariffe applicate.

In questo caso, l’Autorità si è discostata motivatamente dal parere dell’ISVAP su una questione, attinente al diritto della concorrenza (ammissibilità della illiceità di una pratica in un mercato in perdita) e non allo specifico settore assicurativo.

7.3. La natura dei dati scambiati

7.3.1. Preliminare all’esame dei motivi attinenti la natura dei dati scambiati è la descrizione delle modalità di scambio di informazioni esistenti all’interno del circuito Rc Log.

Dagli accertamenti condotti dall’Autorità è emerso che:

- l'attività di RC Log nel settore assicurativo è svolta prevalentemente attraverso l'organizzazione e la predisposizione di appositi "osservatori", ai quali partecipano esclusivamente imprese di assicurazione (par.121);

- le singole imprese hanno partecipato con modalità distinte a tutti o a solo alcuni degli osservatori predisposti da RC Log. (par.124);

- la partecipazione delle singole imprese agli osservatori RC Log avveniva attraverso la sottoscrizione, con cadenza annuale, di contratti di abbonamento per adesione predisposti da RC Log. Nei contratti vengono indicati, tra l'altro, l'elenco dei partecipanti all'osservatorio nell'anno precedente e le caratteristiche del prodotto che riceveranno dall'osservatorio (par. 127);

- agli atti del procedimento risultano documenti dai quali emerge che l'ingresso a taluni servizi RC Log è subordinato all'accettazione delle altre imprese partecipanti al servizio. (par.128);

- i dati erano fruibili da tutte le imprese aderenti atteso che, quando non erano in chiaro, il sistema di criptaggio era puramente formale o facilmente aggirabile (v. par. 157, e documentazione richiamata, per la conoscenza dei codici di codifica da parte degli aderenti agli osservatori);

- in particolare attraverso l’osservatorio Multicompagnia le imprese si scambiavano informazioni di provenienza aziendale a scadenza ravvicinata (anche mensile) su incassi (a livello nazionale, regionale, provinciale), sinistri (numero, importo velocità di liquidazione), e la performance della rete distributiva di ciascuna impresa (flash mensile incassi, flash mensile sinistri, analisi trimestrale provinciale degli incassi, analisi trimestrale provinciale sinistri, quaderno sinistri, analisi annuale provinciale del portafoglio e dei punti vendita; v. par. 132);

- attraverso l’osservatorio Multiskene le compagnie si scambiavano informazioni di provenienza aziendale concernenti la valutazione dell’andamento dei singoli rami e il possibile sviluppo del mercato assicurativo (incremento atteso della raccolta premi, incidenza dei costi e dei sinistri, ecc.; v. par. 133);

- attraverso l’osservatorio Multigamma venivano scambiate informazioni di provenienza aziendale concernenti le condizioni di contratto applicate da ciascuna impresa ai prodotti assicurativi in questione (quali ad esempio: garanzie accessorie, condizioni, clausole, limitazioni, estensioni, target, premi, tassi, sconti, supporti promozionali ecc.; v. par.134);

- lo scambio attraverso RCA e CVT concerneva le tariffe praticate dalle compagnie, cioè i premi commerciali delle relative polizze e gli elementi della struttura delle tariffe con le modalità meglio precisate in seguito.

Correttamente il Tar ha escluso che potesse trattarsi di dati a valenza statistica o riconducibili a mere ricerche o studi di mercato, in quanto era possibile risalire alle singole compagnie interessate e si trattava di dati disaggregati e relativi non solo all’ampiezza ed alla frequenza dei sinistri.

Ha anche escluso che avessero una mera rilevanza storica in quanto le informazioni si riferiscono a scelte aziendali attuali idonee ad essere utilizzate dalle concorrenti per determinare il loro comportamento futuro sul mercato e non già informazioni superate prive di impatto operativo.

Nel citato precedente comunitario, relativo al caso dei trattori inglesi, il valore “storico” di un dato era stato individuato nel decorso di un lasso di tempo, quantificato ad un anno.

Le appellanti contestano l’applicabilità del principio al settore delle assicurazioni, che è in continua evoluzione (v., in particolare, Generali, Assitalia, Fata, Sara ed Axa).

Si osserva che comunque i dati venivano scambiati in tempi decisamente ridotti rispetto all’entrata in vigore degli stessi (30 – 60 giorni in alcuni casi) e che in quel momento dette informazioni non avevano certo valore “storico”, ma attuale come dimostrano anche le prove raccolte dall’Autorità sull’effettivo utilizzo dei dati da parte di alcune compagnie, di cui si dirà oltre.

Le descritte caratteristiche dei dati scambiati, oltre che confermare l’inapplicabilità del citato Regolamento di esenzione, dimostrano per tutti gli osservatori l’assenza di una valenza meramente statistica dei dati stessi e la potenzialità anticoncorrenziale dello scambio, con cui venivano messi in comune dati interni delle imprese in modo da poter attenuare i rischi della concorrenza causa l’influenza (anche solo potenziale) della conoscenza dei predetti dati sui comportamenti da tenere sul mercato.

La giurisprudenza ha chiarito che ogni operatore economico deve determinare autonomamente la propria condotta e che ciò non esclude il diritto a reagire in maniera intelligente al comportamento, constatato o atteso, dei concorrenti; è però vietato ogni contatto, diretto o indiretto, tra gli operatori che abbia per oggetto o per effetto di influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente o di mettere al corrente tale concorrente sul comportamento che l’impresa stessa ha deciso di porre in atto (cfr., cit. Dec. Comm. CECA, par.33; cit. Corte Giust., Anic, par.117; Corte Giust., C- 40/73, Suiker Unie, par.173-175).

Ciascun concorrente è libero di modificare i prezzi tenendo conto del comportamento altrui, ma è vietata ogni forma di collaborazione per stabilire linea d’azione o eliminare incertezze sul reciproco comportamento (Corte Giust. CE, C 57/69 del 14.7.72, Acna). Condotte quali lo scambio di informazioni sensibili finiscono infatti per sostituire all’alea della concorrenza il vantaggio della concertazione, così erodendo i benefici che in favore dei consumatori derivano dal normale uso della leva concorrenziale, ossia dalla fisiologica tensione di ogni impresa concorrente a ritagliarsi fette di mercato proponendo condizioni, sotto il profilo economico o sul versante dei caratteri dei prodotti e dei servizi, più appetibili per il fruitore, anche in un‘ottica di prevenzione e contrasto di non conosciute iniziative degli altri operatori economici.

Lo scambio di dati, che come si vedrà nel paragrafo successivo sono “sensibili”, ha consentito ai partecipanti allo scambio di informazioni un continuo monitoraggio del comportamento dei concorrenti, riguardante non solo le tariffe (i premi commerciali) ma soprattutto le strutture delle stesse.

7.3.2.Le appellanti contestano sotto vari profili la natura sensibile dei predetti dati.

In particolare, Generali, Assitalia, Sara e Fata deducono la contraddittorietà nell’individuazione dei dati sensibili da parte dell’Autorità che da un lato ha qualificato come sensibili e come non desumibili dall’attività di Rc Log alcuni dati reperiti nel corso dell’attività ispettiva presso le imprese di assicurazioni (v. par. 115 – 119 e, in particolare, il par. 116) e dall’altro lato ha sanzionato il solo scambio di informazioni attraverso Rc Log (par. 259); l’Autorità non avrebbe individuato in modo compiuto i dati sensibili e in una parte del provvedimento li avrebbe individuati in alcune informazioni estranee al circuito Rc Log.

A prescindere dal fatto che i citati paragrafi 115 – 119, relativi alla parte in fatto, non esprimono le valutazioni giuridiche dell’Autorità, contenute come già detto nella parte in diritto, si osserva che la qualificazione come dati sensibili di alcune informazioni, contenuta nel par. 116, non ha certo valore esaustivo e non vincola l’Autorità nell’individuare anche ulteriori dati sensibili.

Con la censura le imprese appellanti hanno però inteso evidenziare la contraddittorietà tra l’indicazione di alcuni dati sensibili come non desumibili dall’attività di Rc Log e il riferimento fatto a dati dello stesso tipo nelle successive parti del provvedimento, riferite al solo scambio di informazioni tramite Rc Log.

La contraddizione dedotta deriva in parte dalla lettura isolata di singoli paragrafi del provvedimento e soprattutto dall’assenza di approfondimento da parte dell’Autorità degli ulteriori scambi diretti tra alcune imprese, che come detto in precedenza non rientrano nella fattispecie sanzionata.

Trattandosi di comportamenti estranei all’infrazione, l’Autorità li ha descritti in modo sintetico nei citati paragrafi, indicando genericamente alcuni tipi di informazioni ed affermandone la non desumibilità dall’attività di Rc Log.

Tale ultimo punto va letto unitamente ai successivi paragrafi, in cui si evidenziano i dati di output dei singoli osservatori Rc Log, alcuni dei quali possono sovrapporsi con i dati indicati al paragrafo 116.

Deve ritenersi che l’Autorità abbia inteso escludere la desumibilità dall’attività di Rc Log di quegli specifici dati rinvenuti presso alcune compagnie, non essendo ragionevole che abbia voluto escludere in assoluto detto elemento per dati, per i quali nei successivi paragrafi del provvedimento viene approfondita in maniera più completa proprio l’appartenenza al circuito Rc Log.

7.3.3. Contrariamente a quanto sostenuto dalle appellanti, la natura sensibile dei dati relativi agli osservatori Multicompagnia, Multigamma e Multiskene appare evidente.

L’Osservatorio Multicompagnia, descritto in precedenza, riguardava dati altamente sensibili, aggregati a livello non solo nazionale come sostenuto anche in udienza dalle imprese, ma a livello provinciale (par. 132 dell’impugnato provvedimento e documenti rinvenuti presso Rc Log).

La natura dei dati (incassi, sinistri, performance rete distributiva), il livello di disaggregazione e la frequenza (anche mensile) degli scambi conducono a ritenere che si trattava di dati di esclusiva provenienza aziendale, non altrimenti acquisibili, aventi valenza non certo statistica, ma un effetto certamente idoneo ad incidere sulle scelte di mercato dei singoli operatori economici, la cui autonomia propria del gioco della concorrenza viene, almeno potenzialmente, limitata dalla pratica in questione.

Le parti appellanti hanno solamente sostenuto, ma non supportato con elementi idonei, l’acquisibilità dei predetti dati da documenti pubblici quali il bilancio delle aziende (peraltro, basti pensare, a mero titolo esemplificativo, alle informazioni relative agli incassi mensili).

Né si può ritenere che i dati scambiati avessero una valenza “storica” e quindi non più sensibile, in quanto il fatto che alcuni dei dati fossero scambiati anche 30 o 60 giorni dopo l’applicazione non fa acquisire agli stessi una mera valenza storica, che si può rinvenire solo quando è trascorso un lasso di tempo ben più esteso, come già detto in precedenza.

La stessa Rc Log nel presentare i propri servizi, sottolinea che l’osservatorio Multicompagnia “è alimentato esclusivamente con dati di fonte interna degli aderenti”, forniti direttamente da ciascuna impresa (v. presentazione “Chi è e cosa produce Rc Log” e doc. n. 78).

Forse l’elemento probatorio che maggiormente rivela la natura altamente sensibile dei dati scambiati all’interno dell’Osservatorio Multicompagnia è l’accesso a numero chiuso a detto servizio con un sistema che subordinava al consenso delle imprese partecipanti l’ingresso di nuove compagnie.

Il necessario consenso dei partecipanti per l’ingresso di nuovi clienti è stato ammesso da Rc Log (v. pag. 38 della memoria del 12-6-2000) e dimostrato in base ad evidenti risultanze istruttorie (v. par. 128 del provvedimento impugnato e i documenti n. 76 e 77 prodotti dall’Avvocatura e relativi alle condizioni poste dai comitati tecnici costituiti dalle imprese per l’ingresso nell’osservatorio di Helvetia e Lloyd italico, poi non consentito, e alla mancata accettazione di altre compagnie).

Anche l’Osservatorio Multiskene riguardava dati sensibili e sicuramente acquisibili solo direttamente dalle Compagnie partecipanti: si trattava delle previsioni sull’andamento del mercato da parte di ciascuna impresa espresse in maniera dettagliata (stima delle politiche tariffarie in relazione agli incrementi attesi dei premi e all’incidenza dei costi e dei sinistri, evoluzione dei canali distributivi ecc.).

I dati scambiati sono costituiti da valutazioni che in un sistema di concorrenza dovrebbero essere il frutto di un’analisi autonoma delle imprese, attinendo a decisioni strategiche delle stesse e non certo e meri studi in comune sull’evoluzione dei rischi, come invece sostenuto da alcune appellanti.

Alcune appellanti hanno sostenuto che non si trattava di un sistema di scambio di informazioni, in quanto le previsioni provenivano da esperti del settore (“tipicamente capiramo e responsabili marketing delle varie categorie aderenti”, secondo la presentazione di Rc Log), che solo casualmente potevano coincidere con soggetti inseriti nell’organizzazione delle compagnie e che esprimevano una mera previsione personale non riferibile alle imprese.

L’assenza di fondamento della tesi risulta dall’esame di alcuni documenti prodotti dall’Autorità, da cui emerge che le stime erano specificatamente riferite ad ogni singola impresa, inserita nei rilasci con un nome criptato, ma conosciuto ai partecipanti (v. doc. 80) e che ai rilasci seguivano riunioni di commento degli aderenti (doc. n. 81); quindi le previsioni scambiate assumevano i valori di dati delle imprese, a differenza di quanto sostenuto ad esempio da Axa.

La precedente descrizione dell’Osservatorio Multigamma dimostra che anche in questo caso si è in presenza di uno scambio di dati sensibili, provenienti direttamente dalle compagnie e consistenti nelle condizioni contrattuali esposte con estremo dettaglio comprensive dei supporti promozionali e delle offerte specifiche, inclusi gli sconti (v. par. 134).

7.3.4. Tutte le appellanti contestano con articolati motivi la sensibilità dei dati scambiati tramite gli Osservatori RCA e ARD.

Entrambi gli Osservatori riguardano le tariffe praticate dalle compagnie e quindi i premi commerciali, comprensivi dei caricamenti, espressamente esclusi dalla esenzione di cui al citato regolamento comunitario.

Le imprese appellanti evidenziano come a seguito della circolare dell’ISVAP del 30-11-95 (in materia di assicurazione obbligatoria Rc Auto), le tariffe predisposte dalle imprese dovevano essere rese note al pubblico, 60 giorni prima dell’entrata in vigore, tramite l’affissione in appositi spazi presso ogni agenzia, onde consentire al consumatore una agevole lettura e pronta conoscenza delle tariffe stesse (v. oggi l’art. 1 della legge n. 57/2001).

Il sistema di pubblicità delle tariffe, proprio del nostro ordinamento, escluderebbe il carattere sensibile di dati resi pubblici prima ancora dell’entrata in vigore della tariffa stessa.

Aggiungono le appellanti che tutti i dati contenuti nei rilasci degli osservatori RCA e ARD potevano essere desunti dalle tariffe pubblicate nei termini sopra indicati, come dimostra anche il parere del Prof. Ottaviani, già prodotto in primo grado e integrato con osservazioni inerenti anche la decisione del Tar sul punto.

Si ricorda che il giudice di primo grado ha escluso che il parere del Prof. Ottaviani fosse idoneo a smentire le conclusioni dell’Autorità circa la valenza conoscitiva ulteriore dei dati scambiati rispetto alle tariffe pubblicate, evidenziando comunque che l’illiceità dello scambio deriva anche dalla immediata fruibilità dei dati, anche nell’ipotesi di acquisibilità degli stessi con altri mezzi.

Innanzi tutto, si osserva che il sistema di pubblicità delle tariffe riguarda il solo Osservatorio RCA, e non anche l’ARD, pur avendo le imprese riferito i motivi anche a questo; tuttavia, le considerazioni che seguono sono riferibili ad entrambi gli osservatori.

Come anche rilevato dal Tar, la giurisprudenza comunitaria ha sottolineato che l’acquisibilità autonoma di informazioni non priva del carattere di illiceità un sistema organizzato di scambio, tenuto conto che nel primo caso le informazioni avrebbero un carattere tardivo, limitato e privo della periodicità che caratterizza le informazioni fornite dal sistema organizzato (Trib. CE, John Deere cit. par. 105).

Anche di recente la stessa giurisprudenza ha ribadito che l’organizzazione di uno scambio di informazioni consente ai partecipanti di venire a conoscenza di tali informazioni in un modo più semplice, rapido e diretto che mediante il mercato, creando per di più un clima di mutua sicurezza relativamente alle future politiche commerciali dei concorrenti, incompatibile con i principi della concorrenza (Trib. CE, 12-7-2001, T-202/98, British Sugar, par. 60).

L’Autorità, peraltro, non si è limitata a richiamare tali principi, ma ha affermato anche il valore ulteriore dei dati scambiati rispetto a quelli desumibili dalle tariffe pubblicate.

E’ pertanto estranea all’oggetto del presente giudizio la verifica della compatibilità con la disciplina comunitaria (v. in particolare l’art. 6, comma 3, della Direttiva 92/49/CEE del Consiglio del 18-6-1992) del sistema di pubblicità delle tariffe, previsto nel nostro ordinamento dapprima in base alla circolare ISVAP e poi ai sensi della legge n. 57/2001.

Né appare pertinente il richiamo al precedente di questa Sezione (Cons. Stato, VI, n. 4053/2001, Carburanti), in cui sono stati valorizzati i riflessi sulla configurabilità di un illecito anticoncorrenziale della disciplina interna, in quanto nella fattispecie oggi in esame il sistema organizzato di scambio di dati non si pone in rapporto di relazione o dipendenza con la disciplina di pubblicità delle tariffe sia per la valenza ulteriore dei dati scambiati (di cui oltre), sia perché il comportamento sanzionato non è stato imposto dalla normativa nazionale (sulla esclusione dell’anticoncorrenzialità di un comportamento solo nel caso in cui questo sia imposto dalla normativa interna o se quest’ultima crea un contesto giuridico che elimina la concorrenza, vedi Corte Giust. Ce, 11-11-97, C-359/95, Ladbroke Racing, par. 33 e Trib. CE, 30-3-2000, T-513/93, Spedizionieri doganali, par. 60).

Riguardo alla valenza ulteriore dei dati scambiati rispetto a quelli da pubblicare con i tariffari, le appellanti, che contestano il punto, fondano le loro censure sul parere del Prof. Ottaviani, lamentando il fatto che il Tar abbia disatteso le valutazioni tecniche dell’esperto di parte senza neanche disporre una CTU sulla questione.

Si osserva che, alla luce delle considerazioni svolte in precedenza, una consulenza tecnica di ufficio, in astratto ammissibile su una questione determinata, quale quella prospettata, non risulta rilevante nel caso in esame, che può essere risolto anche ammettendo la validità delle valutazioni tecniche (ma non anche delle conclusioni) del perito di parte.

Innanzi tutto in presenza delle argomentate conclusioni dell’Autorità, gravava sulle imprese l’onere di dimostrare la natura pubblica di tutti i dati oggetto dei rilasci degli osservatori RCA e ARD di Rc Log.

Le deduzioni delle parti sono carenti in primo luogo su un elemento iniziale: l’effettiva pubblicità delle tariffe in questione, che, come già detto dovevano essere esposte nelle agenzie, ma che in concreto non lo erano in molti casi, come dimostrano gli accertamenti della Guardia di Finanza, da cui risulta che in un numero ridottissimo di casi le tariffe venivano effettivamente pubblicate (v. doc. B: relazione della Guardia di Finanza del 29-10-98, relativa alle sole prime imprese coinvolte nel procedimento, ma idonea a dimostrare la non disponibilità completa delle tariffe scambiate).

E’ evidente che l’onere gravante sulle imprese di dimostrare l’autonoma acquisibilità dei dati non dovesse essere soddisfatto in astratto, ma in concreto e che già l’assenza di acquisibilità di tutti i dati per la mancata pubblicazione delle tariffe non consentiva di ritenere equivalenti i dati pubblici e le informazioni rilasciate da Rc Log.

Gran parte dei motivi di appello sono incentrati sul parere del Prof. Ottaviani e sulle integrazioni allo stesso depositate nel presente giudizio di appello.

Innanzi tutto il parere si fonda sull’erroneo presupposto che “tutte le compagnie aderenti all’Osservatorio RCA applichino un modello di tariffa di tipo moltiplicativo” (v. pag. 2 delle integrazione del Prof. Ottaviani prodotta in appello), mentre dagli atti risulta che, ad esempio, la Toro adottasse la forma esponenziale di tariffa e fornisse a Rc Log le indicazioni idonee a consentire la trasformazione della tariffa stessa nella forma moltiplicativa lineare (v. doc. 69).

Tale evidente inesattezza dimostra come le conclusioni del parere siano fondate su alcuni esempi di raffronti tra tariffe pubblicate e dati rilasciati da Rc Log, la cui estensione ai dati riguardanti tutte le compagnie non risulta sempre possibile.

Si rileva che l’anticoncorrenzialità della partecipazione ad uno scambio di informazioni non deriva solamente da un reciproco scambio di dati sensibili, ma anche dalla sola percezione di informazioni (sensibili) relative al comportamento dei concorrenti sul mercato (V. Trib. CE, British Sugar cit. par. 58).

Pertanto, anche ammesso che per alcune compagnie i dati scambiati fossero desumibili dalle tariffe pubblicate, la non desumibilità per altre compagnie rende illecito non solo il comportamento di queste, ma anche di chi ha ricevuto detti dati pur essendosi in ipotesi limitato a inviare dati pubblici (il tutto ovviamente a prescindere dalle precedenti considerazioni circa la permanenza del carattere sensibile dei dati, anche ove autonomamente acquisibili sul mercato).

Il Prof. Ottaviani chiarisce nella sua integrazione che il premio incognito di riferimento può anche essere non desumibile dal tariffario pubblicato, ma che ciò che rileva è la conoscenza dei rapporti tra i diversi coefficienti, che non variano al variare dell’individuazione del premio di riferimento.

Tale osservazione è senza dubbio esatta, anche se deve essere verificata per quelle tariffe il cui valore pubblicato è soggetto a più variabili, ma è seguita da un ulteriore affermazione, secondo cui le conclusioni dell’Autorità si fondano sull’equivoco che il premio base e i coefficienti di moltiplicazioni esposti da Rc Log coincidano con il premio di riferimento ed i coefficienti di personalizzazione conosciuti solo dalle singole compagnie, mentre il premio di riferimento “riservato” non trova corrispondenza in nessuno dei premi di tariffa applicati e dei premi base adottati da Rc Log.

Non a caso alcuni degli esempi indicati dal perito di parte nella integrazione prodotta in appello si riferiscono alle tariffe di alcune compagnie che presentano delle peculiarità (tariffa GAN, in cui, a differenze delle altre, il premio di riferimento è pubblicato nel tariffario; tariffa Wintherthur in cui sono pubblicati i coefficienti di personalizzazione).

La tesi del perito di parte ed anche il valore generale delle esemplificazioni allegate al parere prodotto in primo grado collidono con alcuni elementi probatori prodotti dall’Autorità, da cui emerge che in alcuni casi le compagnie provvedevano a comunicare a Rc Log che i dati esposti (e, in particolare, il premio base e i coefficienti) non corrispondevano a quelli effettivi (v. doc. 61 comunicazione Fata del 27-9-99 e doc. F 41, comunicazione La Piemontese).

Detti ultimi documenti sono chiaramente riferibili alle sole tariffe delle indicate compagnie, ma sono idonei a dimostrare in generale che quando i dati non corrispondevano con quelli effettivi delle imprese, queste provvedevano a farli rettificare; il fatto che, in ipotesi, tale rettifica non sia avvenuta per la posizione di alcune imprese in alcuni rilasci (vedi le deduzioni di Axa) non muta la tendenziale corrispondenza tra dati scambiati e dati effettivi..

Dette considerazioni sono sufficienti ad escludere le conclusioni del perito di parte circa la totale desumibilità delle informazioni scambiate dai tariffari pubblicati e a confermare quindi la valenza ulteriore dei dati scambiati rispetto alle tariffe pubblicate, non essendosi lo scambio limitato ad una semplice raccolta e redistribuzione dei tariffari, ma essendosi esteso alla ricerca e comunicazione delle strutture matematiche dei premi commerciali (v. par. 249 dell’impugnato provvedimento e la richiamata memoria di Rc Log del 12-6-2000)

7.3.5. Peraltro, l’esame dei dati di input inviati dalle imprese e dei rilasci di Rc Log rende evidente il carattere sensibile dei dati e anche la valenza ulteriore rispetto alle tariffe pubblicate.

Basti pensare che vi è prova in atti dell’invio di informazioni aggiuntive da parte delle imprese, quali ad esempio circolari interne e sconti applicabili (v. doc. 50, 63, 64, 65, 66, 67) e che si deve presumere che analoghe informazioni venissero comunicate anche da altre imprese, tenuto conto che la stessa Rc Log ha ammesso che molti dati venivano comunicati telefonicamente, o senza lettera di accompagnamento con comunicazioni che venivano poi cestinate (v. doc. n. 70 pag. 12).

Dai due CD relativi all’Osservatorio RCA del gennaio 2000 e all’Osservatorio ARD dell’ottobre del 1999, prodotti dall’Autorità (doc. F61 e F62), si ricava che nei rilasci RCA erano indicati, oltre alle tariffe disaggregate come in precedenza illustrato, ad esempio, le maggiorazioni previste per alcuni soggetti, i particolari sconti previsti in determinate ipotesi (sconti fedeltà, per categorie di assicurati, per offerte promozionali: dipendenti di un particolare istituto di credito o delle forze armate, ecc.), la personalizzazione delle tariffe in presenza di determinati allestimenti sull’autovettura; l’aumento delle tariffe in presenza di situazioni soggettive (ad esempio, assicurato non proprietario dell’auto).

E’ evidente che per gli sconti si tratta di sconti applicabili e non di sconti effettivamente praticati, ma la specifica indicazione dei soggetti beneficiari degli sconti e della percentuale di sconto costituisce comunque dato sensibile.

Nei rilasci ARD erano invece contenute, sempre oltre alle tariffe, la descrizione di alcune condizioni di polizza, di alcune tipologie di sconti, delle garanzie accessorie e delle eccezioni contenute in alcune tariffe. Si tratta di dati che non sono interamente desumibili dalla tariffe RCA e ARD la cui acquisizione autonoma comporta evidenti difficoltà anche nelle ipotesi di presenza dei dati nei tariffari.

Anche ove la pubblicazione delle tariffe avviene regolarmente, la mera disponibilità dei tariffari presso le agenzie è difficilmente compatibile con la necessità di avere a disposizione tutti i sopra indicati dati completi per la successiva elaborazione, che in teoria dovrebbero essere “copiati” da tariffari in genere voluminosi.

E’ evidente che la valenza ulteriore dei dati si combina con l’ulteriore vantaggio per le imprese di avere l’immediata e completa disponibilità delle tariffe da pubblicare, che comunque costituiscono solo una parte dei dati scambiati.

7.4. Motivi relativi alla insussistenza di un’intesa riconducibile al descritto scambio di informazioni

7.4.1. Le società appellanti contestano comunque che il sistema sopra descritto possa costituire una pratica concordata illecita, in quanto in primo luogo non vi sarebbe alcuna concertazione sullo scambio dei dati, ma la semplice acquisizione di servizi da una società terza (Rc Log), in presenza del quale non sarebbe configurabile un’intesa di tipo orizzontale quale quella sanzionata.

La censura si base su una impostazione formalistica del diritto della concorrenza, che è estranea ai principi da sempre affermati dalla giurisprudenza comunitaria.

Come affermato dal Tar, ciò che rileva ai fini della illiceità antitrust di una pratica, non è la forma del meccanismo anticoncorrenziale utilizzato, ma la sostanza del comportamento delle imprese.

Proprio nei casi esaminati dalla Corte di Giustizia e della Commissione CE, non si era in presenza di uno scambio diretto di informazioni, ma di un sistema basato sul tramite di un soggetto terzo (associazione di categoria o altro), cui i dati venivano trasmessi dalle imprese e poi elaborati e comunicati alle stesse imprese (v. il caso UK Tractor citato e la decisione della Commissione del 23-12-1977, Pergamena vegetale).

I principi affermati non mutano in presenza di un soggetto terzo, quale Rc Log, che non è né una associazione di categoria, né è stato creato dalle imprese, in quanto detto soggetto resta estraneo alla concertazione ma assume il solo ruolo di strumento della stessa.

Del resto, una diversa interpretazione condurrebbe all’irragionevole conclusione di ritenere non sanzionabile un comportamento, oggettivamente anticoncorrenziale, per il solo fatto dell’utilizzo di un soggetto terzo come tramite, pur restando nella sostanza inalterato il contenuto anticoncorrenziale rispetto all’azione diretta delle imprese.

Peraltro, proprio in una fattispecie di recente esaminata dalla Sezione, è stato confermato l’anticoncorrenzialità di uno scambio di informazioni realizzato tramite incarico congiunto ad un impresa ad hoc (il Panel price Waterhouse avente caratteristiche simili al circuito Rc Log, in Cons. Stato, VI, n. 1671/2001, Caldaie)

7.4.2. Aggiungono le appellanti che le compagnie si sono limitate a ricevere i rilasci di Rc Log, essendo del tutto eventuale e non completamente provata la trasmissione dei dati di input da parte delle imprese, tenuto anche conto che per un periodo Rc Log ha acquisito i dati da altra società.

Si è già detto circa la difficoltà di reperire traccia dell’invio dei dati, peraltro rinvenuta in molti casi, causa l’ammessa (da parte di Rc Log) distruzione dei dati dopo l’invio.

Dalla documentazione prodotta dall’Autorità emerge che anche prima del 1999 i dati venivano comunicati dalle imprese (v. doc. 50 – 59).

Peraltro, Reale Mutua ha confermato che l’impresa che non inviava i dati non riceveva il rilascio di Rc Log, pur non essendo tale condizione espressamente prevista nel contratto di adesione (par. 141 dell’impugnato provvedimento e doc. n. 60).

La provenienza aziendale della gran parte dei dati scambiati attraverso i diversi osservatori è già stata dimostrata in precedenza; da ciò consegue una presunzione circa la trasmissione dei dati da parte delle imprese.

Il fatto che soprattutto per gli invii risalenti nel tempo non vi sia traccia di ciò o che possano essere intervenuti altri soggetti interposti tra le imprese e Rc Log non determina certo la non configurabilità della pratica.

Peraltro, non vi sono riscontri probatori dell’effettivo invio dei dati sensibili da parte di Diagramma a Rc Log in esecuzione del contratto stipulato e, comunque, l’intermediazione di altro soggetto nella trasmissione di dati di esclusiva provenienza aziendale non è rilevante, tenuto conto che la stessa Rc Log ha ammesso che anche quando in passato i dati non venivano sempre acquisiti direttamente dalle imprese, la ricezioni dei dati avveniva tramite intermediari legati alle imprese stesse e, quindi, non si trattava di dati pubblici acquisibili autonomamente sul mercato, ma di informazioni di provenienza aziendale (v. memoria Rc Log del 14-1-2000, pag. 11).

Le Compagnie non hanno dimostrato che i dati sono stati reperiti altrove da Rc Log senza alcuna partecipazione da parte delle imprese e gli elementi in precedenza indicati provano invece il contrario.

Peraltro, prova principale della partecipazione all’intesa è costituita dall’adesione ai diversi osservatori, in cui, come già detto, circolavano dati di indubbia provenienza aziendale; quindi gli elementi ulteriori, di cui alcune compagnie lamentano la non diretta riferibilità (v,. in particolare, Milano, Unipol, Helvetia), non sono indispensabili ai fini della dimostrazione della partecipazione alla pratica.

Inoltre, il fatto che la pratica si realizzasse attraverso separati atti di adesione ai diversi servizi offerti da Rc Log in tempi e con modalità diverse non dimostra l’inesistenza della intesa, ma conferma al più che si è in presenza di contenuti oggettivamente diversi, anche se soltanto per aspetti quantitativi o qualitativi, e che si tratta non di una sola intesa ma di più intese, autonomamente valutabili sotto il profilo della gravità come si vedrà in seguito.

I singoli atti di adesione non mutano il carattere di reciprocità dello scambio, in quanto l’adesione presupponeva la ricezione dei dati di tutte le altre imprese e da queste provenienti, attesa la natura dei dati.

In questo caso, a differenza di quello dell’abbinamento prima esaminato, non era affatto necessaria la verifica del comportamenti sul mercato delle altre imprese non aderenti al circuito Rc Log, come invece sostenuto da Axa.

Anche l’asserito utilizzo dei dati da parte di un’impresa non coinvolta (Cattolica), oltre a non essere stato dimostrato, non rileva ai fini della configurabilità dell’intesa, essendo già in precedenza stato rilevato come le imprese sanzionate non possono fondare l’illegittimità del provvedimento nei loro confronti adottato sulla eventuale mancata punizione di altre imprese.

7.4.3. Molti dei motivi proposti si incentrano sull’assenza di prove circa l’effettiva utilizzazione dei dati scambiati per comportamenti anticoncorrenziali o comunque per determinare le tariffe di assicurazione, tenuto anche conto dell’assenza di un parallelismo di comportamenti.

Al riguardo, deve ribadirsi che l’Autorità non ha in alcun modo esteso la sua indagine agli effetti concreti della pratica contestata, ma si è limitata a ritenere la sussistenza di effetti potenzialmente dannosi per la concorrenza.

L’Autorità ha quindi dimostrato non la concreta utilizzazione dei dati da parte di tutte le imprese, ma la utilizzabilità dei dati scambiati a prescindere dall’effettivo uso.

Peraltro, la Corte di Giustizia CE ha affermato che, il solo fatto di scambiare con concorrenti informazioni riconducibili a segreti aziendali basta a manifestare l'esistenza di uno spirito anticoncorrenziale, anche ammettendo un comportamento sul mercato indipendente dal contenuto delle informazioni scambiate (v. Corte Giust., 8-7-99, C-99/92, Huls).

Sono quindi irrilevanti le censure dirette a dimostrare l’autonomia delle politiche commerciali delle singole imprese, la disomogeneità e diversità delle tariffe, trattandosi di elementi attinenti gli effetti concreti non contestati.

Sul punto l’ISVAP aveva sostenuto nel parere che la valenza anticompetitiva di un intesa consistente nello scambio di informazioni è subordinata alla connessione con intese più ampie o comunque al conseguimento di un beneficio per i soggetti partecipanti ed aveva escluso l’illiceità dei comportamenti indagati per l’assenza di una intesa sui prezzi, avente per oggetto o per effetto l’utilizzo dei dati raccolti, ritenendo quindi necessario accertare l’incidenza dell’intesa sui prezzi e sulla concorrenza.

Il discostamento dell’Autorità dal parere è motivato ed attiene ad una questione di disciplina della concorrenza, rispetto alla quale la posizione dell’ISVAP si pone in contrasto con un orientamento pacifico.

E’ bene ricordare che deve ritenersi principio giurisprudenziale ormai consolidato quello secondo cui le pratiche concordate sono possibili pur in assenza di effetti anticoncorrenziali, in quanto la pratica presuppone un comportamento dipendente dalla concertazione, ma non implica necessariamente che tale comportamento abbia l’effetto di impedire o falsare la concorrenza (cfr., Corte Giust. CE, C – 235/92, Montecatini, 8-7-99; C- 49/92, Anic, 8-7-99). Tale interpretazione è avvalorata dal dato testuale dell’art. 2 della legge n. 287/90, che, come già detto, sanziona le intese, che abbiano “per oggetto o per effetto” la distorsione della concorrenza. Deve quindi essere esclusa la tesi secondo cui per la pratica concordata deve necessariamente essere presente e provato anche l’effetto anticoncorrenziale (v. Cons. Stato, VI, n. 652/2001, n. 1189/2001 e n. 1699/2001).

Tornando alla fattispecie in esame, l’utilizzabilità dei dati è stata dimostrata dall’Autorità anche sulla base di elementi probatori circa l’effettivo utilizzo da parte di alcune imprese dei dati ricevuti da Rc Log.

In particolare, alcuni documenti rinvenuti presso le compagnie Gan, Generali, Toro e Wintherthur (doc. n. 46, 47, 48 e 49) dimostrano come le suindicate imprese utilizzassero in concreto i dati Rc Log.

A titolo esemplificativo si riportano alcuni passaggi del documento rinvenuto presso Gan (nota 10-8-99), in cui sulla base dei dati Rc Log si decide di “aumentare il premio base di un 10 – 15 %, anzichè del 4 – 5 % già previsto per novembre – dicembre, dato che sembra che il mercato ce lo permetta”... “osservando i raffronti con i dati Rc Log si potrebbe ipotizzare che in alcune province avremo delle tariffe più alte rispetto al mercato. In realtà c’è da aspettarsi un ulteriore aggiustamento, probabilmente tra il 5 % e il 10 %, dei premi dopo l’estate da parte di molte compagnie. Prima della definizione delle modifiche del premio base potremmo comunque indagare su quest’ultimo aspetto con le altre compagnie” (doc. n. 46).

Con l’indicazione dei suddetti elementi l’Autorità non ha inteso provare l’effettivo utilizzo dei dati da parte di tutte le imprese coinvolte nel procedimento tramite documenti riferibili solo ad alcune di esse, ma ha voluto dimostrare che i dati si prestavano ad essere utilizzati per la determinazione delle tariffe e delle strategie aziendali.

E’ quindi infondata la censura relativa alla asserita “globalizzazione” delle prove, utilizzate dall’Autorità nei confronti di soggetti a queste del tutto estranei.

L’effettivo utilizzo dei dati da parte di alcune imprese è in effetti idoneo a dimostrare l’utilizzabilità degli stessi da parte di tutte le compagnie coinvolte, a prescindere dal fatto che ciò si sia effettivamente verificato (effetti concreti non indagati).

Anche in questo caso non è pertinente il richiamo alla citata decisione della Sezione sul caso carburanti, in quanto in quella ipotesi l’oggetto anticoncorrenziale (escluso) venne ritenuto non solo potenziale, ma addirittura eventuale perché mediato da comportamenti di soggetti terzi, quali i gestori degli impianti di distribuzione.

Nella fattispecie in esame, invece, la diffusione delle informazioni solo alle imprese partecipanti alla pratica rendeva, come detto, potenzialmente restrittiva la pratica (è evidente anche la differenza con la fattispecie, esaminata dalla nota sentenza della Corte di Giustizia, C – 89/85, 31-3-93 Woodpulp – Pasta di legno, richiamata dalle appellanti, in cui il sistema di annunci trimestrali dei prezzi di vendita della pasta per carta, attuato dai produttori, prevedeva la comunicazione di un'informazione utile agli acquirenti, e non riservata alle sole imprese partecipanti all'accordo, come nel caso di specie).

Peraltro, molte delle compagnie minori si sono difese in giudizio adducendo il carattere necessario dell’adesione agli osservatori Rc Log, a dimostrazione della necessaria successiva utilizzazione dei dati, anche ammessa sempre in sede difensiva (v. appello di La Nazionale, in cui si afferma che i dati venivano utilizzati per la “manutenzione” delle tariffe o quello di Royal and Sun, in cui si sostiene di essere stati costretti ad aderire per non andare fuori mercato).

Detti elementi confermano, inoltre, la natura sensibile dei dati scambiati e la loro valenza ulteriore rispetto alle tariffe pubblicate (per quanto concerne l’osservatorio RCA); del resto, il sistema di criptaggio utilizzato e conosciuto dalle imprese partecipanti dimostra come le stesse imprese non consideravano pubblici i dati, altrimenti non avrebbe avuto senso il criptaggio utile invece nel consentire i vantaggi solo alle società partecipanti allo scambio.

L’utilizzabilità dei dati costituisce anche il parametro per verificare la sussistenza dell’elemento della consistenza della restrizione della concorrenza, che ovviamente nel caso concreto va valutato non in concreto ma in potenza.

L’idoneità della pratica a restringere in modo consistente il gioco della concorrenza deve ritenersi desumibile da quanto detto in precedenza circa il possibile uso dei dati, attraverso cui le imprese venivano a conoscenza dei comportamenti e delle politiche commerciali dei concorrenti.

Sono quindi infondati i motivi in cui l’elemento della consistenza viene fatto dipendere dalle dimensioni delle imprese partecipanti, considerate singolarmente anche dagli effetti concreti non contestati nel caso di specie.

7.4.4. Alcune appellanti contestano inoltre la valenza nei loro confronti di specifici elementi di prova, utilizzati dall’Autorità, consistenti in documenti provenienti da personale delle compagnie non autorizzato ad agire per conto delle stesse. Viene richiamato il precedente della Sezione n. 1792/96, in cui si afferma che nelle intese anticoncorrenziali il comportamento illecito deve essere tenuto da un soggetto legittimato ad agire per conto della società, abilitato ad assumere impegni a nome della stessa.

A prescindere dalla limitata valenza di detti documenti ai fini della dimostrazione della partecipazione allo scambio di informazioni (si tratta di documenti con cui viene dimostrata l’utilizzabilità dei dati - ad es. documento Gan citato o anche condotte poste a fondamento di aggravanti della sanzione – ad es. documenti Ras e Generali n. 95 e 96), è bene chiarire che la Sezione ha definitivamente superato i principi di cui al citato precedente (v. Cons. Stato, VI, n. 1189/2001, cit.).

L’accertamento della violazione della disciplina antitrust prescinde, infatti, dall’assunzione di un’obbligazione giuridicamente vincolante e si fonda invece sulla consapevolezza dell'anticoncorrenzialità del comportamento.

Non è rilevante il ruolo svolto all’interno dell’impresa dai soggetti che materialmente hanno posto in essere i comportamenti vietati o hanno predisposto i documenti rinvenuti durante le ispezioni, ma anzi deve ritenersi che la condotta da parte del singolo dipendente, accompagnata dal conseguente comportamento della società, sia sufficiente per rendere gli impegni assunti o gli atti rinvenuti riferibili alla società (cfr. Corte Giust. CE, 21-2-84, C – 86/82, Hasselblad).

Le pronunce comunitarie hanno dato un’interpretazione ampia della figura della persona autorizzata ad agire, certamente svincolata dalle nozioni civilistiche di mandato e rappresentanza (cfr., Corte Giust. CE, 7-6-83, C – 100-103/80, Musique diffusion; Trib I CE, 14-7-94, T 66/92, Herlitz; Trib. I CE, 17-12-91, T 7/89, Hercules).

Del resto, l’art. 15, comma 2, del Regolamento CEE n. 17 del 6-2-62 del Consiglio di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato autorizza la Commissione ad infliggere ammende alle imprese che “intenzionalmente o per negligenza” abbiano commesso infrazioni, l’impresa risponde quindi anche per negligenza per culpa in vigilando o in eligendo in relazione agli atti dei propri dipendenti.

Una diversa interpretazione condurrebbe all’irragionevole conseguenza di ritenere necessario che il soggetto che ha agito sia il legale rappresentante o il procuratore ad negotia, rendendo facilmente eludibile ogni divieto antitrust tramite l’incarico verbale a soggetti privi di potere di porre in essere intese illecite.

7.5. Motivi relativi alle specifiche posizioni delle singole compagnie.

7.5.1. La Royal Insurance deduce l’assenza dei propri dati dai rilasci Rc Log a fondamento della tesi circa la sua estraneità allo scambio.

Il motivo è infondato sia perché, come già detto, costituisce comportamento illecito anche la sola ricezione delle informazioni delle altre imprese sia in quanto la specificità della politica commerciale della società (metodo delle vendite telefoniche) non si prestava al raffronto proprio degli osservatori in questione, ma al più del diverso osservatorio sul monitoraggio delle compagnie on line (v. par. 123 dell’impugnato provvedimento).

7.5.2. Il motivo proposto da Royal e Sun Alliance e relativo alla errata ritenuta partecipazione della società all’osservatorio Multiskene deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, considerato che l’Autorità ha, in via di autotutela, modificato il provvedimento sul punto riconoscendo la non partecipazione della società a quell’osservatorio (v. provvedimento dell’Autorità del 19-7-2001).

7.5.3. La Nuova MAA afferma che la partecipazione all’intesa doveva essere riferita ad altro soggetto (MAA) e che, essendo questo tuttora esistente, non poteva applicarsi il principio della continuità economica.

Il motivo è infondato.

Alla fattispecie, pur non essendo direttamente applicabile il principio della continuità giuridica elaborato dalla giurisprudenza comunitaria, si applica invece l’ulteriore principio secondo cui una violazione delle norme in materia di concorrenza può essere imputata al successore economico della persona giuridica che ne sia l'autore, affinché l'effetto utile di tali norme non venga pregiudicato a causa delle modificazioni apportate, in particolare, alla forma giuridica delle imprese interessate (v. Trib. CE, 11-3-99, T134/94, NMH Stahlwerke GmbH, in cui l’esistenza del soggetto originario è stata ritenuta irrilevante ai fini dell’applicazione della sanzione al nuovo soggetto, che aveva rilevato gran parte delle attività economiche del primo).

Il caso esaminato dal Tribunale di primo grado CE è del tutto analogo a quello della Nuova MAA, che ha rilevato le attività economiche della MAA, posta in liquidazione.

7.5.4. Secondo altre appellanti (Meieaurora, Itas e Reale Mutua) non sarebbe configurabile l’intesa sanzionata per le società mutualistiche, atteso che le mutue assicuratrici svolgono esclusivamente la loro attività con assicurati che diventano soci, non interessati a pratiche anticoncorrenziali confliggenti con i loro stessi interessi.

Il motivo è infondato in quanto la forma societaria dell’impresa non assume rilevanza nel diritto antitrust, in cui - si ribadisce - conta la sostanza dei comportamenti e se questi hanno un oggetto o un effetto anticoncorrenziale a nulla rileva la contestuale presenza negli stessi soggetti della qualità di soci delle imprese e di consumatori.

7.5.5. Il mancato rinnovo di alcuni abbonamenti da parte di Milano non costituisce motivo per dubitare della partecipazione della stessa all’intesa, considerato anche che la stessa ha continuato a partecipare all’Osservatorio più importante (Multicompagnia).

7.5.6. E’ irrilevante il mero errore materiale, contenuto nel par. 283 dell’impugnato provvedimento e relativo alla partecipazione agli Osservatori della società Gan, che è stata correttamente indicata nella tabella 11, tenuto conto dell’assenza di effetti sulla determinazione della sanzione, come rilevato dalla Avvocatura dello Stato (nei criteri adottati dall’Autorità gli osservatori ARD e Multigamma, invertiti per la Gan, si equivalgono).

7.5.7. Sono anche infondati i motivi proposti dalla società La Nazionale avverso la sua partecipazione agli osservatori RCA dal 1998 e ARD dal 1999 e dal Lloyd Italico in ordine alla durata della sua partecipazione, attese le risultanze documentali in tal senso (v. contratti sottoscritti e documenti Rc Log).

8. Motivi relativi alle sanzioni.

8.1. La gravità dell’infrazione

8.1.1. I motivi proposti dalle appellanti avverso la valutazione dell’Autorità circa la gravità dell’infrazione, consistente nel descritto scambio di informazioni, devono essere esaminati separatamente sulla base del differente grado di partecipazione delle imprese alle intese.

Si è già detto circa la sussistenza di più intese in presenza di contenuti delle stesse, oggettivamente diversi, sotto i profili quantitativi e qualitativi.

Sono stati anche descritti i contenuti dei diversi osservatori ed è stata sottolineata l’elevata sensibilità dei dati degli Osservatori Multicompagnia, Multigamma e Multiskene.

Anche gli osservatori RCA e ARD riguardavano dati sensibili, che solo in parte erano desumibili dai tariffari, oggetto delle descritte forme di pubblicità.

Ciò premesso, si osserva che la “gravità”, cui l’art. 15 delle legge n. 287/90 subordina l’irrogazione della sanzione pecuniaria, deve essere individuata valutando l’oggettiva attitudine dell’intesa a sortire l’effetto vietato, la situazione soggettiva del soggetto agente ed ogni altro elemento emerso.

La “gravità” si coniuga, peraltro, con lo speciale spessore della sanzione pecuniaria, la cui irrogazione è prevista nelle ipotesi in cui la semplice diffida non risulta idonea allo scopo sia per l’inottemperanza delle imprese (comma 2 dell’art. 15) sia per la gravità dell’infrazione (comma 1).

Il giudizio di “gravità” delle diverse intese, comprendenti lo scambio di informazione all’interno dei distinti osservatori di Rc Log. è stato unitariamente valutato dall’Autorità, pur in presenza di chiari elementi di differenza.

Mentre le imprese di maggiori dimensioni partecipavano a tutti o quasi gli osservatori e, in particolare, all’Osservatorio Multicompagnia, risultante quello potenzialmente più dannoso per la concorrenza per le ragioni in precedenza evidenziate, le imprese minori o di medie dimensioni hanno per lo più partecipato ai soli osservatori RCA e ARD.

La gravità di tale comportamento deve quindi essere valutata con riferimento all’adesione al solo osservatorio RCA o anche a quello ARD.

Nella specie, tale gravità deve essere esclusa, in quanto:

a) nel passaggio da un regime di tariffe amministrate alla liberalizzazione del mercato, lo scambio di dati inerenti le tariffe stesse, già da anni in essere attraverso l’Osservatorio Multicompagnia (costituito nel 1993 dalle imprese maggiori), non consente di ritenere “grave”, neanche potenzialmente, il pregiudizio ulteriore in astratto configurabile agli interessi tutelati dalla legge (né contrari elementi di valutazione si rinvengono nell’impugnato provvedimento, carente sul punto);

b) in un mercato tuttora contrassegnato da forti elementi di rigidità, non tutti imputabili alle imprese assicuratrici, è significativamente ridotto il potere correttivo in concreto proprio delle imprese detentrici di modeste quote di fatturato, inevitabilmente indotte ad allinearsi alla condotta delle imprese maggiori in una situazione nella quale da anni la pratica, ora censurata, era posta in essere in assenza di intervento da parte degli organi competenti;

c) il provvedimento impugnato, ispirato dalla considerazione del carattere unitario delle intese, non ha approfondito la valenza specifica di ciascuna intesa, così impedendo una verifica analitica della sua valutazione, che, peraltro, esprimendosi implicitamente in termini di speciale gravità nei confronti di alcuni osservatori, sembra sottintendere un diverso giudizio nei confronti degli altri (l’unico paragrafo dedicato alla valutazione sulla gravità dell’infrazione – il par. 275 – contiene un giudizio espresso in maniera estremamente sintetica e in termini generali, senza affrontare la questione del diverso grado di partecipazione alle intese, consistenti nello scambio di informazioni all’interno dei diversi osservatori);

d) manca nell’impugnato provvedimento una puntuale motivazione della natura e degli effetti anticoncorrenziali di ciascun dato sensibile scambiato, così che, tenuto conto della pubblicità di alcun altri dati e della liceità di ogni autonoma estrapolazione su questi compiuta, non è consentito ritenere che la mera adesione agli osservatori RCA e ARD configuri, in difetto anche di ogni contributo alla organizzazione dei diversi tavoli di confronto (peraltro in parte ispirati al sistema del “numero chiuso”), invece che la sola “infrazione” l’ipotesi di “infrazione grave”.

La rilevanza data anche all’elemento della detenzione di una minore quota di mercato non si pone in contraddizione con il recente precedente della Sezione, in cui si è affermato che la gravità di una infrazione non può dipendere dalla detenzione di una minore quota di mercato (Cons. Stato VI, n. 150/2001, Rai-Rti-Cgc), in quanto, a differenza di quella fattispecie, nel caso oggi in esame le imprese c.d. minori hanno anche posto in essere un diverso e meno esteso comportamento anticoncorrenziale, i cui potenziali effetti restrittivi erano senz’altro inferiori rispetto alla partecipazione anche agli altri osservatori.

Di conseguenza, la ritenuta non gravità dell’infrazione relativa all’accertata intesa orizzontale consistente nello scambio di informazioni tramite i soli osservatori RCA e ARD conduce, in parziale riforma della sentenza di primo grado, all’annullamento della sanzione irrogata con il punto e) dell’impugnato provvedimento (fermi restando i capi b) e d) dello stesso provvedimento impugnato) alle sottoindicate imprese, il cui appello viene in parte accolto: Assimoco s.p.a., Bayerische Assicurazioni s.p.a., HDI Assicurazioni s.p.a. (già BNC Assicurazioni s.p.a.), Il Duomo Assicurazioni e Riassicurazioni s.p.a., Vittoria Assicurazioni s.p.a., Maeci Assicurazioni e Riassicurazioni s.p.a., Meieaurora Assicurazioni s.p.a. (già Meie Assicurazioni s.p.a.), Nuova Tirrena s.p.a., Mediolanum Assicurazioni s.p.a., Nuova Maa Assicurazioni s.p.a., Lloyd Italico Assicurazioni s.p.a., Sara Assicurazioni s.p.a., Commercial Union Insurance s.p.a., ITAS Istituto Trentino Alto Adige per l’assicurazione, Italiana Assicurazioni s.p.a., Augusta Assicurazioni s.p.a., Fata Fondo assicurativo agricoltori s.p.a., La Nationale Compagnia italiana di assicurazioni e riassicurazioni, La Piemontese assicurazioni s.p.a., Royal International Insurance Holdings Ltd – Royal Insurance e Royal & Sun Alliance Assicurazioni Sun Insurance Office.

8.1.2. Le precedenti considerazioni conducono invece a confermare la valutazione circa la gravità dell’infrazione per le imprese che hanno partecipato anche ad altri osservatori in aggiunta a quelli RCA e ARD (ove entrambi sottoscritti).

La più elevata sensibilità ed importanza dei dati scambiati tramite gli Osservatori Multicompagnia, Multigamma e Multiskene, cui partecipavano in tutto o in parte le imprese di maggiori dimensioni, è chiaro indice dell’oggettiva attitudine delle intese a restringere in maniera consistente e grave il gioco della concorrenza.

Ovviamente la “gravità” dell’infrazione non dipende né dalle dimensioni né dalla quota di mercato detenuta dalle imprese e, quindi, deve ritenersi grave anche il comportamento delle imprese di dimensioni minori o medie, ma aderenti anche ad altri osservatori oltre a quello RCA e ARD (v., in particolare, Helvetia, Gan, Allianz e Zurigo).

La gravità dell’infrazione deve essere confermata non solo con riferimento ai menzionati tre osservatori, ma anche con riguardo alla partecipazione agli osservatori RCA e ARD, che assume una valenza diversa rispetto alla condotta di chi ha partecipato solo a questi.

Infatti, per le imprese che già adottavano un sistema di concertato scambio di rilevanti informazioni aziendali, la condivisione con anche altre imprese di minori dimensioni di un sistema di scambio di dati, che nella sua forma base (osservatorio RCA) copriva l’85 % circa del mercato nazionale, consentiva alle stesse di usufruire di una visione completa dei dati riservati (estesa anche alle imprese minori) a fronte dei maggiori vantaggi derivanti dai più “alti “ tavoli di confronto, costituiti dagli osservatori Multicompagnia, Multigamma e Multiskene, il cui accesso era in parte subordinato al consenso delle stesse grandi imprese.

La gravità di tale comportamento emerge con tutta evidenza non solo per la partecipazione ai tre osservatori citati, ma anche per quella agli osservatori RCA e ARD, che non costituisce un minimale ingresso allo scambio di informazioni (come per le imprese minori), ma rappresenta il completamento di una organizzazione anticoncorrenziale, estesa in questo modo a quasi l’intero mercato con vantaggi (anche meramente potenziali) diversificati a seconda del descritto diverso livello di partecipazione al sistema.

Dette considerazioni conducono quindi a confermare non solo la gravità delle intese contestate alle restanti imprese, ma anche il criterio di quantificazione adottato dall’Autorità, in cui continuano per queste imprese ad assumere la stessa valenza considerata dall’Autorità anche la partecipazione agli osservatori RCA e ARD.

Si rileva infine che le diverse valutazioni dell’ISVAP, che peraltro non attengono all’elemento della gravità dell’infrazione, ma alla stessa sussistenza di una intesa illecita, non sono elementi che possano incidere di per sé sulla valutazione di gravità di una infrazione, in quanto o sono fondate ed allora non vi sarà intesa illecita, o non lo sono ed allora la valutazione di gravità dovrà fondarsi sugli anzidetti criteri, senza che un’intesa possa essere ritenuta non grave per il solo fatto delle differente valutazione di essa da parte dell’Autorità di settore.

La tesi sostenuta dalle imprese condurrebbe alla non prevista conseguenza dell’obbligo da parte dell’Autorità della concorrenza di non irrogare la sanzione pecuniaria in caso di dissenso dell’Autorità di settore.

8.2. Altri motivi non assorbiti relativi alla sanzione

8.2.1. Devono ora essere esaminati gli altri motivi proposti avverso l’irrogazione della sanzione dalle imprese, per le quali è stata confermata la valutazione di gravità dell’infrazione, effettuata dall’Autorità, mentre restano assorbite le ulteriori censure relative alla sanzione proposte dalle compagnie, a cui la sanzione è stata in precedenza annullata.

In primo luogo deve essere respinta la tesi, secondo cui sarebbero pecuniariamente sanzionabili solo le intese con concreti effetti restrittivi della concorrenza, in quanto la Sezione ha già rilevato come l’art. 15 della legge n. 287/90 non distingua tra intese aventi il solo oggetto anticoncorrenziale e intese aventi anche un effetto restrittivo (v. Cons. Stato, VI, n. 1699/2001).

Del resto, anche la giurisprudenza comunitaria ha da sempre affermato che l'effetto che ha potuto avere un accordo o una pratica concordata sul normale gioco della concorrenza non è un criterio determinante ai fini dell’irrogazione della sanzione pecuniaria, in quanto elementi che abbiano riguardo all'aspetto intenzionale, quindi lo scopo di un comportamento, possono di fatto avere una maggiore rilevanza di quelli relativi ai suoi effetti (v. Trib. Ce, Thyssen Stahl cit., par. 636).

Sono quindi infondate le tesi secondo cui in assenza di effetti (utilizzo dei dati) non potrebbe essere irrogata la sanzione pecuniaria o dovrebbe essere irrogata nella misura minima (Toro).

Né un argomento contrario può essere tratto dal riferimento all’eliminazione o all’attenuazione delle “conseguenze della violazione”, contenuto nell’art. 11 della legge n. 689/1981, che, secondo quanto anche sostenuto in udienza dalle appellanti, costituirebbe un chiaro indice della necessità di conseguenze per poter irrogare la sanzione pecuniaria.

La disposizione contempla un mero ed eventuale criterio di attenuazione della sanzione e non è idonea ad incidere sui consolidati principi in materia di concorrenza, che come visto non richiedono necessariamente la sussistenza di effetti concreti della violazione per configurare l’illecito e per applicare la sanzione (il richiamo alle norme della legge n. 689/81 “in quanto applicabili” è comunque risolutivo per escludere l’applicabilità di una siffatta interpretazione, peraltro non corretta).

8.2.2. Diverse appellanti contestano l’irrogazione della sanzione sotto il profilo dell’insussistenza dell’elemento soggettivo.

I motivi sono infondati, in quanto secondo una giurisprudenza costante, perché un'infrazione alle norme del Trattato sulla concorrenza si possa considerare intenzionale, non è necessario che l'impresa sia stata conscia di trasgredire tali norme, ma è sufficiente che essa non potesse ignorare che il suo comportamento aveva come scopo la restrizione della concorrenza (Corte Giust. CE, 8 novembre 1983, cause riunite da 96/82 a 102/82, 104/82, 105/82, 108/82 e 110/82, IAZ, punto 45; Trib. Ce, 6 aprile 1995, causa T-141/89, Trefileurope, punto 176, e 14 maggio 1998, causa T-310/94, Gruber + Weber, punto 259; 12-7-2001, British Sugar cit. punto 127).

Nel caso di specie, le compagnie partecipanti allo scambio di informazioni non limitato agli osservatori RCA e ARD sono tutte imprese di grandi o medie dimensioni e dispongono delle conoscenze giuridiche e economiche necessarie per conoscere il carattere illegittimo della loro condotta e le conseguenze che ne derivano dal punto di vista del diritto della concorrenza.

Dette considerazioni sono riferite indistintamente a tutte le imprese in questione, trattandosi di elementi comuni per i quali non appare necessario distinguere tra le singole imprese, come invece sostenuto da Zurigo.

Peraltro, il sistema di criptaggio adottato, l’espressa indicazione di non lasciare traccia dell’invio dei dati, la struttura a numero chiuso dell’Osservatorio Multicompagnia sono tutti indici della consapevolezza dell’illiceità della condotta sanzionata e quindi della sussistenza dell’elemento soggettivo (si ricorda che la Sezione ha già ritenuto che la sussistenza dell’elemento soggettivo può desumersi in via indiziaria dagli elementi oggettivi della fattispecie; v. Cons. Stato, VI, n. 4118/2001, Vigilanza privata).

Né si può ritenere l’inconsapevolezza delle imprese di partecipare ad un sistema allargato di scambio di informazioni, atteso il loro rapporto solo bilaterale con Rc Log, in quanto i rilasci dei dati consentivano certamente di percepire la partecipazione al sistema delle altre imprese.

Peraltro, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 689/1981, cui rinvia l’art. 31 della legge n. 287/90, il principio secondo cui per le violazioni colpite da sanzione amministrativa e' richiesta la coscienza e volonta' della condotta attiva o omissiva sia essa dolosa o colposa, deve essere inteso nel senso della sufficienza dei suddetti estremi, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, atteso che la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l'onere di provare di aver agito senza colpa (v. Cass, I civ., n. 1142/99).

Detto onere non è stato assolto dalle imprese appellanti.

Infatti, le scusanti addotte dalle imprese non appaiono sostenibili, in quanto né la contraria posizione dell’ISVAP, né il fatto che si trattava di comportamenti che protraevano da tempo costituiscono elementi idonei a scusare, sotto il profilo soggettivo, il comportamento sanzionato, non essendo prima dell’intervento dell’Autorità mai intervenuto alcun esplicito assenso in ordine ai predetti comportamenti;

Anche il precedente della Sezione (Cons. Stato, VI, n. 1792/96), richiamato dalle parti (v, in particolare, Unipol, Allianz) non era in alcun modo direttamente applicabile alla fattispecie sanzionata, in relazione alla quale unico elemento da valutare, sotto il profilo soggettivo, è la conoscibilità dell’anticoncorrenzialità del comportamento.

Peraltro, gli accorgimenti utilizzati per non lasciare traccia dell’attività di scambio sono ulteriori indici della menzionata consapevolezza ed escludono la buona fede delle imprese.

Inoltre, le imprese avrebbero potuto verificare la liceità del comportamento, comunicandolo formalmente all’Autorità ai sensi dell’art. 13 della legge n. 287/90, ma non lo hanno fatto.

8.2.3. Le appellanti contestano inoltre i criteri di quantificazione della sanzione lamentando in termini generali l’assenza del percorso motivazionale seguito dall’Autorità e contestando nello specifico le quantificazioni effettuate.

Con riguardo al primo punto si richiama la giurisprudenza comunitaria, secondo cui in una decisione di irrogazione di ammende a molteplici imprese per un'infrazione alle norme comunitarie che disciplinano la concorrenza, l’obbligo di motivazione non comporta la redazione di un elenco vincolante o esauriente dei criteri tenuti in considerazione (Corte Giust Ce, ord. 25 marzo 1996, causa C-137/95 P, SPO, punto 54); inoltre, nel fissare l'importo di ciascuna ammenda, la Commissione dispone di un margine di discrezionalità e non la si può considerare tenuta ad applicare, a tale scopo, una formula matematica precisa (Trib. Ce, 6 aprile 1995, causa T-150/89, Martinelli, punto 59; 11-3-99 Thyssen Stahl cit. punti 605 e ss.).

Nei casi citati gli organi di giustizia comunitaria hanno anche ritenuto che, se è auspicabile che le imprese interessate e, ove necessario, il Tribunale siano messi in condizioni di controllare che il metodo di calcolo utilizzato e i passaggi seguiti dalla Commissione siano privi di errori e compatibili con le disposizioni e i principi applicabili in materia di ammende, in particolare con il divieto di discriminazioni, deve tuttavia consentirsi la spiegazioni dei criteri utilizzati da parte della Commissione in corso di giudizio, che consiste nella traduzione dei criteri enunciati nella decisione.

Nel caso di specie, come peraltro dimostrano gli articolati motivi proposti, le imprese sono state poste in grado di percepire l’iter logico seguito dall’Autorità nella quantificazione della sanzione: un criterio crescente a seconda dell’adesione ad uno o più osservatori e della durata (breve, media o lunga) della partecipazione allo scambio, con l’applicazione di specifiche circostanze attenuanti o aggravanti.

Anche i rapporti tra gli aumenti sono chiaramente desumibili e non appaiono né illogici né iniqui, né tale appare la determinazione complessiva della sanzione anche sulla base dell’estesa natura del sindacato giurisdizionale sulla sanzione, affermata in precedenza.

La più rilevante maggiorazione prevista per l’Osservatorio Multicompagnia è peraltro giustificata dalla maggiore importanza dei dati scambiati tramite quell’osservatorio, già evidenziata in precedenza.

8.3. Motivi relativi alla sanzione e riguardanti le singole posizioni delle imprese

8.3.1. E’ infondato il motivo proposto da Milano e relativo alla considerazione del fatturato del 1999 quale base per la determinazione della sanzione, in quanto l’art. 15 della legge n. 287/90 fa espresso riferimento all’anno antecedente alla notifica della diffida e comunque alcuna rilevanza assume l’uscita di Milano dagli osservatori RCA e Multiskene nel 1998, tenuto conto della permanenza nel più importante osservatorio Multicompagnia.

Stessa considerazione vale per l’analogo motivo proposto da Reale e da Zurigo, le quali lamentano la mancata diminuzione della sanzione in base ad una uscita (o coinvolgimento) solo parziale da alcuni osservatori (non essendo stata in alcun modo dimostrata l’uscita da tutti gli osservatori o l’estraneità da questi per quanto attiene a Zurigo).

Il riferimento all’anno antecedente alla notifica viene contestato da Axa, che rileva l'impossibilità di sanzionare comportamenti risalenti nel tempo con una sanzione rapportata ad un fatturato successivo; trattandosi di previsione legislativa, non si ravvisano profili di irragionevolezza o di contrasto con specifiche disposizioni costituzionali, spettando comunque all’Autorità di verificare l’incidenza della sanzione sulle dimensioni e sulla potenza economica delle compagnie, anche con riguardo ai mutamenti sopravvenuti (peraltro le imprese non hanno fornito alcuna concreta prova dell’incompatibilità dell’entità della sanzione irrogata con i sopra indicati elementi, rapportati all’anno antecedente la diffida).

8.3.2. Le società Generali e Ras contestano la maggiorazione inflitta “per aver ostacolato lo svolgimento dell’istruttoria, cercando di occultare la partecipazione allo scambio di informazioni”.

Il motivo è infondato.

Il tentativo ostruzionistico risulta documentalmente da due documenti, rinvenuti presso le due compagnie e riferibili alle stesse, come esposto in precedenza (doc. 95 e 96).

Quello rinvenuto presso la Ras è costituito da una e-mail interna, in cui si prevedono accorgimenti per evitare di lasciare traccia dell’invio dei dati a Rc Log (consegna in busta anonima a Rc Log).

Per Generali si tratta di un appunto interno, legittimamente acquisito come detto in precedenza, in cui anche si prevede l’invio informale dei dati a Rc Log e si raccomanda di evitare impegni scritti e verbali o convocazioni.

Entrambi i documenti sono stati redatti ad istruttoria in corso e quindi con l’evidente intento di eludere le indagini dell’Autorità ed ostacolare l’accertamento dei fatti.

Circa l’ammissibilità di una aggravante di tal genere, contestata dalle due compagnie, si richiamano i precedenti della Corte di Giustizia sul punto (l’ammissibilità di una aggravante in presenza di misure dirette a dissimulare la collusione è stata affermata da Corte Giust. Ce, 14-5-98, C-334/94, Sarriò – caso cartoncino, par. 320).

Peraltro, detta aggravante è espressamente prevista negli Orientamenti per il calcolo delle ammende, elaborati dalla Commissione Ce e pubblicati in GUCE del 14-1-1998 (punto 2 circostanze aggravanti: ..” rifiuto di cooperazione o tentativi di ostruzionismo durante lo svolgimento dell’inchiesta..”).

8.3.3. Con ulteriore motivo altre appellanti contestano l’applicazione del criterio delle condizioni economiche delle imprese, che avrebbe determinato un ingiusto trattamento deteriore per le imprese in condizioni economiche positive, sanzionando di fatto tale elemento.

L’applicazione del criterio è avvenuta in termini diversi da quelli indicati dalle imprese: l’Autorità non ha inteso in alcun modo aumentare la sanzione in considerazione delle condizioni economiche positive, ma ha applicato una diminuzione per le imprese che versavano in condizioni economiche negative, come si percepisce dal paragrafo 283, in cui il criterio delle condizioni economiche è indicato per le sole imprese in perdita per giustificare la diminuzione della sanzione.

L’applicazione della attenuante risulterebbe, secondo le appellanti, nella sostanza discriminatoria nei confronti delle imprese in attivo.

Al riguardo, si osserva che l’applicazione di detta attenuante è stata ammessa dalla giurisprudenza comunitaria pur con il limite costituito dal fatto che non si tratta di un obbligo e che deve essere evitato il rischio di procurare un ingiustificato vantaggio concorrenziale alle imprese meno adeguate alle condizioni del mercato (Trib. CE, Thyssen Stahl AG cit., par. 630).

La valutazione della capacità contributiva reale delle imprese e, quindi, delle loro condizioni economiche, costituisce un criterio richiamato sia dall’art. 11 della legge n. 689/1989, sia dal punto 5, lett. B) degli Orientamenti per il calcolo delle ammende, elaborati dalla Commissione nel 1998.

Nel caso di specie, non appare che l’applicazione delle minima diminuzione della sanzione abbia arrecato detto ingiusto vantaggio, né le appellanti hanno dedotto elementi in tal senso.

Né appare ragionevole sostenere che le condizioni economiche dovevano essere valutate con riferimento al solo settore RCA e CVT, essendo la diminuzione non direttamente collegata al mercato di riferimento dell’infrazione ma all’effetto della sanzione sulle singole imprese.

Né era necessario verificare da cosa derivava l’assenza di perdite delle compagnie, come sostenuto da Reale, poiché l’incidenza della sanzione è uguale sia che ciò derivi da operazioni ordinarie che straordinarie (peraltro, non dimostrate, ma solo richiamate in astratto).

Priva di fondamento è, infine, la tesi (Toro, Allianz), secondo cui il parametro delle condizioni economiche doveva essere individuato non nelle perdite di esercizio, ma nel margine di solvibilità (ossia l’aliquota del patrimonio dell’impresa che eccede i mezzi necessari per far fronte agli impegni assunti con gli assicurati), attesa la natura patrimoniale e non reddituale dell’indice, che è condizione per esercitare l’attività assicurativa.

8.3.4. Inammissibile per carenza di interesse è la censura di Lloyd Adriatico, relativa alla data di ingresso nell’osservatorio RCA (1996 o 1997), atteso che si fini della durata della condotta rileva comunque il precedente ingresso nell’osservatorio Multicompagnia (1993).

8.3.5. Infondata è anche la censura di Reale, che sostiene che la natura di mutua assicuratrice doveva escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo, richiamandosi sul punto le considerazioni svolte in precedenza circa l’irrilevanza della natura mutualistica ai fini dell'applicazione della disciplina antitrust.

8.3.6. E’ infondata la pretesa di avere diritto ad una diminuzione della sanzione per un asserito comportamento collaborativo o per iniziative prese per attenuare le conseguenze dell’infrazione, avendo l’Autorità correttamente riconosciuto la diminuzione in presenza di un immediata uscita da tutti gli osservatori e non spettando certo per attività di partecipazione all’istruttoria procedimentale, quali la risposta alle richieste, la produzione di memorie (Zurigo) o una generica collaborazione fornita (Allianz).

8.3.7. Né rileva ai fini della sanzione il mancato coinvolgimento nell’altra pratica sanzionata, peraltro qui annullata, il tie-in, non sanzionato pecuniariamente dall’Autorità.

Né la mancata sanzione per il tie-in può costituire un elemento di contraddittorietà tale da invalidare la sanzione irrogata per lo scambio di informazioni (v. appello Wintherthur), considerata l’autonomia delle due contestazioni, per la cui punibilità rileva solo l’elemento della gravità.

8.3.8. E’ infondato il motivo con cui Axa contesta la durata dell’infrazione, asserendo che solo dal 1999 vi è la prova dell’invio dei dati a Rc Log da parte delle imprese; valgono le precedenti considerazioni circa la prova anche per gli anni precedenti dell’invio delle informazioni e circa le presunzione in tal senso derivante dalla natura dei dati e dalle modalità di trasmissione (spesso informali).

8.3.9. Sempre Axa sostiene che trattandosi del primo procedimento istruito dall’Antitrust italiana per uno scambio di informazioni in sé non doveva essere irrogata la sanzione, secondo una tesi per cui in ogni caso nuovo l’Autorità dovrebbe limitarsi alla diffida.

La tesi, oltre a non avere fondamento normativo, contrasta con i precedenti comunitari, che costituiscono una guida per le imprese e in base ai quali già era nota l’ammissibilità della illiceità di uno scambio di informazioni in sé.

Peraltro, l’atipicità dei comportamenti anticoncorrenziali condurrebbe molto spesso all’applicazione del dedotto criterio con elusione della funzione, prevista dal legislatore per le sanzioni pecuniarie.

8.4. Motivi relativi al fatturato di riferimento per l’irrogazione della sanzione

8.4.1. L’art. 15 della legge n. 287/90, nel testo vigente alla data di adozione dell’impugnato provvedimento, prevedeva l’irrogazione della sanzione pecuniaria “in misura non inferiore all’1 % e non superiore al 10 % del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida relativamente ai prodotti oggetto dell’intesa”.

L’Autorità ha assunto come base imponibile il fatturato realizzato nel ramo RCA per le compagnie partecipanti al solo osservatorio RCA ed anche il ramo CVT per le altre, tenuto conto che lo scambio realizzato attraverso gli altri osservatori comprendeva anche dati del ramo CVT (non è stato incluso anche il ramo vita, come sostenuto da alcune imprese).

Sono inammissibili le censure dedotte con riferimento a posizioni non proprie delle singole imprese appellanti, come quelle proposte con riferimento all’inclusione del ramo CVT per imprese diverse.

E’ anche del tutto infondata la pretesa (Axa, Zurigo) di applicare la disposizione di cui all’art. 15 della legge n. 287/90, come in seguito modificata dall’art. 11, comma 4 della legge n. 57/2001, tenuto conto dell’inapplicabilità temporale della sopravvenuta disposizione, oltre che del dubbio circa l’interesse al riguardo (tenuto conto che pur in assenza di una percentuale minima, la sanzione viene rapportata all’intero fatturato dell’impresa)

8.4.2. Secondo alcune appellanti l’Autorità ha considerato quale fatturato il totale dei premi lordi contabilizzati invece dei premi lordi incassati.

Il motivo è infondato, in quanto in primo luogo il riferimento all’art. 16, comma 2 della legge n. 287/90 non è pertinente, trattandosi di disposizione di carattere eccezionale che deroga i criteri ordinari limitatamente al computo del fatturato in ipotesi di concentrazioni ( a prescindere dalla compatibilità di tale norma con l’art. 5, comma 3, lett. b) del Regolamento CE n. 4069/89).

Inoltre, il criterio generale di bilancio è quello della competenza e non quello di cassa, cui si riferisce la voce dei premi incassati e, quindi, il fatturato per le imprese di assicurazione deve coincidere con i premi contabilizzati (v. anche l’art. 45 del D. Lgs. n. 173/97).

8.4.3. Con numerose censure le appellanti contestano anche l’inclusione di voci estranee al fatturato nella base imponibile assunta dall’Autorità.

L’inciso “relativamente ai prodotti oggetto dell’intesa”, di cui al citato art. 15 della legge n. 287/90 non comporta la necessità di separare dal fatturato ogni voce specifica non perfettamente coincidente con il prodotto tipo oggetto della pratica.

In particolare, nel settore assicurativo non si può pretendere di distinguere le specifiche tipologie tariffarie, non coincidenti del tutto con le aggregazioni di dati che hanno formato oggetto del sanzionato scambio di informazioni.

Gli elementi probatori in atti hanno consentito di accertare l’esistenza di un complesso scambio, inerente i prodotti del ramo RCA e CVT.

All’interno di detti rami lo scambio ha riguardato tutti i prodotti a prescindere dal fatto che questi coincidessero con le uniformi modalità di scambio definite in seno al circuito Rc Log.

Il concetto di fatturato di riferimento non può essere scisso del tutto dal mercato rilevante.

Pertanto, risulta infondata la pretesa di escludere dal fatturato di riferimento specifiche tipologie tariffarie o di polizza (v. ad es. le polizze 4R di Lloyd Adriatico), garanzie di tipo accessorio, le polizze per speciali tipi di veicoli.

Del resto, le informazioni scambiate con la pratica sanzionata erano utilizzabili per ogni tipologia di polizza del settore RCA e ARD e quindi anche per ogni tipologia di bene assicurato, trattandosi anche di elementi riguardanti la struttura tariffaria e la generale politica commerciale.

E’ anche infondato il motivo, con cui si contesta l’inclusione nel fatturato degli importi destinati al Fondo Vittime della strada, tenuto conto che quest’ultimo costituisce un onere parafiscale, posto a carico delle imprese e non del consumatore finale.

Infatti, il criterio per la determinazione del fatturato è quello di ricomprendervi ogni voce al lordo ovviamente degli oneri che gravano sulle imprese ed escludere invece quelle voci per le quali le imprese svolgono un mero ruolo di sostituto con traslazione dell’onere su soggetti diversi.

Il Fondo Vittime della strada non costituisce “una mera partita di giro” per le imprese, ma deve ritenersi rientrante nella prima tipologia e deve quindi concorrere alla determinazione del fatturato, come dimostra anche il fatto che le somme da versare al Fondo non costituiscono una maggiorazione del premio ma si calcolano in percentuale sui premi e sono poste espressamente a carico delle imprese di assicurazione ai sensi dell’art. 31 della legge n. 990/1969.

Si ricorda che il legislatore ha rapportato la sanzione non al guadagno delle imprese, come sostenuto da alcune appellanti, ma al fatturato e che le assicurazioni, in relazione alla quota da versare al Fondo, sono obbligate direttamente e non svolgono un ruolo di intermediarie degli assicurati, come sostenuto ad esempio da Ras.

Alcuna disparità di trattamento sussiste rispetto al caso carburanti, in cui l’esclusione dell’I.V.A. e delle accise è dipesa proprio dal fatto che non si tratta di oneri gravanti sulle imprese, rispetto ai quali queste svolgono in questa ipotesi un ruolo di mera intermediazione (traslazione sul consumatore finale).

8.4.4. E’ infondata la censura relativa al computo del fatturato per premi raccolti in altri paesi, in quanto l’Autorità ha preso in considerazione solo i premi raccolti con riferimento ai contratti stipulati in Italia.

8.4.5. Sono infine infondate le censure proposte con riguardo alla dedotta erronea inclusione nel fatturato anche di quello derivante da società nel frattempo incorporate (fusione per incorporazione in Ras di alcune società del gruppo nel corso del 1999).

Infatti, una volta avvenuta la fusione per incorporazione il fatturato non può che ricomprendere anche quello delle altre società e l’art. 15 della legge n. 287/90 impone di far riferimento al fatturato senza distinzioni.

Peraltro, trattandosi di società che già facevano parte del gruppo Ras, come sostenuto anche in appello, si applica il principio dell’inclusione del fatturato delle imprese controllate, ove i prodotti oggetto dell’intesa siano da queste vendute (cfr., Cons. Stato, VI, n. 1348/2000 e n. 652/2001).

Il caso è del tutto diverso da quello di Royal and Sun, richiamato dalla Ras, per la quale la rettifica della sanzione è avvenuta in quanto non il fatturato, ma il comportamento contestato (partecipazione all’Osservatorio Multiskene) era riferito ad altre impresa del gruppo, estranea al procedimento.

Analoghe considerazioni conducono al rigetto del motivo proposto da La Fondiaria e relativo all’inclusione del fatturato della società incorporata Polaris Assicurazioni s.p.a.. e del motivo proposto da Axa, che contesta imputabilità della partecipazione all’osservatorio RCA di UAP, poi incorporata in Axa, applicandosi in questo caso il principio della continuità economica, già esposto in relazione alla posizione di Nuova Maa.

9. Le richieste di risarcimento del danno.

Alcune imprese appellanti hanno proposto anche domanda di risarcimento del danno (Axa, Zurigo, Reale, Italiana, La Piemontese, Rc Log).

Anche a prescindere dai profili di evidente inammissibilità attesa la genericità delle richieste, le domande sono infondate.

In relazione alla pratica dello scambio la sussistenza dell’infrazione è stata confermata e quindi la questione non si pone neanche.

Per quanto riguarda l’infrazione dell’abbinamento, qui annullata, le imprese richiedenti il risarcimento del danno non hanno dimostrato di aver subito un effettivo danno, né tanto meno la sussistenza del nesso di causalità con il provvedimento impugnato di sola diffida.

E’ ovviamente da respingere anche la domanda risarcitoria proposta da Rc Log, tenuto conto della conferma della illiceità dello scambio di informazioni e della non riconducibilità dei danni lamentati ad alcuna illegittimità dell’Autorità.

10. Spese del giudizio

Tenuto conto della complessità della controversia e della parziale reciproca soccombenza tra le parti, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le stesse le spese di giudizio.

 

P. Q. M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, previa riunione dei ricorsi indicati in epigrafe, così provvede:

1) Accoglie in parte il ricorso in appello proposto da Assicurazioni Generali s.p.a., Assitalia – Le Assicurazioni d’Italia s.p.a., AXA Assicurazioni s.p.a., Bayerische Assicurazioni s.p.a., Lloyd Adriatico s.p.a., Lloyd Italico Assicurazioni s.p.a., Milano Assicurazioni s.p.a., SAI – Società Assicuratrice Industriale s.p.a., Sara Assicurazioni s.p.a., Società Reale Mutua di Assicurazioni, Toro Assicurazioni s.p.a., Compagnia Assicuratrice Unipol s.p.a., Winterthur Assicurazioni s.p.a., Zurigo Compagnia di Assicurazioni SA, e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, annulla l’impugnato provvedimento limitatamente ai capi a) e c) dello stesso, relativi alla pratica concordata di vendita congiunta di polizze CVT e RCA, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Autorità appellata;

2) Accoglie in parte il ricorso in appello proposto da Assimoco s.p.a., Bayerische Assicurazioni s.p.a., HDI Assicurazioni s.p.a. (già BNC Assicurazioni s.p.a.), Il Duomo Assicurazioni e Riassicurazioni s.p.a., Vittoria Assicurazioni s.p.a., Maeci Assicurazioni e Riassicurazioni s.p.a., Meieaurora Assicurazioni s.p.a. (già Meie Assicurazioni s.p.a.), Nuova Tirrena s.p.a., Mediolanum Assicurazioni s.p.a., Nuova Maa Assicurazioni s.p.a., Lloyd Italico Assicurazioni s.p.a., Sara Assicurazioni s.p.a., Commercial Union Insurance s.p.a., ITAS Istituto Trentino Alto Adige per l’assicurazione, Italiana Assicurazioni s.p.a., Augusta Assicurazioni s.p.a., Fata Fondo assicurativo agricoltori s.p.a., La Nationale Compagnia italiana di assicurazioni e riassicurazioni, La Piemontese assicurazioni s.p.a., Royal International Insurance Holdings Ltd – Royal Insurance e Royal & Sun Alliance Assicurazioni Sun Insurance Office e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, annulla la sanzione irrogata alle sopra indicate imprese con il punto e) dell’impugnato provvedimento, ritenuta la non gravità dell’infrazione relativa all’accertata intesa orizzontale consistente nello scambio di informazioni tramite i soli osservatori RCA e ARD e fermi restando i capi b) e d) dello stesso provvedimento impugnato;

3) Respinge nel resto gli appelli indicati in epigrafe;

4) Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 26-2-2002 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Giovanni Ruoppolo                          Presidente

Alessandro Pajno                           Consigliere

Luigi Maruotti                                  Consigliere

Lanfranco Balucani                          Consigliere Rel.

Roberto Chieppa                              Consigliere Rel. ed Est.

 

Il Presidente

 

L’Estensore                                                                              Il Segretario

 

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