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Mercato del petrolio, geopolitica e fondamentali: uno scenario in cambiamento

RICCARDO TERZI*

 

 

Questo lavoro ha l’intenzione di fornire una fotografia il più possibile realistica ed approfondita del mercato del petrolio ed, in particolar modo, di provare ad immaginare quali possano essere le possibili connessioni e conseguenze dei cambiamenti geopolitici in un futuro, neanche troppo remoto, in cui la domanda e l’offerta d’energia dipenderanno strettamente dalla risoluzione della questione mediorientale e dal rapporto che si instaurerà tra l’economia mondiale e le fonti energetiche. Il lavoro è strutturato in due parti distinte. La prima analizza lo scenario geopolitico ed il mercato del petrolio attraverso il lato della domanda, focalizzando, in particolar modo, il ruolo degli Stati Uniti ed il problema della dipendenza energetica dell’economia occidentale, soprattutto in un’ottica di tipo previsivo. La seconda è dedicata all’analisi dell’offerta del mercato petrolifero, focalizzando principalmente l’attenzione sulle risorse, le riserve, la capacità produttiva e le esportazioni dei principali Paesi produttori.

 

ANALISI DELLA DOMANDA

 

L’analisi della dipendenza energetica si concentra sulla condizione attuale e precisamente sul post 11 settembre, data che forse ha cambiato l’equilibrio geopolitico dell’ultima metà di secolo. È facile intuire che i principali consumatori di petrolio sono, da sempre, le grandi economie mondiali: Stati Uniti, Giappone, Cina, Europa. Ciò che, però, è interessante notare è lo sproporzionato consumo di greggio degli Stati Uniti. Nel 2002 la domanda USA è stata circa il quadruplo di quella del Giappone, posizionato al secondo posto nella graduatoria. Gli Stati Uniti consumano ogni giorno il doppio della quantità di barili che producono, basando il funzionamento della propria industria, dei propri servizi, del proprio esercito, dei propri trasporti sulle importazioni dall’estero. Gli Stati Uniti hanno un consumo annuo di greggio che è quasi un quarto di quello di tutto il resto del mondo: nel 2001 la media giornaliera di consumo mondiale è stato circa di 75.988 migliaia di barili di greggio al giorno di cui il 25% statunitense. Sempre nel 2001 gli Stati Uniti hanno importato 455 milioni di tonnellate di petrolio, liquidi di gas naturale, semilavorati, e prodotti derivati dalla lavorazione del greggio dal Canada, dal Messico, dalla Nigeria, dal Venezuela, ma soprattutto dall’Arabia Saudita e da altri paesi del Medio Oriente. La scoperta che alcuni dei terroristi responsabili dell’attacco alle Twin Towers fossero sauditi e che tali fossero il prodotto di un network del terrore perfettamente organizzato, con radici salde nell’intera società civile araba, ha comportato la necessità, da parte dei governi di entrambe le nazioni, di un attento riesame dell’alleanza economica-militare.

 

Tab. 1 - Primi venti Paesi al mondo nel consumo di petrolio (mb/d).

 

 

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

 

Stati Uniti

 

17476

 

17974

 

17978 

 

18565

 

18902

 

19198

 

19817

 

19999

 

19969

 

20015

Giappone

5414

5703

5729

5769

5723

5524

5606

5502

5414

5322

Cina

3071

3059

3323

3730

4205

4188

4491

4791

4876

5164

Germania

2908

2883

2882

2922

2917

2923

2838 

2766

2810

2712

Russia

3937

2982

2870

2598

2527

2449

 2502

2595

2623

2678

Corea del Sud

1684

1840

2008

2101

2255

1917

2084

2135

2129

2176

Brasile

1595

1663

1774

1899

2073

2110

2167

2159

2159

2147

India

1353

1459

1564

1696

1781

1850

2024

2075

2084

2085

Canada

1755

 1771

 1815

 1872

 1951

1947

1997

2030

1942

1990

Francia

1877

1865

1919

1949

1969

2040

2046

2001

2025

1955

Messico

1836

1934

1819

1789

1845

1949

1947

2009

1943

1928

Italia

1891

1869

1942

1920

1934

1941

1891

1854

1865

1875

Regno Unito

1829

1833

1815

1851

1803

1791

1766

1733

1726

1701

Spagna

1055

1119

1189

1199

1266

1356

1396

1433

1491

1515

Arabia Saudita

1077

1112

1071

1145

1200

1260

1327

1372

141

1463

Iran

1136

1168

1016

1068

1097

1090

1103

1159

1192

1216

Indonesia

809

810

835

889

960

925

975

1064

1074

1059

Paesi Bassi

762

762

796

778

814

811

836

855

896

903

Taiwan

640

691

735

740

761

783

838

832

855

899

Australia

760

783

814

831

847

851

872

863

877

898

 

Primi 20 paesi

 

52865

 

53279

 

53896

 

55310

 

56840

 

56904

 

58524

 

59226

 

59370

 

59701

 

Resto del mondo

 

14914

 

15137

 

15691

 

16216

 

16640

 

16928

 

16898

 

16976

 

17111

 

17181

 

Mondo

 

67779

 

68416

 

69587

 

71526

 

73480

 

73832

 

75422

 

76202

 

76481

 

76883

 

Fonte: Eni World Oil & Gas Review 2003.

 

Gli Stati Uniti, portando avanti la propria politica di sicurezza energetica, hanno puntato su obbiettivi finalizzati alla diversificazione dell’offerta, in modo tale da ridurre la propria vulnerabilità dalle richieste dei produttori dell’Opec e la propria condizione di dipendenza dall’Arabia Saudita sul mercato del petrolio, incentivando e sostenendo lo sviluppo dell’infrastrutture russe e della promettente zona del Mar Caspio. In tal modo la politica estera di Washigton, pur riconoscendo pienamente il ruolo cruciale delle riserve saudite e mantenendo una consistente presenza militare in Medio Oriente, si è aperta verso una nuova ipotetica geopolitica dell’industria russa.

 

Fonte: EIA United States Country Analysis Brief, ottobre 2003.

 

Fig. 1 – Produzione ed importazioni USA, 1993- 2002.

 

I legami americani con Mosca puntano verso un incoraggiamento all’apertura degli investimenti delle multinazionali americane nelle compagnie russe, in modo tale da sancire il superamento dell’antagonismo tra imprese americane e russe e da sviluppare un sistema finanziario efficiente, in grado di tutelare la libera circolazione dei capitali ed i diritti degli azionisti di minoranza.

Negli ultimi dieci anni, la forbice tra l’autosufficienza energetica e la dipendenza dalle importazioni si è estremamente allargata, diventando uno dei principali problemi politici da risolvere; a partire dal 2000, i tentativi di sviluppo dell’industria nazionale ed il raffreddamento dei rapporti con il Medio Oriente, due cause sicuramente non a caso correlate, hanno comportato dei forti rinnovamenti nella politica energetica nazionale.

Le spese domestiche di sviluppo ed esplorazione delle maggiori compagnie americane, durante il 2001, hanno leggermente invertito la tendenza dei profondi tagli dovuti al collasso dei prezzi del 1998, in modo tale da puntare su di un maggior sviluppo delle capacità produttive nazionali. Le migliorie legate al tasso di recupero ed alla capacità di picco hanno influenzato sicuramente la riduzione della velocità di declino della produzione totale Usa. Nel 2000 la produzione offshore ad alta profondità del Golfo del Messico ha superato per la prima volta quella a bassa profondità, a costi estrattivi minori.

Per completare l’analisi dei fattori che influenzano la domanda mondiale di petrolio, non si può non considerare l’impatto che possono avere sul mercato dell’energia gli interessi dell’Unione Europea.

Il rapporto tra produzione domestica di petrolio e consumo (P/C) dell’Europa Occidentale, pari a 0,45, indica che l’Europa “industrializzata” non è minimamente in grado di produrre la quantità di petrolio necessaria per soddisfare la propria domanda; essa dipende fortemente dalle importazioni estere.

È interessante soffermarsi sul valore di P/C corrispondente all’Europa Orientale (Bielorussia, Moldavia, Russia e Ucraina), pari a circa 2.5. Tale valore, sostenuto dalla produzione russa, indica che questi Paesi producono due volte e mezzo ciò che consumano. Ciò dipende sia dal fatto che sono Paesi con economie non eccessivamente sviluppate con una scarsa domanda d’energia, sia dal fatto che tali economie ruotano intorno alla massimizzazione delle esportazioni e, quindi, dei profitti dell’industria petrolifera russa.

Da tale singolo valore emergono una serie di considerazioni relative alla possibile evoluzione del mercato petrolifero europeo. Infatti, con la nascente esigenza degli ultimi anni di differenziare le importazioni per evitare un’esagerata dipendenza dell’economia europea dalle importazioni energetiche delle aree mediorientali, gli interessi russi e le esigenze europee si sono intersecate definitivamente: rispettivamente il bisogno di un buon cliente con cui instaurare un rapporto di fornitura di lungo periodo ed il bisogno di un nuovo fornitore affidabile, indipendente dal mondo arabo.

Infine, il lavoro passa ad analizzare la domanda mondiale da un punto di vista previsivo. Dal punto di vista della letteratura economica, l’andamento futuro dei consumi energetici dipenderà dalla crescita economica e dal coefficiente d’elasticità della domanda di petrolio. Alcuni studiosi sostengono che in condizioni “normali” il coefficiente d’elasticità può essere uguale ad uno, facendo in modo che la domanda energetica cresca come il PIL. Infatti, secondo le stime dell’EIA, Energy Information Administration, la domanda mondiale di petrolio è prevista in largo aumento, passando da 76 Mb/d a 123,2 Mb/d nel 2025, trascinata dalla domanda energetica delle nuove economie nascenti dei Paesi dell’Ex Unione Sovietica e delle nazioni in via di sviluppo come la Cina o l’India.

Nei Paesi in via di sviluppo, la domanda di petrolio è destinata ad aumentare in tutte le modalità di consumo. In alcune aree particolarmente arretrate, come l’Africa Sub-Sahariana, l’America Centrale e Meridionale ed il Sud-Est Asiatico, il legname ha sempre rappresentato la forma di combustibile maggiormente utilizzata per il riscaldamento domestico o per altre funzioni civili, ma, negli ultimi anni, numerose politiche governative hanno sostenuto diverse campagne per l’utilizzo di generatori d’elettricità a gasolio o a gas in modo tale da dissuadere la popolazione rurale dalla decimazione delle foreste e della vegetazione.

La domanda indiana di petrolio avrà una tasso di crescita annuale del 4%, passando dai 2.1 Mb/d del 2001 a 5.5 Mb/d nel 2025. Circa il 70% dell’aumento del consumo di greggio è imputabile al settore dei trasporti. Il governo indiano ha pianificato di spendere 12.5 miliardi di dollari per migliorare le condizioni della viabilità generale e per costruire entro la fine dell’anno due lunghe autostrade che attraverseranno il Paese.

La richiesta di petrolio in Cina negli ultimi anni ha continuato a crescere con l'aumento del numero delle automobili in circolazione e, con la sostituzione del carbone e dei combustibili tradizionali nel settore dei servizi ed in quello domestico, è stimata per le prossime due decadi con una crescita media del 3.3% l'anno, balzando dai 5 Mb/d nel 2001 ai 10.9 Mb/d nel 2025. L’economia cinese e quella indiana, le due principali promesse nei Paesi in via di sviluppo, destinate a diventare due super potenze a livello internazionale, hanno orientato diversamente le proprie vie di crescita.

 

 

Fonte: EIA Annual Energy Outlook 2003.

 

Fig. 2 - Proiezioni del consumo mondiale d’energia diviso perfonti, 1970-2025 (quadrilioni di Btu).

 

La Cina, da anni, sta puntando verso un ristrutturazione vera e propria dell’industria pesante e l’innalzamento del reddito pro capite; se si considera l’impatto demografico del Paese sulla domanda d’energia è facilmente intuibile perché l’EIA preveda una crescita smisurata del consumo energetico. L’India, invece, nonostante le infinite contraddizioni culturali, sociali e religiose che stanno nascendo dal contatto con il modello economico occidentale, si sta orientando sempre più verso il settore scarsamente energy-intensive del Hi-Tech e delle telecomunicazioni, diventando uno dei principali Paesi, a livello accademico, per l’offerta di matematici ed ingegneri informatici.

 

ANALISI DELL’OFFERTA

 

Prima d’iniziare l’analisi vera e propria dell’offerta, è opportuno fare un’importante premessa, relativa alla distinzione tra riserve e risorse. La classificazione delle differenti quantità di una certa fonte energetica, nel nostro specifico caso il petrolio, avviene principalmente associando due dimensioni alle fonti di greggio: il grado di certezza o di conoscibilità geologica e la maggiore o minore fattibilità tecnico-economica. Esiste un diverso grado di certezza e man mano che si passa dalle risorse alle riserve esso aumenta e le riserve vengono successivamente suddivise in tre classi (provate, probabili, possibili) in relazione agli elementi di conoscenza di cui si dispone per la stima. Al centro dell’analisi statica vi sono le riserve provate, definite come quelle quantità di greggio che informazioni geologiche e ingegneristiche indicano con ragionevole certezza come recuperabili in futuro da giacimenti noti alle condizioni economiche e della tecnologia attuali, mentre al centro dell’analisi dinamica vi sono le risorse ultime recuperabili, definite come quelle quantità di greggio che conoscenze geologiche e ingegneristiche permettono di stimare come recuperabili in futuro da giacimenti noti o ancora da scoprire, sulla base di progressi tecnologici ragionevolmente ipotizzabili, purché le condizioni di prezzo lo consentano. L’esigenza occidentale e del Sud Est Asiatico di greggio si scontra principalmente con la capacità e, soprattutto, con la volontà dei Paesi produttori di sfruttare le proprie riserve provate, assecondando quelle che sono le regole della massimizzazione intertemporale delle rendite petrolifere, allora, per quanto riguarda la lotta per la futura dominanza energetica, in particolare riguardo la delicata posizione tra Russia e Arabia Saudita, non si può non considerare l’importanza che rivestono le risorse ultime recuperabili, intese come potenziale geopolitico inespresso, determinante per la differenziazione o l’intensificazione delle posizioni e dei rapporti nelle alleanze energetiche internazionali.

 

L’analisi dell’offerta parte dallo studio di quella Organizzazione che da più di quarant’anni domina e gestisce il principale flusso d’entrata energetica nell’industria mondiale: l’Organizzazione dei Paesi Produttori di Petrolio (OPEC). L’Opec, fondato nel 1960, è attualmente composto da undici membri: Algeria, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Venezuela. Il forte clima di tensione internazionale scaturito dagli attacchi terroristici dell’11 settembre, la guerra in Afghanistan, la questione palestinese e, soprattutto, l’incapacità di molti governi del Medio Oriente di contenere le forze estremiste mussulmane, hanno bruscamente rallentato le economie dei principali Paesi Opec: il tasso di crescita economica complessiva dei Paesi membri dell’Opec è sceso di un punto percentuale, passando dal 2.7 per cento del 2001 all’ 1.7 per cento del 2002. Lo strumento cruciale, all’interno del cartello, per definire i legami di potere tra i membri, è rappresentato dagli accordi dell’Opec sulle quote produttive e dalla banda di prezzo 22-28$.

 

Tab. 2 - Produzione di petrolio nel mondo per aree (mb/d).

 

 

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

 

Nord America

 

7.850

 

7.862

 

7.615

 

7.225

 

7.213

 

7.181

 

7.256

America Latina

8.137

8.481

9.477

9.128

9.295

9.313

9.125

Europa Orientale

6.930

7.093

7.083

7.212

7.629

8.245

9.038

Europa Occidentale

6.105

6.130

6.055

6.097

6.239

6.039

5.933

Medio Oriente

19.019

19.606

21.108

20.279

21.437

20.773

18.655

Africa

6.419

6.589

6.708

6.348

6.774

6.625

6.459

Sud Est Asiatico

6.929

7.038

6.973

7.024

7.168

7.124

7.176

 

Totale Mondo

 

61.392

 

62.801

 

65.021

 

63.316

 

65.757

 

65.303

 

63.644

 

OPEC

 

24.769.2

 

25.431

 

27.739

 

26.227

 

27.745

 

26.873

 

23.977

 

% Opec

 

40,3

 

40,5

 

42,7

 

41,4

 

42,2

 

41,1

 

37,7

 

Fonte: OPEC Annual Statistical Bulletin 2002.

 

La questione del controllo della produzione di petrolio compare per la prima volta nella Risoluzione 1.1.3 della prima Conferenza Opec svoltasi a Baghdad in Iraq dal 10 al 14 settembre 1960: «I Paesi membri studieranno e formuleranno un sistema per assicurare la stabilizzazione dei prezzi attraverso, tra le altre misure, il controllo della produzione di petrolio nell’interesse dei Paesi produttori e dei Paesi consumatori e nella necessità di assicurare un reddito stabile ai Paesi produttori, un’efficiente, economica e regolare offerta di questa fonte energetica ai Paesi consumatori e una giusta remunerazione a coloro che investono i loro capitali nell’industria petrolifera»

 

Dal gennaio 1987 il prezzo di riferimento è determinato dal prezzo medio di sette differenti greggi che fanno parte del cosiddetto «OPEC Reference Basket». Tali greggi sono: Saharan Blend (Algeria), Minas (Indonesia), Bonny Light (Nigeria), Arabian Light (Arabia Saudita), Dubai (Emirati Arabi Uniti), Tia Juana Light (Venezuela), Isthmus (Messico, non-OPEC). Il prezzo di riferimento corrente è, in realtà, una «banda di prezzo» tra i 22 e i 28 $/bbl all’interno della quale si collocano le normali fluttuazioni di mercato e che, allo stesso tempo, è stata ampiamente accettata da produttori e dai consumatori. Qualora i prezzi escano da tale banda, l’Opec decide le necessarie azioni da intraprendere per riportarli nel range stabilito. Confrontando le cifre riguardanti le rispettive quote dei diversi Paesi membri, è lampante la considerevole differenza che caratterizza la ripartizione delle quote produttive all’interno dell’Organizzazione: da quando è nata la politica dei tetti produttivi nel 1982 all’Arabia Saudita è sempre spettato circa dal 30 al 40 per cento del tetto massimo della produzione Opec, seguita dagli altri quattro grandi membri produttori: Iran, Venezuela, Emirati Arabi Uniti ed Iraq ( prima del 1991).

Ciononostante, dalla sua introduzione nel 1982, il sistema delle quote Opec ha in genere funzionato bene grazie alla sua natura pragmatica e alla consapevolezza dei Paesi membri dell’importanza d’avere un efficace sistema a supporto dei livelli produttivi totali dell’Organizzazione, specie nei momenti di tensione del mercato. All’interno della parte dedicata all’Opec, il mio lavoro dedica spazio anche alla questione irachena ed al ruolo che l’Iraq potrà rivestire un giorno, ristabilita la calma nel Paese, nell’Opec.

 

Fonte: OPEC Annual Statistical Bulletin 2002.

Fig. 3 – Riserve provate di greggio nei Paesi Opec nel 2002.

 

Fadhil J. Chalabi, ex dirigente dell’industria petrolifera irachena e da anni direttore esecutivo del Centre of Global Energy Studies, ha così definito i termini della questione: ”Il potenziale petrolifero dell’Iraq, oggi in letargo, è talmente immenso che, quando sarà attivato e messo in circolazione, potrà provocare cambiamenti drastici nella politica petrolifera ed energetica mondiale”.

 

Bastano pochi dati per dare una precisa idea del potenziale ruolo dell’Iraq sulla scena petrolifera mondiale. Nel 2002 la stima standard delle riserve provate di petrolio in Iraq è di poco più di 115 miliardi di barili, pari a circa l’11 per cento delle riserve globali ed al 14 per cento delle riserve complessive dell’Opec. Il che basta a mettere l’Iraq al secondo posto nella graduatoria mondiale dopo l’Arabia Saudita. Il vantaggio rispetto agli altri produttori del Golfo Persico sta nel fatto che alle riserve accertate si aggiungono quelle probabili e possibili, stimate a 220 miliardi di barili.

Secondo l’EIA, “il vero potenziale dell’Iraq potrebbe essere molto elevato, in quanto il paese è relativamente inesplorato a causa di anni di guerre e sanzioni dell’Onu, in particolare la regione del deserto occidentale potrebbe contenere ulteriori risorse, forse altri 100 miliardi di barili”. Se queste valutazioni sono confermate, il potenziale iracheno potrebbe superare i 400 miliardi di barili. In confronto, le riserve provate in Russia, sul cui export si fa molto conto per diminuire la dipendenza dal Medio Oriente, sono poco meno di 50 miliardi di barili. Le riserve irachene ancora da sfruttare indicano un possibile aumento del 30 % delle risorse mondiali, attualmente stimate a poco più di 1000 miliardi di barili. Oltre alle riserve provate o stimate, per valutare l’importanza del greggio iracheno bisogna anche tener conto dell’effetto della massiccia offerta irachena sul prezzo di mercato del crudo. Nella dottrina petrolifera degli ideologi americani vi è da anni, anche con scopi propagandistici e nello stesso tempo intimidatori, la teoria che il petrolio del dopo Saddam aumenterà a tal punto da far crollare i prezzi sino alla soglia dei dieci dollari.

 

Tornando poi all’analisi delle riserve, della produzione e della capacità produtiva dell’Opec basta citare pochi dati per dare un’idea dell’importanza del petrolio mediorientale ed in particolare saudita. Se, infatti, Iran, Iraq e Kuwait vantano rispettivamente 99, 115 e 96.5 miliardi di barili di riserve provate, l’Arabia Saudita presenta un ammontare di riserve pari a 260 miliardi di barili, che le assicura un forte potere contrattuale sia all’interno che all’esterno dell’Organizzazione. Durante il 2001 i Paesi industrializzati importarono circa 16.1 Mb/d dai produttori Opec; di questi, 9.7 milioni giunsero dall’area mediorientale.

I movimenti di greggio verso i Paesi industrializzati rappresentano il 65 % del petrolio totale esportato dai Paesi membri dell’Opec ed almeno il 58 % di tutte le esportazioni da tutto il Golfo Persico.

L’Opec produce circa il 40 per cento dell’intero crudo estratto in tutto il mondo. Già nel 2002, in seguito alla decisione della Board of Governors di abbassare le quote produttive, l’Opec vantava un livello di capacità produttiva in esubero superiore ai 6 milioni di barili di greggio al giorno, mostrando la propria completa elasticità nel far fronte alla domanda mondiale.

 

Tab. 3 - Capacità produttiva di riserva nei Paesi Opec nel 2002 (mb/d).

 

  Quota Opec Produzione Capacità Produttiva Surplus Capacity

 

Algeria

 

693

 

735

 

850

 

115

Indonesia

1.125

1.125

1.500

375

Iran

3.186

3.248

3.900

625

Iraq

0

2.126

2.200

74

Kuwait

1.741

1.745

2.200

455

Libia

1.162

1.200

1.450

250

Nigeria

1.787

1.801

2.200

399

Qatar

562

568

850

282

Arabia Saudita

7.053

7.093

10.500

3.407

Emirati Arabi Uniti

1.894

1.900

2.200

300

Venzuela

2.497

2.431

2.500

69

 

OPEC

 

21.700

 

23.972

 

30.350

 

6.378

 

Fonte: International Energy Outlook 2004.

 

È risaputo che i membri dell’Opec, presentando ampie riserve e costi per aumentare la capacità produttiva relativamente bassi, possono soddisfare discrezionalmente i previsti considerevoli aumenti della domanda mondiale di greggio. In caso di media crescita economica mondiale, l’EIA stima un aumento della richiesta di greggio dei produttori Opec pari ad un tasso del 2.6% annuale fino al 2025; lo sfruttamento della capacità produttiva Opec è proiettata a crescere velocemente nel periodo di previsione, raggiungendo circa il 90% nel 2015. A tale riguardo, il ruolo dell’Iraq all’interno dell’Opec nei prossimi anni sarà di fondamentale importanza.

Il capitolo dedicato all’offerta offronta poi il tema riguardante la rinascita dell’industria petrolifera russa e la conseguente “competizione” tra Riad e Mosca. In un celebre articolo pubblicato su Foreign Affaires, Edward Morse, esperto americano in sviluppo delle risorse geopolitiche, ha sostenuto che: “The American campaign against terrorism may be grabbing the headlines, but another battle is being waged with perhaps equally significant long-term implications: the contest for energy dominance between the world’s two largest exporters, Saudi Arabia and Russia.” In tale articolo viene descritto come la crescita dell’industria petrolifera russa, che ha coinciso con lo sviluppo delle risorse petrolifere di alcuni degli altri Stati nati dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, specialmente nel bacino del Caspio, ha permesso a Mosca di ridefinire i propri rapporti con gli Stati Uniti e l’Unione Europea. La ristrutturazione dell’industria petrolifera russa viene trattata nei suoi punti chiave esenziali:

d Il problema delle inadeguate infrastrutture per il trasporto. Il governo russo ha riconosciuto la gravità del problema, e si mosso per incentivare lo sviluppo di nuove infrastrutture per il trasporto del petrolio, ormai divenute fondamentali per impedire un rallentamento della crescita dell’industria petrolifera. Tra i principali progetti di joint venture per la realizzazione degli oleodotti necessari per l’aumento delle esportazioni verso l’estero: il Baltic Pipeline System, Murmansk, l’Adria Reversal Project, Odessa Reversal Project ed i progetti degli oleodotti per la fornitura orientale.

 

d La profittevole apertura verso la domanda asiatica

 

d La riorganizzazione dell’industria del ex Unione Sovietica in undici grandi compagnie private integrate verticalmente, che collettivamente detengono l’88,2 % della produzione nazionale di greggio ed il 78,8 % della raffinazione totale.

 

d I progressi legislativi che verranno effettuati nell’ambito dei Production Sharing Agreement (PSA) per rilanciare gli investimenti internazionali nell’industria.

La Russia nella graduatoria dei Paesi maggiormente dotati di riserve petrolifere si colloca al settimo posto dopo sei Paesi membri dell’Opec: l’Arabia Saudita, l’Iraq, gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait, l’Iran ed il Venezuela. Ciò che, però, è interessante notare è che negli ultimi anni, nonostante la ripresa dei ritmi produttivi, non vi siano state attività esplorative sufficientemente efficaci da aumentare il livello di riserve, che si mantiene costante negli anni intorno ai 48.573 miliardi di barili. La maggior parte delle risorse petrolifere è situata nelle zone occidentali della Siberia. Diversi analisti sostengono che la Siberia Occidentale contenga il 72 % delle riserve di greggio, sebbene molti giacimenti siano spesso piccoli o profondi e con un basso livello di permeabilità. Le restanti riserve del Paese sono distribuite tra la regione degli Urali (14%), il Bacino di Timan-Pechora (7%), nel nord della Russia Europea, e la Siberia Orientale (4%). Il rimanente 3% delle riserve è offshore nel Mare di Pechora e nella piattaforma di Sakhalin e nel regioni nel Caucaso Settentrionale.

La strategia dell’industria petrolifera russa è principalmente orientata verso la massimizzazione delle esportazioni verso l’estero attraverso un aumento della produzione di greggio e contemporaneamente una riduzione della domanda domestica, indirizzata verso la promettente offerta di gas naturale. La Russia nella graduatoria mondiale dei principali Paesi produttori di greggio si colloca al terzo posto, dopo l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti, sebbene la sua produzione sia declinata significativamente dalla fine degli anni Ottanta. Dopo il rallentamento del 1998, dovuto in parte alla crisi finanziaria, la produzione è salita nuovamente nel 1999 e nel 2000.

 

Fonte: ENI World Oil &Gas Review 2003.

 

Fig. 4 – Rapporto produzione consumo, 1991- 2002.

 

La produzione nel 2000 fu di 6500 mb/d, circa il 6 % in più rispetto all’anno precedente. La maggior spinta all’aumento della produzione russa fu l’imprevisto aumento dei prezzi del Marzo 1999, quando l’Opec, in collaborazione con i maggiori produttori mondiali, ridusse la produzione e le esportazioni dirette al mercato internazionale. Per quanto riguarda invece le previsioni riguardanti la produzione totale russa, l’EIA proietta l’output di petrolio in crescita fino a 10 Mb/d nel 2010 e fino a più di 11,5 Mb/d nel 2025. La maggiore area di produzione ci si aspetta essere ancora la Siberia Occidentale, sebbene la sua quota sull’intero territorio è stimata in discesa passando dal 68% della produzione totale attuale ad un 55%. Le produzioni nelle nuove aree emergenti come Sakhalin, Timan-Pechora e la Siberia Orientale sono previste in netto aumento. L’ultima variabile del lato dell’offerta che intendo prendere in esame è rappresentata dallo sviluppo dell’intero settore petrolifero dei Paesi dell’area caspica.

 

Il Mare Caspio, infatti, la terza area più ricca di petrolio e gas naturale del mondo (dopo Golfo Persico e Siberia), non è stato sfruttato fino a quando l'Unione Sovietica è rimasta tale e ne condivideva con l'Iran il controllo grazie ai trattati bilaterali del 1921 e del 1940. La prima riteneva più economico lo sfruttamento dei bacini artico e siberiano mentre l’Iran ne aveva a sufficienza altrove. Lo sviluppo del Caspio viene trattato nei suoi punti chiave esenziali, ossia:

I. Il grande gioco per le fine di fuga del petrolio del Mar Caspio: le quattro vie di trasporto. La via russa del Nord (Baku - Novorossiysk). La via iraniana dell’Est (Kazakhstan-Turkmenistan - ran). La via armena dell’Ovest (Baku - Supsa). La via turco-americana del Sud (Baku - Tiblisi - Ceyhan).

II. Gli investimenti esteri nei principali giacimenti in Kazakistan ed in Azerbaijan (Tengiz, Kashagan nell’immenso giacimento di Azeri, Ghirag e Gunashli).

Per quanto riguarda le riserve provate, quindi, l’industria petrolifera di Paesi come Azerbaigian e il Kazakistan attualmente ha un potenziale che, a seconda della veridicità delle stime, può essere paragonato nel peggiore dei casi alla Cina, con i suoi 18 miliardi di barili, e nello stesso tempo, nel migliore dei casi, potrebbe essere superiore alle riserve degli Stati Uniti, circa pari a 22 miliardi di barili.

La produzione di greggio dai giacimenti del Mar Caspio dai primi anni dell’indipendenza fino ad oggi, è cresciuta del 70 per cento, presentando, dunque, un considerevole trend di crescita, ma, a livello assoluto, confrontando la produzione giornaliera del Caspio con la produzione di altri Stati produttori, come gli Stati Uniti, la Russia o l’Arabia Saudita, il livello di produzione totale raggiunto nella regione nel 2002, circa pari a 1.5 Mb/d, non può ancora essere sicuramente considerato competitivo. Le esportazioni nette totali della regione sono drasticamente aumentate negli ultimi sette anni, arrivando a rappresentare nel 2002 il 70 % dell’intero greggio prodotto. L’intera regione, con una produzione complessiva di 1.586 mb/d, esportava ogni giorno circa 1050 barili di greggio.

 

Tab. 4 - Riserve totali presenti nel Caspio (miliardi di barili).

 

 

Riserve provate

Riserve possibili

Totale

  Basso Alto   Basso Alto

 

Azerbaigian

 

7

 

12,5

 

32

 

39

 

44,5

Kazakistan

9

17,6

92

101

109,6

Turkmenistan

0,5

1,7

38

38,5

39,7

Uzbekistan

0,3

0,6

2

2,3

2,6

 

Totale

 

17,2

 

32,8

 

186

 

203,2

 

218,8

 

Fonte: EIA Caspian Sea Region Country Analysis Brief.

 

Per quanto riguarda, invece, le previsioni, a partire dal 2005, una volta terminati tutti i lavori necessari per la messa in funzione di tutte le infrastrutture progettate dall’AIOC, la produzione giornaliera del Azerbaijan avrà una impennata formidabile, schizzando da 300-400 mb/d a più di un milione di barili al giorno nel 2010. In uno studio esposto nel Novembre del 2002 in una conferenza sulle tematiche energetiche e geopolitiche tenutasi all’Istituto Clingendael, in Olanda, furono messe in risalto le potenzialità delle riserve dell’area caspica ed in particolare proprio dei giacimenti del Kazakistan. Secondo le stime di questa ricerca, le compagnie petrolifere impegnate nello sviluppo di questi progetti riusciranno dopo il 2010 a portare la produzione di petrolio sopra al 1.5 Mb/d, e a superare addirittura i 2.5 Mb/d nel 2025.

 

CONCLUSIONI

1. L’indiscussa crescita della domanda mondiale. In generale, la domanda mondiale di petrolio è prevista in largo aumento , passando da 76 milioni di barili al giorno a 123,2 Mb/d nel 2025, trascinata dalla domanda energetica delle nuove economie nascenti dei Paesi dell’Ex Unione Sovietica e delle nazioni in via di sviluppo del Sud-Est Asiatico. Nel Annual Energy Outlook 2003 la domanda di petrolio del mondo in via di sviluppo è prevista in forte crescita fino a raggiungere i 44.5 Mb/d nel 2020. L’area per cui è stimata la maggior crescita è rappresentata dall’Asia, il cui consumo di greggio passerà dai 14800 mb/d del 2001 ai 25900 mb/d del 2020 con un tasso di crescita annuo del 4.2%.

 

2. Il petrolio sempre più strumento di politica estera. Se le incertezze più prettamente economiche legate alla fattibilità dell’equilibrio fra domanda e offerta nel breve e nel medio periodo hanno sempre rappresentato un problema per gli esperti nelle previsioni, ora gli infiniti fattori d’instabilità geopolitica non possono che testimoniare come il petrolio sia ancor più destinato ad allontanarsi dalle considerazioni esclusivamente economiche legate al greggio, inteso come indispensabile bene di consumo, e a diventare invece sempre più una variabile strategica e politica estremamente aleatoria il cui andamento potrebbe risultare estremamente complesso.

 

3. Le incertezze riguardo l’aumento della produzione dell’Opec. Attualmente ogni giorno si pompano e si consumano nel mondo 78,8 milioni di barili di greggio ed il prezzo continua a salire a causa delle ragioni geopolitiche, si temono gli attentati agli impianti d’estrazione e di trasporto tali da interrompere il flusso d’esportazione, e a causa delle componenti speculative delle borse che comprano le quotazioni del greggio a termine in previsione di un gap tra domanda ed offerta non colmabile se non con le scorte. Parlare d’offerta nel breve periodo vuol dire parlare di Arabia Saudita, che oggi è il solo Paese produttore, almeno secondo i dati ufficiali, in grado di aumentare la produzione nei prossimi anni e di sfruttare la propria spare capacity. Ma per aumentare la produzione il regno di Riad dovrà essere in grado di investire svariati milioni di dollari nella realizzazione di nuove infrastrutture per la trivellazione ed il trasporto dell’abbondante greggio risaputamente presente nel sottosuolo, ma come dimostrano i dati riferiti alla esplosione demografica del Paese, un tasso di incremento naturale della popolazione del 3%, ed alla scarsa crescita economica, un tasso di crescita del 1,1%, l’Arabia Saudita non è più il Paese in condizioni semi-feudali, facilmente controllabile dal governo, in grado di sviluppare autonomamente le proprie risorse ne tanto meno per far sì che le major petrolifere internazionali investano nei prossimi anni milioni di dollari nel settore petrolifero saudita.

 

4. Le incertezze sul futuro dell’industria petrolifera russa. Esistono diversi dubbi sulla reale capacità del settore petrolifero russo di aumentare la propria produzione, come è avvenuto negli ultimi anni, e di raggiungere, secondo le stime dell’EIA, una capacità produttiva di 12-13 Mb/d nel 2025, che comporterebbe un livello di esportazioni nette verso l’estero di circa 10 Mb/d. Complessivamente, Infatti, gli investimenti necessari per portare l’industria russa ad una produzione di 13 milioni di barili al giorno oscillano tra i 159 ed i 145 miliardi di dollari, dei quali la maggior parte, circa 115 miliardi, servono solo per aumentare l’attività esplorativa, per migliorare la capacità d’estrazione attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie maggiormente efficienti e per aumentare il tasso di recupero dalle risorse ultime recuperabili dei giacimenti meno sfruttati delle nuove aree emergenti come, ad esempio, Sakhalin, Timan-Pechora e la Siberia Orientale. Troppe sono, oggi, le variabili aleatorie in gioco per valutare quanto celermente il governo russo riuscirà a ristrutturare l’intera industria.

 

BIBLIOGRAFIA

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Yergin D. (2002), “A Crude View of the Crisis in Iraq”, The Washington Post, 8 December.

 

 

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° L’ autore desidera ringraziare Susanna Dorigoni, per i preziosi consigli, ed il prof. Luigi De Paoli, per l’opportunità concessa.

* Borsista IEFE-Bocconi.