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Nulla-osta nelle aree naturali protette e formazione del silenzio-assenso(1)
 

FULVIO ALBANESE

 

 


Premessa: Il silenzio-assenso della legge 80/2005. - 1. L’ambiente come valore costituzionale primario, assoluto, inderogabile. - 1.1. Il silenzio-assenso in materia urbanistico-edilizia, ambientale e dei beni paesaggistici. - 1.2. La tutela delle aree protette dopo il Trattato di Maastricht. - 1.3. La legge quadro sulle aree protette e la Convenzione sulla diversità biologica. – 2. La natura del nulla-osta: Le misure di tutela delle aree protette. - 2.1. La necessità di acquisizione del nulla-osta. - 2.2. La «metamorfosi» del nulla-osta: da atto ad elevata discrezionalità ad atto ultravincolato. - 3. Conclusioni.


Premessa: Il silenzio-assenso della legge 80/2005.
La legge 14 maggio 2005 n. 80 (conversione del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35) ha completamente riscritto l’articolo 20 sul silenzio assenso della legge 7 agosto 1990, n. 241 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”.
Il nuovo testo2 introduce molto chiaramente la formazione del silenzio assenso come regola procedimentale generale, salvo eccezioni3, per tutti i procedimenti ad istanza di parte gestiti dalla pubblica amministrazione. La riforma di portata generale ispirata ai criteri di economicità, efficacia, ed imparzialità, riconducibili all’art. 97 della costituzione, nonché ai principi dell’ordinamento comunitario4, sancisce il superamento del carattere di “eccezionalità” della procedura in parola5, ribaltando l’originario regime di applicazione limitato espressamente alle fattispecie individuate in sede regolamentare6.
La Corte Costituzionale chiamata a vagliare la legittimità del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche)7 riconosce alla norma in esame il potere di condizionare tutti i procedimenti amministrativi8 <<l'evoluzione attuale dell'intero sistema amministrativo si caratterizza per una sempre più accentuata valenza dei “principi di semplificazione” nella regolamentazione di talune tipologie procedimentali ed in relazione a determinati interessi che vengono in rilievo (cfr. artt. 19 e 20 della legge n. 241 del 1990, come modificati dall'art. 3 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante «Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale», convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80)>>, anche quelli relativi al medesimo Codice improntato a: <<moduli di definizione del procedimento, informati alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità, espressivi in quanto tali di un principio fondamentale di diretta derivazione comunitaria, (sentenza n. 336 del 2005)>>9.
La giurisprudenza amministrativa in diverse pronunce, pur riconoscendo che il comma 1 della novellata legge 241/1990 ha generalizzato le ipotesi di silenzio assenso, ribadisce l’impossibilità di applicazione dell’istituto del consenso tacito agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, la salute e la pubblica incolumità10. Sul punto particolarmente significativa appare l’interpretazione operata recentemente dal giudice amministrativo del Lazio: <<(...) Il principio di cautela implicito nella tutela dei diritti fondamentali della persona alla salute, sicurezza ed integrità fisica, al paesaggio ed all’ambiente (artt. 2, 9 e 32 Cost.), impone, infatti, di leggere l’esclusione, posta dal citato comma 4, come riferita non ai soli procedimenti aventi quale oggetto primario i beni costituzionali sopra indicati, bensì, al contrario, come riferita a tutti i procedimenti comunque “riguardanti” (così recita la norma) gli stessi beni costituzionali, vale a dire, a tutti i procedimenti concernenti fattispecie fatte oggetto di specifiche normative di tutela di quei beni costituzionali, (...). L’interpretazione qui adottata sembra, quindi, essere l’unica compatibile con la finalità di tutela del comma 4, che verrebbe vanificata qualora l’esclusione non valesse per tutti i procedimenti concernenti i valori costituzionali indicati. (...)>>.11
Dopo questo breve inquadramento generale, affrontiamo il tema specifico del presente lavoro evidenziando il rapporto esistente tra la norma del comma 4 dell’art. 20 della l. 241/90, novellata dalla l. 80/05, che di fatto impedisce il formarsi del silenzio assenso in materia ambientale, e la disposizione dell’art. 13 della L. 394/91 che invece prevede la possibilità di silenzio assenso. In altre parole, si tratta di stabilire nella fattispecie se deve prevalere la norma speciale (l. 394/91) oppure quella generale sopravvenuta (l. 80/05). Una interpretazione significativa è stata data dal TAR Lazio nel 2007: «(…) La legge 80/2005 ha rivoluzionato l’intero sistema del silenzio, assegnando il valore di silenzio-assenso al comportamento inerte dell’amministrazione, con l’unica eccezione delle materie – quali quella in questione – nelle quali, invece, non è ipotizzabile l’accoglimento tacito della domanda.
La nuova disciplina è concepita come legge generale che regola l’intera materia e ad essa devono adeguarsi ed armonizzarsi tutte le norme procedimentali di settore: ne consegue che nel contrasto tra le due norme – il cui contenuto è evidentemente incompatibile – non si può far ricorso al principio di specialità che postula l’equivalenza tra le norme stesse, ma deve necessariamente applicarsi il criterio cronologico, in base al quale la legge successiva prevale su quella precedente anche se speciale.
In altre parole, facendo corretta applicazione della disposizione dell’art. 15 delle preleggi – in presenza di una nuova legge che regola l’intera materia già regolata da una legge anteriore – non può che sussistere l’abrogazione tacita della norma precedente incompatibile.
Quindi, in presenza di una scelta del legislatore diretta alla semplificazione amministrativa e all’accelerazione delle decisioni da parte della P.A., che però in particolari materie – quali quella riguardante il patrimonio paesaggistico e l’ambiente – esclude espressamente il ricorso all’accoglimento tacito dell’istanza per effetto del mero decorso del termine, non può che ricorrere la figura dell’abrogazione tacita per nuova regolamentazione, applicandosi, pertanto, la legge successiva (…)»12.
A parere dello scrivente l’interpretazione dei giudici amministrativi di prime cure è totalmente condivisibile; infatti, oltre a ristabilire il primato della tutela ambientale, fa giustizia di una palese contraddizione come la procedura di silenzio assenso in Area protetta.
L’abrogazione tacita del silenzio-assenso ex art. 13 ad opera della legge n. 80 del 14 maggio 2005 che ha modificato la legge n. 241 del 1990 confermata successivamente sempre dal TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, con la sentenza del 15 dicembre 2008, n. 1512 viene inaspettatamente demolita dalla decisione del Consiglio di Stato, Sez. VI del 29 dicembre 2008, n. 6591, con la quale viene riconfermata la piena vigenza della formazione del silenzio-assenso per il nulla-osta dell’Ente parco, ex art. 13, comma 1 della l. 6 dicembre 1991, n. 394 «Legge quadro sulle aree protette» con le seguenti motivazioni: «(…) Si tratta, quindi, di una disposizione statale, vigente fin dal 1991, che prevede il formarsi del silenzio-assenso decorso il termine di sessanta giorni sulle istanze di rilascio di nulla-osta da parte degli Enti parco; per effetto dell’espresso richiamo contenuto nel citato art. 28 della legge della Regione Lazio n. 29 del 1997, il silenzio-assenso è stato esteso anche ai nulla-osta richiesti per le aree naturali protette di tale Regione.
Deve ritenersi che tale speciale forma di silenzio-assenso, prevista a livello statale dall’art. 13 della legge 394/1991, non sia stata implicitamente abrogata a seguito dell’entrata in vigore della riforma della legge 241/1990 (legge 80/2005).
Infatti, il novellato art. 20 della legge 241/90 ha in primo luogo inteso generalizzare l’istituto del silenzio-assenso, rendendolo applicabile a tutti i procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, fatta salva l’applicazione delle ipotesi di denuncia di inizio attività, regolate dal precedente art. 19.
Rispetto a tale generalizzazione il comma 4 dell’art. 20 ha introdotto alcune eccezioni in determinate materie, tra cui quelle inerenti il patrimonio culturale e paesaggistico e l’ambiente, che riguardano non l’impossibilità in assoluto di prevedere speciali ipotesi di silenzio-assenso, ma l’inapplicabilità della regola generale dell’art. 20, comma 1.
In sostanza, la generalizzazione dell’istituto del silenzio-assenso non può applicarsi in modo automatico alle materie indicate dall’art. 20, comma 4, ma ciò non impedisce al legislatore di introdurre in tali materie norme specifiche, aventi ad oggetto il silenzio-assenso, a meno che non sussistano espressi divieti, derivanti dall’ordinamento comunitario o dal rispetto dei princìpi costituzionali.
Il dato testuale del comma 4 dell’art. 20 è chiaro: “Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente (…)”; l’eccezione riguarda solo “le disposizioni del presente articolo” e non può essere estesa a disposizioni precedenti, aventi ad oggetto il silenzio-assenso, rispetto alle quali i commi 1, 2 e 3 dell’art. 20 della legge 241/90 nulla hanno innovato.
Tali disposizioni restano, quindi, in vigore e, del resto, se, come appena detto, l’art. 20, comma 4, non impedisce l’introduzione di norme speciali, dirette a prevedere il silenzio-assenso anche nelle materia menzionate dal comma 4, non può che ritenersi che eventuali norme speciali preesistenti, quali l’art. 13 della legge n. 394/1991, restano in vigore.
Tale tesi, oltre ad essere conforme al dato testuale della disposizione, si pone in linea con la stessa ratio delle riforma della legge n. 241/90, che è stata quella di generalizzare l’istituto del silenzio-assenso ed è irragionevole ritenere che tale generalizzazione abbia comportato un effetto abrogante su norme, che tale istituto già prevedevano.
L’art. 13 della legge n. 394/1991 è, quindi, vigente e, di conseguenza, non assumono rilievo le ulteriori questioni del rapporto tra normativa regionale e statale a seguito degli interventi riformatori della legge n. 241/90 e della natura del rinvio alla legge statale operato dalla legge regionale n. 29/1997.
L’unico limite che le disposizioni speciali, quale quella di cui al citato art. 13, devono rispettare è quello derivante dai princìpi comunitari e costituzionali.
Al riguardo, la Corte costituzionale ha chiarito che, in linea di principio, al legislatore non è affatto precluso sul piano costituzionale – nell’ambito delle diverse fasi di abilitazione di lavori edilizi – la qualificazione in termini di silenzio-assenso del decorso del tempo entro il quale l’amministrazione competente deve concludere il procedimento e adottare il provvedimento (Corte Cost., n. 404/97; n. 262/97 e n. 169/1994).
Si tratta in questi casi – secondo la Corte - di una scelta di politica legislativa nell’obiettivo di tempestività ed efficienza dell’azione amministrativa e quindi di buon andamento, costituzionalmente compatibile purché siano esattamente individuati l’unità organizzativa ed il soggetto addetto responsabile dell’istruttoria e degli adempimenti finali, di modo che non vi sia differenza sotto il profilo della responsabilità tra atto espresso e silenzio derivante da scelta consapevole di non esercitare il potere di intervento (repressivo o impeditivo).
La Corte costituzionale ha, invece, censurato alcune leggi regionali, che prevedevano il silenzio-assenso in procedimenti complessi, caratterizzati da un elevato tasso di discrezionalità e dall’inclusione di specifiche valutazioni in materia ambientale, per le quali è richiesto un pronunciamento espresso, quali quelle in materia di tutela idrogeologica e paesaggistica (Corte cost. n. 26/1996, n. 194/1993, n. 437/1992, n. 302/1988).
Con riguardo al diritto comunitario, anche la Corte di giustizia ha ritenuto non compatibile il silenzio-assenso solo in presenza di procedimenti complessi in cui, per garantire effettività agli interessi tutelati, è necessaria una espressa valutazione amministrativa, quale un accertamento tecnico o una verifica; in questi casi ammettere il silenzio-assenso significherebbe legittimare l’amministrazione a non svolgere quella attività istruttoria imposta a livello comunitario per la tutela di particolari valori e interessi (v. Corte di giustizia CE 28 febbraio 1991, causa C-360/87 in materia di protezione di acque sotterranee).
Sulla base di tale giurisprudenza deve ritenersi che non risulta porsi in contrasto con princìpi costituzionali, o con specifiche disposizione comunitarie, la previsione del silenzio-assenso per il rilascio del nulla-osta dell’Ente Parco, caratterizzato da un tasso di discrezionalità non elevato e destinato ad inserirsi, in un procedimento, in cui ulteriori specifici interessi ambientali vengono valutati in modo espresso, come in concreto avvenuto nel caso di specie (autorizzazioni paesaggistiche, idrogeologiche, archeologiche). (…)».
Personalmente (la dottrina su questa decisione ha posizioni contrastanti13) non sono d’accordo con le tesi assunte dai giudici del Consiglio di Stato nella decisione in esame per queste ragioni:
1) Non condivido l’affermazione: <<In sostanza, la generalizzazione dell’istituto del silenzio-assenso non può applicarsi in modo automatico alle materie indicate dall’art. 20, comma 4, ma ciò non impedisce al legislatore di introdurre in tali materie norme specifiche, aventi ad oggetto il silenzio-assenso (...)>> in quanto sembrerebbe specificare che il legislatore abbia inserito l’articolo 13 della l. 394/1991 in vigenza del novellato articolo 2014 della l. 241/1990, ma sappiamo bene che non è così: infatti dopo la legge 14 maggio 2005 n. 80 non sarebbe stato possibile. La legge 394/1991 (con l’art. 13 sul silenzio assenso) è stata approvata in vigenza del testo originario dell’articolo 2014 della l. 241/1991, che al contrario del testo attuale, prevedeva il divieto generalizzato del ricorso alla procedura di silenzio assenso, salvo eccezioni specificatamente individuate, dunque nel 1991 solo per questo particolare aspetto, le due norme erano compatibili (in seguito vedremo la contraddizione dell’inserimento del consenso tacito nella l. 394/1991);
2) Non condivido l’affermazione: «(…) deve ritenersi che non risulta porsi in contrasto con princìpi costituzionali, o con specifiche disposizione comunitarie, la previsione del silenzio-assenso per il rilascio del nulla-osta dell’Ente parco, caratterizzato da un tasso di discrezionalità non elevato (…)». Su questo ultimo punto esamineremo in due diversi filoni di approfondimento la conclusione dei giudici del Consiglio di Stato: il primo cercherà di chiarire quale sia il limite derivante dagli obblighi costituzionali, comunitari (e aggiungerei internazionali) a cui deve soggiacere il silenzio-assenso ex art. 13 della legge 394/1991; il secondo cercherà di chiarire la natura del nulla-osta e il suo tasso di discrezionalità.

1. - L’ambiente come valore costituzionale primario, assoluto, inderogabile.
Occorre subito premettere che l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette in funzione della disciplina dettata dalla legge n. 394 del 1991, è ricompresa nella tutela e conservazione dell’ambiente e degli ecosistemi15.
Infatti, l’articolo 1 della legge quadro sulle aree protette stabilisce: “La presente legge 394 del 1991 in attuazione degli articoli 9 e 32 della Costituzione e nel rispetto degli accordi internazionali, detta princìpi fondamentali per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese”.
Il legislatore del 1991 ha incardinato negli articoli 9 (Tutela del paesaggio)16 e 32 (Tutela della salute) della Carta Costituzionale la disciplina sulle aree protette, facendo proprio l’orientamento della Consulta che già dal 1972 con la sentenza n. 141 (a seguire la n. 239 del 1982, e la 327 del 1990)17 aveva esplicitato la necessità di introdurre la tutela dell’ambiente, attraverso l’interpretazione estensiva del concetto di tutela del paesaggio e di bellezza naturale18.
Tale orientamento nel corso degli anni non si è modificato, anzi, si è sempre più rafforzato al punto che la Consulta è arrivata a statuire: “La disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario (sentenza n. 151 del 1986) ed assoluto (sentenza n. 641 del 1987)19, e deve garantire (come prescrive il diritto comunitario) un elevato livello di tutela20, come tale inderogabile dalle altre discipline di settore”21.
L’altro pilastro costituzionale sul quale poggia saldamente la legge quadro sulle aree protette è l’articolo 32 (tutela della salute), anch’esso riconosciuto dalla Suprema Corte, come bene primario che assurge a diritto fondamentale della persona ed impone piena ed esaustiva tutela22. La Consulta, anche in questo caso già dal 1986 con la sentenza n. 64123 aveva stabilito che la tutela dell’ambiente trova fondamento anche (in combinato disposto con l’articolo 9) nell’articolo 32 della Costituzione.
A parere dello scrivente dalle sentenze citate risulta evidente che la Consulta negli anni ha fornito un contributo determinante per il superamento del modello di tutela ambientale antropocentrico nel quale l’uomo è protagonista indiscusso e l’ambiente è ridotto ad un semplice mezzo per il soddisfacimento dei suoi bisogni24. Infatti, l’inserimento nella legge 394/1991 della procedura di silenzio-assenso non può che leggersi come un strategia mirata soprattutto alla realizzazione delle esigenze umane.
Quindi nel momento in cui la Suprema Corte statuisce: “Oggetto di tutela (cfr. la Dichiarazione di Stoccolma del 1972), è la biosfera, che viene presa in considerazione, non solo per le sue varie componenti, ma anche per le interazioni fra queste ultime, i loro equilibri, la loro qualità, la circolazione dei loro elementi.”25, ribadisce con forza che la tutela ambientale con la riforma della Parte seconda del Titolo V della Costituzione26, è oggi totalmente incentrata nel modello biocentrico (o ecocentrico) nel quale l’uomo è ridimensionato a pari livello con tutti gli altri membri della comunità vivente facenti parte dell’ecosistema e la specifica tutela (nella fattispecie la legge 394/1991) non è certamente rivolta al soddisfacimento dei suoi bisogni, bensì alla tutela del valore naturalistico presente nell’area concepito come bene della intera comunità28.
Possiamo affermare, dunque, che la Consulta con queste recenti pronunce sancisce il definitivo superamento del modello antropocentrico di tutela ambientale in base al quale è stata concepita la procedura di silenzio-assenso ex art. 13.
Quanto illustrato finora potrebbe essere sufficiente per dimostrare l’incompatibilità del silenzio-assenso con il regime di tutela delle aree protette, ma continuiamo la disamina della decisione.

1.1. - Il silenzio-assenso in materia urbanistico-edilizia, ambientale e dei beni paesaggistici.
Vediamo nella pronuncia in commento che i giudici del Consiglio di Stato affermano: «La Corte costituzionale ha chiarito che, in linea di principio, al legislatore non è affatto precluso sul piano costituzionale – nell’ambito delle diverse fasi di abilitazione di lavori edilizi – la qualificazione in termini di silenzio-assenso del decorso del tempo entro il quale l’amministrazione competente deve concludere il procedimento e adottare il provvedimento (Corte cost. n. 404/97; n. 262/97 e n. 169/1994)».
Innanzi tutto il parallelo non è calzante con il caso trattato, infatti le conclusioni della Consulta sulla possibile applicazione del silenzio-assenso riguardano esclusivamente la materia urbanistico-edilizia, in merito al quale ritengo comunque opportuno, approfondire alcuni aspetti fondamentali.
Sarà utile chiarire come era applicabile l’istituto dell’autorizzazione tacita previsto dall’art. 8 della legge 94/1982 (abrogato dall’articolo 136 del d.p.r. n. 380 del 2001), per quali fattispecie e con quali limiti. Prendiamo ad esempio un procedimento di formazione del silenzio-assenso per il rilascio di concessione edilizia, sottoposto al giudizio del Consiglio di Stato. I giudici del Supremo Consesso amministrativo nella decisione scaturita sono molto chiari, in quanto ritengono applicabile l’istituto in parola esclusivamente con determinate condizioni: «ai sensi dell’art. 8, d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, convertito in l. 25 marzo 1982, n. 94, il silenzio-assenso si perfeziona solamente con la contemporanea presenza di due condizioni: 1) gli interventi da realizzare sono localizzati su aree dotate di strumenti urbanistici attuativi; 2) la concessione o autorizzazione è atto dovuto in forza degli strumenti urbanistici vigenti»29.
Senza dubbio, in campo urbanistico il legislatore ha subordinato il silenzio-assenso all’esistenza di una disciplina di dettaglio che predetermini in modo puntuale le caratteristiche della edificazione consentita (piano attuativo paragonabile al piano del parco), in modo da consentire alla pubblica amministrazione un rigoroso ed automatico accertamento di conformità tra il piano e l’intervento edilizio che non lasci alla p. a. alcuno spazio di discrezionalità neppure sotto il profilo tecnico. Viceversa, i giudici di Palazzo Spada sostengono che l’assenza di una disciplina di dettaglio implicherebbe valutazioni discrezionali prive di certezza predeterminata30.
Sul punto anche la Corte costituzionale con la sentenza n. 408 del 1995 fa salva la previsione del silenzio-assenso in riferimento ad attività amministrative nelle quali sia pressoché assente il tasso di discrezionalità, mentre non ritiene possibile la trasposizione di tale modello nei procedimenti ad elevata discrezionalità.
Tale assunto sancito dalla Corte viene rafforzato proprio dalla vigenza del principio opposto che esige la pronuncia esplicita dell’Amministrazione competente, atteso che l’istituto del silenzio-assenso è ammissibile in riferimento ad attività amministrative nelle quali sia pressoché’ inesistente il tasso di discrezionalità31. In sostanza perfino in materia urbanistico-edilizia il legislatore (supportato dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa) è stato in passato molto cauto nel disciplinare la possibile formazione di autorizzazioni tacite, tanto che oggi ha generalmente soppresso la procedure di silenzio-assenso in campo edilizio, se non per i casi riguardanti interventi minori eseguibili con D.I.A. (denuncia inizio attività) comunque subordinati in caso di vincolo, all’assenso dell’ente titolare del vincolo stesso.
Ad ulteriore conferma (se mai c’è ne fosse bisogno) dell’estrema limitazione dell’applicabilità del procedimento del silenzio-assenso agli interventi in aree vincolate, esaminiamo un procedura temporanea, del tutto contingente ed eccezionale di regolarizzazione degli abusi edilizi: il condono edilizio32.
Nel nostro ordinamento coesistono tre differenti statuti di condono edilizio: il primo condono istituito dall’art. 31 della legge n. 47 del 1985; il secondo istituito dall’articolo 39 della legge n. 724 del 1994; il terzo istituito dall’articolo 32 del decreto legge n. 269 del 2003. Ora, in base a consolidata giurisprudenza, per le procedure contenute in tutti e tre i condoni il mancato invio dell’autorizzazione paesistica ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1497 del 1939 con la domanda di condono, ovvero, in chiave di sanatoria, dell’equivalente parere favorevole ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, impedisce la formazione del silenzio-assenso sia ai fini del rilascio della concessione edilizia ordinaria sia a fini della sanatoria ex art. 35 della legge n. 47 del 1985 citata33.
Inoltre, il d.lgs. 22 gennaio 2004, n.42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della l. 6 luglio 2002, n. 137, all’art. 142 (Aree tutelate per legge) tra l’altro dispone: Sono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti alle disposizioni di questo Titolo i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi. Sul punto la Corte di cassazione penale34 ha statuito che la realizzazione di interventi ed opere in aree protette deve essere sottoposta al preventivo rilascio di tre autonomi provvedimenti: l’autorizzazione paesaggistica di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, il permesso di costruire disciplinato dal T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, ed il nulla-osta dell’ente parco, di cui alla l. 6 dicembre 1991, n. 394, stante l’autonomia dei profili paesaggistici ed ambientali da quelli urbanistici. A questo punto si arriva al paradosso: per l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica non è previsto il silenzio-assenso, per ottenere il permesso di costruire si può impugnare il silenzio rifiuto; per assicurarsi invece il nulla-osta del parco, il provvedimento più importante, quello che verifica effettivamente se l’opera può compromettere i valori ambientali dell’area, basta attendere 60 giorni dalla richiesta e il nulla-osta si intende acquisito mediante silenzio-assenso. A parere dello scrivente, sostenere ancora oggi la valenza di tale procedura nelle aree protette equivale a porsi in palese contrasto con la particolare tutela costituzionale e comunitaria della quale gode la materia/valore ambiente35, dimostrata nelle pagine precedenti.
Tornando alla decisione in commento, in realtà, la sentenza della Corte costituzionale n. 404 del 1997 contrariamente da quanto sostenuto dai giudici di palazzo Spada, ribadisce un concetto già espresso e del tutto antitetico: «Nella materia ambientale vige un principio fondamentale, ricavabile da una serie di disposizioni, da interpretarsi unitariamente nel sistema, secondo cui il silenzio dell’amministrazione preposta al vincolo ambientale non può avere valore di assenso»36. Sul punto anche in dottrina si riscontrano convergenze: «La rilevanza costituzionale del bene ambiente fa si che deve essere sempre oggetto di disamina espressa stante la prevalenza data, nel bilanciamento tra norme costituzionali, ai valori espressi da tali interessi, rispetto a quelli tutelati dall’art. 97 nella sua proiezione in termini di efficienza»37.
Del resto la stessa Corte precedentemente era stata tassativa nel ribadire: «Quando sono in gioco beni costituzionalmente protetti, l’autorizzazione implicita è da escludere proprio a garanzia di adeguata tutela di tali beni» (Corte costituzionale n. 307 del 1 luglio 1992)38.
È pur vero che la legge 394/1991 prevede questa forma di autorizzazione tacita, quindi non ci resta che constatare una gigantesca contraddizione del legislatore nel concepimento della legge stessa39, nel momento in cui stabilisce da un lato nelle finalità che l’istituzione e la gestione delle Aree protette è attuazione degli articoli 9 e 32 della Costituzione e contestualmente disciplina la realizzazione di interventi in silenzio-assenso40.

1.2. - La tutela delle aree protette dopo il Trattato di Maastricht.
Nel 1992 (un anno dopo l’approvazione della legge quadro sulle aree protette) viene firmato il Trattato di Maastricht che riforma il Trattato costituivo della Comunità europea (Roma 1957). La modifica rafforza ulteriormente la politica dell’Unione nel campo della tutela ambientale introdotta nel 1987 dall’Atto Unico Europeo con l’art. 130R (oggi art. 191)41. Successivamente entrano nel Trattato altre disposizioni importanti per la salvaguardia dell’ambiente: l’articolo 2 (obiettivi generali della Comunità) che prescrive un elevato livello di protezione dell’ambiente e il miglioramento di quest’ultimo; l’articolo 3 (obiettivi specifici della Comunità) comma 1 lettera l) secondo cui è indispensabile realizzare una politica nel settore dell’ambiente; l’articolo 6 (princìpi di tecnica legislativa) che dispone: Le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni comunitarie, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile.
Queste disposizioni in campo ambientale del Trattato sono fondamentali per il presente lavoro in quanto devono essere lette come integrazione vincolante42 anche della norma nazionale relativa alle Aree Naturali Protette43. Da Maastricht in poi aumenta progressivamente il grado di attenzione (e la base giuridica) per le tematiche di tutela ambientale della Comunità, in particolare la versione novellata dell’articolo 130R44 prevede esplicitamente per gli stati membri l’obbligo di perseguire politiche di salvaguardia e di tutela della qualità dell’ambiente. L’articolo inoltre stabilisce che la politica della Comunità in materia ambientale deve mirare a un livello elevato di tutela e deve essere fondata sui princìpi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga».
Dunque è opportuno soffermarci sul principio di precauzione, strumento fondamentale45 del diritto comunitario per il perseguimento degli obiettivi di conservazione dell’ambiente previsti dal Trattato stesso.
Sul punto è necessario richiamare anche il principio del «consenso amministrativo preliminare» elaborato in dottrina come diretta applicazione del principio di prevenzione di cui all’articolo 191 (ex 174) del Trattato, secondo il quale qualsiasi progetto o attività che possa avere una ripercussione sull’ambiente, deve avere il consenso preliminare ed esplicito dell’autorità competente46.
Per di più la Corte di giustizia ha costantemente censurato atti legislativi degli stati della Comunità che tentavano di introdurre nel recepimento di direttive in materia ambientale «autorizzazioni tacite» ovvero procedure che si concludevano con il «silenzio-assenso». In proposito la Corte47 ha ribadito che secondo consolidata giurisprudenza un’autorizzazione tacita non può essere compatibile con le direttive: n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/464 concernente l’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico della Comunità, n. 80/68 concernente la protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose, e n. 84/360 concernente la lotta contro l’inquinamento atmosferico provocato dagli impianti industriali, perché queste prevedono autorizzazioni preventive all’esercizio dell’attività, oppure, nel caso della direttiva n. 85/337, procedure di valutazione che precedono il rilascio di un’autorizzazione. Le autorità nazionali sono quindi tenute, in forza di ciascuna di tali direttive, ad esaminare caso per caso tutte le domande di autorizzazione presentate.
Sulla stessa posizione la Corte costituzionale con la sentenza n. 406 del 2005 definisce il principio di precauzione come criterio direttivo che deve ispirare l’elaborazione, la definizione e l’attuazione delle politiche ambientali della Comunità europea sulla base di dati scientifici sufficienti e attendibili valutazioni scientifiche circa gli effetti che possono essere prodotti da una determinata attività48. Tale criterio elaborato dalla Consulta, dovrà naturalmente essere applicato dall’Ente di gestione in sede di rilascio di nulla-osta al fine di eseguire una valutazione rigorosa delle attività o delle opere da realizzare, garantendo in tal modo come obbliga il Trattato un «livello elevato di tutela dell’ambiente».
Con queste premesse, si può ribaltare con facilità la tesi di conformità al diritto comunitario del silenzio-assenso a cui giungono i giudici di Palazzo Spada quando affermano: «Con riguardo al diritto comunitario, anche la Corte di giustizia ha ritenuto non compatibile il silenzio-assenso solo in presenza di procedimenti complessi in cui, per garantire effettività agli interessi tutelati, è necessaria una espressa valutazione amministrativa, quale un accertamento tecnico o una verifica; in questi casi ammettere il silenzio-assenso significherebbe legittimare l’amministrazione a non svolgere quella attività istruttoria imposta a livello comunitario per la tutela di particolari valori e interessi (v. Corte di giustizia CE 28 febbraio 1991, causa C-360/87 in materia di protezione di acque sotterranee)».
Infatti il nulla-osta ex art. 13 l. 394/91, è un atto obbligatorio, vincolante e propedeutico49 per qualsiasi intervento da realizzare all’interno di aree protette, pertanto è necessaria (direi ineludibile) una espressa valutazione amministrativa.
Inoltre (come dimostreremo più avanti) la procedura di valutazione della fattibilità delle opere o delle attività per il rilascio del nulla-osta, in questo caso specifico in regime di salvaguardia, è un procedimento complesso, tanto è vero che si concretizza con un provvedimento avente elevata discrezionalità.
In conclusione possiamo ribadire un principio generale entrato da tempo nell’acquis comunitario, dunque direttamente applicabile anche alla legge 394/1991: Alle attività o interventi che possono avere una ripercussione negativa sull’ambiente e che devono essere valutate preliminarmente dall’autorità prima di essere autorizzate, non è applicabile la procedura del silenzio-assenso, in virtù delle disposizioni degli artt. 2, 4, 11 e 191 del Trattato di Lisbona.

1.3. – La legge quadro sulle aree protette e la Convenzione sulla diversità biologica.
L’approvazione della legge quadro sulle aree protette precede di un anno la Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, al termine della quale si arrivò alla firma della «Convenzione sulla diversità biologica»50 finalizzata alla conservazione del patrimonio biogenetico presente sulla terra in tutte le sue differenziazioni, nonché ad anticipare, prevenire e combattere alla fonte le cause di significativa riduzione o perdita di biodiversità.
L’Italia ratificò la Convenzione con la legge 14 febbraio 1994 n. 124 «Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla biodiversità, con annessi, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992», impegnandosi in tal modo ad intraprendere concrete misure finalizzate alla conservazione della diversità biologica (art. 6) a livello di geni, popolazioni, specie, habitat (come luogo o tipo di sito dove un organismo o una popolazione esistono allo stato naturale) ed ecosistemi (complesso dinamico formato da comunità di piante, di animali e di micro-organismi e dal loro ambiente non vivente, le quali grazie alla loro interazione, costituiscono un’unità funzionale) e garantendo l’uso sostenibile delle sue componenti.
La Convenzione inoltre prevede (art. 8) l’istituzione di un sistema di zone protette o di zone tutelate in-situ, aree sulle quali devono essere adottate misure speciali per conservare la diversità biologica nell’ambiente naturale.
Rientrano quindi, in questa classificazione le aree protette istituite ai sensi della 394/1991, sulle quali pertanto lo Stato italiano con la firma della Convenzione e la successiva ratifica, si è impegnato a sviluppare attività e politiche riguardanti la gestione e la conservazione della fauna e della flora, delle foreste, e un uso sostenibile del suolo.
La Comunità europea ha ratificato nel 1993 la Convenzione, e con la comunicazione della Commissione COM/1998/42, del 4 febbraio 1998 ha elaborato una strategia comunitaria per la diversità biologica51, con la quale raccomanda agli Stati membri di attivare politiche per la conservazione e l’utilizzazione sostenibile della diversità biologica, passando prioritariamente attraverso specifiche misure di conservazione delle specie e degli ecosistemi da attivare nell’ambiente naturale, ovvero nelle aree protette. La Commissione inoltre raccomanda di predisporre progetti per la ricostituzione degli ecosistemi deteriorati, nonché la protezione delle specie coltivate o domestiche che hanno acquisito caratteristiche genetiche distintive.
Naturalmente questo importante obiettivo è raggiungibile soltanto se l’ente di gestione dell’area protetta è messo nella condizione di poter valutare sistematicamente tutti i progetti e le opere da realizzare nell’area stessa. Quindi, l’esecuzione di qualunque attività senza valutazione preventiva (nulla-osta), ovvero in silenzio-assenso, non è compatibile con le finalità della Convenzione e ne disattende gli obblighi, dato che potrebbe potenzialmente avere un impatto negativo sugli habitat e sulle specie.

2. – La natura del nulla-osta: Le misure di tutela delle aree protette.
L’istituzione di aree naturali protette nazionali o regionali ai sensi della legge 394/1991 prevede sempre l’adozione di specifiche misure di salvaguardia52 in applicazione del comma 1 dell’articolo 6 della medesima legge. Di conseguenza dall’istituzione fino all’approvazione del regolamento e del piano operano i divieti previsti dal combinato disposto dell’art. 6, comma 3 e dall’art. 11, comma 3 della legge 394/199153, che possono essere integrati da misure specifiche contenute nel provvedimento istitutivo del parco.
Vediamo nel dettaglio quali sono le prescrizioni ed i divieti delle misure di salvaguardia in parola:
1) le attività vietate dal comma 3 dell’art. 6 riguardano l’esecuzione di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti, qualsiasi mutamento dell’utilizzazione dei terreni con destinazione diversa da quella agricola e quant’altro possa incidere sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed idrogeotermici e sulle finalità istitutive dell’area protetta, (tali interventi devono essere localizzati fuori dai centri edificati di cui all’art. 18 della l. 22 ottobre 1971, n. 865, e, per gravi motivi di salvaguardia ambientale, con provvedimento motivato, anche all’interno dei centri edificati);
2) le attività vietate ai sensi del comma 3 dell’art. 1154 si riferiscono ad opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat.
A parere dello scrivente le prescrizioni sopra elencate ed i divieti contenuti nelle lettere b), c), ed e) del comma 3 dell’art. 11 non possono essere derogati dal regolamento del parco perché se così fosse si comprometterebbero irreparabilmente le peculiarità degli ambienti naturali che hanno determinato l’istituzione dell’area protetta.
Viceversa i divieti di cui alle lettere d), f), g) ed h) potranno essere derogati con l’approvazione del regolamento del parco55 e invece per quanto riguarda la disposizione della lett. a) vengono fatti salvi (per legge) eventuali prelievi faunistici o abbattimenti selettivi, necessari per ricomporre squilibri ecologici accertati dall’Ente parco.
All’inizio del paragrafo dicevamo che rimangono in vigore le misure di salvaguardia fino all’approvazione del regolamento del parco, la quale deve compiersi non oltre sei mesi dall’approvazione del piano. Quest’ultimo deve essere approvato entro ventiquattro mesi dall’insediamento dell’ente parco e dunque le misure di salvaguardia a cui abbiamo brevemente accennato restano in vigore se la tempistica viene rispettata alla lettera, per almeno due anni e mezzo dall’istituzione del parco.


2.1. – La necessità di acquisizione del nulla-osta.
Dalla lettura dell’art. 13 della legge 394 del 199156, si evince che per ottenere il titolo abilitativo (permesso di costruire, D.I.A., o qualsiasi altra autorizzazione non riconducibile alla materia urbanistico-edilizia ad es. per impianti e apparecchiature utilizzate dall’uomo)57 necessario per realizzare interventi opere o attività all’interno di un’area protetta, si deve acquisire preventivamente il nulla-osta, strumento giuridico definito «(…) l’anello fondamentale di congiunzione tra la salvaguardia dell’ambiente delle Aree protette e gli interventi sul territorio»58.
Detto questo, è utile ai fini del presente lavoro ricostruire sinteticamente la questione concernente la obbligatorietà di acquisizione del nulla-osta <<(...) necessario ed imprenscindibile antecedente di qualsiasi autorizzazione o concessione, di competenza delle diverse amministrazioni in relazione alle rispettive finalità.>>59 in mancanza di regolamento e piano del parco, ovvero in vigenza delle norme di salvaguardia, visto che in quest’ultimo caso, tale obbligo era stato inizialmente messo in discussione da una interpretazione assai singolare della terza sezione della Corte di cassazione penale60 risalente al 1995. In questa sentenza la Suprema Corte affermava che il nulla-osta del parco fosse necessario esclusivamente dopo l’approvazione del regolamento e del piano61. La Cassazione nella sentenza in parola sembrava ignorare completamente che al momento dell’istituzione dell’area protetta entrano in vigore ai sensi del comma 1 dell’articolo 6 della stessa legge, misure di salvaguardia consistenti in una serie di divieti inderogabili, in attesa dell’approvazione del regolamento e del piano del parco. Pertanto l’Ente parco dovrà valutare la compatibilità di tutte le attività da realizzare nel territorio dell’area protetta con le suddette misure e con la finalità istitutive.
L’equivoco della Cassazione a parere dello scrivente, nasce dall’interpretazione congiunta del primo periodo del comma 1 dell’articolo 13: «Il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco è sottoposto al preventivo nulla-osta dell’Ente parco», con i successivi: «Il nulla-osta verifica la conformità tra le disposizioni del piano e del regolamento e l’intervento ed è reso entro sessanta giorni dalla richiesta» e «Decorso inutilmente tale termine il nulla-osta si intende rilasciato». Infatti, possiamo agevolmente scindere in due fasi il suddetto comma 1: il primo periodo è generico e omnicomprensivo, quindi è logico che si debba applicare dalla data d’istituzione dell’Area protetta con riferimento alle misure di salvaguardia. Se così non fosse l’ente parco non potrebbe valutare la fattibilità di interventi potenzialmente pericolosi o incompatibili con il sistema ambientale del parco e con le finalità istitutive dello stesso parco62. Il secondo e il terzo periodo del comma 1 si riferiscono chiaramente alla fase in cui è vigente il regolamento e il piano del parco, tanto è vero si prevede anche una tempistica del rilascio del nulla-osta che si conclude con il silenzio-assenso63.
Ho voluto soffermarmi e ricomporre l’evoluzione interpretativa del comma 1 dell’art. 13 svolta dalla Cassazione perché mi consente di introdurre il concetto di operatività differenziata del rilascio del nulla-osta importante per il proseguo del presente lavoro.
Nel 1998 la Suprema Corte cambia orientamento64 e riconosce la necessità: «(…) di un regime unitario all’interno di qualsiasi parco nazionale a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge quadro del 1991 (…)», ma ancora non ravvisa la fattibilità del rilascio del nulla-osta in funzione delle misure di salvaguardia, anzi collega il rilascio del nulla-osta alla pianificazione paesistica e urbanistica.
Dobbiamo attendere alcuni anni, precisamente il 2005 e finalmente la Cassazione afferma65 che per la vigenza delle misure di salvaguardia dall’istituzione del parco, deve essere richiesto il nulla-osta per qualsiasi intervento all’interno del parco stesso. Nel 2007 la Suprema Corte66 ha definitivamente consolidato tale orientamento, stabilendo che il nulla-osta ex art. 13 preventivo al rilascio di concessioni o autorizzazioni relativi ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco non è subordinato alla previa approvazione del piano e/o del regolamento del parco, confermando il principio di continuità della tutela67 dall’istituzione all’approvazione del piano e del regolamento e della omogeneità dell’applicazione della legge penale nel tempo e su tutto il territorio nazionale68.

2.2. – La «metamorfosi» del nulla-osta: da atto ad elevata discrezionalità ad atto ultravincolato.
Ma vi è di più, i giudici di Palazzo Spada nella decisione in parola, sanciscono l’applicabilità del silenzio-assenso ex art. 13, in funzione del tasso non elevato di discrezionalità nel rilascio del nulla-osta. In tale affermazione direi generica e superficiale, non è specificato a quale strumento di tutela si riferiscano: misure di salvaguardia? oppure regolamento e piano? Questa precisazione è fondamentale per capire il grado di discrezionalità del provvedimento, considerato che i riferimenti per la valutazione degli interventi mutano radicalmente quando si passa dalle misure di salvaguardia, al piano e regolamento del parco. È ovvio che l’attività discrezionale dell’Ente non potrà essere la stessa, ma si adatterà al tasso di specificità e di dettaglio dello strumento di tutela al momento del rilascio. Maggiore sarà il grado di particolarità dello strumento di tutela, minore sarà il grado di discrezionalità valutativa dell’Ente69.
Quindi, possiamo affermare che il tasso discrezionalità del nulla-osta muta in funzione delle caratteristiche dello strumento di tutela, ed è inversamente proporzionale al grado di specificità dello stesso70.
È ormai assodato, grazie anche al chiarimento della Cassazione richiamato al paragrafo 2.1, che il primo periodo del comma 1: «Il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco è sottoposto al preventivo nulla-osta dell’Ente parco», riveste carattere di precetto tassativo, generale, omnicomprensivo71, direttamente applicabile in funzione delle misure di salvaguardia stabilite nella norma con la quale si istituisce l’Area protetta, nonché dei divieti di cui al comma 3 dell’art. 6 e del comma 3 dell’art. 11 della legge 394/1991.
Precedentemente abbiamo accennato ad una possibile chiave di lettura di operatività differenziata del comma 1 dell’articolo 13. Infatti, a parere dello scrivente, il primo periodo del suddetto comma si caratterizza per una completa autonomia applicativa dal resto delle disposizioni presenti nei due periodi successivi72. Quindi l’Ente parco valuterà con atto tecnico-discrezionale73 se rilasciare il nulla-osta in funzione della compatibilità dell’intervento con le misure di salvaguardia, ricercando per le attività non espressamente vietate, l’armonizzazione con i valori ambientali dell’area.
Ora, per stabilire il grado di discrezionalità del nulla-osta rilasciato in misure di salvaguardia, (per i divieti ope legis si rimanda al par. 2) dobbiamo necessariamente esaminare i contenuti delle stesse, all’interno di provvedimenti istitutivi di Aree protette. Troviamo così alcuni divieti indefiniti e ricorrenti, fra cui: «(…) l’ambiente naturale è conservato nella sua integrità e pertanto sono vietate tutte le attività che ne determinino in qualsiasi modo l’alterazione»74. Oppure divieti molto generici, ma dal contenuto elaborato: «(…) è vietato il taglio dei boschi, ad eccezione degli interventi necessari alla loro conservazione e alla prevenzione degli incendi; in particolare tali interventi devono fondare la loro applicazione sull’ecologia, sulla biologia e sulla pedologia, assicurando la conservazione nel tempo e nello spazio del popolamento forestale, senza alterarne le caratteristiche ecologiche fondamentali: copertura, struttura, composizione, densità e suolo; la realizzazione di opere che comportino la modificazione del regime delle acque»75, ed ancora: «(…) è vietata la realizzazione di impianti e di opere tecnologiche che alterino la morfologia del suolo e del paesaggio e gli equilibri ecologici, la trasformazione dei terreni coperti da vegetazione spontanea, in particolare mediante interventi di dissodamento e scanficatura del suolo e frantumazione meccanica delle rocce calcaree, la trasformazione e la manomissione delle manifestazioni carsiche di superficie e sotterranee, la demolizione, il danneggiamento, l’asportazione di parti e l’alterazione tipologica di manufatti rurali appartenenti alla tradizione storica locale»76.
Il contenuto generico e omnicomprensivo delle misure appena descritte (comprese quelle degli artt. 6 e 11 della legge 394/1991) a parere dello scrivente si ricollega perfettamente alla volontà del legislatore espressa con la disposizione altrettanto generica e omnicomprensiva: «Il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco è sottoposto al preventivo nulla-osta dell’Ente parco».
Infatti nella norma in parola si evince chiaramente la responsabilità affidata all’Ente parco dal legislatore di valutare l’impatto di interventi o attività potenzialmente dannosi su un territorio e sulle sue componenti biotiche, che non siano stati oggetto di studi approfonditi.
L’Ente in questa fase non dispone di informazioni e dati scientifici sufficienti per individuare automaticamente ad es. luoghi caratterizzati da fragili equilibri biologici o da presenze faunistiche o botaniche importanti e per questo da preservare con estremo rigore, di fatto non ha ancora utilizzato l’ampia discrezionalità a sua disposizione per dettare, mediante gli strumenti del piano e del regolamento, la disciplina di conservazione del parco77. Solo con il completamento degli studi scientifici propedeutici alla stesura del piano e del regolamento l’Ente avrà una approfondita conoscenza del sistema naturale dell’Area protetta. Pertanto l’Ente parco dovrà effettuare un’accurata analisi del territorio oggetto dell’intervento o dell’attività e valutare i possibili effetti negativi. E’ dunque ragionevole supporre, in questo caso, che il nulla-osta rilasciato sia caratterizzato da un grado elevato di discrezionalità.
Viceversa è facilmente riscontrabile che tra il secondo periodo del comma 1: «Il nulla-osta verifica la conformità tra le disposizioni del piano e del regolamento e l’intervento ed è reso entro sessanta giorni dalla richiesta», e il terzo: «Decorso inutilmente tale termine il nulla-osta si intende rilasciato», esiste una stretta correlazione logico-funzionale, che vincola la formazione di un provvedimento (nulla-osta) alla cogenza di due strumenti amministrativi complessi articolati e dettagliati, uno di pianificazione (ex art. 12) e l’altro regolamentare (ex art. 11), per la stesura dei quali l’Ente ha speso tutto il potere discrezionale in suo possesso78, considerati dalla dottrina fonti normative di portata generale ed efficacia erga omnes79. La stessa asserisce che il rilascio del nulla-osta richiede una valutazione altamente tecnica e non discrezionale80, limitata al controllo della conformità di iniziative e progetti alle previsioni del piano del parco e del regolamento [quanto più possibile specifiche e di dettaglio81 così l’attività valutativa discrezionale dell’ente parco sarà notevolmente ridotta], in tal caso si identifica il nulla-osta come atto a discrezionalità zero82.



3. – Conclusioni.
Alla luce di quanto finora illustrato non si ritiene possibile l’applicazione della procedura di silenzio-assenso di cui all’art. 13 della l. 394/1991, per i seguenti motivi:
1) in virtù della disposizione dell’art. 15 delle preleggi – in presenza di una nuova legge che regola l’intera materia già regolata da una legge anteriore – non può che sussistere l’abrogazione tacita della norma precedente incompatibile.
2) La Corte costituzionale ha più volte ribadito che nella materia ambientale (nella quale è ricompresa l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette in funzione della disciplina dettata dalla legge n. 394 del 1991 in attuazione degli artt. 9 e 32 della Costituzione) vige un principio fondamentale, da interpretarsi unitariamente nel sistema, secondo cui il silenzio dell’amministrazione preposta al vincolo ambientale non può avere valore di assenso;
3) La l. 6 dicembre 1991, n. 394 «Legge quadro sulle aree protette» deve essere oggi applicata nel rispetto degli obblighi sottoscritti con i seguenti trattati:
a) Trattato su funzionamento della Unione europea che vincola gli Stati membri ad attuare politiche che garantiscono un elevato livello di tutela dell’ambiente. Infatti, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha ribadito che, secondo giurisprudenza consolidata, un’autorizzazione tacita in materia ambientale non può essere ammessa, quando sono previste procedure di valutazione che ne precedono il rilascio. In tal caso le autorità nazionali sono tenute ad esaminare caso per caso tutte le domande di autorizzazione presentate;
b) Convenzione sulla diversità biologica ratificata con l. 14 febbraio 1994, n. 124 «Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla biodiversità, con annessi, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992», che impegna lo Stato italiano ad intraprendere nelle aree protette (in situ) concrete misure finalizzate alla conservazione della diversità biologica a livello di geni, popolazioni, specie, habitat ed ecosistemi. La realizzazione d’interventi o attività con procedura di silenzio-assenso è dunque incompatibile con le finalità della Convenzione.

 

 

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(1) Il testo riproduce con integrazioni ed aggiornamenti la nota: Il silenzio assenso ex art. 13 L. 394/1991 è costituzionalmente illegittimo? Breve commento alla decisione del Consiglio di Stato n. 6591 del 2008, in www.lexambiente.it, dicembre 2009.
(2) V. Legge 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. Testo coordinato ed aggiornato con le modifiche introdotte dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, dal decreto legge 14 marzo 2005, n. 35 coordinato con la legge di conversione 14 maggio 2005 n. 80, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40 e dalla legge 18 giugno 2009, n. 69:
(...)
Articolo 20.
(Silenzio assenso)
1. Fatta salva l'applicazione dell'articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.
2. L'amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza di cui al comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati.
3. Nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies.
4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.
5. Si applicano gli articoli 2, comma 7, e 10-bis.
(3) In tal senso vedi: Consiglio di Stato, sez. IV, decisione del 31 marzo 2009, n. 1911, in www.giustizia-amministrativa.it
(4) V. art. 1 l. 7 agosto 1990, n. 241.
(5) In tal senso si esprime anche il TAR Campania, sez. VII, con la sentenza n. 7357 del 20 06 2007, in www.giustizia-amministrativa.it
(6) Cfr. ex multis: TAR Veneto, sez. III, sent. del 11 febbraio 2009, n. 596; TAR Veneto, sez. III, sent. del 12 febbraio 2009, n. 379; Consiglio di Stato, sez. IV, decisione del 31 marzo 2009, n. 1911, in www.giustizia-amministrativa.it
(7) Con il d.lgs. 259/2003 l'Italia ha recepito le direttive quadro del Parlamento europeo e del Consiglio sulle comunicazioni elettroniche del 7 marzo 2002 (direttiva 2002/19/CE, relativa all'accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all'interconnessione delle medesime – direttiva accesso; direttiva 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica – direttiva autorizzazioni; direttiva 2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica – direttiva quadro; direttiva 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica – direttiva servizio universale).
(8) Cfr. Corte Costituzionale sentenza 27 luglio 2005, n. 336, reperibile in www.cortecostizionale.it
(9) Cfr. Corte Costituzionale ordinanza del 18 maggio 2006, n. 203, reperibile in www.cortecostizionale.it
(10) Cfr. ex multis: TAR Campania, Napoli, sez. VII, sent. del 25 ottobre 2006, n. 9737; TAR Campania, Napoli, sez. VII, sent. del 5 dicembre 2006, n. 10401; TAR Lazio, Roma, sez. III, sent. del 10 ottobre 2007, n. 6696; TAR Lazio, Roma, sez. III, sentenze del 19 gennaio 2009 n. 314 e 318 in tema di salute e pubblica incolumità, in www.giustizia-amministrativa.it
(11) Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, sentenze del 13 marzo 2009, n. 2690 e 2691, in www.giustizia-amministrativa.it
(12) Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, sentenza del 22 novembre 2007, n. 13241, in www.giustizia-amministrativa.it
(13) Cfr. V. STEFUTTI, Nulla-osta dell’Ente parco e silenzio-assenso. Le modifiche normative introdotte dalla legge 14 maggio 2005 n. 80, nota a T.A.R. Lazio 22 novembre 2007, n. 13241, in www.dirittoambiente.net; ID., Nulla-osta dell’Ente parco e formazione del silenzio. Breve nota alla sentenza del Consiglio di Stato 17 ottobre 2008 n. 6591, in ivi; F. DI DIO, Applicazione del silenzio-assenso in materia di nulla-osta degli Enti parco: qualche dubbio è (più che) legittimo, in Diritto e Giurisprudenza Agraria, Alimentare e dell’Ambiente, n. 7/8, 2009, 491; F. TESTELLA, Silenzio-assenso e disciplina dei parchi, in Gazzetta amministrativa, 2009, n. 2; C. CREMONA, nota alla sentenza del Consiglio di Stato 17 ottobre 2008, n. 6591, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 2009, n. 3-4.
(14) L. 214/1990 Art. 20 Testo storico
1. Con regolamento adottato ai sensi del comma 2 dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, sono determinati i casi in cui la domanda di rilascio di una autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso od altro atto di consenso comunque denominato, cui sia subordinato lo svolgimento di un'attività privata, si considera accolta qualora non venga comunicato all'interessato il provvedimento di diniego entro il termine fissato per categorie di atti, in relazione alla complessità del rispettivo procedimento, dal medesimo predetto regolamento. In tali casi, sussistendone le ragioni di pubblico interesse, l'amministrazione competente può annullare l'atto di assenso illegittimamente formato, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a sanare i vizi entro il termine prefissatogli dall'amministrazione stessa.
2. Ai fini dell'adozione del regolamento di cui al comma 1, il parere delle Commissioni parlamentari e del Consiglio di Stato deve essere reso entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso tale termine, il Governo procede comunque all'adozione dell'atto.
3. Restano ferme le disposizioni attualmente vigenti che stabiliscono regole analoghe o equipollenti a quelle previste dal presente articolo.
(15) Cfr. ex multis, Corte costituzionale, sentenze: n. 422 del 2002, n. 378 del 2007, n. 387 del 2008, n. 12 del 2009, 272 del 2009, reperibile in www.cortecostituzionale.it
(16) Cfr. Consiglio di Stato Adunanza plenaria, del 14 dicembre 2001 n. 9: “Le esigenze di tutela del paesaggio si pongono quale «valore di straordinario rilievo» (Corte cost. 1° aprile 1985, n. 94), primario ed insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro (Corte Cost., 23 luglio 1997, n. 262; 18 ottobre 1996, n. 341; 28 luglio 1995, n. 417; 20 febbraio 1995, n. 46; 24 febbraio 1992, n. 67; 9 dicembre 1991, n. 437; 11 luglio 1989, n. 391; 27 giugno 1986, n. 151; 21 dicembre 1985, n. 359)”, in www.giustizia-amministrativa.it
(17) V. C. DE BENEDETTI, L’ambiente nella giurisprudenza della Corte Costituzionale: dalla leale collaborazione alla sussidiarietà, in www.dirittoambiente.com
(18) Cfr. Consiglio di Stato Adunanza plenaria, del 14 dicembre 2001 n. 9: “La tutela del paesaggio «va intesa nel senso lato della tutela ecologica» (Corte Cost., 3 ottobre 1990, n. 430) e della «conservazione dell’ambiente» (Corte Cost., 11 luglio 1989, n. 391), ha «una strettissima contiguità con la protezione della natura, in quanto contrassegnata da interessi estetico-culturali», ed è «basata primariamente sugli interessi ecologici e quindi sulla difesa dell’ambiente come bene unitario, pur se composto da molteplici aspetti rilevanti per la vita naturale e umana» (Corte Cost., 15 novembre 1988, n. 1029) e per la salute (Corte Cost., 3 giugno 1989, n. 391), in www.giustizia-amministrativa.it
(19) V. M. CECCHETTI, La materia “Tutela dell’Ambiente e dell’Ecosistema” nella giurisprudenza costituzionale: lo stato dell’arte e i nodi ancora irrisolti, in www.federalismi.it, Rivista di diritto pubblico italiano, comunitario e comparato, n. 7/2009; A. BURATTI, La tutela dell’ambiente come «valore costituzionalmente protetto» in due recenti Sentenze della Corte costituzionale, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 21 luglio 2003; M. SCIARPA, La “trasversalità” della tutela dell’ambiente: un confine “mobile” delle competenze legislative tra Stato e Regioni, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 11 aprile 2005; M. BELLOCCI, La tutela dell’Ambiente nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Silvae Rivista del C.F.S. supplemento a n. 3 /2005; A. CORSETTI, R. FERRARA, F. FRACCHIA, N. OLIVETTI RASON, Diritto dell’Ambiente, 2005, Roma-Bari, p. 394; M. CECCHETTI, La disciplina giuridica della tutela ambientale come “Diritto dell’Ambiente”, Università Luiss Facoltà di Giurisprudenza, Corso di diritto dell’ambiente, in www.federalismi.it, p. 45-50; P. MADDALENA, L’ambiente: prolegomeni per una sua tutela giuridica, in Riv. giur. amb., n. 3-4/2008; S. M. CHIARI, Tutela del paesaggio e Codice dell’ambiente, in , Rivista Giuridica dell’Ambiente n. 5/2008; L. R. PERFETTI, Premesse alle nozioni giuridiche di ambiente e paesaggio, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, n. 1/2009; G. GRASSO, L’ambiente come dovere pubblico “globale”: qualche conferma nella giurisprudenza del giudice delle leggi? in www.amministrazioneincammino.it; G. CORDINI, Princìpi costituzionali in tema di ambiente e giurisprudenza della Corte costituzionale italiana, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, n. 5/2009.
(20) Cfr. ex multis: Corte costituzionale sentenze: n. 182 del 2006, nn. 367 e 378 del 2007, nn. 104, 105, 232 e 437 del 2008, nn. 12, 226 e 272 del 2009, reperibile in www.cortecostituzionale.it; Consiglio Stato, Sez. VI 21 settembre 2006, n. 5552; Consiglio Stato, Sez. VI 12 febbraio 2008, n. 1109, in www.giustizia-amministrativa.it
(21) Cfr. ex multis Corte costituzionale sentenze: n. 218 del 1994, n. 202 del 1991, nn. 307 e 455 del 1990, n. 559 del 1987, n. 184 del 1986 e n. 399 del 1996, n. 387 del 2007, in www.cortecostituzionale.it
(22) V. F. GARGALLO DI CASTEL LENTINI, L’ambiente come diritto fondamentale dell’uomo, in www.dirittoambiente.com; E. GALLO, Il rapporto ambientale, in www.amministrazioneincammino.it
(23) La Consulta così statuisce: «L’ambiente è protetto come elemento determinativo della qualità della vita. La sua protezione non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l’esigenza di un habitat naturale nel quale l’uomo vive ed agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti, è imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.)», reperibile in www.cortecostituzionale.it
(24) Così G. BELLOMO, I modelli di conservazione e valorizzazione nelle aree naturali protette: profili italiani e comparati, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 2008, 291 e ss.
(25) Cfr. ex multis: Corte costituzionale 14 novembre 2007, n. 378; Corte cost. 23 gennaio 2009, n. 12, reperibile in www.cortecostituzionale.it
(26) Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, G.U. n. 248 del 24 ottobre 2001.
(27) Vedi P. PAGANO, Filosofia ambientale, Fidenza, 2006, 61 e ss.
(28) In tal senso G. BELLOMO, op. cit.
(29) Così A. FIALE, e E. FIALE, in Diritto urbanistico, Napoli, 2008, pag. 727 e ss.
(30) Cfr. ex multis: Consiglio di Stato, Sez. V, 25 settembre 1998, n. 1326; Consiglio di Stato, Sez. V, 21 aprile 2006, n. 2261; Consiglio di Stato, Sez. V, 10 febbraio 1998, n. 150; Consiglio di Stato, Sez. V, 14 aprile 2008, n. 1642, in www.giustizia-amministrativa.it
(31) V. DI PACE, Commissario dello Stato per la Regione Sicilia, Ricorso per questione di legittimità costituzionale, contro: disegno di legge n. 513 «Disposizioni in favore del’esercizio di attività economiche in siti di importanza comunitaria e zone di protezione speciale. Norme in materia di edilizia popolare e cooperativa. Interventi nel settore del turismo. Modifiche alla legge regionale n. 10 del 2007», approvato dall’Assemblea regionale siciliana il 19 aprile 2007. Ricorso depositato il 7 maggio 2007 (G.U. n. 20 del 23 maggio 2007).
(32) Cfr. Corte costituzionale 21 aprile 1995, n. 416; ordinanze 21 febbraio 2001, n. 45 e 6 marzo 2001, n. 46, reperibile in www.cortecostituzionale.it
(33) Cfr. ex multis: Consiglio di Stato, sez. VI, del 2 novembre 2007 n. 5669; - Consiglio di Stato sez. IV, del 31 marzo 2009 n. 2024; - Consiglio di Stato, sez. VI, del 17 marzo 2009, n. 1582;- TAR Veneto sez. II, del 17 aprile 2008, n. 1173; - Consiglio di Stato sez. VI, del 26 gennaio 2001, n. 249; - T.A.R. Puglia, sez. III, del 6 febbraio 2009, n. 220, in www.giustizia-amministrativa.it
(34) Cfr. Cassazione Penale, Sez. III, Sentenza del 10 ottobre 2006, P.M. in proc. Salvemini, n. 33966, in www.lexambiente.it
(35) V. G. VIVOLI, Ripartizione di competenze tra stato e regioni nella “materia” tutela dell’ambiente ed attività di cava in area naturale protetta: commento alla sentenza n. 108/2005 della Corte Costituzionale, in www.dirittoambiente.net; P. FALLETTA, La permeabilità e l’integrazione del valore ambiente nell’ambito delle politiche di sviluppo, in www.amministrazioneincammino.it; V. VATTANI, La riaffermazione dell’ambiente come “valore” costituzionalmente protetto ed una precisazione sugli standard di tutela nazionale: riflessioni sulla definizione delle “materie” e sulla funzione della “leale collaborazione”, in www.forumcostituzionale.it, 2005; P. DELL’ANNO, La tutela dell’Ambiente come “Materia” e come “Valore” di Solidarietà e di Elevata Protezione, in www.lexambiente.it, 2008; D. SIMONELLI, L’ambiente come valore: conseguenze, in www.lexambiente.it, 2004; D. SIMONELLI, L’ambiente: bene unitario e valore costituzionale, in www.lexambiente.it, 2004.
(36) Sul punto cfr. Corte Costituzionale sentenze: n. 302 del 9-10 marzo 1988; - n. 408 del 20-27 luglio 1995; - n. 26 del 5-12 febbraio 1996, reperibile in www.cortecostituzionale.it
(37) V. G. MORBIDELLI, in Il regime amministrativo dell’ambiente, ora in Scritti di diritto pubblico dell’economia, Torino, 2001, p.22 e ss.
(38) V. G. MORBIDELLI, Il silenzio-assenso, saggio destinato al volume a cura di V. CERULLI IRELLI, La disciplina generale dell’azione amministrativa, in www.giur.uniroma3.it
(39) Così G. SCHIESARO, in Aree naturali protette, Commento alla legge 394/1991, a cura di G. CERUTI, Milano, 1993, 112 e ss.
(40) A tal proposito G. SCHIESARO, op. cit., solleva perplessità circa la coerenza costituzionale dell’art. 13, comma 1 così formulato.
(41) V. B. POZZO, Le politiche ambientali dell’Unione europea, in www.europeanringhts.eu, febbraio 2009, Osservatorio sul rispetto dei diritti fondamentali in Europa.
(42) Cfr. Consiglio di Stato, Ad. plen. 14 dicembre 2001, n. 9, in www.giustizia-amministrativa.it; Corte costituzionale sentenze: 12 dicembre 1991, n. 464; 25 luglio 1984, n. 223; 23 luglio 1980, n. 123, in www.cortecostituzionale.it
(43) Come dispone l’art. 1 della legge 394/1991: «La presente legge 394 del 1991 in attuazione degli artt. 9 e 32 della Costituzione e nel rispetto degli accordi internazionali (…)».
(44) Cfr. Trattato sul funzionamento della Unione europea, (Lisbona) entrato in vigore il 1° dicembre 2009; in www.europa.eu
«Titolo XX - Ambiente. Art. 191 (ex 174, ex 130R).
1. La politica dell’Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi:
- salvaguardia,tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente;
- protezione della salute umana;
- utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali;
- promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici.
2. La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui princìpi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”.
In tale contesto, le misure di armonizzazione rispondenti ad esigenze di protezione dell’ambiente comportano, nei casi opportuni, una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri a prendere, per motivi ambientali di natura non economica, misure provvisorie soggette ad una procedura comunitaria di controllo.
3. Nel predisporre la sua politica in materia ambientale l’Unione tiene conto:
- dei dati scientifici e tecnici disponibili;
- delle condizioni dell’ambiente nelle varie regioni dell’Unione;
- dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall’azione o dall’assenza di azione;
- dello sviluppo socioeconomico dell’Unione nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni.
4. Nel quadro delle loro competenze rispettive, l’Unione e gli Stati membri cooperano con i Paesi terzi e con le competenti organizzazioni internazionali. Le modalità della cooperazione dell’Unione possono formare oggetto di accordi tra questa ed i terzi interessati.
Il comma precedente non pregiudica la competenza degli Stati membri a negoziare nelle sedi internazionali e a concludere accordi internazionali».
(45) V. SESSA, Profili evolutivi del principio di precauzione alla luce della prassi giudiziaria della Corte di giustizia delle Comunità europee, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 2005, 436.
(46) Crf. conclusioni dell’Avvocato generale, causa C-3/00, del 30 maggio 2002, Regno di Danimarca c. Commissione delle Comunità europee, in www.eur-lex.europa.eu
(47) Cfr. Corte di giustizia CE 14 giugno 2001, causa C-230/00, Commissione/Regno del Belgio, punto 16; - 28 febbraio 1991, causa C-131/88, Commissione/Germania, Racc., pag. 1-825, punto38, in www.eur-lex.europa.eu
(48) V. DI COSIMO, Il principio di precauzione nella giurisprudenza costituzionale, in www.federalismi.it, n. 25/2006.
(49) V. DI PLINIO, Il nulla-osta dell’Ente parco, in Rivistambiente, 2002, n. 1.
(50) V. Convention on Biological Diversity, in www.cbd.int
(51) V. Europa, Sintesi della legislazione UE, Strategia per la diversità biologica, in www.europa.eu
(52) A titolo di esempio si veda: D.P.R. 6 ottobre 1999 “Istituzione del Parco nazionale delle Cinque Terre” (G.U. 17 dicembre 1999, n. 295); - D.P.R. 5 giugno 1995, “Istituzione dell’Ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga”, (G.U. n. 181 Suppl. Ord. del 04/08/1995); - Legge Regionale 21 febbraio 2005, n. 10, “Istituzione del Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola”, (Bollettino Ufficiale della Regione Emilia Romagna n. 35 del 22 febbraio 2005); - Legge Regionale 26 ottobre 2006, n. 30, “Istituzione del Parco naturale regionale Costa Otranto-S.Maria di Leuca e Bosco di Trifase”, (Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 143 del 3-11-2006).
(53) Cfr. ex multis: TAR Toscana Firenze, sez. I, 19 febbraio 2002, n. 288; - Consiglio di Stato, sez. VI, 20 gennaio 2009, n. 265, in www.giustizia-amministrativa.it; Cassazione Penale, Sez. III, n. 14183 del 5 aprile 2007, Bronchi; - Cassazione Penale, sez. III, 16 settembre 2008, n. 35393, Pregnolato ed altro, in www.lexambiente.it
(54) Arti. 11, comma 3, legge 394/1991:
«Salvo quanto previsto dal comma 5, nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat. In particolare sono vietati:
a) la cattura, l’uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali; la raccolta e il danneggiamento delle specie vegetali, salvo nei territori in cui sono consentite le attività agro-silvo-pastorali, nonchè l’introduzione di specie estranee, vegetali o animali, che possano alterare l’equilibrio naturale;
b) l’apertura e l’esercizio di cave, di miniere e di discariche, nonchè l’asportazione di minerali;
c) la modificazione del regime delle acque;
d) lo svolgimento di attività pubblicitarie al di fuori dei centri urbani, non autorizzate dall’Ente parco;
e) l’introduzione e l’impiego di qualsiasi mezzo di distruzione o di alterazione dei cicli biogeochimici;
f) l’introduzione, da parte di privati, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, se non autorizzati;
g) l’uso di fuochi all’aperto;
h) il sorvolo di velivoli non autorizzato, salvo ti amo quanto definito dalle leggi sulla disciplina del volo».
(55) Sul punto cfr. ex multis: T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 12 gennaio 2007, n. 12; - T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 27 settembre 2006, n. 1418; - Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 ottobre 2007, n. 5445; - Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 febbraio 2008, n. 561, in www.giustizia-amministrativa.it; - Cassazione Penale, sez. III, 10 maggio 2005, n. 17611, Marmo ed altro, in www.ambientediritto.it; - Cassazione Penale, Sez. III, 16 settembre 2008, n. 35393, cit.; - Cassazione Penale, sez. III, 15 dicembre 2008, n. 46079, Ballerio, in www.lexambiente.it; - R. FELICI, La tutela penale delle aree protette, Firenze, 2007, 101 e ss.
(56) Art. 13, Nulla-osta, legge 394/1991
1. Il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell’Ente parco. Il nulla osta verifica la conformità tra le disposizioni del piano e del regolamento e l’intervento ed è reso entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso inutilmente tale termine il nulla osta si intende rilasciato. Il diniego, che è immediatamente impugnabile, è affisso contemporaneamente all’albo del comune interessato e all’albo dell’Ente parco e l’affissione ha la durata di sette giorni. L’Ente parco dà notizia per estratto, con le medesime modalità, dei nulla osta rilasciati e di quelli determinatisi per decorrenza del termine.
2. Avverso il rilascio del nulla osta è ammesso ricorso giurisdizionale anche da parte delle associazioni di protezione ambientale individuate ai sensi della legge 8 luglio 1986, n. 349.
3. L’esame delle richieste di nulla osta può essere affidato con deliberazione del Consiglio direttivo ad un apposito comitato la cui composizione e la cui attività sono disciplinate dal regolamento del parco.
4. Il Presidente del parco, entro sessanta giorni dalla richiesta, con comunicazione scritta al richiedente, può rinviare, per una sola volta, di ulteriori trenta giorni i termini di espressione del nulla osta.
(57) Così G. SCHIESARO, op. cit.
(58) Cfr. V. PARISIO, 1992, 61, in G. SCHIESARO, op. cit.
(59) In tal senso A. Abrami, Il regime giuridico delle aree protette, Torino, 2000, 137 e ss
(60) Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, del 18 marzo 2008 n. 1109: <<La ratio di tale orientamento è stata efficacemente chiarita dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza di seguito riportata (Cassazione penale, sez. III, 27 giugno 1995, n. 10407) secondo la quale, “il nulla osta previsto dall'art. 13 della legge n. 394-1991 è inscindibilmente ed esclusivamente collegato alla verifica della conformità dell'intervento progettato alle disposizioni del piano e del regolamento del parco, rispettivamente previsti e disciplinati dagli artt. 12 ed 11 della medesima legge quadro sulle aree protette…………..Ove una disciplina "partecipata" del parco sussista, deve esserne verificato il rispetto; ove essa manchi, invece, la richiesta del nulla osta previsto dall'art. 13 della legge n. 394-1991 si risolverebbe in un mero formalismo, in un adempimento assolutamente superfluo per l'inesistenza di una disciplina "propria" alla quale possa riferirsi la valutazione dell'intervento progettato. (…)», in www.giustizia-amministrativa.it
(61) In tal senso L. RAMACCI, Diritto penale dell’ambiente, Padova, 2007, 264 e ss.
(62) Cfr. Cassazione Penale, Sez. III, 5 aprile 2007, n. 14183, cit.; Cons. Stato, Sez. VI 9 maggio 2006, n. 4594; T.A.R. Basilicata 13 maggio 1998, n. 144, in www.giustizia-amministrativa.it
(63) Cfr. Cassazione Penale, Sez. III, 5 aprile 2007, n. 14183, punto 3, lett. a), cit.
(64) Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, del 18 marzo 2008 n. 1109: «L’operatività dell’art. 13, comma 1, l. 6 dicembre 1991, n. 394, nella parte in cui stabilisce che “il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell’Ente parco” e della correlativa sanzione penale prevista dal successivo art. 30, comma 1, non sono subordinati alla previa approvazione del nuovo piano e del nuovo regolamento del parco, previsti dagli artt. 11 e 12 della stessa legge. In mancanza di detta approvazione occorre, infatti, fare riferimento ai piani paesistici, territoriali o urbanistici ed agli altri eventuali strumenti di pianificazione di cui è menzione nel succitato art. 12 comma 7, i quali restano in vigore fino al momento della loro prevista sostituzione con il nuovo piano (Cassazione penale, sez. III, 27 maggio 1999, n. 11537, ma anche, Sezione III, 19 marzo 1998, n. 692)», in www.lexambiente.it
(65) Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, del 18 marzo 2008 n. 1109: «In tema di tutela delle aree protette, a seguito della entrata in vigore di norme di salvaguardia deve essere richiesto il nulla osta di cui all’art. 13 l. 6 dicembre 1991 n. 394, anche se le disposizioni di salvaguardia sono sopravvenute al rilascio del titolo edilizio abilitativo, ma in epoca anteriore all’inizio dei lavori, (Cassazione Penale, Sez. III, 4 novembre 2005, n. 2645)», www.lexambiente.it
(66) Cfr. Cassazione Penale, Sez. III, 5 aprile 2007 n. 14183, cit.: «(…) deve concludersi nel senso che l’operatività della legge n. 394 del 1991, art. 13, comma 1 (nella parte in cui stabilisce che “il rilascio di concessioni o autorizzazioni relativi ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco è sottoposto al preventivo nulla-osta dell’Ente parco”) e della correlativa sanzione penale, prevista dal successivo art. 30, comma 1, non è subordinata alla previa approvazione del piano e/o del regolamento del parco, di cui agli artt. 11 e 12 della stessa legge. In mancanza di tali strumenti, la valutazione spettante all’Ente parco, ai fini dell’emissione del provvedimento di propria competenza, deve fare riferimento: a) agli atti istitutivi del Parco; b) alle deliberazioni, ordinanze ed altri provvedimenti eventualmente emanati dagli organi di gestione dell’ente ai sensi delle norme istitutive; c) alle misure di salvaguardia adottate; d) ai piani paesistici o aventi comunque valenza paesaggistica nelle disposizioni riguardanti gli aspetti naturalistici e la tutela ecologica (…)».
(67) In tal senso F. FONDERICO, L’Ente parco nella giurisprudenza, in Un’utopia istituzionale le aree naturali protette a dieci anni dalla loro istituzione, a cura di C.A. GRAZIANI, Milano, 2003, 235 e ss.
(68) Cfr. Cassazione Penale, Sez. III, 5 aprile 2007, n. 14183, punto 3, lett. d), cit. <<Una diversa interpretazione introdurrebbe, infine, un limite di dubbia costituzionalità alla obbligatorietà di una legge penale eventualmente circoscritta (con applicazione della norma non uniforme nel tempo e nel territorio) ai soli parchi retti dalle amministrazioni più diligenti nell'ottemperare alle disposizioni della L. n. 394 del 1991 e non operante nei tenitori di tutti gli altri, che rimarrebbero lasciati alla variabile iniziativa individuale ed estemporanea di privati ed enti locali. Va ricordato, al riguardo, che la Corte Costituzionale ha sempre affermato e ribadito il principio dell'unitarietà dei parchi nazionali (espressamente contenuto nel D.P.R. n. 616 del 1977, art. 83, comma 2) rivolto, da un lato, ad assicurare allo Stato poteri idonei a garantirne l'unitarietà di struttura e di funzionamento e, dall'altro, a precludere alle Regioni di porre una disciplina comunque idonea a pregiudicare siffatta unitarietà anche di gestione. Tale unitarietà di disciplina deve riguardare tutti i parchi nazionali, sia già esistenti sia di futura istituzione, non avendo il legislatore consentito una diversità di regime tra di essi in quanto, pur se formati in tempi diversi, sono comunque sorretti da un medesimo interesse e da identiche finalità (vedi Corte Cost., sentenze n. 1029 del 1988 e n. 223 del 1984)>>.
(69) In tal senso anche A. ABRAMI, op. cit.
(70) Cfr. A. ABRAMI, op. cit.
(71) Cfr. Cassazione Penale, Sez. III, 5 aprile 2007, n. 14183, punto 3, lett. a), cit.
(72) Ibidem.
(73) Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 maggio 2001, n. 5270, in www.giustizia-amministrativa.it; Cassazione Penale, Sez. III, 5 aprile 2007, 14183, punto 3, lett. a), cit.
(74) Cfr. d.p.r. 6 ottobre 1999, Istituzione del Parco nazionale delle Cinque Terre, G.U. 17 dicembre 1999, n. 295, d.p.r. 14 novembre 2002, Istituzione del Parco nazionale della Sila e dell’Ente parco, G.U. 17 marzo 2003, n. 63; d.p.r. 3 ottobre 2002, Istituzione del Parco nazionale dell’Asinara e dell’Ente parco, G.U. 20 dicembre , n. 298.
(75) Cfr. d.p.r. 14 novembre 2002, Istituzione del Parco nazionale della Sila e dell’Ente parco, G.U. 17 marzo 2003, n. 63.
(76) Cfr. d.p.r. 10 marzo 2004, Istituzione del Parco nazionale dell’Alta Murgia, G.U. 1° luglio 2004, n. 152.
(77) V. E. FEDULLO, L’autorizzazione paesaggistica e le trasformazioni del paesaggio tra regime transitorio e regime ordinario, punto 1), in www.giustizia-amministrativa.it, 2010. Il concetto espresso dall’autore riferito agli strumenti urbanistici comunali è a parere dello scrivente valido anche per il piano e il regolamento del parco.
(78) V. E. FEDULLO, op. cit.
(79) V. DI PLINIO, op. cit.
(80) V. DI PLINIO, op. cit.
(81) Così G. SCHIESARO, op. cit.
(82) V. DI PLINIO, op. cit.

 

 


Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 10/3/2010

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