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Convenzione (non ancora in vigore) sul diritto delle utilizzazioni dei corsi d'acqua internazionali diverse dalla navigazione - ed altro - adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, in data 21 maggio 1997
ANNIBALE SILVERIO*
 
Premessa. I. Struttura della Convenzione sul diritto delle utilizzazioni dei 
corsi d’acqua internazionali diverse dalla navigazione [CUADN]. 1. Caratteri 
generali della CUADN. 1.1 Navigazione fluviale. II. I principi o le norme 
programmatiche contenuti dalla CUADN. 1. Principio dell’utilizzazione equa e 
ragionevole. 1.1. I fattori per determinare l’uso equo e ragionevole. 1.1.1. Il 
sistema di ripartizione delle acque. 1.1.2. La valorizzazione e lo sfruttamento 
delle risorse idrauliche. 1.2. Il sistema del controllo o della regolazione. 
1.2.1 Altre convenzioni internazionali. 2. L’optimum utilization e protezione 
adeguata dei corsi d’acqua internazionali. 2.1. Altre convenzioni 
internazionali. 3. La cooperazione tra Stati rivieraschi. 3.1. L’obbligo di 
informare gli altri Stati rivieraschi. 3.2. La cooperazione per la protezione 
delle acque. 3.2.1. Le misure per la protezione da forme d’inquinamento. 3.2.2. 
La protezione dall’introduzione di nuove specie. 4. Misure da adottarsi in caso 
di significante danno prodotto. III. Sesta Parte della CUADN: Disposizioni varie 
che riguardano situazioni di conflitto armato, procedure indirette, dati ed 
informazioni vitali per la difesa o la sicurezza nazionali e la non 
discriminazione. IV. La soluzione delle controversie. V motivi per i quali la 
CUADN non è entrata ancora in vigore. 1. Natura della CUADN. 2. La scarsa 
efficacia ed incisività della CUADN. 3. Osservazioni finali.
PREMESSA
Se nei secoli scorsi i corsi d’acqua (internazionali) erano utilizzati per 
la navigazione, la pesca, trasporto di legname e svaghi vari, il progresso 
tecnologico ha mutato visibilmente lo scenario spingendo gli Stati a 
disciplinare l’uso e (l’approvvigionamento) dei corsi d’acqua per fini diversi 
dalla navigazione. 
L’uso dell’acqua per fini diversi dalla navigazione comprende, innanzitutto, 
tutte quelle operazioni relative al settore agricolo (irrigazione, drenaggio, 
smaltimento dei rifiuti ed eventuali altri bisogni richiesti dall'agricoltura)1. 
Tali operazioni difficilmente consentono di recuperare l’acqua utilizzata e, 
quand’anche fosse possibile, essa sarebbe alterata dai fertilizzanti, dagli 
insetticidi e dai diversi rifiuti agricoli. 
Oppure, esigenze commerciali ed industriali (produzione di energia - 
idroelettrica, nucleare e meccanica - industrie, costruzione, trasporti al di 
fuori della navigazione, o frazione del legno, smaltimento dei rifiuti, 
industrie estrattive, minerarie e petrolifere ecc.)2.
Le industrie utilizzano i corsi d’acqua per eliminare i rifiuti industriali che 
in molte regioni del mondo sono aumentati in modo tale da non consentire più ai 
corsi d'acqua di riceverli. L'assorbimento dei rifiuti industriali è complicato 
ulteriormente dalla produzione di una grande varietà di prodotti sintetici non 
biodegradabili, dal rigetto di grandi quantitativi di acqua calda che derivano 
da processi industriali o da sistemi di produzione di energia.
Infine, l’uso dell’acqua per fini sociali e domestici a causa 
dell'urbanizzazione3 
che esige sempre di più delle quantità considerevoli di acqua dolce e di buona 
qualità per fini domestici (consumo di bibite, cucina, lavaggio, pulitura ecc.).
L'utilizzo dell'acqua per fini domestici trae la propria fonte, maggiormente, 
dalla rete di drenaggio talvolta impoverita da scarichi di varia natura (rifiuti 
industriali e domestici che non sono biodegradabili). Gli effetti prodotti dagli 
scarichi industriali e domestici sono disastrosi. L'utilizzo dell'acqua per fini 
sociali occupa un ruolo importante se si considera il risvolto 
sociale-umanitario. Le molteplici possibilità ricreative che offrono i laghi e 
fiumi (o corsi d'acqua) - pesca sportiva o dilettantistica, gare di nuoto, 
sports nautici ecc. - possono influire ulteriormente sulla quantità e la qualità 
dei corsi d'acqua.
Le considerazioni che precedono – richiesta d’acqua sempre maggiore, nonostante 
la possibilità di autorinnovamento dei corsi d’acqua internazionali4 
– pone una questione di giustizia distributiva dell’acqua: in che misura un 
paese si può arrogare un diritto, dal proprio territorio, di deviare un corso 
d'acqua per un proprio uso se questa deviazione toglie ad un altro Stato la 
possibilità di utilizzare l'acqua per un medesimo motivo5.
Indubbiamente, per evitare o dirimere eventuali controversie internazionali la 
soluzione più adatta è il ricorso ad un accordo internazionale, bilaterale o 
multilaterale, a seconda dei casi.
Risoluzioni pertinenti dell’Assemblea generale e del Consiglio economico e 
sociale evidenziano che su tale questione devono considerarsi due ordini di 
rapporti: quello tra una data risorsa naturale e gli Stati terzi, e quella tra i 
paesi che si contendono questa risorsa naturale. Nel secondo caso non si tratta 
di una questione di sovranità: in tale ipotesi, infatti, è necessario definire i 
diritti delle parti, tenendo conto che se uno di questi supera i suoi diritti 
avanzando pretese di sovranità, la risorsa rischia di essere impoverita in 
rapporto agli altri che possono, allo stesso modo, rivendicare la loro 
sovranità. In compenso, conviene proteggere gli interessi degli Stati che si 
contendono le risorse naturali dagli Stati terzi (A/CN.4/SR.1609, punti 3-4, in
Annuaire de l’Institut de Droit International, 1980, vol. I). 
Le diverse esigenze di utilizzo dell’acqua – che rappresentano la causa più 
frequente delle controversie internazionali in materia – riguardano non solo gli 
Stati rivieraschi, ma anche questi ultimi e gli altri paesi che utilizzano, per 
fini industriali ed agricoli, l'energia idraulica dei corsi d'acqua che 
attraversano, ad esempio, dei laghi.
Ed ancora, i corsi d’acqua possono segnare la frontiera tra due Stati6, 
o attraversare il territorio di due o più Stati e possono essere utilizzati da 
alcuni, per fini diversi, tali da poter causare delle ripercussioni, favorevoli 
o sfavorevoli, sulle acque che scorrono in un altro Stato. 
Sembra evidente che, laddove un corso d’acqua costituisca o superi un 
territorio, si “trascini dietro di sé” una sorta di diritti e doveri che 
richiedono di essere tradotti in un contesto particolare, conformemente agli 
interessi di natura fisica e/o economica. Nella prassi è molto difficile che gli 
Stati rivieraschi, infatti, siano disposti a stabilire, in un accordo 
internazionale, una sorta di condominio su ogni bacino fluviale che superi una 
frontiera internazionale. 
Piuttosto ritengono addirittura opportuno estendere la responsabilità per danni 
anche agli altri che attraversano il bacino fluviale o, al contrario, disporre 
che i vantaggi generati dallo sviluppo siano oggetto di una regolamentazione 
equa.
Le divergenze – scaturenti dalla frequente interdipendenza delle risorse idriche 
condivise - implicano delle soluzioni più ampie rispetto a dei semplici accordi 
che potrebbero intercorrere tra gli Stati rivieraschi. Magari, l’adozione di un 
accordo internazionale a vocazione universale.
I. STRUTTURA DELLA CONVENZIONE SUL DIRITTO DELLE UTILIZZAZIONI DEI CORSI D’ACQUA 
INTERNAZIONALI DIVERSE DALLA NAVIGAZIONE [CUADN]
1. Caratteri generali della CUADN
La Convenzione sul diritto delle utilizzazioni dei corsi d’acqua 
internazionali diverse dalla navigazione [CUADN] - adottata dall’Assemblea 
generale delle Nazioni Unite 21 maggio 1997 - si pone l’obiettivo di 
disciplinare gli usi dei corsi d’acqua internazionali7 
diversi dalla navigazione. Tuttavia, il par. 2 dell’art. 1 [CUADN] non esclude 
completamente dal campo di applicazione della convenzione il fine della 
navigazione nonostante la vigenza di numerosi trattati internazionali che si 
occupano principalmente di tale questione8, 
essendo i bisogni della navigazione influenti sul volume e sulla qualità 
dell’acqua disponibile per altri fini.
Con l’espressione “corsi d’acqua” s’intende un sistema di acque di superficie e 
sotterranee – non captives - che costituisce, per le loro caratteristiche 
fisiche, un complesso unitario che sbocca normalmente in uno stesso punto comune 
[art. 2, punto a, CUADN]9.
Un complesso unitario che può essere costituito da fiumi, laghi, falde 
acquifere, ghiacciai, serbatoi d’acqua o d’irrigazione, canali. Dal momento che 
questi elementi sono collegati tra loro essi fanno parte di un corso d’acqua10. 
Per esempio, una corrente d’acqua può penetrare nel suolo sottostante, che si 
estende oltre i limiti della corrente, per poi ricomparirvi, passare nel lago 
che si riversa in un fiume, essere deviato in un canale e diretto in un 
serbatoio, e così via. 
Non tutti corsi d’acqua internazionali, tuttavia, sboccano in punto comune. Ciò 
spiega perché il par. b dell’art. 2 [CUADN] comprenda l’espressione 
“normalmente”. Inserendo i redattori l’avverbio “normalmente” hanno voluto tener 
conto delle esperienze acquisite nel campo dell’idrologia moderna e della 
conoscenza della complessità del movimento delle acque come il Danubio e il 
Reno, oltre che di alcuni casi particolari come il Rio Grande, l’Irrawaddy, 
il Mékong e il Nilo. Nel caso del Danubio e del Reno si segnala, infatti, 
che questi due fiumi internazionali non formano un unico e medesimo sistema, 
sicché, in un certo periodo dell’anno, delle acque del Danubio si gettano, sotto 
forma di acque sotterranee, nel Reno attraverso il lago di Costanza. Nel caso di 
altri fiumi (come il Rio Grande ecc.) che dovessero rientrare nel novero 
dell’espressione «un système d’eaux de surface et d’eaux souterraines 
costituant du fait de leurs relations physiques un ensemble unitaire», si 
rileva, tuttavia, che questi si gettano, interamente o parzialmente, nel mare 
attraverso le acque sotterranee, o una serie di bracci o di defluenti separati e 
distanti gli uni dagli altri fino a 300 km, ovvero si riversano in certi periodi 
dell’anno nei laghi o nel mare. 
Le acque di superficie e sotterranee sono già disciplinate, relativamente alla 
loro protezione dall’inquinamento derivante dal loro sfruttamento quantitativo, 
in una serie di dichiarazioni non vincolanti, di convenzioni internazionali e di 
direttive comunitarie (es., la direttiva del Consiglio 80/86/CEE del 17 dicembre 
1979 è specificamente dedicata alla protezione delle acque sotterranee 
dall’inquinamento)11.
In assenza di un accordo o di una consuetudine in seno contrario, la 
convenzione-quadro non privilegia, tra i tanti che si intrecciano, un utilizzo 
di un corso d’acqua internazionale rispetto agli altri [art. 10, par. 1, CUADN] 
– principio già enunciato nella Risoluzione adottata nel 1966 dal Consiglio 
economico e sociale interamericano sulla regolamentazione e l’uso economico dei 
corsi d’acqua, dei bacini e degli accidents idrografici dell’America 
Latina. E in seguito, nell’art. VI delle Regole di Helsinki12. 
In caso di contrasto tra le diverse modalità di uso di un corso d’acqua 
internazionale, la controversia dev’essere composta ai sensi degli artt. 5-7 [CUADN], 
con particolare attenzione alla soddisfazione dei bisogni umani essenziali (art. 
10, par. 2). Il “conflit” di cui si fa menzione nel par. 2, [CUADN] è un 
contrasto tra gli usi di un corso d’acqua internazionale e non un “conflit” 
o una controversia tra i paesi interessati del corso d’acqua. Il par. 2, ultima 
parte, [CUADN] riserva una particolare attenzione ai bisogni umani, nel senso 
che gli Stati sono tenuti a vigilare affinché la fornitura d’acqua sia 
sufficiente per soddisfare i bisogni umani, sia che si tratti di acqua potabile, 
sia dell’acqua riservata alla produzione dei viveri destinati ad impedire la 
fame13. 
La navigazione, infatti, può influire sugli altri fini (es., la navigazione può 
inquinare dei corsi d’acqua diminuendo la possibilità di usi diversi dalla 
navigazione) sì da porre in essere, a volte, un rapporto di interdipendenza. Per 
questo la CUADN si occupa anche delle misure atte a conservare e gestire l’uso 
di questi corsi d’acqua (art. 1) implicando una cooperazione tra gli Stati 
rivieraschi. L’istituzione di commissioni internazionali tra gli Stati 
rivieraschi rappresenta una delle manifestazioni della cooperazione 
internazionale fluviale. 
1.1. Navigazione fluviale 
Un corso d’acqua internazionale può anche essere utilizzato come trasporto 
fluviale transfrontaliero di passeggeri, di veicoli, di merci tra i porti e i 
posti di frontiera dei paesi che sono contraenti di una convenzione 
internazionale. 
Per esempio, l’accordo concluso tra l’Argentina e il Brasile relativo al 
trasporto fluviale di passeggeri, di veicoli e di merci (Rio de Janeiro, 27 
aprile 1997) stabilisce che: 1) il servizio di trasporto è esclusivamente 
riservato alle persone fisiche che siano cittadini dei paesi contraenti di un 
accordo relativo al trasporto fluviale transfrontaliero di passeggeri o di 
persone morali autorizzate da uno dei paesi contraenti (art. I); b) possono 
essere interdetti gli scali in prossimità di luoghi predeterminati, salvo 
preventiva autorizzazione delle autorità competenti dei paesi contraenti. Ed 
ancora, ogni scalo di natura eccezionale dovuto ad un avvenimento fortuito o ad 
un caso di forza maggiore, dev’essere preannunciato almeno 48 ore prima dalle 
autorità competenti (art. IX); c) le norme di sicurezza dell’imbarcazione sono 
stabilite da ciascun Stato contraente di cui l’imbarcazione batta bandiera, in 
conformità alle proprie leggi. Se le norme di sicurezza degli Stati contraenti 
non concordano, le autorità competenti di ciascun paese stabiliscono delle norme 
di sicurezza applicabili al caso concreto (art. XII); d) il documento con il 
quale le autorità competenti autorizzano il trasporto, deve indicare la 
frequenza e gli orari delle traversate che saranno effettuati, le condizioni del 
trasporto, la denominazione delle imbarcazioni interessate e le tariffe di nolo 
e di traversata (art. III); e) il pagamento può essere fatto in una delle monete 
dei paesi contraenti (art. VI). 
Ed infine, l’inosservanza delle disposizioni e degli obblighi previsti dalla 
Convenzione in questione, comporterà una delle seguenti sanzioni: a) monito; b) 
ammenda pari al costo di 10-200 tratte, nel caso di trasporto di passeggeri; c) 
ammenda equivalente a 10-200 volte la tariffa massima del servizio di nolo, nel 
caso di trasporto di veicolo o merci; d) sospensione del servizio fino a 90 
giorni; e) la revoca della concessione14.
II. I PRINCIPI O LE NORME PROGRAMMATICHE CONTENUTI DALLA CUADN 
1. Principio dell’utilizzazione equa e ragionevole
Gli Stati rivieraschi sono tenuti ad utilizzare un corso d’acqua 
internazionale15 nei 
loro rispettivi territori in maniera equa e ragionevole allo scopo di realizzare 
un utilizzo e un vantaggio ottimale e durevole, compatibilmente con le esigenze 
di un’adeguata protezione del corso d’acqua.
La norma che vincola gli Stati rivieraschi ad un’equa e ragionevole 
utilizzazione delle acque comuni, insieme a quella dell’uso diligente dei corsi 
d’acqua internazionali, si pone l’obiettivo di non privare gli altri Stati 
dall’esercizio del diritto all’uso dell’acqua in funzione del principio 
dell’uguaglianza tra paesi16. 
Principio che implica il pari diritto degli Stati rivieraschi di fruire in 
misura equa e ragionevole delle utilizzazioni e dei benefici di un corso d’acqua 
internazionale17. 
All’interno dei loro rispettivi territori, gli Stati sono tenuti, possibilmente, 
ad assicurare la manutenzione e la protezione delle installazioni, la 
ristrutturazione e altre opere legate ad un corso d’acqua internazionale. Su 
richiesta dello Stato, che ritiene di subire degli effetti negativi da tali 
misure, si avviano delle consultazioni concernenti: a) il buon funzionamento e 
la manutenzione delle installazioni, le ristrutturazioni e le altre opere legate 
al corso d’acqua internazionale interessato; b) le misure da adottarsi per 
prevenire i danni derivanti da atti di terrorismo o sabotaggio, o da 
comportamenti negligenti (per assenza di precauzioni normalmente richieste dalle 
circostanze del caso), ovvero da cause di forza maggiore (es. inondazioni) [art. 
26, CUADN].
1.1. I fattori per determinare l’uso equo e ragionevole 
Un’equa e ragionevole utilizzazione di un corso d’acqua internazionale 
implica un’analisi di qualsiasi fattore e circostanza pertinente (principio già 
enunciato all’art. IV delle Regole di Helsinki)18. 
La lista dei fattori riportata dalla convenzione, e che segue, non è esaustiva 
in quanto l’ampia diversità che caratterizza i corsi d’acqua internazionali e le 
diverse esigenze umane, non ha permesso ai redattori di stabilire una lista 
completa e definitiva19. 
In particolare: a) i fattori geografici (es., l’estensione del corso d’acqua 
internazionale sul territorio di ciascuno degli Stati rivieraschi), idrografici 
(es., ampiezza, descrizione, rilievo cartografico), idrologici (proprietà delle 
acque, ivi compresa la loro portata, la loro distribuzione, la parte 
appartenente a ciascun Stato interessato), climatici, ecologici e altri fattori 
di carattere naturale; b) i bisogni economici e sociali degli Stati interessati; 
c) la popolazione tributaria appartenente ad ogni paese (e del grado o 
dell’entità di dipendenza); d) gli effetti derivanti dall’/gli uso/i della 
risorsa da parte di uno Stato nei confronti degli altri paesi che condividono lo 
stesso corso d’acqua internazionale; e) gli usi attuali e potenziali del corso 
d’acqua (allo scopo di dimostrare che né gli uni, né gli altri, hanno una 
priorità); f) la conservazione, la protezione, la valorizzazione e l’economia 
delle risorse utilizzabili e presenti in un corso d’acqua, oltre ai costi 
derivanti dall’attuazione di queste misure; g) l’esistenza di altre opzioni, di 
equivalente valore, suscettibili di rimpiazzare un particolare uso, attuale o 
progettato. I fattori pertinenti devono essere esaminati complessivamente per 
arrivare ad un quadro complessivo [art. 6, CUADN]. 
Gli Stati di un corso d’acqua hanno bisogno di dati ed informazioni relativi 
alla situazione in cui si trova il corso d’acqua al fine di applicare l’art. 6 [CUADN] 
il quale prescrive che tali paesi devono prendere in considerazione «tutti i 
fattori e le circostanze pertinenti» per ottemperare all’obbligo [enunciato 
dall’art. 5, CUADN] di utilizzare l’acqua in modo equo. 
Quanto ai singoli fattori inclusi nella lista dell’art. 6, il suo par. 1 (a) [CUADN] 
fa riferimento alle condizioni fisiche e naturali del corso d’acqua che sono in 
grado d’influenzare caratteristiche come la sua qualità, o le variazioni del suo 
flusso. I fattori geografici si rifericono ad esempio all’estensione del corso 
d’acqua nel territorio di singoli Stati rivieraschi, mentre i fattori ideologici 
riguardano la distribuzione delle acque ed il contributo di ogni rivierasco 
all’alimentazione del corso d’acqua (UN Doc. A/49/10, pp. 44-45, par. 1; 
p. 232, parr. 2-4). 
Il par. 1 (b) dell’art. 6 [CUADN] si riferisce alle necessità idriche degli 
Stati rivieraschi interessati, al loro grado di dipendenza dal corso d’acqua e 
all’importanza che un determinato uso del corso d’acqua riveste per ciascuno di 
essi, in termini sia economici che sociali. 
Il par. 1 (c) dell’art. 6 [CUADN] fa riferimento tanto alla densità della 
popolazione dipendente dal corso d’acqua che al grado di dipendenza dal corso 
d’acqua della popolazione interessata. Il par. 1 (d) dell’art. 6 [CUADN] si 
riferisce alla possibilità di interferenze tra varie forme di sfruttamento di un 
corso d’acqua, e richiede di prendere in considerazione gli effetti che le 
utilizzazioni di uno Stato producono sugli usi di un altro paese rivierasco (per 
es., un danno cagionato da un certo uso del corso d’acqua potrebbe essere uno 
degli elementi pertinenti nel giudizio sul carattere equo e ragionevole 
dell’utilizzazione stessa, da valutarsi e bilanciarsi insieme agli altri fattori 
rilevanti, ivi compresi i benefici ad essa relativi). 
Il par. 1 (e) dell’art. 6 [CUADN] menziona tra i fattori rilevanti sia le 
utilizzazioni esistenti che quelle potenziali del corso d’acqua, per 
sottolineare che queste vanno considerate su una base di sostanziale parità, 
senza attribuire a nessuna titolo di inerente priorità. Il par. 1 (f) [CUADN] fa 
riferimento al rilievo di una serie di misure che i paesi rivieraschi possono 
intraprendere relativamente al corso d’acqua internazionale, ai fini del suo 
sviluppo, conservazione e protezione: particolare importanza hanno in questa 
prospettiva sia il costo economico delle misure medesime che «l’economia d’uso» 
della risorsa idrica intesa come capacità di una determinata attività di 
utilizzazione di evitare consumi superflui dell’acqua. 
Infine il par. 1 (g) [CUADN] ricorda, tra i fattori rilevanti, la disponibilità 
di mezzi alternativi (anche non basati sullo sfruttamento della risorsa idrica) 
con i quali soddisfare le necessità degli Stati rivieraschi connesse ad una 
determinata utilizzazione del corso d’acqua, quando tali alternative siano 
economicamente equivalenti e praticamente realizzabili. Il par. 2 dell’art. 6 [CUADN] 
pone un obbligo di consultazione tra i paesi rivieraschi interessati 
all’applicazione degli artt. 5-6 [CUADN]. 
La peculiare funzione di questo paragrafo sembra essere quella di prevenire la 
valutazione unilaterale da parte di uno Stato rivierasco del carattere equo e 
ragionevole di un uso del corso d’acqua; più in generale rappresenta una 
conferma, insieme col par. 2 dell’art. 5 [CUADN], dell’importanza della 
cooperazione tra rivieraschi e degli aspetti procedurali di tale cooperazione 
nell’adempimento della norma sostanziale dell’equa utilizzazione20.
1.1.1. Il sistema di ripartizione delle acque
Il sistema di ripartizione delle acque, come dimostra la prassi, varia a 
seconda delle circostanze inerenti al corso d’acqua internazionale. A tal fine 
ci preme sottolineare alcuni passaggi di certi accordi internazionali 
sull’utilizzazione dell’acqua di un corso d’acqua internazionale per evidenziare 
notevoli differenze di sistema. Innanzitutto, per quanto concerne la 
ripartizione delle acque, da segnalare l’Accordo concluso tra Egitto e Sudan (Il 
Cairo, 8 novembre 1959) sulla piena utilizzazione delle acque del Nilo che, 
oltre a prefiggersi di dare pieno sviluppo alle attività di sfruttamento delle 
acque del fiume Nilo, stabilisce che la quantità di acque impiegate dall’Egitto 
e dal Sudan fino al momento della firma dell’Accordo medesimo costituiscono 
“diritti acquisiti”, determinati nell’ammontare di 48 miliardi di metri cubi 
annua d’acqua per l’Egitto (art. I, par. 1) e in 4 miliardi di metri cubi annui 
d’acqua (MCM) per il Sudan (art. I, par. 2). Nell’art. II, parr. 3-4, si 
stabiliscono i criteri per l’assegnazione delle quantità di acqua del Nilo. Una 
volta fissato nella misura di 84 MCM il beneficio netto in volume d’acqua 
derivante dall’esecuzione del progetto di Assuan, il par. 3 stabilisce che la 
massa d’acqua rimanente dopo aver sottratto da tale ammontare le quantità 
corrispondenti ai diritti consolidati delle Parti, meno un’ulteriore quantità 
corrispondente alle perdite annue di stoccaggio (calcolata nella misura di 10 
MCM), rappresenta il net benefit divisibile tra Egitto e Sudan (ovvero 
una quantità di 22 MCM). Il par. 4 indica la ratio della distribuzione di 
tale quantità d’acqua in 14,5 MCM al Sudan e 7,5 MCM all’Egitto. In conclusione, 
sommando tali quantità a quelle già attribuite a titolo di diritti acquisiti, le 
quote spettanti ai due Stati vengono riconosciute nelle misure di 18,5 MCM per 
il Sudan e 55,5 MCM per l’Egitto.
Il Trattato sulle acque dell’Indo concluso tra India e Pakistan (Karachi, 19 
settembre 1960) ripartisce nel modo seguente l’acqua: a) l’art. II, par. 1, 
stabilisce che – salvo eccezioni previste nel medesimo articolo – vengano 
riservate all’uso illimitato da parte dell’India l’integrità delle acque di Beas, 
Ravi e Sutlej, affluente del Sutlej, fiumi del lato orientale del bacino che 
nascono e (tranne il Beasm affluente del Sutlej interamente situato in India) 
scorrono parzialmente in territorio indiano; b) l’art. II, par. 2 dispone che – 
con l’eccezione dei prelievi finalizzati ad utilizzazioni domestiche o 
non-consuntive – il Pakistan si astenga da qualsiasi interferenza con i tratti 
principali del corso del Ravi e dello Sutlej scorrenti in territorio pakistano 
prima di determinati punti geografici fissati nel paragrafo in questione; c) 
l’art. II, par. 4, stabilisce che il Pakistan potrà utilizzare le acque degli 
affluenti che si gettino nei due fiumi principali in territorio pakistano dopo i 
punti determinati al par. 2, essendo inteso però che tale possibilità non 
corrisponde all’attribuzione a questo paese di un diritto a rivendicare il 
rilascio da parte dell’India di corrispondenti quantità d’acqua negli affluenti; 
d) l’art. III, par. 1, attribuisce, inoltre al Pakistan, il diritto all’uso 
illimitato di tutte le acque dell’Indo, dello Jhelum e del Chenab, fiumi della 
sezione occidentale del bacino scorrenti per la maggior parte in territorio 
pakistano, ecc. In sintesi, in virtù dei criteri di ripartizione stabiliti nel 
Trattato, l’India riceve il 20% del totale delle risorse idriche disponibili nel 
bacino idrico, mentre il Pakistan l’80%21.
L’Accordo complementare all’Accordo di cooperazione concluso tra il Brasile e 
l’Uruguay per la valorizzazione delle risorse naturali e lo sviluppo del bacino 
del fiume Quarai (Montevideo, 6 maggio 1997) il cui art. II attribuisce la 
priorità di approvvigionamento dell’acqua potabile alle popolazioni rivieraschi, 
e ai servizi d’irrigazione (artt. III). L’IV dispone che «le volume maximum 
d’eau à prélever dans le fleuve Quaraí pour être distribué aux usagers des 
services d’irrigation des deux Parties sera égal au volume maximum d’eau dont 
elles pourront assurer la distribution. Le volume d’eau devant être distribué en 
claque point du bassin sera égal au produit entre la superficie du bassin en 
amont du point considéré et le débit spécifique du fleuve en ce point. Les 
Parties conviennent provisioirement que le débit spécifique sera égal à 0,4 lite 
par seconde et par kilmètre carré». L’art. VII dispone, altresì, che «au 
cas où, en un point déterminé, la somme des volumes à accorder dépasserait 50 
pour cent du volume maximum à distribuer déterminé conformément al’art. IV, l’approbation 
préalable de l’institution compétente de l’autre Partie devra être obtenue». 
L’art. XI consente un prelievo particolare tra la Concorde e la foce dell’Arroyo 
Pintado e l’art. XII stabilisce che le Parti «ne pourra être réalisé aucun 
ouvrage sur le lit du fleuve Quaraí sans l’autorisation des istitutions 
compétentes des deux Parties. À cette fin, les Parties s’engagent à adopter les 
dispositions nécessaires pour que les ouvrages réalisés sans l’autorisation 
susmentionnée soient regularises ou, s’il y a lieu, démantelés». Le 
istituzioni competenti ai sensi dell’art. V, sono il Segretariato alle risorse 
idrauliche del Ministro dell’Ambiente, delle risorse idrauliche dell’Amazzonia 
legale al Brasile, e la Direzione nazionale dell’idrografia del Ministero dei 
trasporti e dei lavori pubblici dell’Uruguay. L’Accordo si occupa anche della 
salubrità dell’acqua con l’art. XIV secondo cui «Les Parties s’engagent à 
adopter les mesures nécessaires pour que la qualité des eaux du fleuve Quaraí 
réponde aux normes internationales existantes en la matière en vigueur à l’égard 
des deux Parties». Infine l’Accordo concluso tra la Norvegia e l’ex U.R.S.S. 
(Oslo, 18 dicembre 1957) relativo all’utilizzazione delle risorse idrauliche del 
Paatsojoki (con mappe allegate) e l’Accordo concluso tra il Bangladesh e l’India 
(Dakar, 5 novembre 1977) relativo alla ripartizione delle acque del Gangia a 
Farakka e all’aumento della sua portata.
1.1.2. La valorizzazione e lo sfruttamento delle risorse idrauliche 
L’uso di un corso d’acqua internazionale può determinare una valorizzazione 
delle risorse idrauliche grazie al finanziamento dei progetti da parte delle 
Istituzioni finanziarie internazionali, o di Stati22, 
– nonostante gli Stati siano reticenti all’idea di sottomettersi a delle 
istituzioni sopranazionali - che altrimenti alcune regioni del mondo non 
potrebbero realizzare, ovvero potrebbero essere realizzate da paesi 
economicamente più solidi a discapito degli altri più poveri, comportando 
un’ineguaglianza nel campo della sovranità.
Tra gli altri23, Il 
Trattato concluso tra il Canada e gli Stati Uniti d’America relativo alla 
valorizzazione delle risorse idrauliche del bacino del fiume Columbia 
(Washington, 17 gennaio 1961) si prefigge di produrre l’energia idro-elettrica e 
controllare le piene, con i seguenti articoli: a) art. II (mise en valeur par 
le Canada); b) art. III (Ouvrages hidro-électriques aux États-Unis d’Amérique); 
c) art. IV (Utilisation par le Canada); d) art. V (Avantages 
énergétiques d’aval auxquels le Canada aura droit); e) art. VI (Indemnités 
au Canada pour la lutte contre les inondations); f) art. VII (Appréciations 
des avantages énergétiques d’aval); g) art. VIII (Cession sur la place 
des avantages énergétiques d’aval); h) art. IX (Modification du droit à 
certains avantages énergétiques d’aval); i) art. X (Transport de secours 
est-ouest); k) art. XI (Utilisation du debit normalise); l) art. XII 
(Aménagement de la Kootenai); m) art. XIII (Dérivations); n) art. 
XIV (Commission d’ingénieurs permanente); omissis; o) Annesso A “Régles 
d’utilisation” (Énoncé général, Lutte contre les inondations, energie 
hydro-électrique); p) Annesso B “Appréciation des avantages énergétiques 
dérivant des installations d’aval”.
Lo Scambio di note costituente un accordo tra il Canada e gli Stati Uniti 
d’America concernente il Trattato relativo alla valorizzazione delle risorse 
idrauliche del bacino del Fiume Columbia, concluso a Washington in data 22 
gennaio 1964 (con Protocollo composto da 11 articoli) con «Annexe relative aux 
conditions de vente» (composto da 5 articoli).
Lo Scambio di note costituente un accordo tra il Canada e gli Stati Uniti 
d’America (Ottawa, 16 settembre 1964) esecutivo dell’Accordo di vendita della 
parte canades prevista dal Trattato relativo alla valorizzazione delle risorse 
idrauliche del bacino del Fiume Columbia, concluso a Washington il 17 gennaio 
1961, con i seguenti articoli, art. 1 (durée), art. 2 (cession), art. 3 (paiement 
par le CSPE), art. 4 (engagements), art. 5 (maîtrise des crues), art. 6 (indemnisation), 
art. 7 (réduction de la part canadienne résultant du traité), art. 8 (règlement 
ds différends), art. 9 (échanges de capacité et d’énergie), art. 10 (accords d’échange), 
art. 11 (paiements), omissis. 
L’accordo concluso tra il Canada e gli Stati Uniti d’America (Washington, 26 
ottobre 1989 sull’approvvigionamento dell’acqua e la protezione contro le piene 
nel bacino del fiume Souris e precisamente: 1) l’art. IV, parr. 1-2, dispone che 
il governo degli Stati Uniti d’America pagherà al governo canadese «la somme de 
26 700 000 $ (en devises américaines, selon le niveau général des prix en 
octobre 1985) pour le volume d’emmagasinage des eaux de crue assuré au barrage 
Rafferty»… «une somme additionnelle de 14 400 000 $ (en devises américaines, 
selon le niveau général des prix en octobre 1985) pour le volume d’emmagasinage 
des eaux de crue assuré au barrage Alameda»; 2) l’art. V stabilisce che le 
parti: a) «en consultation avec les Etats et les Provinces intéressés, […] 
rédigent les Manuels d’exploitation des réservoirs prévus dans le Plan d’exploitation»; 
b) «revoient ensemble le Plan d’exploitation tous les cinq ans, ou tel qu’il 
aura été etendu conjointement, dans le but de maximiser les avantages découlant 
du présent Accord aux plans de la protection contre les crues et de l’approvisionnement 
en eau»; c) «consultent, au besoin, les Etats, les Province et les organismes 
intéressés, et coopèrent avec eux pour la revue du Plan d’exploitation et l’examen 
des modifications recommandées à l’égard de celui-ci». Ed ancora, «sous réserves 
du consentement du gouvernement du Canada, les fonctionnaires du gouvernement 
des Etats-Unis d’Amerique peuvent pénétrer sur les terres acquises en 
Saskatchewan pour la construction des barrages Rafferty, Alameda et Boundary 
dans le but de procéder à des inspections pour s’assurer que ces ouvrages sont 
construits, exploités et entretenus conformément au présent Accord»; «sur 
demande, au besoin et dans la mesure où cela est réalisable, les Parties 
consultent les Etats et les Provinces intéressés concernanent l’approvisionnement 
en eau dans l’ensemble du bassin de la rivière Souris»; 3) l’art. VII 
stabilisce che: a) «si l’exploitation de tout ouvrage devait provoquer, aux 
États-Unis d’Amérique ou au Canada, des dommages plus importants que ceux qui 
auraient été subis si l’ouvrage n’avait pas été en exploitation, les Parties 
entreprennent, à la demande de l’une ou l’autre Partie, des consultations en vue 
de déterminer comment, dans l’avenir, éviter ces dommages et de convenir de 
mesures de réparation et d’indemnisation appropriées, ce qui pourrait comporter 
la possibilità de modifier le Plan d’exploitation. Les États, Province set 
organismes intéressés participent à ces consultation»: b) «nonobstant le 
paragraphe 2 de l’art. XI, rien dans le présent Article n’empêche l’une ou l’autre 
Partie de faire valoir les droits qu’elle pourrait avoir contre l’autre Partie 
en ce qui a trait aux dommages causés par les crues et résultant d’actes posés 
par l’autre Partie»; 4) l’art. XI dispone che: a) «chaque Partie est 
responsable envers l’autre et l’indemnise de façon adéquate pour tout acte, 
défaut d’agir, omission ou retard constituant une violation du présent Accord. 
Les actes, défauts d’agir, omissions ou retards résultant de facteurs 
incontrôlables ne constituent pas une violation aux fins du présent Accord»; b) 
«les Parties n’entendent pas créer, dans le présent Accord, un droit privé d’action. 
Sous riserves du paragraphe 1 du présent article, aucune des Parties n’est 
responsable envers l’autre ou inverse toute persone des blessures, dommages ou 
pertes subis sur le territoire de l’autre Partie et découlant d’un acte, d’un 
défaut d’agir, d’une omission ou d’un retard en vertu du présent Accord, que les 
blessures, dommages ou pertes résultent de négligence ou d’autre facteurs»; c) «ni 
l’une ni l’autre des Parties n’a l’obligation, aux termes du présent Accord, de 
reconstruire ou de continuer à exploiter ou à entretenir un ouvrage construit en 
vertu du présent Accord qui aura été detruit par suite de facteurs 
incontrôlables»; d) «ni l’une ni l’autre des Parties n’a l’obligation, aux 
termes du présent Accord, de prendre des mesures pour prolonger la durée de vie 
utile normale de tout ouvrage visé dans le présent Accord».
1.2. Il sistema del controllo o della regolazione
Un mezzo per regolare la portata delle acque di un corso d’acqua 
internazionale, è il sistema del controllo o della regolazione. A meno che non 
sia previsto diversamente, gli Stati di un corso d’acqua partecipano 
paritariamente alla costruzione e alla manutenzione, o al finanziamento delle 
opere di regolazione che hanno intenzione di porre in essere. Per “regolazione” 
s’intende l’uso delle opere idrauliche o di ogni altra misura impiegata, in 
maniera continua, per modificare, far variare o controllare, in altra maniera, 
la portata delle acque di un corso d’acqua internazionale [art. 25, CUADN]. 
I mezzi concreti di regolazione sono generalmente le dighe, i serbatoi, le 
barriere divisorie, i canali, i terrapieno ecc.. Queste opere sono necessarie 
per regolare la portata dell’acqua in modo da: a) impedire le inondazioni 
durante un certo periodo dell’anno e la siccità in un altro periodo; b) 
prevenire qualsiasi tipo di erosione degli argini, o delle variazioni del corso 
d’acqua; c) garantire un approvvigionamento sufficiente di acqua, per esempio 
allo scopo di mantenere la polluzione entro i limiti accettabili o per 
permettere la navigazione e le flottage. 
Grazie alle opere di controllo e regolazione, si consente di prolungare i 
periodi di irrigazione, di avviare o di potenziare la produzione di energia 
elettrica, di diminuire l’interramento, di impedire la formazione di acque 
stagnanti nelle quali si producono e vivono le zanzare che trasmettono la 
malaria e di mantenere delle zone di pesca24.
1.2.1. Altre convenzioni internazionali
Il sistema di regolazione o controllo si estrinseca principalmente nella 
costruzione di dighe, di sbarramenti e di ponti internazionali.
Tra gli altri25, da 
segnalare l’Accordo concluso tra l’Argentina e il Brasile (Florianopolis, 15 
dicembre 2000) per facilitare la costruzione e lo sfruttamento sul fiume 
Uruguay, oltre ad istituire una commissione binazionale (art. II), i cui compiti 
e il cui mandato sono stabiliti agli artt. III-IV, impegna gli Stati contraenti: 
«à entreprendre, dans les meilleurs délais et par l’intermédiaire de leurs 
autorités compétentes respectives, l’examen des questions relatives à la 
construction et à l’exploitation de trois nouveaux ponts routiers sur la rivière 
Uruguay, de préférence dans le cadre de concessions de travaux publics, y 
compris les ouvrages auxiliaires et les accès entre les villes frontières d’Itaqui 
et Alvear, Porto Mauá et Alba Posse et Porto Xavier et San Javier» (art. I). 
Infine, stabilisce che: a) il costo «des expropriations nécessaires pour 
l’installation des ouvrages et pour les liaisons routières, jusqu’au chantier, 
qui forment l’objet du contrat sur le territoire national de chaque Partie, sera 
intégralement pris en charge par la Partie concernée à des conditions qui front 
l’objet d’un accord interne avec leurs autorités gouvernementales locales ou 
régionales: b) il costo «de l’étude de faisabilité comparative, 
mentionnée au paragraphe 1, a) de l’article IV, est assumé par les Parties, 
chacune prenant à sa charge 50 pour cent»; c) ciascun Stato «assume 
les dépenses afférentes à sa représentation à la Commission binationale»; d) i 
costi «des études, projets et travaux liés à la construction de chaque pont, 
qui forme l’objet d’un marché, aux ouvrages auxiliaires et accès seront à la 
charge du consortium qui aura remporté l’appel d’offres dans chaque cas».
L’Accordo di cooperazione concluso tra la Cambogia, il Laos, la Thailandia e il 
Vietnam (Thailandia, 5 aprile 1995) per la durevole valorizzazione del bacino 
del Mekong composto dai seguenti Capitoli: a) Capitolo I «Dispositions 
Liminaires»; b) Capitolo II «Définitions»; c) Capitolo III «Obiectifs 
et Principes de Coopération» (art. 1 Domaines de coopération, art. 2
Projets, programmes et planfication, art. 3 Protection de l’environnement 
et équilibre écologique, art. 4 Égalité souveraine et intégrité 
territoriale, art. 5 Utilisation raisonnable et équitable), art. 6 
Maintien des débits du cours principal, art. 7 Prévention et cessation 
des effets délétères, art. 8 Responsabilité des États pour préjudice, 
art. 9, Liberté de navigation, art. 10, Situations d’urgence); d) 
Capitolo IV «Mécanisme Institutionnel» (art. 11, Statut de la 
Commission du Mékong, art. 12, Organisation de la Commission du Mékong, 
art. 13, Reprise d’avoirs, d’obligations et de droits, art. 14 Budget 
de la Commission du Mékong, art. 15 Composition du Conseil, art. 16
Présidence du Conseil, art. 17 Session du Conseil, art. 18 
Fonctions du Conseil, art. 19 Règlement intérieur du Conseil, art. 20
Décisions du Conseil, art. 21 Composition du Comité conjoint, art. 
22 Présidence du Comité conjoint, art. 23 Sessions du Comité conjoint, 
art. 24 Fonctions du Comité conjoint, art. 25 Règlement intérieur, 
art. 26 Règlement relative à l’utilisation des eaux et aux derivations entre 
basins, art. 27 Décisions du Comité conjoint, art. 28 Rôle du 
Secrétariat, art. 29 Siège du Secrétariat, art. 30 Fonctions du 
Secrétariat, art. 31 Directeur executive, art. 32 Personnel 
riverain); e) Capitolo V (Règlement des Désaccords et Différends, 
art. 34-35); f) Capitolo VI omissis. 
L’Accordo concluso tra il Portogallo e la Spagna (Madrid, 19 novembre 1997) 
relativo alla costruzione di un ponte internazionale sul Fiume Miño tra le 
località di Goyán (Spagna) e della Vila Nova de Cerveira (Portogallo). In 
particolare si prevede che: a) il ponte «sera destiné à la circulation 
routière et ses caractéristique seront établies par la Commission tecnique visée 
a l’art. 5 du présent Accord» (art. 2); b) gli Stati contraenti s’impegnano 
a facilitare il rilascio di permessi ed autorizzazioni e la concessione di 
occupazione nei terreni necessari all’esecuzione (art. 4); c) ogni Stato «sera 
propriétaire de la partie du ponte et des accès à celui-ci situés sur son 
territoire» e che l’esercizio di questo diritto «sera régi par l’ordre 
juridique interne de claque État, sans préjudice des obligations internationales 
qui lui incombent (art. 13); d) la «ligne de délimitation de la frontière 
entre les deux États sera tracée sur le pont par la Commission internazionale 
des frontières entre l’Espagne et le Portugal, conformément aux accords 
internationaux en vigueur entre les deux États» (art. 14)26.
2. L’optimum utilization e protezione adeguata dei corsi d’acqua 
internazionali
Tornando alla CUADN, da segnalare il secondo paragrafo dell’art. 5 [CUADN] 
nel quale si richiede una cooperazione attiva tra gli Stati rivieraschi per la 
realizzazione ed il mantenimento di un’equa distribuzione dei benefici derivanti 
dallo sfruttamento di un corso d’acqua, sia per il raggiungimento dell’ulteriore 
obiettivo dell’ottimale utilizzazione ed adeguata protezione del corso d’acqua (UN 
Doc. A/49/10, pp. 244-249)27. 
In tal caso, da ricordare ad es., la Convenzione conclusa tra il Belgio e i 
Paesi Bassi (L’Aja, 13 maggio 1970) concernente il miglioramento della via 
navigabile nell’Escaut occidentale vicino Walsoorden (con piano). 
L’optimum utilization richiede, quindi, una cooperazione degli Stati 
rivieraschi per perseguire e realizzare una gestione dell’ambiente fluviale atta 
a garantire lo sfruttamento massimale ed ottimale28.
Raggiungere un risultato ottimale non significa pervenire alla massima 
utilizzazione, all’uso più razionalmente e tecnicamente possibile, all’uso più 
vantaggioso dal punto di vista finanziario, ma assicurare dei profitti immediati 
in rapporto alle perdite a lungo termine. Ciò non significa che allo Stato 
rivierasco - il quale abbia dei mezzi all’avanguardia per utilizzare nel miglior 
modo razionale un corso d’acqua (sia dal punto di vista economico, sia evitando 
sprechi, ecc.) – sia riconosciuta una priorità in materia di utilizzazione. Ciò 
dev’essere interpretato nel senso che gli Stati rivieraschi sono tenuti ad 
assicurare il massimo dei possibili vantaggi per rispondere a tutti i loro 
bisogni, riducendo al minimo i danni. 
L’art. 24 [CUADN] dispone che, su richiesta di un paese interessato, gli altri 
Stati dello stesso corso d’acqua, avviano delle consultazioni per gestire il 
corso d’acqua interessato, ovvero per istituire un meccanismo misto di gestione 
allo scopo: a) di pianificare lo sfruttamento durevole delle risorse mediante 
piani d’intervento; b) di promuovere, con ogni mezzo razionale ed ottimale, 
l’uso, la protezione e il controllo del corso d’acqua interessato. L’art. 24, 
par. 1 [CUADN], non impone agli Stati di gestire il corso d’acqua, né di 
istituire un organo comune come la commissione o altro organismo misto. Lo scopo 
delle consultazioni è lasciato agli Stati interessati29.
La locuzione “protezione adeguata” non indica solamente le misure relative, ad 
esempio, alla conservazione, alla sicurezza e alla lotta contro le malattie 
trasmissibili attraverso l’acqua. Essa indica anche le misure di controllo in 
senso tecnico, idrologico, del termine, come che sono adottate per regolamentare 
la portata e lottare contro le inondazioni, l’inquinamento, l’erosione, la 
siccità o l’intrusione d’acqua salata. 
Essendo pacifico che queste misure o lavori rischiano di limitare, in una certa 
misura, gli usi che uno o più Stati potrebbero fare altrimenti delle loro acque, 
la seconda frase indica di pervenire ai vantaggi e all’optimum dell’uso 
“compatibile” con le esigenze di una adeguata protezione. A tal fine gli Stati 
rivieraschi sono tenuti a scambiarsi delle informazioni, a consultarsi e, se 
necessario, a negoziare su eventuali misure di protezione da prendere in base 
alla situazione di un corso d’acqua internazionale [art. 11, CUADN]. 
2.1. Altre convenzioni internazionali
Già precedenti convenzioni internazionali che si occupano della navigabilità 
di un fiume prevedono un impegno degli Stati contraenti alla protezione 
dell’acqua: a) Gli artt. 8-9 dell’Annesso 8 (Navigazione fluviale) al Trattato 
concluso tra la Francia e la Repubblica Federale Tedesca sulla regolamentazione 
della questione relativa alla Sarre (Lussemburgo, 27 ottobre 1956). In virtù 
dell’art. 8 i due paesi «prennent, chaucun dans la domaine de sa compétence, 
les mesures nécessaires en vue d’assurer la pureté et la salubrité des eaux de 
la Sarre. Ils prennent les mêmes engagements en ce qui concerne les affluents de 
la Saar. Ils encourageront la constitution des groupements ou d’association 
ayant pour objet de maintenir la salubrité des eaux». Ai sensi dell’art. 9 
le competenti autorità dei due paesi contraenti «maintiennent un service d’annonce 
du niveau des eaux de la Sarre et des conditions de navigabilité sur cette 
rivière. La transmission d’une cote d’alerte prise sur les cours supérieur de la 
Sarre par la station de Sarrebourg déclenche le fonctionnement du service d’annonce 
des crues de la Sarre à Sarrebruck. A partir de ce moment, les services d’annonces 
compétents restent constamment en relation juisqu’à transmission, per la station 
de Sarrebruck, de l’avis de fin d’alerte...». Ed ancora: il Protocollo 
addizionale alla Convenzione americana relativa ai diritti dell’uomo sui diritti 
economici, sociali e culturali (San Salvador, 17 novembre 1988) stabilisce 
all’art. 11 che «Everyone shall have the right to live in a healthy 
environment and to have access to basic public services. The State Parties shall 
promote the protection, preservation and improvement of the environment».
Così la Convenzione conclusa tra il Canada e gli Stati Uniti d’America 
(Washington, 26 maggio 1930, con protocollo relativo allo scambio delle 
ratifiche, firmato a Washington in data 28 luglio 1937) per la protezione, la 
conservazione e l’espansione della pesca del salmone sockeye nelle acque del 
fiume Fraser, nel cui art. I stabilisce l’ambito di applicazione della 
convenzione in numerosi corsi d’acqua e prevede all’art. II l’istituzione di una 
commissione «Internazional Pacific Salmon Fisheries Commission» che può 
condurre inchieste «into the natural history of the Fraser River sockeye salmon, 
into hatchery methods, spawning ground conditions and other related matters […] 
and maintain hatcheries, rearing ponds and other such facilities as it may 
determine to be necessary for the propagation of sockeye salmon in any of the 
waters covered by this Conventions, and to stock any such waters with sockeye 
salmon by such methods as it may determine to be most advisable» e può 
raccomandare agli Stati contraenti «removing or otherwise overcoming 
obstructions to the ascent of sockeye salmon, that may now exist or may from 
time to time occur, in any of the waters covered by this Convention, where 
investigation may show such removal of or other action to overcome obstructions 
to be desiderable […]» (art. III) e può «to limit or prohibit taking 
sockeye salmon in respect of all or any of the waters described in Article I of 
this Convention, provided that when any order is adopted by the Commission 
limiting or prohibiting taking sockeye salmon in any of the territorial waters 
or on the High Seas described in paragraph numbered I of Article I, such order 
shall extend to all such territorial waters and High Seas, and, similarly when 
in any of the waters of the United States of America embraced in paragraphs 
numbered 2 and 3 of Article I, such order shall extend to all such Canadian 
waters, and provided further, that no order limiting or prohibiting taking 
sockeye salmon adopted by the Commission shall be construed to suspend or 
otherwise affect the requirements of the laws of the State of Washington or of 
the Dominion of Canada as to the procuring of a license to fish in the waters of 
their respective sides of the boundary, or in their respective territorial 
waters embraced in paragraph numbered I of Article I of this Convention, and 
provided further that any order adopted by the Commission limiting or 
prohibiting taking sockeye salmon on the High Seas embraced in paragraph 
numbered I of Article I of this Convention shall apply only to nationals and 
inhabitants and vessels and boats of the United States of America and the 
Dominion of Canada[…]» (art. IV). La Convenzione poi è stata oggetto di 
un’integrazione con il Protocollo sottoscritto a Ottawa tra Canada e Stati Uniti 
in data 28 dicembre 195630.
3. La cooperazione tra Stati rivieraschi
La condivisione di un corso d’acqua internazionale comporta il diritto di 
utilizzarlo, ma anche il dovere di cooperare con gli altri paesi interessati 
all’area per realizzare una protezione, ad esempio da forme di inquinamento, e 
una sua valorizzazione [art. 5, par. 2, CUADN].
Senza dubbio ogni Stato rivierasco ha il diritto di utilizzare le acque che si 
trovano sul proprio territorio. Questo diritto è una conseguenza della sovranità 
che attribuisce ad ogni paese, il cui territorio sia attraversato o costeggiato 
da un corso d’acqua internazionale, di goderne i benefici31.
Se dal principio di eguaglianza tra Stati scaturisce un diritto di ciascun paese 
rivierasco ad usare un corso d’acqua internazionale nella misura 
quantitativamente eguale e correlativamente legata a quella degli altri Stati 
rivieraschi, non necessariamente le risorse debbono essere divise in proporzioni 
identiche. L’importante che ciascun Stato abbia il diritto di utilizzare il 
corso d’acqua in rapporto ai propri bisogni. 
Può accadere, comunque, che il volume o la qualità dell’acqua non sia in grado 
di assicurare a tutti gli Stati rivieraschi tutti i possibili usi razionali ed 
utili. In tal caso si verifica un “conflitto di utilizzazione”. La prassi 
internazionale indica allora di ricorrere a certi aggiustamenti o accomodamenti 
per preservare il principio di uguaglianza dei diritti di tutti gli Stati 
rivieraschi. Questi mezzi devono essere ricercati sulla base dell’equità e il 
miglior mezzo è l’accordo. 
La cooperazione tra gli Stati rivieraschi, ai fini dell’uso, è fondamentale se 
questi paesi intendono arrivare ad un ripartizione equa degli usi e al 
perseguimento dei vantaggi32.
Per stabilire le modalità relative alla cooperazione, gli Stati di un corso 
d’acqua possono, se lo ritengono necessario, progettare dei meccanismi o 
commissioni miste allo scopo di facilitare la cooperazione relativa alle misure 
e procedure appropriate, magari prendendo in esame precedenti esperienze in 
merito [art. 8, CUADN]. 
3.1. L’obbligo di informare gli altri Stati rivieraschi
In applicazione dell’art. 8 [CUADN], gli Stati rivieraschi sono tenuti a 
scambiarsi regolarmente i dati e le informazioni facilmente disponibili sullo 
stato di un corso d’acqua33, 
in particolare quelle di natura idrologica, meteorologica, idrogeologica, 
ecologica e concernente la qualità dell’acqua, oltre che le previsioni in merito34.
Se quindi uno Stato contraente intende porre in essere delle misure suscettibili 
di causare dei consistenti effetti negativi ad un altro paese che condivide lo 
stesso corso d’acqua internazionale, è tenuto a notificarle, in tempo utile 
(cioè la notificazione dev’essere effettuata allo stadio della preparazione del 
progetto), a quest’ultimo. Tale disposizione si prefigge, dal punto di vista 
procedurale, di aiutare tutti i paesi rivieraschi a mantenere un giusto 
equilibrio tra i rispettivi usi di un corso d’acqua internazionale35.
Salvo sia previsto diversamente in accordi particolari, la notifica dev’essere 
corredata di dati tecnici, informazioni disponibili e comprensivi, se del caso, 
dei risultati dello studio d’impatto ambientale, per consentire allo/gli Stato/i 
interessati di valutarne gli eventuali effetti derivanti dall’adozione delle 
misure [art. 12, CUADN] entro sei mesi prorogabili (su richiesta del “paese 
notificato”qualora una valutazione in merito abbia bisogno di ulteriore tempo 
rispetto al termine consentito) [art. 13, CUADN]. 
Nel periodo intermedio tra la notifica e la risposta, lo “Stato notificatore” 
non può assolutamente porre in essere misure progettate senza il consenso del 
“paese notificato”. Ed ancora, è tenuto a cooperare con il “paese notificato” 
fornendogli, su richiesta di quest’ultimo, ogni dato o informazione 
supplementare disponibile, necessaria per una valutazione più precisa [art. 14, 
CUADN]. 
Alla scadenza del termine di sei mesi, o di quello prorogato, lo “Stato 
notificato” può dare il proprio assenso al progetto, oppure rigettarlo ritenendo 
tali misure progettate incompatibili con gli artt. 5 o 7 della CUADN. In 
quest’ultimo caso la conclusione dev’essere accompagnata da un’esposizione 
documentata e motivata [art. 15, CUADN]. 
Oppure, ai sensi dell’art. 17 della CUADN, si consente agli Stati interessati 
(“Stato notificante”, “paese notificato”) di avviare delle consultazioni e, al 
bisogno, delle negoziazioni per superare la questione in maniera equa. Le 
consultazioni e le negoziazioni devono essere condotte secondo il principio 
della buona fede, nel senso che ciascun Stato deve tener conto dei diritti e 
degli interessi legittimi dell’altro paese interessato. Nel corso delle 
consultazioni e delle negoziazioni, lo “Stato notificatore” è tenuto ad 
astenersi, su richiesta del “paese notificato”, dall’attuare le misure 
progettate per un periodo di sei mesi, salvo sia convenuto diversamente. 
Se lo “Stato notificatore” non riceve alcuna risposta positiva, o negativa, lo 
“Stato notificatore” può procedere, sotto riserva dei propri doveri derivanti 
dagli artt. 5 o 7 della CUADN, a porre in essere le misure progettate 
conformemente alla notifica e agli altri dati e informazioni forniti al “paese/i 
notificato/i”. 
Anche in mancanza di notificazione, se uno Stato nutre ragionevoli dubbi che un 
altro paese rivierasco progetta delle misure che possano avere degli effetti 
negativi consistenti per esso, può chiedergli di applicare le disposizioni di 
cui all’art. 12 della CUADN, motivandone le conclusioni. Alle motivazioni del 
paese richiedente, lo Stato richiesto può opporre, a confutazione, delle proprie 
conclusioni atte a giustificare l’inapplicabilità dell’art. 12 [CUADN]. Se lo 
Stato richiedente non è soddisfatto delle conclusioni a confutazione, può 
chiedere all’altra parte, se del caso, di avviare delle consultazioni e delle 
negoziazioni secondo le modalità previste dai parr. 1-2 dell’art. 17 [CUADN]. 
Una soluzione “equa”, richiesta nel par. 1, potrebbe consistere, per esempio, 
nel modificare i progetti in maniera tale da eliminarne gli aspetti 
potenzialmente dannosi, nell’adattare altri usi chez l’un ou l’autre des 
Etats, ovvero nell’accordare, allo Stato autore della notifica, 
un’indennizzo36 o 
ogni altra forma di ristoro accettabile dal paese al quale la notifica è stata 
indirizzata. 
Durante la fase delle consultazioni e delle negoziazioni, lo Stato che progetta 
le misure è tenuto, su richiesta dell’altro paese interessato, ad astenersi per 
un periodo di sei mesi (salvo si convenga diversamente) dall’attuare queste 
misure [art. 18, CUADN]. Il par. 1 dell’art. 18 [CUADN] permette allo Stato 
rivierasco di chiedere al paese che progetta delle misure, limitatamente alle 
condizioni previste dal par., di riesaminare le valutazioni e le conclusioni a 
cui è pervenuto. Le disposizioni di cui all’art. 14 e all’art. 17, par. 3 della 
CUADN sono oggetto di deroga ai sensi dell’art. 19 [CUADN] e precisamente 
nell’ipotesi in cui le misure progettate si rivelino di estrema urgenza per 
motivi di ordine pubblico e sanitario (rischio d’inondazione o questioni di 
interesse vitale per la sicurezza nazionale). Allo stesso modo, una formale 
dichiarazione proclamante l’urgenza delle misure, corredata di dati e 
informazioni pertinenti dev’essere manifestata agli altri Stati rivieraschi che 
possono subire dei considerevoli effetti negativi dall’attuazione di queste 
misure. Tuttavia, lo Stato che progetta le misure s’impegna, su richiesta di uno 
qualunque dei paesi potenzialmente danneggiati, ad avviare prontamente delle 
consultazioni e delle negoziazioni nei modi e nei termini previsti dall’art. 17, 
parr. 1 e 2 [CUADN].
Se un paese rivierasco richiede ad un altro di fornirgli dei dati e delle 
informazioni non facilmente disponibili, lo Stato richiesto deve fare il 
possibile per farvi fronte. Ma può «subordonner son acquiescement au paiement, 
par l’État auteur de la demande, du coût normal de la collecte et, le cas 
échéant, de l’élaboration de ces données ou informations» [art. 9, CUADN]. 
Le regole definite dall’art. 9 della CUADN sono di natura suppletiva: si 
applicano allorquando la questione non è disciplinata da un accordo particolare 
concernente un corso d’acqua internazionale. Questi dati e queste informazioni 
possono essere comunicati direttamente o indirettamente. 
Ed ancora, gli Stati interessati sono evidentemente liberi d’impiegare, a questo 
fine, ogni metodo reciprocamente accettato. Uno Stato rivierasco, non è tenuto a 
fornire che solo delle informazioni di cui dispone facilmente (per es., quelle 
cha ha già raccolto per le proprie necessità). La valutazione se, appunto, i 
dati e le informazioni siano facilmente accessibili, dovranno incentrarsi su 
certi elementi, per esempio il lavoro e le spese sopportate per la raccolta di 
questi dati, tenendo conto delle risorse umane, tecniche e finanziarie dello 
Stato richiesto. 
Il termine “in particolare”, contenuto nel par. 1 dell’art. 9 [CUADN], indica 
che i dati e le informazioni menzionati, che non costituiscono in alcun modo una 
lista esaustiva, sono quelle che sono considerate tra le più importanti ai fini 
di un uso equo.
Uno Stato che utilizza un corso d’acqua è tenuto innanzitutto a notificare agli 
altri paesi interessati eventuali misure che intende prendere suscettibili di 
causare danni agli altri, ovvero ad adoperarsi, singolarmente o congiuntamente, 
in circostanze pregiudizievoli ed urgenti. 
Il termine “urgente” indica delle situazioni che causano, o possono causare, un 
danno grave agli Stati rivieraschi o agli altri paesi (quest’ultimi possono 
subire dei danni per effetto dello scarico di sostanze chimiche trasportate dal 
corso d’acqua fino al mare) e che sono improvvisamente provocati da cause 
naturali, come le inondazioni, scioglimento dei ghiacciai, frane o terremoti, o 
da attività dell’uomo (es., incidente industriale). 
Al verificarsi di tali circostanze urgenti ogni paese rivierasco è tenuto ad 
informare37, senza 
indugio e con tutti i mezzi a disposizione (cioè attraverso dei mezzi di 
comunicazione, i più rapidi che abbiano), gli altri Stati che rischiano di 
essere colpiti da tali eventi, ovvero le competenti organizzazioni 
internazionali su ogni situazione di emergenza sopravvenuta nel proprio 
territorio. 
In quest’ultimo caso, il paese nel cui territorio è sopravvenuto uno stato di 
emergenza è tenuto ad adottare immediatamente (la situazione costituisce una 
tale urgenza che consente il diritto di intervenire bruscamente) - in 
cooperazione con gli Stati che rischiano di essere colpiti e, all’occorrenza, 
con le competenti organizzazioni internazionali – tutte le misure possibili che 
richieda il caso, per prevenire attenuare ed eliminare, le conseguenze dannose 
derivanti dalla situazione d’emergenza. 
In caso di necessità, gli Stati rivieraschi possono elaborare piani urgenti per 
far fronte alla situazione di pericolo in cooperazione, all’occorrenza, con gli 
altri paesi che rischiano di essere colpiti e con le competenti organizzazioni 
internazionali38.  
Per appurare se questi piani sono necessari, occorrerà, per esempio, valutare le 
caratteristiche dell’ambiente naturale del corso d’acqua in rapporto agli usi 
che sono fatti del corso d’acqua e delle zone terrestri contigue [art. 28, CUADN].
Ciò pone un evidente contrasto tra la norma dell’equa utilizzazione e il divieto 
di cagionare danni39, 
oggetto di discussione ed interessi negli Stati contraenti40.
Le misure che possono essere prese in virtù dell’art. 27 [CUADN], sono 
molteplici e varie. Queste vanno dallo scambio periodico, in tempi ragionevoli, 
dei dati e delle informazioni che risultino utili per prevenire e attenuare le 
condizioni dannose, fino all’adozione di ogni ragionevole misura affinché le 
attività condotte sul territorio di un paese rivierasco non causi delle 
condizioni dannose per gli altri Stati.
3.2. La cooperazione per la protezione delle acque
Per realizzare un uso ottimale e un’adeguata protezione di un corso d’acqua 
internazionale, la CUADN indica lo strumento della cooperazione in buona fede.
La cooperazione nel campo dell’acqua è indispensabile perché tale settore ha dei 
risvolti sia politici, che dal punto di vista della distribuzione e 
conservazione delle risorse. Le esigenze di cooperazione è strettamente connessa 
all’equa utilizzazione delle risorse e quindi, in subordine, allo scambio delle 
informazioni e alla preventiva notifica; tant’è che la quasi totalità degli 
accordi internazionali – che si prefiggono di utilizzare, valorizzare e 
proteggere le acque internazionali – prevedono delle disposizioni che invitano 
od obbligano allo scambio delle informazioni o un sistema ad hoc41. 
L’obbligo della preventiva notifica è presente in differenti convenzioni 
internazionali42. 
A tal fine gli Stati di un corso d’acqua, singolarmente o congiuntamente, sono 
tenuti a proteggere e preservare gli ecosistemi presenti in tale spazio comune, 
proporzionalmente al loro grado di responsabilità nel causare il pericolo o il 
danno [art. 20, CUADN]43.
Alcuni organismi governativi o non governativi hanno adottato precedentemente 
delle mozioni, delle raccomandazioni e delle dichiarazioni di principi relativi 
agli usi dei corsi d’acqua internazionali per fini diversi dalla navigazione.
Questi strumenti apportano una conferma supplementare alle regole enunciate 
nell’art. 5. Per esempio, uno dei più antichi è la Dichiarazione di Montevideo 
sull’uso dei fiumi internazionali per fini industriali e agricoli approvata 
nella settima Conferenza internazionale degli Stati americani del 24 dicembre 
1933, nella quale si stabilisce un principio (parr. 2 e 4) – applicabile anche 
ai fiumi che attraversano in sequenza i territori di più paesi - che gli Stati 
hanno il diritto esclusivo di sfruttare per fini industriali o agricoli le acque 
dei fiumi internazionali, sulla sponda sottoposta alla loro giurisdizione. 
Tuttavia, l’esercizio di questo diritto è limitato dalla necessità di non 
arrecare pregiudizio al simile diritto che deve essere riconosciuto allo Stato 
vicino (a valle o a monte). 
Un altro strumento normativo è l’Atto di Asunción relativo all’uso dei corsi 
d’acqua internazionali, adottato dai ministri degli affari esteri dei paesi 
rivieraschi di Rio de La Plata (Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay e Uruguay) 
nella riunione tenutasi dal 1° al 3 giugno 1971, contenente la Dichiarazione di 
Asunción sull’uso dei corsi d’acqua internazionali la quale stabilisce: a) che 
nei corsi d’acqua internazionali contigui, appartenenti simultaneamente a due 
Stati, risulta necessario un accordo bilaterale tra i paesi rivieraschi prima di 
qualsiasi uso ne sia fatto delle acque (par. 1); b) che nei corsi d’acqua 
internazionali successivi, che non appartengono simultaneamente alla sovranità 
di due Stati, ogni paese può utilizzare le acque compatibilmente con i suoi 
bisogni, a condizione che non si arrechino notevoli pregiudizi ad alcun altro 
Stato del bacino (par. 2). In seno alla Conferenza delle Nazioni Unite 
sull’ambiente tenutasi dal 5 al 16 giugno 1972, sono stati adottati: 1) la 
Dichiarazione (di Stoccolma) sull’ambiente il cui principio 21 stabilisce che, 
conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e ai principi di diritto 
internazionale, gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le loro proprie 
risorse in base alla loro politica ambientale e hanno il dovere di fare in modo 
che le attività svolte nel proprio territorio, o sotto il loro controllo, non 
causino dei danni all’ambiente degli altri paesi o nei territori nullius; 
2) il Piano d’Azione per l’ambiente che contiene la raccomandazione n. 51 che 
invita i governi interessati: a) ad esaminare l’opportunità d’istituire una 
commissione internazionale fluviale o degli strumenti appropriati per la 
cooperazione tra i paesi interessati quando delle risorse in acqua appartengono 
a più Stati; b) ad applicare i seguenti principi e cioè che lo sfruttamento 
delle risorse presenti in acqua avvenga nel miglior dei modi e si eviti di 
produrre l’inquinamento dell’acqua in ogni paese, e che i vantaggi netti 
derivanti dalle attività condotte nelle regioni idrologiche comuni a più Stati, 
devono essere ripartiti in parti uguali tra i paesi in causa. 
Un ennesimo strumento da menzionare è il Piano d’Azione del Mare della Plata, 
adottato dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua, che contiene, tra 
numerose raccomandazioni e risoluzioni, la raccomandazione n. 7 che invita gli 
Stati a promulgare «una legislazione giudiziosa» per promuovere efficacemente ed 
equamente l’uso e la protezione dell’acqua e degli ecosistemi presenti 
nell’acqua. Ed ancora, si sostiene che, constatata la crescente interdipendenza 
dal punto di vista economico, ambientale e fisico che esiste al di là delle 
frontiere, nel caso di risorse in acqua comuni, gli Stati sono tenuti a 
cooperare. Conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e ai principi di diritto 
internazionale, questa cooperazione dev’essere fondata sull’uguaglianza, la 
sovranità e l’integrità territoriale di tutti gli Stati. Infine, le decisioni 
dei tribunali (arbitrali) internazionali rafforzano il principio che vieta agli 
Stati di lasciar utilizzare il loro territorio in maniera pregiudizievole per 
gli altri paesi (casi Oder, Prises d’eau à la Meuse, Détroit de Corfou, Lac 
Lanoux, Fonderie de Trail (Trail Smelter). 
L’obbligo di proteggere gli ecosistemi dei corsi d’acqua internazionali 
costituisce un’applicazione specifica delle disposizioni contenute nell’art. 5 
della CUADN. L’obbligo di protezione imposta agli Stati consiste nel mettere gli 
ecosistemi dei corsi d’acqua internazionali al riparo dai pericoli o dai danni 
prodotti dall’inquinamento44.
3.2.1. Le misure per la protezione da forme d’inquinamento
Gli Stati rivieraschi, singolarmente o congiuntamente, sono tenuti: a) a 
ridurre e controllare la polluzione suscettibile di causare un danno 
significativo agli altri paesi che condividono lo stesso corso d’acqua o al loro 
ambiente, alla salute o alla sicurezza dell’uomo, all’utilizzo positivo delle 
acque, o meglio alle risorse biologiche del corso d’acqua [art. 21, par. 2, 
CUADN]. 
L’obbligo di prevenire concerne dei nuovi inquinamenti dei corsi d’acqua 
internazionali, mentre il dovere di ridurre o reprimere concerne la polluzione 
esistente; b) ad adottare tutte le misure necessarie (in base alla loro 
tecnologia posseduta e ai loro mezzi finanziari) per proteggere e preservare 
l’ambiente marino in rapporto ad un corso d’acqua internazionale, ivi compresi 
gli estuari, tenendo conto delle regole e delle norme internazionali 
generalmente accettate [art. 23, CUADN]. L’obbligo enunciato all’art. 23 della 
CUADN non consiste nel proteggere solo l’ambiente marino, ma nel prendere le 
misure, “che si rapportano ad un corso d’acqua internazionale”, che sono 
necessarie per proteggere questo ambiente.
Per realizzare, in particolare, la “prevenzione, riduzione e controllo della 
polluzione” gli Stati contraenti interessati, oltre ad armonizzare le loro 
politiche a questo riguardo, avviano delle consultazioni, su richiesta di uno di 
essi, in vista di fissare delle misure e delle modalità vicendevolmente 
accettabili per prevenire, ridurre e controllare l’inquinamento45, 
tra le quali: a) definire degli obiettivi e dei criteri comuni concernenti la 
qualità dell’acqua; b) porre in essere delle tecniche e degli strumenti per 
combattere l’inquinamento delle sorgenti circoscritte o distribuite46; 
c) stabilire una tabella delle sostanze la cui introduzione nelle acque di un 
corso d’acqua internazionale deve essere vietata, limitata, esaminata o 
controllata [art. 21, par. 3, CUADN]. 
Sempre come misura protettiva, gli Stati sono tenuti ad adottare ogni misura 
necessaria a prevenire l’immissione, in un corso d’acqua internazionale, di 
nuove o estranee specie suscettibili di causare degli effetti pregiudizievoli 
all’ecosistema di un corso d’acqua e, in conclusione, un significante danno agli 
altri Stati del corso d’acqua [art. 22, CUADN]47.
3.2.2. La protezione dall’introduzione di nuove specie
L’introduzione di nuove specie (cioè quelle modificate geneticamente o 
ottenute attraverso le tecniche della genetica) e specie étrangères 
(specie allogene) di flora e fauna (piante, animali e altri organismi viventi) 
in un corso d’acqua è suscettibile di rompere l’equilibrio ecologico ed 
ingenerare quindi dei gravi problemi (es., intralci alle attività ricreative, 
eutrofizzazione accelerata, perturbazione della catena alimentare, eliminazione 
delle altre specie, specialmente interessanti, trasmissione delle malattie). Una 
volta introdotte nuove specie è molto difficile eliminarle. 
L’obbligo di preservare gli ecosistemi dei corsi d’acqua internazionali è 
analogo a quello relativo alla protezione, ma, in questo caso, si applica agli 
ecosistemi di acqua dolce che sono nel loro stato primitivo e non sono 
perturbati. 
Quindi si chiede agli Stati di proteggere questi ecosistemi in maniera tale da 
conservare il loro status naturale. La protezione e la preservazione 
degli ecosistemi acquatici, insieme, permettono di assicurare la loro vitalità 
permanente e quindi di disporre di una risorsa essenziale di sviluppo a lungo 
termine. 
4. Misure da adottarsi in caso di significante danno prodotto
In caso di significante danno causato ad un paese, lo Stato responsabile è 
tenuto a consultarsi48 
con il paese danneggiato, ed eventualmente a discutere sul risarcimento dei 
danni [art. 7, CUADN]49.
Il par. 2 dell’art. 7 della CUADN prevede l’ipotesi nella quale un danno 
significativo si sia realizzato nonostante l’esercizio della diligenza dovuta da 
parte dello Stato utilizzatore e quindi operante nel momento in cui è esclusa 
qualsiasi questione di responsabilità da illecito del paese utilizzatore per 
violazione dell’obbligo di diligenza. 
In tal caso il par. 2 [CUADN] pone a carico dello Stato danneggiante un obbligo 
di consultazione con il paese danneggiato. Un’eccezione all’obbligo di 
consultazione viene prevista nella prima parte dell’art. 7, par. 2 [CUADN] e 
precisamente nel caso in cui esista già un accordo specifico tra i due Stati 
interessati mirante a regolare le questioni rilevanti. Ai sensi del 
sottoparagrafo a) dell’art. 7, par. 2 [CUADN], gli Stati interessati devono 
innanzitutto verificare se l’uso che ha dato luogo al danno sia effettivamente 
equo e ragionevole, “taking into account the factors listed in artiche 6” 
[CUADN]. La ratio della disposizione, da come emerge dai lavori 
preparatori (Summary Records of the Meetings of the Forty-Sixth Session, in 
Yearbook of the International Law Commission, 1994, vol. I, p. 178, par. 61 
– intervento di Bowett), è quella di consentire un riesame a posteriori del 
carattere equo e ragionevole dell’uso del corso d’acqua che, presuntivamente 
accertato in un primo momento, viene in seguito posto in discussione dal 
realizzarsi del danno significativo. 
Per raggiungere tale risultato fondamentale risulta il sottoparagrafo b) 
dell’art. 7, par. 2 [CUADN] che richiama innanzitutto le parti a consultazioni 
finalizzate a porre in essere quegli aggiustamenti ad hoc 
dell’utilizzazione del corso d’acqua che permettano di ridurre o eliminare il 
danno significativo ad essa conseguente. 
Sulla questione degli aggiustamenti ad hoc da apportare all’utilizzo del 
corso d’acqua internazionale al fine di eliminare o attenuare ogni danno causato 
e, se opportuno, dell’indennizzo, enunciato nell’art. 7, par. 2, lett. b) [CUADN], 
risulta necessario che, durante le consultazioni, si tenga conto di alcuni 
elementi, come tali aggiustamenti siano vitali sul piano economico, come i danni 
subiti dallo Stato leso derivanti dalle attività interrotte (produzione e 
distribuzione dell’energia idroelettrica, lotta contro le inondazioni, 
potenziamento della navigazione, ecc.). A tal fine, il diritto all’indennizzo è 
espressamente riconosciuto come un mezzo per riequilibrare gli interessi. La 
nozione di equilibrio è prevista anche nella raccomandazione n. 51 della 
Conferenza di Stoccolma del 1972 sull’ambiente.
Il sottoparagrafo b) dell’art. 7, par. 2 [CUADN], stabilisce, inoltre, che 
oggetto di consultazione tra le parti sia anche “where appropriate”, la 
questione dell’eventuale risarcimento dei danni alle vittime del danno 
significativo50. 
Se le consultazioni non portano a nulla, si applicheranno le procedure di 
soluzione delle controversie previste dall’art. 33 della CUADN. La diligenza (“diligence 
voulue”)51 
richiesta ad ogni Stato è proporzionata all’importanza del paese, al suo potere, 
nonché al suo potenziale di sicurezza in grado di salvare i propri cittadini o 
residenti.
III. SESTA PARTE DELLA CUADN: DISPOSIZIONI VARIE CHE RIGUARDANO SITUAZIONI DI 
CONFLITTO ARMATO, PROCEDURE INDIRETTE, DATI ED INFORMAZIONI VITALI PER LA DIFESA 
O LA SICUREZZA NAZIONALI E LA NON DISCRIMINAZIONE
I corsi d’acqua internazionali, le installazioni, le ristrutturazioni e 
altre opere connesse beneficiano della protezione riconosciuta dai principi e 
dalle norme internazionali applicati ai conflitti armati internazionali e 
interni, e non possono essere utilizzati in violazione del diritto bellico [art. 
29, CUADN]. L’art. 29 [CUADN] non modifica né emenda gli strumenti normativi 
esistenti, e né ha l’intenzione di estendere agli Stati accordi internazionali 
di cui non siano parti. 
La principale funzione dell’articolo in questione è quello di ricordare 
semplicemente agli Stati che il diritto bellico è applicabile ai corsi d’acqua 
internazionali. Gli stessi articoli restano evidentemente in vigore nel periodo 
del conflitto armato. Durante tale periodo, gli Stati rivieraschi sono tenuti a 
proteggere ed utilizzare i corsi d’acqua internazionali e le opere connesse 
conformemente alle disposizioni che hanno fissato. Ma la guerra può toccare un 
corso d’acqua internazionale e avere delle conseguenze relativamente alla loro 
protezione e all’uso. L’art. 29 [CUADN] non lascia alcun dubbio 
sull’applicazione dei principi e delle norme del diritto bellico52.
Ai sensi dell’art. 30 della CUADN, e precisamente nell’ipotesi in cui si 
verifichino degli ostacoli seri all’instaurazione di contatti diretti tra gli 
Stati rivieraschi, i paesi interessati si accollano i doveri derivanti dalla 
presente convenzione, ivi compresi lo scambio dei dati e delle informazioni, le 
notifiche, le comunicazioni, consultazioni e negoziazioni, in virtù di ogni 
procedura indiretta accettata da essi.
Ai sensi dell’art. 31 della CUADN, nessuna disposizione della presente 
convenzione obbliga uno Stato rivierasco a fornire dati ed informazioni che sono 
vitali per la sua difesa o sicurezza nazionali. Tuttavia, questo Stato è tenuto 
a cooperare in buona fede con gli altri allo scopo di fornire soltanto le 
informazioni che le circostanze richiedono53.
Salvo che gli Stati rivieraschi non convengano diversamente sul come proteggere 
gli interessi delle persone, fisica o giuridica, o che possano essere seriamente 
danneggiate da un significante danno transfrontaliero derivante da attività 
legate ad un corso d’acqua internazionale, un paese rivierasco non può impedire 
alle interessate di esperire i ricorsi interni, o rifiutarne l’indennizzo o 
altra forma di riparazione – per danni significativi derivati da attività 
condotte sul proprio territorio – giustificando il diniego di giustizia e il 
rifiuto a motivi strettamente legati alla nazionalità, al luogo di residenza o 
al luogo del danno, delle persone interessate [art. 32, CUADN]54.
IV. LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE
In caso di controversie tra due o più paesi concernenti l’interpretazione o 
l’applicazione della presente convenzione, l’art. 33, parr. 1-2 [CUADN], dispone 
che, in assenza di un accordo in vigore tra le parti della controversia, gli 
interessati sono tenuti a risolverla con mezzi pacifici indicati dalla 
convenzione in questione (negoziati, buoni uffici, mediazione, conciliazione, 
ricorso alla commissione mista o ad un arbitrato)55.
Se entro sei mesi dall’avviamento dei negoziati non si è pervenuti a dirimere la 
controversia, o in caso di fallimento degli altri mezzi pacifici, la 
controversia può essere sottoposta, su richiesta di una delle parti interessate, 
ad una commissione d’inchiesta – le cui spese sono sopportate dagli Stati che 
sono parti della controversia [art. 33, par. 9, CUADN] - composta da un membro 
designato da ciascun paese interessato56 
e da un presidente scelto da essi, di nazionalità diversa dagli altri componenti 
[art. 33, parr. 3-4, CUADN]57 
e che stabilisce la procedura [art. 33, par. 6, CUADN].
Le parti interessate hanno l’obbligo di fornire alla commissione d’inchiesta 
tutte le informazioni di cui abbia bisogno e, su richiesta della stessa, di 
consentire l’ingresso nei loro rispettivi territori e l’ispezione delle 
installazioni, degli stabilimenti, delle attrezzature, delle costruzioni o degli
accidents topographiques, che possano presentare un interesse 
all’inchiesta in corso [art. 33, par. 7, CUADN].
La Commissione d’inchiesta, alla fine delle indagini, adotta un rapporto a 
maggioranza dei suoi membri, se non è costituita da un solo membro, e lo 
sottopone alle parti interessate corredandolo delle sue conclusioni motivate e 
delle raccomandazioni che ritiene opportune per risolvere la controversia, e i 
destinatari sono tenuti ad esaminarlo in buona fede [art. 33, par. 8, CUADN].
Tuttavia, ciascun Stato può dichiarare, in luogo di ratifica, accettazione, 
approvazione, adesione, ovvero successivamente, che, per quanto concerne 
qualsiasi controversia non risolta con mezzi pacifici, riconoscerà come 
obbligatoria ipso facto e senza alcun accordo speciale concluso con le 
parti che hanno accettato lo stesso obbligo: a) la sottoposizione della 
controversia alla Corte internazionale di giustizia; b) l’arbitrato di un 
tribunale arbitrale competente che esercita i propri poteri, salvo diversamente 
disposto dalle parti di una controversia – che in tal caso può essere anche 
un’organizzazione regionale economica, conformemente alla procedura indicata in 
appendice alla convenzione [art. 33, par. 10, CUADN].
In questo caso la parte attrice notifica – con un atto (di notifica) nel quale 
indica l’oggetto dell’arbitrato e in particolare gli articoli della convenzione 
che sono oggetto della controversia - alla parte convenuta la propria intenzione 
di rinviare la controversia ad un tribunale arbitrale, conformemente all’art. 33 
della presente convenzione. Se le parti della controversia non si accordano 
sull’oggetto della controversia, sarà il tribunale arbitrale a determinarlo 
[art. 2, appendice della CUADN]. Il tribunale arbitrale è composto da tre membri 
se le parti della controversia sono due59.
Ciascuna delle parti alla controversia nomina un arbitro60; 
i due arbitri designati, di comune accordo, ne nominano un terzo che assume la 
funzione di presidente del tribunale61 
[art. 3, par. 1, in appendice alla CUADN]. 
Se entro due mesi dalla nomina del secondo arbitro, non viene nominato il 
presidente del tribunale arbitrale, il presidente della Corte internazionale di 
giustizia procede, su richiesta di una parte, ad una sua designazione entro i 
successivi due mesi [art. 4, par. 1, in appendice alla CUADN]. 
Ai sensi dell’art. 8 [in appendice alla CUADN] le parti sono tenute ad agevolare 
i lavori del tribunale arbitrale: a) fornendo tutti i documenti, informazioni e 
agevolazioni possibili. Le parti e gli arbitri, tuttavia, sono tenuti a 
mantenere la natura confidenziale su ogni informazione che essi ottengono 
confidenzialmente o nel corso delle udienze; b) permettendo all’organismo 
arbitrale, in caso di necessità, di far comparire dei testimoni o degli esperti 
e di raccogliere le loro deposizioni.
Il tribunale arbitrale stabilisce le proprie regole di procedura (salvo che le 
parti della controversia non decidano diversamente) [art. 6, in appendice alla 
CUADN], può raccomandare – su richiesta di una delle parti della controversia – 
dei provvedimenti conservativi necessari (art. 7, appendice convenzione), 
conoscere e decidere sulle domande riconvenzionali strettamente legate 
all’oggetto della controversia [art. 11, in appendice alla CUADN].
Il tribunale rende le proprie decisioni62 
(tant sur le procédure que sur le fond) conformemente alle disposizioni 
della convenzione in questione e al diritto internazionale [art. 5, in appendice 
alla CUADN] a maggioranza dei suoi membri [art. 12, in appendice alla CUADN]. Se 
una delle parti della controversia è contumace, l’altra parte può chiedere di 
dar seguito alla procedura e alla decisione [art. 13, in appendice alla CUADN].
Il tribunale arbitrale è tenuto a pronunciare la sentenza definitiva non più 
tardi dei cinque mesi dalla sua istituzione, a meno che non ritenga necessario 
prorogare il termine per altri cinque mesi al massimo. La sentenza, limitata 
all’oggetto della controversia, dev’essere motivata, deve contenere i nomi dei 
membri che hanno partecipato alla sua stesura e la data nella quale è stata 
pronunciata, le varie opinioni divergenti dei membri. 
La sentenza è obbligatoria per le parti della controversia ed è inappellabile, a 
meno che le parti non abbiano precedentemente inteso prevedere un secondo grado 
di giudizio (art. 14, in appendice alla CUADN].
V. MOTIVI PER I QUALI LA CUADN NON È ENTRATA ANCORA IN VIGORE
1. Natura della CUADN
La presente Convenzione è stata aperta alla firma di tutti gli Stati e delle 
organizzazioni economiche regionali a partire dal 21 maggio 1997 fino al maggio 
del 2000 presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York [art. 34, CUADN]. 
La Convenzione sarebbe dovuta entrare in vigore 90 giorni dopo il deposito della 
trentacinquesima ratifica (accettazione, approvazione o adesione) depositata 
presso il Segretario generale delle Nazioni Unite [art. 36, par. 1, CUADN].
Allo stato attuale solo 15 Stati63 
dei 24 che hanno sottoscritto la CUADN64, 
hanno deposito la propria ratifica, accettazione, adesione o approvazione65.
Il ritardo dell’entrata in vigore della CUADN o della limitata incisività, 
dipende innanzitutto dal modo d’essere della convenzione stessa che appunto 
s’inquadra come accordo-quadro66.
La CUADN non si pone l’obiettivo di derogare ad accordi internazionali conclusi 
precedentemente dagli Stati che ne diventano parti67. 
A tal fine si dispone che, salvo gli Stati rivieraschi abbiano convenuto 
diversamente, la CUADN «non modifica in nulla i diritti o i doveri» 
precedentemente stabiliti in precedenti accordi internazionali conclusi tra gli 
stessi68. 
Allo stesso modo, quando certi Stati rivieraschi sono parti di un altro accordo, 
nessuna disposizione della CUADN recherà pregiudizio ai diritti e doveri agli 
stessi Stati che siano parti di entrambi [art. 3, par. 6, CUADN]. Tuttavia, 
sempre che lo ritengano necessario, gli Stati possono sempre armonizzare i 
precedenti accordi conclusi con i principi previsti dalla CUADN. 
Gli Stati rivieraschi, infatti, possono concludere anche uno o più accordi 
internazionali, denominati “accords de cours d’eau”69, 
al fine di applicare e adattare le disposizioni della CUADN alle caratteristiche 
e agli usi di un corso d’acqua internazionale, o di una parte di esso. 
All’iniziativa di un paese rivierasco – che ritiene appunto necessario adattare 
e applicare le disposizioni della CUADN in ragione delle caratteristiche e degli 
usi di un corso d’acqua internazionale particolare – seguono delle consultazioni 
allo scopo di negoziare, in buona fede, un accordo o degli accordi 
internazionali [art. 3, par. 5, CUADN]. Il bisogno di consultarsi può derivare 
sia da semplici esigenze di carattere naturale, come la diminuzione del volume 
dell’acqua, sia da fatti legati ai bisogni degli Stati rivieraschi, come 
l’aumento del consumo domestico, agricolo o industriale. 
Se da un lato gli Stati che concludono l’accordo particolare sono tenuti ad 
osservare il par. 1 dell’art. 3 [CUADN], dall’altro lato restano liberi, non 
solo di applicare le disposizioni dell’art. 3 [CUADN], ma addirittura di 
adattarle alle caratteristiche e agli usi particolari del corso d’acqua o parte 
di esso. 
Ai sensi dell’art. 3, par. 2 della CUADN, gli Stati sono liberi di definire la 
portata degli accordi che andranno a concludere e quindi anche di limitarlo ad 
un solo tronco di un fiume che forma o attraversa una frontiera internazionale, 
ovvero di estenderlo a tutte le acque del bacino di drenaggio, o infine di 
adottare una soluzione intermedia70.
Un accordo di questo tipo può essere concluso per l’intero corso d’acqua 
internazionale, o per una parte qualsiasi di esso, o per un progetto o programma 
particolare, ovvero per un particolare uso, purché non si arrechi grave 
pregiudizio all’utilizzo delle acque ad uno o più Stati senza l’esplicito 
assenso di quest’ultimo/i [art. 3, par. 4, CUADN].
La parte centrale del paragrafo contiene una riserva - «un tel accord peut 
être conclu pour un cours d’eau international tout entiere» - atta a 
proteggere i diritti degli Stati rivieraschi che non sono parti di un accordo. A 
tal fine si ritiene che il modo più efficace ed utile per risolvere i problemi 
legati ad un corso d’acqua (es., inquinamento)71 
sia quello di far partecipare possibilmente tutti gli Stati interessati, anziché 
una cerchia ristretta. Una formula del genere è prevista nei trattati relativi 
ai bacini dell’Amazzonia, del Rio de La Plata, del Niger e del Chad. 
Se uno Stato rivierasco rischia di essere leso in maniera significativa 
dall’esecuzione di un eventuale accordo, ha il diritto di partecipare alle 
consultazioni ed eventualmente ai negoziati (da condursi in buona fede) al fine 
di divenirne parte qualora si valuti obiettivamente che da tale impegno 
internazionale assunto non ne derivi grave pregiudizio [art. 3, par. 3, CUADN].
La conditio sine qua non della conclusione di un accordo prima 
dell’utilizzo di un corso d’acqua72, 
conferisce agli Stati la possibilità di impedire agli altri di utilizzare le 
acque, rifiutando semplicemente l’accordo.
Se da un lato si riconosce ad ogni Stato di un corso d’acqua (parte o no di un 
accordo) il diritto di partecipare alle consultazioni e ai negoziati in vista di 
un accordo internazionale, dal canto suo tale diritto non è assoluto, essendo 
sottoposto ad una riserva: questo diritto non esiste per lo Stato in questione «que 
dans la mesure où son utilisation en sarait affectée» [art. 4, par. 2, CUADN], 
cioè nel momento in cui l’accordo minacci realmente un grave pregiudizio. Al di 
fuori di queste ipotesi la partecipazione di uno Stato rivierasco contraente ad 
un accordo, costituirebbe un’ingerenza durante le fasi di consultazione e di 
negoziazione. 
2. La scarsa efficacia ed incisività della CUADN 
Un secondo motivo è data dal fatto che la CUADN non ha una vocazione 
universale e non detta principi innovativi rispetto alle precedenti convenzioni 
di diritto internazionale fluviale che trattano dell’utilizzo dei corsi d’acqua 
internazionali. Certo, le aspettative avrebbero dovute essere maggiori 
(vocazione universale, come la Convenzione di Montego Bay del 1982 nel settore 
del diritto internazionale marittimo)73 
visto che prima della CUADN non esisteva una disciplina unitaria e concreta 
sull’uso delle corsi d’acqua internazionali per fini diversi dalla navigazione.
Le associazioni e le organizzazioni internazionali, infatti, si sono occupate 
del problema in un’ottica strettamente legata ai loro bisogni di carattere 
regionale o geografico, ed anche con approcci differenti: ciò dimostra che non 
esistono dei principi evidenti e universali di diritto internazionale relativi 
all’utilizzazione dei corsi d’acqua internazionali per fini diversi dalla 
navigazione. Inoltre, risulta che nessun tribunale arbitrale abbia pronunciato 
una decisione in materia74.
L’insuccesso sinora raggiunto sul numero dei ratificanti75, 
deriva forse dall’esistenza di numerose convenzioni internazionali 
fluviali-marittime (passate in rassegna non esaustivamente) che dettagliatamente 
e settorialmente già disciplinano i contenuti vaghi previsti dalla CUADN. 
Un disinteresse emerso anche durante il lungo iter preparatorio76 
forse motivato dal fatto che tale convenzione non innoverebbe in nulla il regime 
giuridico dei corsi d’acqua internazionali (a fini diversi dalla navigazione), 
essendo un grande calderone o, se volete, un bacino contenente principi e 
direttive già contenuti in precedenti accordi bilaterali-multilaterali sia in 
materia marittima, che fluviale.
L’unico elemento positivo che si riscontra è dunque il fine di “riunire, o 
richiamare”, i principi contenuti in numerose convenzioni di diritto 
internazionale fluviale (essenzialmente sull’uso dei corsi d’acqua 
internazionali) e marittimo – indicando timidamente agli Stati contraenti (della 
CUADN) di osservarli nell’elaborazione dei loro “accords de système”77.
A ciò si associa la subordinazione dell’intera CUADN rispetto agli altri accordi 
conclusi dagli Stati contraenti che non possono essere derogati dalla CUADN (e 
che ne svilisce il contenuto), e dal timido tentativo di consigliare ai paesi 
contraenti di modificare i propri accordi compatibilmente con i principi in essa 
contenuti (ma per la maggior parte già previsti in numerosi accordi 
bilaterali-multilaterali).
Del resto gli Stati rivieraschi di un corso d’acqua internazionale nella prassi 
preferiscono concludere degli accordi internazionali bilaterali o al massimo 
tri-quadrilaterali anziché trattati internazionali altamente multilaterali78. 
Ciò risulta da uno studio condotto su 145 trattati internazionali conclusi dopo 
il 1870 (J. H. HAMMER, A. T. WOLF, Patterns in International Water Resource 
Treaties: the Transboundary Freshwater Dispute Database, in Colorado J. Int’l 
Env’l L & P., 1997).
Senza contare, poi, che già nel periodo 1950-1978 sono stati registrati - presso 
il Segretario generale delle Nazioni Unite - ben 225 convenzioni internazionali 
contenenti disposizioni in tema di usi differenti dalla navigazione a fronte di 
98 convenzioni disciplinanti la navigazione fluviale. Altre due raccolte di 
trattati relative agli ambiti regionali europeo ed africano annoverano 
rispettivamente 105 e 26 strumenti convenzionali relativi alle utilizzazioni dei 
fiumi internazionali diversi dalla navigazione79.
Calandoci poi nei meandri e settori disciplinati dalla CUADN (equa utilizzazione 
dei corsi d’acqua internazionali, valorizzazione dei fiumi internazionali, 
sfruttamento idroelettrico, protezione dell’inquinamento e degli ecosistemi, 
risarcimento dei danni, soluzione delle controversie) degno di essere richiamato 
è il Protocollo alla convenzione del 1992 sulla protezione e l’utilizzazione dei 
corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, relativo all’acqua e 
alla salute (Londra, 17 giugno 1999). 
Il Protocollo, infatti, sembra quasi prevedere una buona parte della CUADN, 
soprattutto se si analizzano gli obiettivi del protocollo: promuovere a tutti i 
livelli appropriati, sia nazionale che in un contesto transfrontaliero e 
internazionale, la protezione della salute e del benessere dell’uomo, nel quadro 
di uno sviluppo sostenibile, migliorando la gestione dell’acqua, ivi compresa la 
protezione degli ecosistemi acquatici, e adoperandosi per prevenire, combattere 
e far regredire le malattie legate all’acqua (art. 1).
Ciò fa pendant con l’ampiezza del suo campo di applicazione che, infatti, copre: 
a) le acque dolci superficiali; b) le acque sotterranee; c) gli estuari; d) le 
acque costiere utilizzate a fini ricreativi, o per l’acquacoltura o la 
molluschicoltura; e) gli invasi artificiali per balneazione; f) le acque durante 
le operazioni di prelievo, trasporto, trattamento o approvvigionamento; g) le 
acque usate durante le operazioni di raccolta, trasporto, trattamento e rigetto 
o riutilizzo (art. 3).
Ai sensi dell’art. 4 le Parti adottano tutte le misure appropriate per 
prevenire, combattere e far regredire le malattie legate all’acqua nel quadro di 
sistemi integrati della gestione dell’acqua miranti ad assicurare 
un’utilizzazione sostenibile delle risorse acquatiche, una qualità dell’acqua 
che non metta in pericolo la salute dell’uomo e la protezione degli ecosistemi 
acquatici. 
Ciascuna Parte vigila affinché siano predisposti dei sistemi d’intervento 
includendo sistemi nazionali e/o locali completi per la sorveglianza e l’allarme 
tempestivo, piani di emergenza nazionali e locali completi ivi compresi i mezzi 
d’intervento per fare fronte ad episodi o incidenti, nonché a minacce di episodi 
o incidenti, relativi a malattie legate all’acqua (art. 8).
Ed infine. Le Parti, ai fini del presente Protocollo, perseguono lo scopo di 
garantire a tutti l’accesso all’acqua potabile e le misure sanitarie, nel quadro 
dei sistemi integrati di gestione dell’acqua. A tal fine, ciascuna Parte: a) 
fissa e pubblica degli obiettivi nazionali e/o locali, eventualmente intermedi o 
scaglionati, al fine di assicurare un alto grado di protezione contro le 
malattie legate all’acqua, nonché delle date per raggiungere detti obiettivi; b) 
predispone dei meccanismi nazionali o locali di coordinamento tra le autorità 
competenti, dei piani di gestione dell’acqua in un contesto transfrontaliero, 
nazionale e/o locale, preferibilmente a livello di bacini idrografici o di 
acquiferi sotterranei, ed infine un quadro legislativo ed istituzionale, nonché 
i meccanismi giuridici ed istituzionali, per assicurare la sorveglianza e 
garantire il rispetto degli standard e della qualità (art. 6).
3. Osservazioni finali
Ulteriori osservazioni critiche possono essere fatte sugli artt. 5, 6 e 10 
della CUADN, relativi al principio dell’equa utilizzazione che prevedono un uso 
ottimale anziché, come si auspicava da alcune delegazioni in precedenti sessioni80, 
un accostamento al principio dello sviluppo sostenibile81 
già previsto in alcuni strumenti internazionali contemporanei82.
Certamente l’art. 5 al par. 1 [CUADN] introduce il concetto di “utilizzazione 
sostenibile”, ma né tale articolo, né tantomeno il successivo art. 6 [CUADN], 
contengono riferimenti a nozioni o circostanze, quali la protezione degli 
ecosistemi correlati ai corsi d’acqua, il principio dell’azione precauzionale o 
la necessità di considerare i diritti delle generazioni future, come si 
auspicava da vari delegati durante le sedute.
Con la frase «taking into account the interests of the watercourse States 
concerned» si è voluto indicare che qualsiasi sfruttamento di un corso 
d’acqua internazionale e la realizzazione del fine della sua ottimale 
utilizzazione non possono essere rimessi alla discrezionale valutazione del 
singolo paese utilizzatore, ma vanno considerati nella prospettiva di bilanciare 
e soddisfare le esigenze di tutti gli Stati rivieraschi interessati al corso 
d’acqua. 
A tal fine sembra opportuno ricordare il consistente numero di accordi 
internazionali contemporanei che vanno al di là del principio dell’utilisation 
équitable, prevedendo un sistema integrato di gestione del bacino83.
Negli ultimi 20 anni, inoltre, la presa di coscienza degli Stati di fronte ai 
gravi e sproporzionati effetti nefasti prodotti dai fenomeni di inquinanti ha 
fatto sì che strumenti internazionali si corredassero del principio dello 
sviluppo sostenibile, cioè l’esigenza di garantire una compatibilità tra le 
attività di sviluppo economico degli Stati e la tutela e preservazione di un 
ambiente naturale che delle medesime attività rappresenta supporto presente e 
futuro. Si è quindi constatato come i corsi d’acqua assumano un ruolo importante 
dell’ambiente globale costituendo, tra l’altro, degli ecosistemi in cui vivono e 
si sviluppano diverse risorse naturali viventi e non viventi tra loro 
strettamente collegate84:
Una convenzione degna di modificare od integrare il regime giuridico delle 
utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali (per fini diversi dalla 
navigazione) avrebbe dovuto essere più incisiva e avrebbe dovuto coinvolgere più 
paesi in modo tale da assumere la forma di una convenzione tendenzialmente 
universale (che mai sarà anche nell’ipotesi in cui altri Stati decideranno di 
ratificarla o di aderivi). Ma i motivi politici, gli interessi diversi dagli 
Stati85, i loro 
precedenti accordi internazionali in materia fluviale86, 
non avrebbero neppure fatto proseguire il lungo iter dei lavori 
preparatori se l’intento dei membri della commissione di diritto internazionale 
e lo spirito dei redattori avesse voluto porre in essere una convenzione di 
ampio respiro in grado di rivoluzionare il (precedente) regime giuridico 
dell’uso dei corsi d’acqua internazionali (per fini diversi dalla navigazione)87.
 
___________________
* Ricercatore di 
diritto internazionale e Professore supplente di organizzazione internazionale 
nella Facoltà di Scienze Politiche della Università degli studi di Teramo.
1) Nelle regioni dove abbonda l'acqua, l'utilizzo di tale 
risorsa per fini agricoli consiste nel ridurre la percentuale di umidità nei 
suoli mediante il sistema del drenaggio. In tal caso più che di “utilizzo” si 
può parlare di “sfruttamento”dei corsi d'acqua.
2) Nella maggior parte dei paesi la richiesta d'acqua per fini 
industriali supera quella per fini domestici e agricoli, e la domanda 
industriale tende ad accrescersi sempre di più per l'introduzione e 
l'applicazione di nuove tecniche: questo è il caso dell'energia atomica 
utilizzata al posto dei combustibili fossili o di altre fonti di energia. 
3) Ad un progressivo aumento esponenziale negli anni a seguire 
della popolazione mondiale non corrisponde un altrettanto aumento delle risorse 
idriche. Da segnalare, tra l’altro, uno studio condotto dal segretariato della 
commissione economica per l'Europa sui problemi dell'approvvigionamento 
dell'acqua in Europa (negli anni 70) - («Travaux préparatoire de la Conférence 
des Nations Unies sur l’eau: projet de rapport sur les options politiques 
concernano l’utilisation et la mise en valeur des ressources en eau dans la 
ragion de la Commission économique pour l’Europe» WATER/ge.1/r.21) – nel quale 
si stimò che le risorse idriche di cinque Stati europei (Cipro, Malta, 
Repubblica democratica tedesca, Ungheria, RSS di Ucraina) non soddisfavano più i 
loro bisogni. E che le risorse idriche non avrebbero soddisfatto i bisogni 
crescenti di altri sette paesi europei (Belgio, Bulgaria, Lussemburgo, Polonia, 
Portogallo, Romania e Turchia) da lì al 2000. In ragione della sua proprietà di 
autorinnovamento, si può dire, che l'acqua costituisce la sola risorsa naturale 
sulla quale gli Stati esercitano concretamente una sovranità permanente. Le 
altre risorse naturali generalmente associate a questa nozione, per esempio i 
minerali e il petrolio, sono limitati. Un’altra delle caratteristiche fisiche 
dell'acqua è la (sua) mobilità o il c.d. movimento perpetuo. La pioggia cade sui 
fianchi di una collina, si disperde in un ruscello che si getta in un corso 
d'acqua e va fino al mare, dove l'acqua evapora e si condensa in seguito in neve 
per ricadere, infine, sulla terra. 
4) Per sua natura, il processo di rinnovamento dell'acqua si 
situa sempre all'interno di una certa zona geografica – anche se l’acqua passa 
da un paese all’altro con un movimento continuo – essendo le frontiere 
determinate dalle delimitazioni del bacino idrografico. In forza del proprio 
ciclo idrologico l’acqua presente sulla terra si rinnova costantemente 
mantenendo invariata la propria consistenza quantitativa mediante fenomeni di 
evaporazione e precipitazione. Tuttavia, l'utilizzo dei corsi d'acqua, a causa 
della siccità, implica ulteriori problemi quali, l'impoverimento dei corsi 
d'acqua, l'inquinamento, l’erosione, le inondazioni ecc. 
5) Si osserva che un corso d’acqua interamente situato su un 
territorio di un solo Stato può essere alimentato dalle acque sotterranee di un 
altro paese. Sarà quindi possibile, tecnologia e progresso permettendo, deviare 
o utilizzare queste acque a scapito delle acque superficiali attribuendo 
eventuali responsabilità in materia di diritto fluviale allo Stato che causerà 
un pregiudizio con questo tipo di attività (A/CN.4/SR.1609, punto 4, in Annuaire 
de l’Institut de Droit International, 1980, vol. I). 
6) Esempi: Il Trattato concluso tra Iran ed Iraq relativo alla 
delimitazione di frontiera e al buon vicinato tra Iran ed Iraq (Bagdad, 13 
giugno 1976) dispone all’art. 2 che le parti contraenti «confirment que la 
frontière d’Etat dans le Chatt-El-Arab est celle dont la délimitation a été 
effectuée sur les base et conformément aux dispositions contenues dans le 
Protocole relatif à la délimitation de la frontière fluviale et les annexes 
audit Protocole, lesquels sont joints au présent Traité». L’Accordo concluso tra 
la Bulgaria e la Romania (Sofia, 4 dicembre 1977) sulla determinazione delle 
frontiere alla foce del fiume Rezovska/Mutludere e la delimitazione delle 
regioni marittime tra i due Stati nel mare del Nord, stabilisce: 2) all’art. 1 
che «l’embouchure de la rivière Rezovska/Mutludere est définie comme la zone 
située entre la ligne qui relie le point x=5071 m et y=7842 m sur la rive 
bulgare, au point x=4978 m et y=7836 m sur la rive turque, là où la rivière se 
déverse dans la Baie de Rezovo/Begendik»; b) all’art. 2 che la «frontière entre 
la République de Bulgarie et la République turque dans l’embouchure de la 
rivière Rezovska/Mutludere suit la ligne médiane dans le lit de la rivière (mesurée 
au niveau de la mer moyen), fixée après son déblaiement et son réaménagement». 
L’art. 3 che «le point frontière initial dans l’embouchure de la rivière 
Rezovska/Mutludere est doté des cordonnées rectangulaires x=5025 m et y=7839 m, 
et le point frontière terminal dans l’embouchure de la rivière des cordonnées 
x=5324 m et y=8339 m, déterminées sur le Plan de l’embouchure de la Rezovska/Mutludere, 
à l’échelle 1:1000, conjointement adopté en septembre 1992 (Annexe 3 au présent 
Accord). Le point frontière terminal dans l’embouchure constitue le point 
frontière terminal terrestre entre les Parties». L’art. 4 che le «Parties 
garantissent le libre écoulement des eaux de la rivière dans la Baie, sur la 
base d’un projet conjoint d’ingénierie qui sera élaboré conformément aux 
dispositions exposées dans l’Annexe 1 au présent Accord». Ed ancora i seguenti 
Trattati: Il Trattato di delimitazione della frontiera tra Spagna e Portogallo a 
partire dalla foce del Miño fino al confluente di Rio Caya e del Guadania 
(Lisbona, 29 settembre 1864) e successivo Atto finale (Lisbona, 4 novembre 1866) 
che approva gli Annessi al Trattato in questione. La Convenzione conclusa tra 
Regno Unito di Gran Bretagna/Irlanda del Nord e Portogallo (Londra, 6 maggio 
1920) relativa ad una linea di confine tra il Sud Africa (partendo dal segnale 
n. 1 situato sulla riva sinistra del Fiume Malosa e terminando al segnale n. 17 
sulla riva del Lago Nassa. Lo Scambio di note tra Gran Bretagna-Irlanda del Nord 
e Portogallo (Lisbona 11 maggio 1936 e 28 dicembre 1937) comprendente un accordo 
relativo alla sovranità sulle isole del fiume Rovouma e alla frontiera tra il 
territorio Tanganyika e del Mozambico. Il Trattato concluso tra Argentina ed 
Uruguay (Montevideo, 7 aprile 1961) relativo alla frontiera sull’Uruguay. 
L’Accordo tra Birmania e Pakistan (Rawalpindi, 9 maggio 1966) relativo alla 
demarcazione di una frontiera fissata tra i due paesi sul fiume Naaf (con 
annesso, protocollo del 28 aprile 1966 e mappe). Il Protocollo concluso tra 
Argentina ed Uruguay (Buenos Aires, 16 ottobre 1968) sulla demarcazione e la 
definizione della frontiera argentino-uruguayana sull’Uruguay. Il Trattato 
concluso tra Messico e Stati Uniti d’America (Messico, 23 novembre 1970) 
relativo alla soluzione delle controversie “frontaliers” esistenti e al 
mantenimento dei fiumi Rio Grande e Colorado come frontiera internazionale tra 
gli Stati Uniti del Messico e gli Stati Uniti d’America. Lo Scambio di note tra 
Brasile ed Uruguay (Montevideo, 21 luglio 1972) costituente un accordo relativo 
alla demarcazione definitiva della foce del fiume Chui e della frontiera 
marittima laterale. L’Accordo concluso tra Polonia e l’ex Cecoslovacchia 
(Varsavia, 21 marzo 1975) concernente una modifica della linea di demarcazione 
del confine statale e certe altre questioni relative alla costruzione e al 
funzionamento assicurato dalla Polonia di una diga sul fiume Dunajec. Lo Scambio 
di note tra Brasile ed Argentina (Buenos Aires, 16 settembre 1982) costituente 
un accordo relativo alla demarcazione della frontiera tra i due paesi sulla 
sezione del fiume Uruguay dove si trovano le isole Chafariz e Buricá o Mburicá. 
Lo Scambio di note tra Brasile ed Argentina (Brasilia, 20 ottobre 1983) 
costituente un accordo relativo alla delimitazione della frontiera comune, 
definita dal talweg dell’Uruguay nell’ambito del Progetto di sviluppo della 
regione di Garabi. 
7) Per “Stato di un corso d’acqua” s’intende un paese parte 
della convenzione-quadro nel cui territorio si trova una parte di un corso 
d’acqua internazionale, o “un’organizzazione d’integrazione economica regionale” 
(cioè qualsiasi organizzazione istituita dagli Stati sovrani di una determinata 
regione, verso la quale gli stessi Stati membri hanno limitato le proprie 
competenze su alcune materie previste dalla presente convenzione e che è 
debitamente autorizzata, conformemente alle sue procedure interne, a concludere, 
ratificare, accettare, o approvare la convenzione alla quale s’intende aderire) 
nel territorio di uno o più Stati membri nella quale si trova una parte di un 
corso d’acqua internazionale [art. 2, punti c-d, CUDN]. 
8) Numerosi trattati internazionali già si occupano o si sono 
occupati in modo specifico della disciplina della navigazione fluviale. Tra gli 
altri: il Trattato di commercio e di navigazione fluviale, concluso tra Brasile 
e Bolivia (Rio de Janeiro, 12 agosto 1910). L’Accordo concluso tra la Liberia e 
il Regno Unito di Gran Bretagna/Irlanda del Nord (Monrovia, 10 aprile 1913) 
relativo alla navigazione sul fiume Manoh e la cui abrogazione avvenne il 23 
marzo 1920. Lo Scambio di note tra Italia e Regno Unito (Roma, 12 e 15 giugno 
1925) concernente la regolamentazione dell’utilizzazione delle acque del fiume 
Gâch. Lo Scambio di note tra Regno Unito di Gran Bretagna/Irlanda del Nord e 
Siam (Bangkok, 17 luglio 1927, 7 febbraio, 18 febbraio e 21 agosto 1928) 
concernente la navigazione del Mekong. La Convenzione tra l’ex Cecoslovacchia e 
l’Ungheria per l’applicazione del regolamento de police de la navigation nel 
settore del Danubio che segna la frontiera tra l’Ungheria e l’ex Cecoslovacchia, 
oltre che per il regolamento dell’esercizio della navigazione su tale settore 
del fiume, con protocollo addizionale, firmati a Praga, il 14 novembre 1928, e 
il secondo protocollo addizionale, sottoscritto a Budapest, il 30 gennaio 1931, 
e a Praga, il 10 marzo 1931. La Convenzione conclusa tra la Bulgaria, la ex 
Cecoslovacchia, la Repubblica Socialista Sovietica d’Ucraina, la Romania, 
l’Ungheria, l’ex U.R.S.S., relativa al regime della navigazione sul Danubio (con 
annessi e protocollo addizionale). L’Accordo concluso tra Romania ed Austria 
(Bucarest, 11 maggio 1955) portante la regolamentazione di certe questioni 
relative alla navigazione sul Danubio. Lo Scambio di note tra Canada e Stati 
Uniti (Ottawa, 23 luglio e 26 ottobre 1956 e 26 febbraio 1957) costituente un 
accordo concernente i lavori di miglioramento della navigazione nei canali di 
comunicazione dei Grandi Laghi (via marittima di San Lorenzo). Gli artt. 1-16 
dell’Annesso 8 (Navigazione fluviale) al Trattato concluso tra la Francia e l’ex 
Repubblica Federale Tedesca sulla regolazione della questione relativa alla 
Sarre (Lussemburgo, 27 ottobre 1956). La Convenzione conclusa tra la Francia e 
l’ex Repubblica Federale Tedesca (Lussemburgo, 27 ottobre 1956) sulla 
regolazione del corso superiore del Reno tra Bâle e Strasburgo. L’Accordo 
concluso tra Bulgaria e la ex Yugoslavia (Sofia, 19 aprile 1957) portante una 
più precisa regolamentazione della navigazione sul Danubio (con lettere 
annesse). L’Accordo concluso tra ex U.R.S.S. e Austria (Mosca, 14 giugno 1957) 
concernente il regolamento di certe questioni tecniche e commerciali relative 
alla navigazione sul Danubio. Il Protocollo preliminare sottoscritto tra il 
Brasile e la Bolivia (La Paz, 29 marzo 1958) relativo al regime permanente della 
navigazione sui fiumi brasiliani e boliviani appartenente al sistema idrografico 
amazzone. L’Accordo tra Alto Volta Chad Camerun, Costa d’Avorio Dahomei, Guinea, 
Mali, Niger, Nigeria (Niamey, 26 ottobre 1963) relativo alla navigazione e alla 
cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger. Lo Scambio di note 
tra Argentina e Uruguay (Buenos Aires, 8 e 12 febbraio 1967) costituente un 
accordo relativo ai problemi della navigazione fluviale. La Convenzione conclusa 
tra Dahomey, Mali, Niger, Nigeria e Paesi Bassi (Niamey, 22 settembre 1967) 
concernente uno studio sulla navigabilità della parte centrale del fiume Niger. 
L’Accordo concluso tra Austria e Svizzera (Lago di Costanza, 1° giugno 1973) 
relativo alla navigazione sul Vecchio Reno. L’Accordo tra l’ex Repubblica 
federale tedesca e la Svizzera (Lago di Costanza, 1° giugno 1973). L’Accordo 
concluso tra Iran ed Iraq (Bagdad, 26 dicembre 1975) concernente le regole 
relative alla navigazione nello Shatt Al Arab (con scambio di lettere). Lo 
Statuto del fiume Uruguay sottoscritto tra Argentina e Uruguay (Salto, 26 
febbraio 1975). Lo Scambio di note tra la Francia e l’ex Repubblica Federale 
Tedesca (Bonn, 6 dicembre 1982) costituente un accordo relativo alla regolazione 
del Reno tra Budhenheim e Saint-Goar. L’Accordo concluso tra Finlandia ed ex 
U.R.S.S. (Helsinki, 26 ottobre 1989) relativo alle regole disciplinanti gli 
affluenti del lago Saimaa e del fiume Vuolsi (con annessi). 
9) La nozione di “sistema di corso d’acqua” - introdotta per la 
prima volta nella sessione della CDI del 1980 come formula di compromesso (e 
riportata nell’art. 2, par. a, del progetto di Convenzione adottato dal Gruppo 
di lavoro – UN Doc. A/51/869), p. 6 - non è nuova nel campo del diritto 
internazionale. Questa espressione è impiegata da lungo tempo negli accordi 
internazionali per indicare un fiume o un corso d’acqua, i suoi affluenti e i 
canali che vi sono collegati. Così il Trattato di pace di Versailles del 1919 
(art. 331), la Convenzione che stabilisce lo statuto definitivo del Danubio 
(artt. 1-2), la Convenzione tra l’ex U.R.S.S. e l’Ungheria (Uzhgorod, 9 giugno 
1950) concernente misure per prevenire inondazioni e regolare il regime delle 
acque alla frontiera russo-ungherese nell’area del fiume Tibisco (artt. 1-2), il 
Trattato del 1960 concluso tra l’India e il Pakistan (preambolo, artt. 1, parr. 
2-3 e 8), l’Accordo del 1964 tra la Polonia e l’ex U.R.S.S. relativo all’idroeconomia 
delle acque di frontiera (art. 2, par. 3), la Convenzione del 1972 tra l’Italia 
e la Svizzera concernente la protezione delle acque italo-svizzere contro 
l’inquinamento, l’Accordo tra la Finlandia e la Svezia relativo ai fiumi 
frontalieri del 16 settembre 1971 (art. 1), l’Accordo relativo al Piano d’Azione 
per la gestione ecologicamente razionale del bacino comune dello Zambesi e il 
Piano d’Azione in allegato (par. 15), l’Atto relativo alla navigazione e alla 
cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger, la Convenzione che 
istituisce l’Organizzazione per la valorizzazione del bacino del Gambia, la 
Convenzione e i loro Statuti relativi alla valorizzazione del bacino del Chad, 
il Trattato del bacino di Rio de la Plata, il Trattato relativo alla 
valorizzazione delle risorse idrauliche del bacino del fiume Columbia, concluso 
il 17 gennaio 1961 tra Canada e Stati Uniti d’America, ecc. Nonostante il largo 
impiego del termine, la commissione ha deciso di superare tale concezione nella 
sessione del 1991 (UN Doc. A/46/10, pp. 154-160) – nella quale ha introdotto 
l’espressione “corso d’acqua internazionale”. Si sottolineò, nelle precedenti 
sessioni, da parte di alcuni delegati, che la nozione “sistema di corso d’acqua” 
era imprecisa e relativa, nel senso che tale nozione avrebbe potuto definirsi 
internazionale solo nella misura in cui l’uso delle acque in un suo punto avesse 
potuto causare degli effetti in altre parti sistema medesimo situate oltre 
confine (Report of the Commission on the Work of its Thirty-Second Session, in 
Yearbook of Int. Environmental Law, 1980, vol. II, pt. 2, pp. 108-109; Report of 
the Commission on the Work of its Thirty-Fifth Session, in Yearbook of the 
International Law Commission, 1983, vol. II, pt. 2, p. 69, par. 228).
10) Esistono, tuttavia anche delle acque sotterranee non 
comunicanti con corsi d’acqua di superficie (serbatoi sotterranei isolati, non 
aventi cioè alcun collegamento fisico con le acque di superficie). Se 
precedentemente la Commissione del diritto internazionale e successivamente il 
Gruppo di lavoro dell’Assemblea generale avevano escluso dall’ambito di 
applicazione del progetto di Convenzione-quadro, la nozione di acque sotterranee 
non comunicanti (UN Doc. A/49/10, pp. 201-202), nella sessione del 1994 la 
Commissione del diritto internazionale riconosceva, in una separata risoluzione, 
l’applicabilità dei principi contenuti nel progetto di articoli alle acque 
sotterranee non comunicanti, ma affievoliva tale assunto con la raccomandazione 
agli Stati «… to be guided by the principles contained in the draft articles on 
the law of the non-navigational uses of international watercourses, where 
appropriate, in regulating transboundary aquifers” (UN Doc. A/49/10, p. 326). La 
distinzione tra acque sotterranee non comunicanti ed acque sotterranee 
fisicamente collegate con corsi d’acqua superficiali, non compare, quanto agli 
effetti giuridici, in una serie di strumenti internazionali: a) l’art. 1 delle 
Regole di Seul adottate dall’ILA (Associazione di Diritto Internazionale) nel 
1986; b) il capitolo 18 dell’Agenda 21 di Rio del 1992; c) il punto 1 
dell’Annesso alla Dichiarazioni di principi sugli accordi di autogoverno 
provvisorio (Washington, 13 settembre 1993), concluso tra Israeliani e 
Palestinesi che si prefigge di studiare la ripartizione delle risorse idriche 
sotterranee; d) l’art. 40 dell’Accordo provvisorio su West Bank e striscia di 
Gaza (Washington, 28 settembre 1995) concluso tra Israele e Palestina che 
definisce le rispettive responsabilità delle parti nell’uso e gestione delle 
risorse idriche dei territori in questione che, in parte preponderante, sono 
racchiuse in falde sotterranee isolate dai corsi d’acqua di superficie. 
11) Tra le prime ricordiamo a) l’art. II delle Regole di 
Helsinki del 1966; b) i parr. 10, lett. a) e b) e 39, lett. a) del Piano 
d’Azione di Mar del Plata, adottata in seno alla Conferenza delle Nazioni Unite 
sull’acqua tenutasi a Mar del Plata tra il 14-25 marzo 1977; c) l’art. III, par. 
2 della Carta sulla gestione delle acque sotterranee approvata nel 1989 dall’ECE 
(Economic Commission for Europe); d) il cap. 18 dell’Agenda 21 adottata alla 
Conferenza di Rio del 1992. Tra le convenzioni internazionali ricordiamo: a) 
l’art. 4 dello Statuto relativo allo sviluppo del bacino del Chad; b) l’art. 2 
dell’Accordo concernente l’uso delle risorse idriche nelle acque di frontiera 
(Varsavia, 17 luglio 1964) concluso tra la Polonia e l’ex Unione Sovietica; c) 
l’art. 1 della Convenzione concernente la protezione delle acque italo-svizzere 
dall’inquinamento (Roma, 20 aprile 1972) concluso tra l’Italia e la Svizzera; d) 
il punto 5 della “Minute 242” (su cui è basato l’accordo) dell’Accordo sulla 
soluzione definitiva del problema internazionale della salinità del fiume 
Colorado (Città del Messico, 30 agosto 1973) concluso tra Messico e Stati Uniti.
12) Sull’uso dei corsi d’acqua per fini diversi dalla 
navigazione la commissione del diritto internazionale, sino al 1974, era 
orientata per la compilazione di una lista predefinita sulle diverse possibili 
utilizzazioni dell’acqua. Tale orientamento si evince dal punto D del 
questionario predisposto dalla Commissione (in Yearbook of Int. Environmental 
Law, 1976, vol. II, pp. 147-148). Tuttavia, preso atto del convergente 
orientamento emerso dalle risposte degli Stati – che indicava solo una possibile 
lista non esaustiva e quindi da interpretarsi come strumento-guida – la 
Commissione, successivamente, ha deciso di elaborare delle regole generali 
applicabili a tutte le utilizzazioni dei corsi d’acqua come emerge dal testo UN 
Doc. A/49/10, p. 197. L’’art. 1, par. 1 del progetto di convenzione adottato 
dalla CDI nel 1994, precisa, infatti, che il termine “usi” deve interpretarsi in 
senso ampio, cioè come comprensivo di tutte le utilizzazioni dei corsi d’acqua 
differenti dalla navigazione. La definizione della CDI viene sostanzialmente 
riportata nella stesura finale della convenzione-quadro sulle utilizzazioni dei 
corsi d’acqua internazionali.
13) Una riserva di questo tipo è contenuta anche nella 
Dichiarazione di Delft, adottata alla conclusione del simposio tenutosi nei 
Paesi Bassi (Delft) dal 3 al giugno 1991, sotto gli auspici dell’UNEP (United 
Nations Development Programme). La Dichiarazione prevedeva che dagli anni 2000 
circa la metà della popolazione mondiale sarebbe vissuta nelle città. Ciò 
avrebbe notevolmente accresciuto il bisogno d’acqua nelle zone metropolitane, 
aggravato anche dal crescente uso dell’acqua per fini agricoli e dai problemi 
generati dall’inquinamento urbano e industriale. Gli specialisti che sono 
intervenuti nel simposio hanno concluso che occorrerà adottare preventivamente, 
per soddisfare durevolmente i bisogni dell’umanità, delle misure di protezione e 
conservazione dell’acqua e delle risorse dell’ambiente. Queste misure saranno 
impossibili da applicare se quella o un'altra tipologia di uso dell’acqua 
benefici di un trattamento prioritario. L’assenza di un ordine di priorità 
faciliterà l’applicazione delle misure miranti ad assicurare la soddisfazione 
dei bisogni umani essenziali. 
14) Si ricordano, tra l’altro: L’Accordo (con regolamento 
annesso) concluso tra la Finlandia e la Svezia (Stoccolma, 17 febbraio 1949) 
relativo al trasporto di legname sulle acque del fiume di frontiera tra Torne e 
Muonio. Lo Scambio di lettere tra Belgio e Paesi Bassi costituente un accordo 
per l’aumento provvisorio delle tariffe di pilotaggio sull’Escaut (Bruxelles, 25 
settembre, 9 e 14 novembre 1951). Lo Scambio di note costituente un Accordo 
concluso tra la Finlandia e la Svezia (Stoccolma, 22 settembre 1958) relativo ad 
un servizio di traghetto sulla Torne. Lo Scambio di note tra Finlandia e Svezia 
(Helsinki, 21 novembre 1960) costituente un accordo relativo ad un servizio di 
ferry-boat sul fiume Muonio. Lo Scambio di note costituente un accordo relativo 
ai servizi di pilotaggio sui Grandi Laghi e il San Lorenzo (Washington, 5 maggio 
1961). Lo Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 13 
aprile 1967) costituente un accordo concernente il coordinamento dei servizi di 
pilotaggio nelle acque del bacino dei Grandi Laghi e la via marittima di San 
Lorenzo. La Convenzione conclusa tra Belgio e Paesi Bassi (Bruxelles, 12 
dicembre 1968) che modifica il Regolamento relativo al pilotaggio sull’Escaut, 
nelle foci di questo fiume e sul canale di Terneuzen. L’Accordo concluso tra la 
Finlandia e la Svezia (Stoccolma, 20 marzo 1969) relativo ad un servizio di 
traghetto sul Muonio. La Convenzione conclusa tra il Brasile e l’Uruguay 
(Rivera, 12 giugno 1975) relativa al trasporto fluviale e lacustre. L’Accordo 
concluso tra il Brasile e il Perù relativo ai trasporti fluviali (concluso a 
bordo della nave peruviana Ucayaly à l’ancre sull’Amazzonia alla frontiera 
brasilio-peruviana, in data 5 novembre 1976). Il Protocollo sottoscritto tra la 
Francia e il Suriname (San Lorenzo del Maroni, 23 dicembre 1991) per la 
cooperazione concernente l’istituzione di un servizio provvisorio di trasporto 
delle persone, di veicoli e di nolo per la traversata del fiume Maroni tra 
Albinia (Suriname) e San Lorenzo del Maroni (Guyane francese) (con annesso). 
L’Accordo concluso tra la Federazione di Russia e la Lituania (Vilnius, 18 
novembre 1993) relativo alla cooperazione in materia di trasporto fluviale.
15) Diversamente si obiettò (PINTO, A/CN.4/SR. 1609, punto 28, 
in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1980, vol. I) che sarebbe 
stato più pragmatico e coerente con la prassi degli Stati definire un “corso 
d’acqua” come un «cours d’eau, affluents, lacs ou chenaux separant ou traversant 
les territoires de deux ou plusieurs Etats», e quindi aggiungere nello stesso 
paragrafo la locuzione «à des fins autres que la navigation» dopo l’espressione 
«utilisations de l’eau des réseaux de voies d’eau internationales». La 
considerazione del Presidente Pinto non era del tutto peregrina in quanto in 
precedenti trattati internazionali, la natura internazionale di un fiume 
internazionale si ricavava da un preciso dato: quando un fiume attraversa(va) 
diversi Stati o separa(va) almeno due paesi. Così, l’art. V del Trattato di pace 
tra Austria e Francia (Parigi, 30 maggio 1814), l’art. 108 dell’Atto finale del 
Congresso di Vienna (9 giugno 1815), l’art. 331 del Trattato di pace con la 
Germania (Versailles, 28 giugno 1919), lo Statuto sul regime delle vie d’acqua 
navigabili d’interesse internazionale (Barcellona, 20 aprile 1921), l’art. 1 del 
Regolamento approvato alla sessione di Parigi del 1934. Tuttavia, successivi 
trattati internazionali hanno sostituito il termine “fiume” con la locuzione 
“corso d’acqua” considerandosi che altri elementi secondari (affluenti e laghi) 
possono contribuire a formare il braccio principale di un fiume per usi 
economici-industriali (ZICCARDI, Dei corsi d’acqua internazionali e della loro 
utilizzazione da parte dei privati, in Vita giur. int., 1992, p. 438). Infine, 
il Presidente (M. Pinto, A/CN.4/SR. 1609, punto 35, in Annuaire de l’Institut de 
Droit International, 1980, vol. I) che nello stesso art. 1 occorrerà inserire la 
locuzione «utilisations de l’eau des réseaux de voies d’eau internationales» 
insieme ai problemi connessi all’uso, quali la lotta contro le inondazioni, 
l’erosione, la sedimentazione, l’intrusione di acqua salata, l’inquinamento. Ciò 
perché le diverse modalità di utilizzo di un corso d’acqua internazionale sono 
interdipendenti e quindi non sarebbe pratico prevedere diversi articoli in 
rapporto ai diversi usi. 
16) Per quanto concerne l’uso, la gestione e la valorizzazione 
delle comuni risorse presenti in acqua, si raccomanda che le politiche nazionali 
tengano conto del diritto che ciascun paese ha – essendo parte della divisione 
di queste risorse – di utilizzare equamente per promuovere dei legami di 
solidarietà e di cooperazione (in particolare principi 90-91). Nella sessione di 
Salisburgo del 1961, l’Istituto di diritto internazionale ha adottato una 
risoluzione sull’uso dei corsi d’acqua per fini diversi dalla navigazione che 
prevede in particolare il diritto di ogni Stato di un corso d’acqua di 
utilizzare le acque che attraversano o costeggiano il proprio territorio e 
prevede, inoltre, in caso di disaccordo, il regolamento delle controversie sulla 
base dell’eguaglianza. Si vedano anche: la Convenzione conclusa tra l’ex 
Yugoslavia e la Romania (Belgrado, 14 dicembre 1931) concernente la navigazione 
e il sistema idrotecnico del canale e del fiume Bega; il Trattato concluso tra 
Germania e Paesi Bassi (L’Aja, 17 maggio 1939) per lo sfruttamento delle miniere 
di carbone situate lungo il fiume Worm (con Protocollo finale). L’Annesso 14 al 
Trattato concluso tra la Francia e l’ex Repubblica Federale Tedesca sulla 
regolamentazione della questione relativa alla Saar (Lussemburgo, 27 ottobre 
1956) prevede una lista (I. Mines; II Energie; III Travaux publics) dei grandi 
progetti di cui al par. 3, a, dell’art. 48 del presente trattato. L’Accordo 
concluso tra il Lussemburgo e l’ex Repubblica Federale Tedesca (Bonn, 14 
settembre 1976) sulla manutenzione, il rinnovo e lo sfruttamento della parte 
della Mosella comune ai due Stati. 
17) Il principio dell’equa utilizzazione dei corsi d’acqua 
internazionali è già presente in numerosi precedenti strumenti internazionali 
vincolanti e non vincolanti. In particolare: L’art. 7, parr. 2-3 dell’Annesso 8 
(Navigazione fluviale) al Trattato concluso tra la Francia e l’ex Repubblica 
Federale Tedesca sulla regolamentazione della questione relativa alla Saar 
(Lussemburgo, 27 ottobre 1956) dispone che «Chacun des deux governements excerce 
la police fluviale dans la partie de la Sarre située sur son territoire. Les 
autorités compétentes des deux pays s’apportent mutuellement leur concours è cet 
effet» (par. 2) e che «l’utilisation normale de l’eau, telle qu’elle résulte de 
la réglementation en vigueur dans le pays d’utilisation, est libre dans la 
partie de la rivière Sarre formant frontière. Toute utilisation ne remplissant 
pas les conditions précédentes nécessite, à partir de la date d’entrée en 
vigueur du traité, l’accord réciproque des deux gouvernements» (par. 3). L’art. 
3 della Risoluzione dell’Istituto di diritto internazionale dedicata agli usi 
delle acque internazionali non marittime (Salisburgo, 1961). L’art. IV delle 
Regole di Helsinki elaborate dall’ILA nel 1966. La Raccomandazione n. 51 del 
Piano di Azione sull’ambiente umano approvato dalla Conferenza di Stoccolma nel 
1972. Il principio 1 dei Principi di condotta nel campo ambientale per la guida 
degli Stati nella conservazione e armoniosa utilizzazione delle risorse naturali 
condivise tra due o più Stati, approvato nel 1978 dall’UNEP. La Raccomandazione 
n. 91 del Piano d’Azione adottato dalla Conferenza delle Nazioni Unite 
sull’acqua (Mar del Plata, marzo 1977). Una ripartizione territoriale delle 
risorse idriche condivise si ritrova nell’art. 2 della Convenzione per la 
regolamentazione dell’approvvigionamento idrolettrico delle sezioni 
internazionali del fiume Douro e dei suoi affluenti (Lisbona, 16 luglio 1964) 
conclusa tra Portogallo e Spagna. Un sistema di rotazione e alternanza nello 
sfruttamento dei benefici connessi al corso d’acqua emerge nell’art. I, sez. IV, 
parte II, dell’Atto finale di delimitazione della frontiera internazionale dei 
Pirenei (Bayonne, 11 luglio 1868) concluso tra Francia e Spagna. Una 
ripartizione per quote uguali della risorsa comune si trova nell’art. VI del 
Trattato relativo agli usi delle acque del fiume Niagara concluso tra Canada e 
Stati Uniti il 27 febbraio 1950. Una ripartizione proporzionale dei benefici 
connessi al corso d’acqua emerge dall’art. 5 della Convenzione per la gestione 
del potenziale idroelettrico del Rodano conclusa tra Francia e Svizzera il 4 
ottobre 1913. Sistemi più complessi di ripartizione, ma sempre ispirati al 
principio dell’equa utilizzazione, emergono: a) dagli artt. 4, 10, 15 del 
Trattato relativo alla utilizzazione delle acque dei fiumi Colorado, Tijuana e 
Rio Grande (Washington, 14 novembre 1949 concluso tra Messico e Stati Uniti); b) 
dagli artt. 1-3 del Trattato concernente lo sviluppo integrato del fiume 
Mahakali, concluso il 12 febbraio 1996 tra India e Nepal; c) dall’art. II, parr. 
3-5 dell’Accordo sulla piena utilizzazione delle acque del Nilo, concluso l’8 
novembre 1959 tra Egitto e Sudan; d) dagli artt. II-III del Trattato sulle acque 
dell’Indo concluso tra India e Pakistan il 19 settembre 1960; e) dagli artt. 
II-VII del Trattato relativo allo sviluppo delle risorse idriche del bacino del 
fiume Columbia, concluso tra Canada e Stati Uniti il 17 gennaio 1961; f) 
dall’art. II, par. 1 (con rinvio agli Annessi I-II) del Trattato sulla 
ripartizione delle acque del Gange (Nuova Delhi, 12 dicembre 1996), concluso tra 
Bangladesh ed India. Nella prassi giurisprudenziale il criterio di equità trova 
applicazione in rapporto ai problemi di delimitazione marittima nella sentenza 
della Corte Internazionale di giustizia del 1969 (caso Piattaforma continentale 
del Mare del Nord, Danimarca e Paesi Bassi vs. ex Repubblica Federale di 
Germania, in International Court of Justice, Report of Judgements, Advisory 
Opinions and Orders, 1969, p. 4). Nella sentenza della Corte Permanente di 
Giustizia Internazionale del 1929 nel caso della Giurisdizione territoriale 
della Commissione Internazionale del fiume Oder, in Permanent Court of 
International Justice, Collection of Judgements, Ser. A, n. 23, pp. 26-28. Nel 
caso Lago Lanoux, in United Nations Reports of International Law, vol. XII, p. 
315. Nella sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, 25 settembre 1977, 
caso Progetto Gabčíkovo-Nagymaros, Slovacchia-Ungheria, in International Legal 
Magazine., 1998, p. 190, par. 78.
18) Il proposito n. III dispone in particolare: a) che ogni 
Stato del bacino ha, sul proprio territorio, un ragionevole ed eguale diritto di 
partecipare ai vantaggi che deriva dall’uso delle acque di un bacino di 
drenaggio internazionale; b) i paesi del bacino in questione stabiliscono, in 
ogni circostanza particolare, «ce qu’il faut entendre par une partecipation 
raisonnable et équitable, compte tenu de tous les facteurs pertinents». Nelle 
organizzazioni internazionali non governative si giunge alle stesse conclusioni.
19) Come si sostiene M. ARCARI, Il regime giuridico delle 
utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali. Principi generali e norme 
sostanziali, Cedam, 1998, pp. 343-357) l’obiettivo specifico della disposizione 
in questione, è quello di fornire delle direttive per l’applicazione della norma 
generale dell’equa e ragionevole utilizzazione che ha natura flessibile essendo 
variabile a seconda delle circostanze rilevanti in una data situazione concreta. 
Quanto alla lista di fattori, questa non può che assumere carattere 
esemplificativo in quanto la varietà dei corsi d’acqua internazionali e la 
molteplicità dei loro usi renderebbe impossibile e poco utile la previsione di 
elenchi dettagliati ed esaustivi di fattori. Inoltre, la lista non vuole 
attribuire un ordine di priorità ai fattori in essa indicati, dovendo il valore 
specifico di ciascuno venir determinato caso per caso. Naturalmente tale regola 
non è destinata ad operare qualora esista o un accordo specifico o una 
consuetudine particolare tra rivieraschi che stabilisca diversamente (UN Doc. 
A/49/10, p. 257, parr. 3-4). Va attribuito tuttavia nel secondo paragrafo un 
ruolo speciale “ai bisogni umani vitali” – impieghi dell’acqua a fini domestici, 
sanitari e alimentari - nel senso che, nella soluzione dei conflitti tra 
utilizzazioni, una speciale attenzione debba essere destinata ad assicurare la 
quantità d’acqua indispensabile al sostentamento della vita umana. Nella 
prospettiva della Commissione del diritto internazionale, il criterio dei 
bisogni umani vitali non sarebbe altro che una forma accentuata del fattore già 
elencato all’art. 6, che fa riferimento ai “bisogni sociali ed economici” degli 
Stati rivieraschi, e resterebbe dunque una delle circostanze rilevanti che i 
paesi rivieraschi debbono considerare nel risolvere un conflitto tra diverse 
utilizzazioni di un corso d’acqua internazionale UN Doc. A/49/10, pp. 257-258, 
par. 4). La salvaguardia delle necessità umane, del resto, si ritrova 
implicitamente nel principio 3 della Dichiarazione di Rio su ambiente e 
sviluppo. Più specifico, il cap. 18 dell’Agenda 21 alla sezione D (parr. 
18.47-18.55) e alla sezione F (parr. 18-56-1864).
20) I fattori che possono interessare un corso d’acqua, sono 
anche previsti all’art. V delle Regole di Helsinki. Ed ancora, l’obbligo di 
assicurare la protezione e la sicurezza delle opere si trova in alcuni 
precedenti accordi internazionali: art. 8 della Convenzione del 1957 conclusa 
tra la Confederazione svizzera e la Repubblica italiana relativo 
all’utilizzazione della forza idraulica dello Spöl; art. 2 della Convenzione 
relativa alla sfruttamento idroelettrico dell’Emosson, conclusa nel 1963 tra la 
Francia e la Svizzera.
21) Nel Trattato concluso tra Canada e Stati Uniti d’America 
(1961) relativo allo sviluppo delle risorse idriche del fiume Colombia, i 
criteri di ripartizione dei benefici sono stabiliti agli artt. II-VII, mentre 
nel Trattato concluso tra Bangladeh e India (Nuova Dheli, 12 dicembre 1996) 
sulla ripartizione delle acque del Gange, all’art. II, par. 1 e agli Annessi I e 
II. 
22) Progetti relativi all’energia elettrica e all’irrigazione 
(Libano) (Washington, 25 agosto 1955). Progetto relativo alla regolazione del 
Johore in Malaysia (26 febbraio 1965). Progetto d’irrigazione del Colorado in 
Messico (Washington, il 26 gennaio 1968). Progetto di espansione della Centrale 
elettrica del Volta (in Ghana) (Washington in data 23 giugno 1969). Progetto 
idroelettrico del Lindo (Honduras) (Washington, il 12 giugno 1968). Progetto di 
drenaggio del delta del Nilo (17 aprile 1970). Progetto idroelettrico di Kamburu 
(in Svezia) (Washington, 7 giugno 1971). Progetto idroelettrico di Kamburu 
(Washington, 7 giugno 1971). Progetto relativo ai trasporti fluviali (in Zaire) 
(21 giugno 1971). Progetto relativo alla sistemazione di polders en bordure del 
fiume Senegal (9 gennaio 1974). Progetto del fiume Chico relativo 
all’irrigazione (nelle Filippine) (Washington l’8 aprile 1976). Progetto 
relativo alla manutenzione del sistema d’irrigazione del bacino dell’Eufrate 
(Damasco, 22 luglio 1976). Progetto di drenaggio del delta del Nilo e altri 
progetti (Bonn, 28 giugno 1977). Progetto relativo a delle operazioni di 
drenaggio del delta del Nilo (seconda fase) in virtù di un accordo sottoscritto 
a Washington il 15 luglio 1977 tra la Banca Internazionale per la ricostruzione 
e lo sviluppo, l’Associazione Internazionale di sviluppo e l’Autorità pubblica 
egiziana [Progetto relativo a delle operazioni di drenaggio del delta del Nilo 
(seconda fase) finanziato dall’Associazione Internazionale dello Sviluppo e 
l’Egitto (Washington il 15 luglio 1977). Progetto relativo a delle operazioni di 
drenaggio del delta del Nilo (seconda fase) finanziato dalla Banca 
Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Washington il 15 luglio 
1977)]. Seconda fase del progetto polivalente di regolazione del fiume Magat 
(nelle Filippine) (Washington il 23 maggio 1978). Seconda fase del progetto 
d’irrigazione a molteplici obiettivi del fiume Magat (nelle Filippine) (Roma il 
26 gennaio 1979). Progetto d’irrigazione mediante le acque del fiume Khutiya 
(fase I) (in Nepal) (Katamandou il 24 novembre 1980). Progetto di ripristino dei 
sistemi di pompaggio sul Nilo Blanc (in Sudan) (Washington il 27 marzo 1981). 
Progetto relativo al trasporto fluviale (in Congo) (Washington, 10 marzo 1982). 
Progetto per la fornitura d’elettricità nelle zone rurali dello Stato d’Alagoas 
e di studio di fattibilità per lo sviluppo agricolo nella valle del fiume Mearim 
(in Brasile) (Brasilia, 9 dicembre 1983). Progetto di regolazione e di drenaggio 
del fiume Narmada (Stato di Gujarat) (Washington il 10 maggio 1985). Progetto 
per la valorizzazione del fiume Narmada (Gujarat): dighe ed elettrificazione del 
Sardar Sarovar (Washington, 10 maggio 1985). Progetto di sviluppo rurale 
dell’Alto bacino del fiume Canar (in Ecuador) (Roma il 28 giugno 1991. Progetto 
di rinnovamento delle opere di protezione contro le piene del Sistan (in Iran) 
(Washington, 5 giugno 1992). Progetto relativo ad un programma di sostegno 
regionale ai popoli indigeni del Bacino dell’Amazzonia (Roma in data 24 luglio 
1992). Progetto di protezione dei fiumi (nel Bangladesh) (Washington, 21 
dicembre 1995).
23) La disciplina dell’utilizzazione dei corsi d’acqua 
internazionali per fini diversi dalla navigazione risale già a tempi meno 
recenti della presente CUDN. Si ricordano: L’Accordo concluso il Portogallo e 
l’Unione Sud-Africana (Cap, 1° luglio 1926) concernente l’utilizzazione delle 
acque del fiume Kunene in vista delle installazioni di forze idrauliche, 
d’inondazione e d’irrigazione nel territorio sottoposto al Mandato del Sud-Ovest 
Africano. Lo Scambio di note tra Egitto e Gran Bretagna/Irlanda del Nord 
relativo all’utilizzazione delle acque del Nilo per i bisogni dell’irrigazione (El 
Cairo, 7 maggio 1929). Lo Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America 
(Washington, 20 maggio 1941) costituente un accordo relativo alla provvisoria 
derivazione di un volume d’acqua supplementare del Niagara, a monte della 
cascata, per il conseguimento della forza motrice. L’Accordo (con Protocollo) 
concluso tra Argentina ed Uruguay (Montevideo, 30 dicembre 1946) relativo 
all’utilizzazione delle rapidi del fiume Uruguay nella regione del Salto Grande. 
Il Trattato concluso tra il Canada e gli Stati Uniti d’America (Washington, 27 
febbraio 1950) concernente la derivazione delle acque del Niagara. L’Accordo 
concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Oslo, 25 aprile 1951) relativo alla 
derivazione delle acque dei laghi Garsjöen, Kjerringvatm e Förstevannene presso 
il Gandvik a Näätämö (Neiden). L’Accordo concluso tra Giordania e Siria 
(Damasco, 4 giugno 1953) relativo all’utilizzazione delle acque dello Yarmouk; 
Protocollo concluso tra Austria ed ex Yugoslavia (Vienna, 27 novembre 1954) – 
all’Accordo concernente le questioni idrotecniche del settore frontaliero del 
fiume Moura e delle sue acque frontaliere (Accordo di Moura). L’Accordo (con 
annesso) concluso tra Austria ed ex Yugoslavia (Vienna, 27 novembre 1954) 
concernente le questioni idrotecniche del settore frontaliero del fiume Moura e 
delle sue acque frontaliere (Accordo di Moura). L’Accordo (con Annesso) concluso 
tra la Repubblica Araba Unita e il Sudan (El Cairo, 8 novembre 1959) relativo 
alla piena utilizzazione delle acque del Nilo. Il Trattato concluso tra la Banca 
Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, l’India e il Pakistan (Karaci, 
19 settembre 1960) sulle acque dell’Indio (con annessi) e il successivo 
Protocollo sottoscritto il 27 novembre, 2 e 23 dicembre 1960. Lo Scambio di note 
tra Belgio e Paesi Bassi (Bruxelles, 24 febbraio 1961) costituente un accordo 
relativo al Trattato del 12 maggio 1863 regolante il regime delle prese d’acqua 
della Mosa e alla Convenzione dell’11 gennaio 1873 portante modifiche del 
presente Trattato. Lo Scambio di note tra Messico e Stati Uniti d’America 
(Messico, 24 agosto 1966) costituente un accordo relativo al prelevamento delle 
acque del Colorado per l’irrigazione delle terre nella valle di Medicali. Lo 
Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 21 marzo 1969) 
costituente un accordo concernente la provvisoria derivazione delle cascate del 
Niagara, della costa americana, per la produzione di energia. Tra gli accordi 
internazionali sullo sfruttamento risorse di un fiume internazionale (e i suoi 
affluenti) per la produzione idroelettrica, ricordiamo: l’accordo tra Italia e 
Francia con il quale definivano i mutui diritti di utilizzazione del Roja; 
Convenzione conclusa tra il Portogallo e la Spagna (Lisbona, 11 agosto 1927) per 
regolare lo sfruttamento idroelettrico dell’area internazionale del Douro; lo 
Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 27 ottobre e 27 
novembre 1941) costituente un accordo concernente il potenziamento 
dell’utilizzazione dell’acqua per fini d’energia elettrica alle cascate del 
Niagara; l’Accordo concluso tra il Laos e l’ex U.R.S.S. (Mosca, 1°dicembre 1962) 
concernente la concessione di un aiuto economico e tecnico dell’Unione delle 
Repubbliche socialiste sovietiche al Regno del Laos per la costruzione della 
centrale idroelettrica sul fiume Nam Nhiep; l’Accordo sottoscritto a Belgrado il 
30 novembre 1963, tra l’ex Jugoslavia e la Romania, sulla regolazione e lo 
sfruttamento del sistema di produzione d’elettricità e di navigazione, dei porti 
di ferro, sul Danubio; la Convenzione sottoscritta a Belgrado il 30 novembre 
1963, tra l’ex Jugoslavia e la Romania, per l’elaborazione dei piani di 
regolazione del sistema di produzione d’elettricità e di navigazione, dei porti 
di ferro, sul Danubio; la Convenzione sottoscritta a Belgrado il 30 novembre 
1963, tra l’ex Jugoslavia e la Romania, per l’esecuzione dei lavori del sistema 
di produzione d’elettricità e di navigazione, dei porti di ferro, sul Danubio; 
la Convenzione conclusa tra Portogallo e Spagna (Lisbona, 16 luglio 1964) 
relativa allo sfruttamento idroelettrico dei tronchi internazionali del Douri e 
dei suoi affluenti (con protocollo addizionale); l’Accordo di cooperazione 
economica e tecnica concluso tra la Siria e l’ex U.R.S.S. (Damasco, 18 dicembre 
1966) concernente la costruzione della prima tranche di un complesso 
idro-energetico sull’Eufrate; l’Accordo concluso tra la Romania e l’ex U.R.S.S. 
(Bucarest, 16 dicembre 1971) relativo alla comune costruzione del complesso 
idrotecnico dello Stînca-Costesti sul Prout, oltre che alle condizioni di 
sfruttamento dello stesso complesso (con protocolli); l’Accordo concluso tra la 
Finlandia e l’ex U.R.S.S. (Helsinki, 12 luglio 1972) relativo all’utilizzazione, 
per la produzione d’elettricità, dell’area della Vouoksa situata tra le centrali 
idro-elettriche d’Imatra e di Svetogorsk; il Trattato concluso tra il Brasile e 
il Paraguay (Brasilia, 26 aprile 1973) concernente la valorizzazione 
idroelettrica delle acque del Paraná della sovranità comune del Brasile e del 
Paraguay a partire dal Salto Grande de Sede Quedas o del Salto del Guairá fino 
alla foce dell’Iguaçu (con annessi e scambio di note). 
24) Molte di queste disposizioni sono citate anche nei seguenti 
accordi internazionali: Accordo tra l’ex U.R.S.S, la Finlandia e la Norvegia per 
la regolazione del regime del lago Inari au moyen della centrale idroelettrica e 
della Diga di Kaitakoski. Trattato tra gli Stati Uniti d’America e il Messico 
relativo all’uso delle acque del Colorado, della Tijuana e del Rio Grande (Rio 
Bravo) da Fort-Quitman a golfo del Messico. Accordo tra la Repubblica araba 
unita e il Sudan relativo alla piena utilizzazione delle acque del Nilo. 
Trattato relativo al bacino del Rio de La Plata; il Trattato relativo all’uso 
delle acque dell’Indo.
25) In particolare: lo Scambio di note tra Colombia e Venezuela 
(Caracas, 20 luglio 1925) comportante un accordo per la costruzione di un ponte 
internazionale sul fiume Tachira; l’Accordo concluso tra la Polonia e la Romania 
(Bucarest, 24 maggio 1929) sulla costruzione del ponte situato sul Czeremosz tra 
Kuty e Vijnita; l’Accordo concluso tra la Finlandia e la Svezia (Helsinki, 28 
giugno 1957) relativo alla costruzione e alla manutenzione di un ponte sull’Anarjokka; 
l’Accordo concluso tra il Messico e gli Stati Uniti d’America (Ciudad Acuña, 24 
ottobre 1960) relativo alla costruzione dello sbarramento Amsistad sul Rio 
Grande; lo Scambio di note tra Argentina ed Uruguay (Montevideo, 23 novembre 
1960) costituente un accordo relativo alla costruzione di un ponte sull’Uruguay; 
lo Scambio di note tra Argentina ed Uruguay (Montevideo, 8 e 16 giugno 1961) 
costituente un accordo per l’ampliamento dei poteri della Commissione mista per 
la costruzione di un ponte internazionale sull’Uruguay; lo Scambio di note tra 
Finlandia e Svezia (Helsinki, 29 giugno 1963) costituente un accordo relativo 
alla costruzione e alla manutenzione di un ponte sulla Torne ad Aavasaksa; 
l’Accordo concluso tra Argentina e Paraguay (Buenos Aires, 21 ottobre 1964) 
relativo alla costruzione di un ponte internazionale sul Pilcomayo che collega 
Clorinda e Puerto Elsa; lo Scambio di note tra Argentina ed Uruguay (Paysandú, 
12 febbraio 1966) costituente un accordo tendente ad accelerare la costruzione 
di un ponte sull’Uruguay tra Colón e Paysandú; l’Accordo concluso tra 
l’Argentina e l’Uruguay (Buenos Aires, 30 maggio 1967) relativo alla costruzione 
di un ponte internazionale sull’Uruguay nella zona di Fray Bentos (Uruguay) – 
Puerto Unzué (Argentina) [con mappa]; l’Accordo concluso tra Brasile e Paraguay 
(Asunción, 11 dicembre 1967) relativo alla costruzione di un ponte 
internazionale sull’Apa e di una via di collegamento; lo Scambio di note tra 
Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 21 marzo 1969) costituente un 
accordo per la costruzione di una diga provvisoria nel Niagara; lo Scambio di 
lettere tra Argentina e Brasile (Brasilia, 15 marzo 1972) costituente un accordo 
relativo alla costruzione di un ponte sul fiume Iguaçu; l’Accordo di prestito 
(con annesso) relativo ad un progetto per la costruzione di strade e di vie 
d’accesso a New Amsterdam e di un nuovo ponte sulla Canje, sottoscritto tra la 
Guyana e gli Stati Uniti d’America (Georgetown, 14 settembre 1972) e 
successivamente modificato con Accordo concluso (dagli stessi Stati) a 
Georgetown, in data 6 novembre 1975; la Convenzione conclusa tra Francia e 
Spagna (Madrid, 8 febbraio 1973) concernente la costruzione di un ponte 
internazionale sulla Garonna, alla frontiera franco-spagnola detto «Pont du Roy» 
(con protocollo allegato); la Convenzione conclusa tra Belgio e Paesi Bassi (L’Aja, 
24 aprile 1980) relativa al ponte E-39 sulla Mosa e il canale Juliana; lo 
Scambio di note tra Argentina e Brasile (Brasilia, 4 marzo 1982) costituente un 
accordo relativo alla costruzione di un ponte sul fiume Iguaçu; l’Accordo 
concluso tra Portogallo e Spagna (Lisbona, 12 novembre 1983) relativo alla 
costruzione di un ponte internazionale sul Miño; lo Scambio di note tra 
Finlandia e Svezia (Stoccolma, 28 maggio 1985) costituente un accordo relativo 
alla costruzione e all’entrata in funzione di un ponte sul fiume Muonio; lo 
Scambio di note tra Finlandia e Svezia (Stoccolma, 31 maggio 1985) costituente 
un accordo relativo alla costruzione e alla manutenzione di un ponte sul fiume 
Muonio, a Muonio; l’Accordo concluso tra il Portogallo e la Spagna (Madrid, 3 
luglio 1989) relativo alla costruzione di un ponte internazionale sul fiume Miño 
tra Salvaterra e Monçao; l’Accordo concluso tra l’Argentina e il Brasile 
(Uruguaiana, 22 agosto 1989) relativo alla costruzione di un ponte sul fiume 
Uruguay tra le città di São Borja e Santo Tomé; lo Scambio di note tra 
l’Argentina e il Brasile (Brasilia, 20 agosto 1991) costituente un accordo 
relativo alla creazione di un gruppo di lavoro per il funzionamento e il 
controllo di un ponte tra São Miguel do Oeste e San Pedro sul fiume Papiri-Guaçú; 
l’Accordo concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Oslo, 19 maggio 1993) 
relativo alla costruzione di un nuovo ponte sulla Tenojoki (fiume del Tana); 
l’Accordo concluso tra Portogallo e Spagna (Madrid, 12 giugno 1995) relativo 
alla costruzione di un ponte internazionale sul fiume Miño tra Arbo (Spagna) e 
Melgaço (Portogallo); la Convenzione conclusa tra il Portogallo e la Spagna 
(Madrid, 18 gennaio 1996) per la costruzione di un ponte internazionale sul 
fiume Caya tra le città di Badajoz (Spagna) e Elvas (Portogallo); la Convenzione 
conclusa tra il Portogallo e la Spagna (Madrid, 18 gennaio 1996) per la 
costruzione di un ponte internazionale sul fiume Agueda tra le località della 
Fregeneda (Spagna) e Barca d’Alva (Portogallo); la Convenzione conclusa tra il 
Portogallo e la Spagna (Madrid, 24 giugno 1997) per la costruzione di un ponte 
internazionale sul fiume Manzanas tra le località di San Martino de Pedroso 
(Spagna) e Quintanilha (Portogallo); la Convenzione conclusa tra il Portogallo e 
la Spagna (Madrid, 24 giugno 1997) per la costruzione di un ponte internazionale 
sul fiume Tamega tra le località di Feces de Abaixo (Spagna) e Vila Verde de 
Raia (Portogallo); l’Accordo concluso tra il Principato di Andorra e la Spagna 
(Madrid, 13 aprile 1999) per l’ampliamento del ponte internazionale sul fiume 
Runer tra le Città della Farga de Moles (Spagna) e Sant Julià de Lória 
(Andorra).
26) Ed ancora: lo Scambio di note tra l’Egitto e il Regno Unito 
di Gran Bretagna/Irlanda del Nord (a nome dell’Uganda) (El Cairo, 19 gennaio, 28 
febbraio e 20 marzo 1950) costituente un accordo per la cooperazione in materia 
di studi meteorologici e idraulici in certe regioni del bacino del Nilo; lo 
Scambio di note tra Libano e Stati Uniti (Beirut, 15, 21 e 24 febbraio 1951) 
costituente un accordo relativo ad un progetto di cooperazione tecnica tendente 
a completare gli studi tecnici del progetto di Litani; lo Scambio di note tra 
Canada e Stati Uniti (Ottawa, 17 agosto 1954) costituente un accordo che 
modifica e completa l’Accordo relativo al progetto di canalizzazione di San 
Lorenzo (Washington, 30 giugno 1952); il Trattato concluso tra Belgio e Paesi 
Bassi (L’Aja, 23 ottobre 1957) che regola l’illuminazione e le balisage dell’Escaut; 
la Convenzione (con annesso) conclusa tra Belgio e Paesi Bassi (Bruxelles, 24 
ottobre 1957) che modifica il Regolamento sottoscritto ad Anversa il 20 maggio 
1843, relativo al pilotaggio e alla sorveglianza comune sull’Escaut; la 
Convenzione (con annessi) conclusa tra Austria ed ex Yugoslavia (Genève, 25 
maggio 1954) concernente certe questioni di economia idraulica relativo al Drave; 
l’Accordo concluso tra Cambogia, Laos, Thailandia, Vietnam (Bangkok, 26 novembre 
1960, Vietnam, 12 dicembre 1960) relativo alla non imposizione della 
contribuzione fornito dall’Australia per la valorizzazione delle risorse 
idrauliche del bacino inferiore del Mékong; il Trattato concluso tra il Belgio e 
i Paesi Bassi (L’Aja, 27 aprile 1965) relativo allo sfruttamento del carbon 
fossile nelle zone, parallele alla frontiera, delle miniere di carbone situate 
lungo la Mosa (con mappa annessa); la Convenzione per il Fondo di regolazione 
della Nam e del Ngum (con annesso e protocollo), sottoscritta a Washington in 
data 4 maggio 1966, tra la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo 
Sviluppo e l’Australia, il Canada, la Danimarca, il Giappone, il Laos, la Nuova 
Zelanda, i Paesi Bassi, la Thailandia e gli Stati Uniti d’America; la 
Convenzione relativa alla regolazione del Reno tra Strasburgo/Kehl e Lauterbourg/Neuburgweier 
(con annessi), firmato a Parigi, 4 luglio 1969; la Convenzione concernente il 
finanziamento dei lavori di regolamentazione del Reno tra Strasburgo/Kehl e 
Lauterbourg/Neuburgweier (con scambio di lettere), firmato a Parigi, 22 luglio 
1969; l’Accordo concluso tra l’Argentina e l’ex Repubblica federale tedesca 
(Buenos Aires, 23 ottobre 1969) relativo al finanziamento di studi generali sul 
sistema de l’Iberá, nel bacino del Plata (con scambio di lettere); Scambio di 
note tra Messico e Stati Uniti (Thatelolco, 16 novembre 1970) costituente un 
accordo concernente il problema della salinità delle acque del fiume Colorado 
(con, un annesso, il verbale n. 218 approvato il 22 marzo 1965); la Convenzione 
supplementare (Manila, 12 aprile 1976) alla Convenzione sul Fondo per la 
regolazione della Nam, Ngum, conclusa a Manila il 26 giugno 1974, tra la Banca 
Asiatica di Sviluppo e l’Australia, il Canada, la Francia, la Germania, il 
Giappone, l’India, la Nuova Zelanda, la Repubblica Democratica del Laos, il 
Regno Unito della Gran Bretagna/Irlanda del Nord, i Paesi Bassi, la Svizzera e 
la Thailandia; l’Accordo per la sovvenzione del Progetto relativo 
all’istituzione di rilevamento topografico e cartografico del bacino del fiume 
Senegal (con annessi), concluso a Dakar in data 31 agosto 1976, tra 
l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal e gli Stati Uniti 
d’America (Agenzia per lo sviluppo internazionale); l’Accordo di aiuto 
finanziario tra l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal e la ex 
Repubblica Federale Tedesca (Dakar, 13 ottobre 1976); Accordo che istituisce un 
prestito relativo alla regolazione del bacino del fiume Citanduy, concluso tra 
l’Indonesia e gli Stati Uniti d’America, firmato a Jakarta il 28 ottobre 1976; 
l’Accordo che istituisce un prestito Scambio di note tra Canada e Stati Uniti 
(Washington, 29 marzo 1977) costituente un accordo che prevede la sistemazione 
di una sperimentale rete di radiocomando a lunga distanza LORAN-C in prossimità 
del fiume San Maria, in Ontario nel Michigan (con annesso); il Trattato concluso 
tra Brasile ed Uruguay (Brasilia, 7 luglio 1977) relativo alla cooperazione per 
la valorizzazione delle risorse naturali e lo sviluppo del bacino della laguna 
Mirim; il Protocollo sottoscritto da Brasile e Uruguay (Brasilia, 7 luglio 1977) 
per la valorizzazione delle risorse idrauliche del tronco limitrofo del fiume 
Jaguarão, aggiunto ed annesso al Trattato del summenzionato (Protocollo relativo 
al fiume Jaguarão); l’Accordo concluso tra il Burundi, il Ruanda e la Tanzania (Rusumo, 
24 agosto 1977) per la creazione dell’Organizzazione per la regolazione e lo 
sviluppo del bacino del fiume kagera (con mappa allegata); l’Accordo di prestito 
concluso tra Filippine e Stati Uniti (Manila, 13 gennaio 1978) per un progetto 
di sviluppo zonale integrato nella regione del Bicol (con annessi); il 
Memorandum concluso a Vienna in data 23 giugno 1978, tra l’Organizzazione delle 
Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale e l’Unione del Mano; lo Scambio di 
note tra Canada e Stati Uniti d’America (Ottawa, 29 settembre e 16 ottobre 1978) 
costituente un accordo relativo alla sistemazione di a rete di rilevazione dati 
sul letto del fiume San Maria, in Ontario (con annesso); l’Accordo relativo alla 
cooperazione tecnica, concluso a Freetown in data 24 novembre 1978, tra l’ex 
Repubblica Federale Tedesca e l’Unione del Fiume Mano; la Convenzione conclusa 
tra Belgio e Paesi Bassi (Bruxelles, 29 novembre 1978) per l’istituzione di 
sistema radar lungo l’Escaut e le sue foci; il Trattato concluso tra l’Argentina 
e il Brasile (Buenos Aires, 17 maggio 1980) per la valorizzazione delle risorse 
comuni, sul loro tragitto frontaliero, delle acque del fiume Uruguay e del suo 
affluente, il Papiri-Guaçu (Pepirí-Guazù); la Convenzione conclusa tra il Belgio 
e la Francia (Bruxelles, 3 febbraio 1982) per il miglioramento della Lys di 
comproprietà del Deulemont e il Menin (con annesso); lo Scambio di note tra 
Canada e Stati Uniti d’America (Ottawa, 28 ottobre e 5 dicembre 1980) 
costituente un accordo attinente al coordinamento delle attività 
canapo-americane di rottura dei ghiacciai nei Grandi Laghi (con annesso); il 
Memorandum tra Giappone e Stati Uniti d’America (Tokyo, 30 settembre 1983) 
relativo alla cooperazione per il progetto di un reattore autofertilizzante del 
Clinch River (CRBR) e per il progetto di un prototipo di un reattore 
autofertilizzante rapido di MONJU; l’Accordo di cooperazione finanziaria, 
concluso a Freetown in data 6 agosto 1984, tra l’ex Repubblica Federale Tedesca 
e l’Unione del Fiume Mano; lo Scambio di note tra Francia e Lussemburgo (Parigi, 
3 e 23 giugno 1986) costituente un accordo attinente alla realizzazione dei 
lavori di regolazione del fiume Gander a Mondorff (Francia) e a 
Mondorf-les-Bains (Lussemburgo); la Convenzione di cooperazione (Roma, 11 luglio 
1986) tra il Fondo Internazionale di Sviluppo Agricolo e il Fondo finanziario 
per la valorizzazione del bacino del Rio del Plata; l’Accordo concluso tra la 
Francia, il Lussemburgo e l’ex Repubblica Federale Tedesca (Treves, 1° ottobre 
1987) relativo alle notizie sulle piene nel bacino versante della Mosa; 
l’Accordo per la regolamentazione delle relazioni, concluso a Dakar in data 12 
agosto 1988, tra l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo 
Industriale e l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal. Accordo 
di cooperazione finanziaria, concluso a Dakar in data 22 maggio 1990, tra 
l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal e l’ex Repubblica 
Federale Tedesca. 
27) Si è arrivati quindi a coniare una disposizione [art. 5, 
CUDN] che mette in evidenza il duplice aspetto del diritto di utilizzazione e 
del dovere di contribuzione al miglioramento e sfruttamento ottimale delle 
risorse idriche di un corso d’acqua internazionale. Dal commento del Presidente 
della Commissione del diritto internazionale, emerge che l’espressione 
ottimizzazione degli usi e benefici non deve essere interpretato come un obbligo 
a raggiungere un uso massimale, tecnologicamente e finanziariamente più 
efficiente, o un’attribuzione di un diritto di priorità all’utilizzazione in 
questo senso più capace, bensì significa realizzare il massimo possibile 
beneficio di tutti i rivieraschi con il correlativo minimo detrimento di 
ciascuno, e quindi compatibile con le esigenze dell’adeguata protezione del 
corso d’acqua (UN Doc. A/49/10, pp. 218-219, parr. 3-4).
28) La necessità di cooperazione in vari settori è prevista 
anche in accordi internazionali sul diritto marittimo. La Convenzione sulla 
prevenzione dell’inquinamento marino causato dalla scarico di rifiuti ed altre 
sostanze (Città del Messico, Londra, Mosca, 29 dicembre 1972) dispone che le 
Parti contraenti collaborino per formare del personale scientifico e tecnico, 
per fornire attrezzature e mezzi necessari alla ricerca e al controllo, per 
eliminare e trattare i rifiuti e per prevenire e diminuire l’inquinamento dovuto 
alla scarico (art. 9). La Convenzione per la protezione del mare Mediterraneo 
dall’inquinamento (Barcellona, 16 febbraio 1976) stabilisce che le Parti 
contraenti: a) collaborano per adottare le disposizioni necessarie in caso di 
situazione critica, quali ne siano le cause, e per ridurre o eliminare i danni 
che ne derivano (art. 9); b) cooperano nell’elaborazione di programmi di 
sorveglianza continua dell’inquinamento della zone del Mare Mediterraneo (art. 
10); c) cooperano nei settori della scienza e della tecnologia e scambiano dati 
e informazione di carattere scientifico ai fini della realizzazione degli 
obiettivi della Convenzione (art. 11); d) collaborano all’elaborazione ed 
all’adozione di procedure riguardanti la determinazione delle responsabilità ed 
il risarcimento dei danni causati dalla violazione della Convenzione e dei 
Protocolli (art. 12). Si dispone, altresì, che le Parti contraenti, nell’attuare 
la Convenzione e i relativi Protocolli: a) adottino programmi e misure 
complementari, utilizzano le migliori tecniche disponibili e le migliori prassi 
ambientali ed incoraggino l’accesso alle tecniche ecologicamente razionali, ed 
il loro trasferimento, ivi comprese le rispettive tecnologie di produzione (art. 
4.4); b) s’impegnino a promuovere, nell’ambito delle organizzazioni 
internazionali qualificate, misure concernenti la realizzazione di programmi di 
sviluppo durevole, la protezione, la conservazione e il ripristino dell'ambiente 
e delle risorse naturali nella zona del Mare Mediterraneo (art. 4.6); c) 
s’impegnino a elaborare e realizzare dei piani miranti alla riduzione ed alla 
graduale eliminazione delle sostanze tossiche, persistenti e suscettibili di 
bioaccumulo responsabili dell’inquinamento d’origine terrestre (art. 8). Il 
Protocollo per la cooperazione nella lotta operativa contro l’inquinamento del 
mare Mediterraneo causato da petrolio e da altre sostanze pericolose in 
situazioni di emergenza (Barcellona, 16 febbraio 1976) stabilisce che le Parti 
contraenti: a) cooperano per adottare le misure necessarie in caso di grave ed 
imminente pericolo per l’ambiente causato dalla presenza di consistenti quantità 
di petrolio o altre sostanze pericolose dovuta a cause accidentali o ad 
un’accumulazione di discariche in piccole quantità che inquinino o minaccino di 
inquinare (art. 1); b) si impegnano a mantenere ed a promuovere, sia 
individualmente sia attraverso la cooperazione bilaterale o multilaterale, i 
piani di emergenza e i mezzi (attrezzature, navi, aeromobili, personale 
qualificato) per lottare contro l’inquinamento marino provocato da petrolio o da 
altre sostanze pericolose (art. 3); c) predispongono ed attuano, sia 
individualmente sia attraverso la cooperazione bilaterale o multilaterale, 
attività di sorveglianza della zone del Mare Mediterraneo (art. 4); d) si 
impegnano a cooperare nel salvataggio e nel recupero di sostanze pericolose in 
modo da ridurre i rischi di inquinamento dell’ambiente marino (art. 5). Il 
Protocollo per la protezione del mar Mediterraneo dall’inquinamento di origine 
terrestre (Atene, 17 maggio 1980) dispone che le Parti collaborino nei settori 
scientifici e tecnologici (artt. 9-10) e per la risoluzione delle controversie 
(artt. 11-12). La Convenzione quadro europea sulla cooperazione transfrontaliera 
delle collettività o autorità territoriali (Madrid, 21 maggio 1980) si prefigge 
di facilitare ed incoraggiare la cooperazione transfrontaliera delle 
collettività o autorità territoriali in materia quali lo sviluppo regionale, 
urbano e rurale, la protezione dell’ambiente, il miglioramento delle 
infrastrutture e dei servizi offerti ai cittadini e l’aiuto reciproco in caso di 
sinistri, al fine di realizzare una più stretta unione tra i Paesi membri e di 
promuovere la cooperazione tra essi. Le Parti XIII e XIV della Convenzione delle 
Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay, 1982) stabiliscono i 
provvedimenti relativi alla ricerca scientifica marina (artt. 238-265) e allo 
sviluppo e trasferimento di tecnologia marina (artt. 266-278) per quanto 
riguarda in particolare la cooperazione internazionale, la condotta e l’impulso 
alla ricerca scientifica, le installazioni o attrezzature per la ricerca 
scientifica nell’ambiente marino, i centri nazionali e regionali di ricerca 
marina e tecnologica e le responsabilità. La Convenzione di Basilea sul 
controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro 
smaltimento (Basilea, 22 marzo 1989) dispone che le Parti collaborino tra di 
loro al fine di migliorare e di garantire la gestione razionale dal punto di 
vista ecologico dei rifiuti pericolosi e di altri rifiuti e con i Paesi in via 
di sviluppo per aiutarli ad applicare le disposizioni della Convenzione (art. 
10). La Convenzione internazionale sulla preparazione, la lotta e la 
cooperazione in materia di inquinamento da idrocarburi (Londra, 30 novembre 
1990) intende fornire un quadro generale per la cooperazione internazionale 
nella lotta ai maggiori incidenti o pericoli di inquinamento marino da 
idrocarburi. Così, le Parti convengono di cooperare direttamente o per il 
tramite delle competenti organizzazioni internazionali, in particolare per: a) 
fornire servizi di consulenza, supporto tecnico e materiale al fine di far 
fronte ad un incidente di inquinamento da idrocarburi, qualora la gravità 
dell’incidente lo giustifichi, su richiesta di qualsiasi parte danneggiata (art. 
7); b) favorire lo scambio dei risultati dei programmi di ricerca e sviluppo 
volti a migliorare le tecniche esistenti di preparazione e di lotta contro 
l’inquinamento da idrocarburi (art. 8); c) fornire, alle Parti che lo 
richiedono, assistenza tecnica per formare il personale, assicurare la 
disponibilità di tecnologia, di materiale e installazioni pertinenti, altri 
provvedimenti ed intese per predisporre la preparazione e la lotta contro gli 
incidenti di inquinamento da idrocarburi (art. 9). Il Protocollo sulla 
protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento derivante dall’esplorazione e 
dalla sfruttamento della piattaforma continentale del fondo marino e del 
sottosuolo (Madrid, 14 ottobre 1994) dispone che le Parti contraenti s’impegnano 
a cooperare per: a) promuovere degli studi e dei programmi di ricerca 
scientifica e tecnologica (art. 22); b) elaborare delle regole, degli standard, 
delle pratiche e procedure raccomandate (art. 23); c) formulare e attuare dei 
programmi di assistenza scientifica e tecnologica ai Paesi in via di sviluppo 
(art. 24); d) assicurare un’informazione reciproca sulle misure, i risultati e 
le difficoltà relativi all’applicazione del presente protocollo (art. 25); e) 
prendere le misure necessarie per prevenire l’inquinamento transfrontaliero 
(art. 26); f) formulare e adottare regole e procedure appropriate in tema di 
responsabilità e risarcimento dei danni (art. 27). Gli artt. 20-21 del 
Protocollo relativo alle zone particolarmente protette e alla diversità 
biologica nel Mediterraneo (Barcellona, 10 giugno 1995) prevedono una 
cooperazione e un’assistenza reciproca tra gli Stati contraenti. Nell’Accordo ai 
fini dell’applicazione delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite 
sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 relative alla conservazione ed alla 
gestione degli stock di pesci i cui spostamenti avvengono sia all’interno sia al 
di là delle zone economiche esclusive e degli stock di pesci grandi migratori 
(New York, 4 agosto 1995) sono previsti provvedimenti relativi ai meccanismi di 
cooperazione internazionale per la conservazione e la gestione degli stock di 
pesci i cui spostamenti avvengono sia all’interno sia al di là delle zone 
economiche esclusive e degli stock di pesci grandi migratori, in particolare 
mediante organizzazioni e intese di gestione di peschiere sub-regionali o 
regionali (artt. 8-16); sono inoltre previsti provvedimenti concernenti gli 
Stati non membri, oppure le organizzazioni e gli Stati non partecipanti ad 
intese (art. 17). Nel Protocollo sulla prevenzione dell’inquinamento del mare 
Mediterraneo causato dai movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e dal 
loro smaltimento (Smirne, 1° ottobre 1996) le Parti s’impegnano a cooperare nel 
settore scientifico e tecnologico per sviluppare e implementare delle nuove 
metodologie per ridurre ed eliminare i rifiuti pericolosi e per prendere delle 
misure appropriate per prevenire i problemi di inquinamento dovuti al movimento 
di rifiuti pericolosi e al loro smaltimento basate sullo sviluppo di metodi di 
produzione puliti (art. 8). L’Accordo sulla conservazione dei cetacei del Mar 
Nero, del Mare Mediterraneo e della zona Atlantica adiacente (Monaco, 24 
novembre 1996) dispone che le Parti adottino delle misure coordinate, 
specificate nel piano di conservazione all’Annesso 2, al fine di raggiungere e 
mantenere uno stato di conservazione favorevole per i cetacei, in particolare ne 
proibiscano ogni prelievo deliberato e cooperino per creare e mantenere una rete 
di aree speciali protette per garantirne la conservazione (art. 2). 
Relativamente al diritto diritto fluviale internazionale menzioniamo: a) La 
convenzione sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua 
transfrontalieri e dei laghi internazionali (Helsinki, 17 marzo 1992) secondo 
cui le Parti predispongono programmi per la sorveglianza dello stato delle acque 
transfrontaliere (artt. 4 e11); cooperano all’esecuzione di lavori di ricerca e 
sviluppo riguardo a tecniche efficaci di prevenzione, controllo e riduzione 
dell’impatto transfrontaliero (artt. 5 e 12): b) Il protocollo alla convenzione 
del 1992 sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e 
dei laghi internazionali, relativo all’acqua e alla salute (Londra, 17 giugno 
1999) stabilisce che le Parti promuovono la cooperazione internazionale per 
intraprendere delle azioni internazionali e per mettere in opera dei piani 
nazionali o locali ai fini del presente protocollo (artt. 11-14).
29) L’idea d’istituire dei meccanismi misti per la gestione dei 
corsi d’acqua internazionali non è affatto nuova. Dal 1911 (Risoluzione di 
Madrid) l’Istituto di diritto internazionale aveva raccomandato d’istituire 
delle «commissioni comuni e permanenti degli Stati interessati». Si ricordano, 
altresì: la Convenzione che istituisce l’Autorità del bacino del Niger (artt. 
3-5); il Trattato relativo all’uso delle acque dell’Indo; il Trattato tra il 
Canada e gli Stati Uniti relativo alle acque frontaliere e alle questioni 
sollevate tra gli Stati Uniti e il Canada; la Raccomandazione n. 51 adottata 
durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente. L’Accordo concluso tra 
Alto Volta, Camerun, Chad, Costa d’Avorio, Dahomey, Guinea, Mali, Niger, Nigeria 
(Niamey, 25 novembre 1964) che istituisce la Commissione del fiume Niger e alla 
navigazione e ai trasporti sul fiume Niger - che è stato successivamente 
modificato dall’Accordo adottato a Niamey dagli stessi Stati contraenti, in data 
15 giugno 1973 – la quale «shall establish general regulations to ensure the 
safety and control of navigation on the understanding that such regulations 
shall be designed to facilite, as much as possibile, the movement of vessels and 
boats» (art. 15) ed in «order to achieve maximum co-operation in connection with 
the matters mentioned in artiche 4 of the Act of Niamey, the riparian States 
undertake to inform the Commission as provided for in Chapter I of the present 
Agreement, at the earliest stage, of all studies and works upon which they 
propose to embark. They undertake further to abstain from carrying out on the 
portion of the River, its tributaries and sub-tributaries subject to their 
jurisdiction any works likely to pollute the waters, or any modification likely 
to affect biological characteristics of its fauna and flora, without adequate 
notice to, and prior consultation with, the Commission» (art. 12). 
Successivamente, la Convenzione conclusa a Niamey tra Benin, Camerun, Chad, 
Costa d’Avorio, Guinea, Mali, Niger, Nigeria, in data 29 ottobre 1987 istituisce 
l’Autorità del Bacino del Niger che ha lo scopo di promuovere la cooperazione 
tra i paesi membri e assicurare uno sviluppo integrato del Bacino del Niger nei 
campi dell’energia, dell’idraulica, dell’agricoltura, dell’allevamento, della 
pesca, della piscicoltura, della silvicoltura e dell’attività di sfruttamento 
della foresta, dei trasporti, delle comunicazioni e dell’industria (art. 3). 
L’Autorità - attraverso i propri organi (Vertice dei Capi di Stato e di governo, 
Consiglio dei ministri, Comitato tecnico di esperti, Segretariato esecutivo) – è 
incaricata di: a) armonizzare e coordinare le politiche nazionali per la 
valorizzazione delle risorse del bacino del Niger; b) partecipare alla 
pianificazione dello sviluppo per l’elaborazione e l’esecuzione di un piano di 
sviluppo integrato del bacino; c) promuovere e partecipare all’idea e alla 
realizzazione delle opere e dei progetti d’interesse comune; d) assicurare il 
controllo e la regolamentazione di ogni modalità di navigazione sul fiume, sui 
suoi affluenti e sotto-affluenti; e) partecipare alla formulazione delle 
richieste di assistenza e alla mobilitazione dei finanziamenti per studi e per 
la realizzazione di opere necessarie a valorizzare delle risorse del bacino 
(art. 4, par. 1, art. 5). Ed infine altre convenzioni che istituiscono ulteriori 
commissioni e amministrazioni internazionali fluviali: Accordo concluso tra 
Brasile e Paraguay (Rio de Janeiro, 14 giugno 1941) relativo alla costituzione 
di commissioni miste incaricate di studiare i problemi della navigazione sul 
Paraguay nelle acque che appartengono alla sovranità dei due paesi e alla 
creazione di una flotta mercantile brasilio-paraguayana. Scambio di note tra 
Canada e Stati Uniti d’America (Ottawa, 25 febbraio e 3 marzo 1944) costituente 
un accordo relativo allo studio concernente il bacino superiore del fiume 
Columbia, di cui è incaricata la Commissione mista internazionale. Scambio di 
note tra Regno Unito della Gran Bretagna/Irlanda del Nord e Stati Uniti 
d’America (Londra, 4 e 29 ottobre e 5 novembre 1945) costituente un accordo 
avente per oggetto la partecipazione degli Stati Uniti d’America alla 
Commissione centrale del Reno. Scambio di note tra Canada e Stati Uniti 
(Washington, 12 novembre 1953) costituente un accordo che istituisce la 
Commissione mista d’ingegneri (San Lorenzo). Protocollo sottoscritto da Francia, 
Lussemburgo e l’ex Repubblica Federale Tedesca (Parigi, 20 dicembre 1961) 
concernente la costituzione di una Commissione internazionale per la protezione 
della Mosella contro l’inquinamento. Protocollo sottoscritto tra Francia ed ex 
Repubblica Federale Tedesca (Parigi, 20 dicembre 1961). Accordo concluso tra 
Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, ex Repubblica Federale Tedesca, Svizzera 
(Berna, 29 aprile 1963) concernente la Commissione internazionale per la 
protezione del Reno contro l’inquinamento (con protocollo aperto alla firma). 
Accordo concluso tra Cambogia, Laos, Thailandia e Vietnam (Bangkok, 6 e 18 
settembre e 14 ottobre 1963, Vietnam, 5 ottobre 1963, Phnompenh, 18 ottobre 
1963, Saigon, 19 ottobre 1963) concernente la contribuzione néerlandase al 
Comitato per il coordinamento degli studi sul bacino inferiore del Mékong. 
Accordo concluso tra l’ex Cecoslovacchia e l’Ungheria (Praga, 27 febbraio 1968) 
relativo all’istituzione dell’Amministrazione fluviale nell’area del Danubio tra 
Raika e Gönyü (con scambio di lettere). Accordo effettuato mediante verbale n° 
241 della Commissione internazionale Stati Uniti/Messico delle frontiere delle 
acque – Raccomandazioni per il miglioramento senza ritardo la qualità delle 
acque del Colorado che atteignent il Messico – adottato a El Paso il 14 luglio 
1972. Scambio di note tra Messico e Stati Uniti d’America (Messico e Tlateloco, 
30 agosto 1973) costituente un accordo che conferma il verbale n° 242 della 
Commissione internazionale delle frontiere e delle acque Stati Uniti/Messico, 
relativo alla salinità delle acque del Colorado. Accordo concluso tra Brasile e 
Perù (a bordo della nave peruviana Ucayali nella frontiera Brasile/Perù, in data 
5 novembre 1976) che istituisce una sotto-commissione mista Brasile-Perù 
concernente l’Amazzonia. Protocollo relativo alla Commissione tecnica mista 
della Bidassoa, sottoscritto da Francia e Spagna a Parigi, in data 14 dicembre 
1978. Scambio di note tra Argentina e Brasile (Brasilia, 17 maggio 1980) 
costituente un accordo relativo alla creazione di una Commissione mista per la 
costruzione di un ponte sul fiume Iguaçu. Accordo tra Messico e Stati Uniti 
d’America (Ciudad Juárez, 26 agosto 1980) relativo al problema sanitario posto, 
nella area di frontiera, le acque del Rio Nuovo. Effettuato mediante verbale n. 
264 della Commissione internazionale delle frontiere e delle acque Messico/Stati 
Uniti d’America. La Commissione internazionale per la protezione del Danubio in 
virtù dell’Accordo concluso tra l’Austria e la Commissione internazionale per la 
protezione del Danubio (Vienna, 14 dicembre 2000) relativo alla sede della 
stessa commissione – ha sede a Vienna (art. 3), ha personalità giuridica 
internazionale (art. 2), e immune dalla giurisdizione (art. 6), gode 
dell’inviolabilità della sede (art. 4), della protezione dei locali che 
compongono la sede (art. 7), dei servizi pubblici necessari e della libertà di 
comunicazione (artt. 9-10), dell’esenzione dalle imposte e dai diritti doganali 
(art. 11), delle agevolazioni di natura finanziaria (art. 12), della sicurezza 
sociale senza corrispondere alcuna contribuzione obbligatoria (art. 13), della 
libertà di transito e di soggiorno delle persone enumerate nella parte finale 
del par. 1 dell’art. 14, del diritto di legazione attivo e passivo (artt. 
15-16). Nell’ambito del diritto marittimo internazionale si prevedono anche 
delle commissioni: L’Accordo relativo alla protezione delle acque del litorale 
mediterraneo (Principato di Monaco 10 maggio 1976) il cui art. 1 prevede 
l’istituzione di una Commissione internazionale per salvaguardare la qualità 
delle acque del litorale in questione, prevenire per quanto possibile 
l’inquinamento e migliorarne lo stato attuale. La Commissione - composta delle 
delegazioni dei tre Governi, assistita da un Comitato tecnico composto di 
esperti in materia di protezione delle acque (artt. 4-6) - si riunisce in 
sessione ordinaria almeno una volta all’anno e sottopone ai tre Governi un 
rapporto di attività annuale nel quale figurano in particolare i risultati degli 
studi e delle ricerche compiuti , nonché le sue proposte (artt. 7 e 10). Il 
Segretariato della Commissione è assicurato dal Centro Scientifico di Monaco 
(art. 13). La Commissione è incaricata di: a) esaminare ogni problema 
d’interesse comune relativo all’inquinamento delle acque; b) promuovere una 
concertazione dei servizi amministrativi competenti al fine di recensire le zone 
inquinate, fornire informazioni reciproche sui progetti di gestione che 
potrebbero creare rischi di inquinamento, elaborare uno studio economico delle 
infrastrutture e delle attrezzature necessarie alla lotta contro l’inquinamento 
delle acque; c) favorire e promuovere studi e ricerche, scambi di informazioni 
ed incontri di esperti nel quadro di una cooperazione scientifica; d) proporre 
ai tre Governi ogni misura atta a proteggere le acque, in particolare per mezzo 
di accordi specifici (art. 3). La Convenzione per la conservazione delle risorse 
marine viventi dell’Antartide (Canberra, 20 maggio 1980) che prevede una 
Commissione per la Conservazione delle Risorse Marine Viventi dell’Antartide 
(artt. 7 e 8). I compiti e le modalità di funzionamento della Commissione sono 
definiti negli articoli 9-13 e 19-20. Nella Convenzione sulla futura 
cooperazione multilaterale per la pesca nell’Atlantico del Nord-Est (Londra, 17 
marzo 1982) si prevede l’istituzione di una Commissione della Pesca 
dell’Atlantico Nord-Orientale con sede a Londra la quale può istituire i 
Comitati e gli Organi sussidiari necessari all’espletamento dei suoi compiti e 
delle sue funzioni (art. 3). La Commissione: a) svolge le sue funzioni 
nell’interesse della conservazione e della migliore utilizzazione delle risorse 
della pesca nell’area della Convenzione e tiene conto delle migliori conoscenze 
scientifiche disponibili. Essa fornisce un forum per la consultazione e lo 
scambio di informazioni sullo stato delle risorse della pesca nella zona della 
Convenzione e sulle politiche di gestione (art. 4); b) può fare delle 
raccomandazioni in merito alla pesca nelle zone al di là della giurisdizione 
delle Parti contraenti (art. 5). Essa può fare delle raccomandazioni e dare un 
parere concernente la pesca in una zona sotto la giurisdizione di una Parte 
contraente dietro sua richiesta (artt. 6-7); c) può, a maggioranza qualificata, 
fare delle raccomandazioni concernenti le misure di controllo della pesca e la 
raccolta di dati statistici relativi alla pesca (artt. 8-13); d) può consultare 
il Consiglio Internazionale per l’Esplorazione del Mare, in particolare per 
quanto riguarda la biologia e la dinamica della popolazione delle specie, lo 
stato degli stock di pesci e gli effetti della pesca, le misure di conservazione 
e di gestione (art. 14). 
30) Ed ancora: Convenzione conclusa tra la Finlandia e l’ex 
U.R.S.S. (Helsinki, 28 ottobre 1922) concernente il mantenimento dei canali 
principali e la regolamentazione della pesca nelle acque limitrofe della Russia 
e della Finlandia. Convenzione conclusa tra il Canada e gli Stati Uniti 
d’America (Washington, 26 maggio 1930, e protocollo relativo alla scambio delle 
ratifiche, sottoscritto a Washington il 28 luglio 1937) per la protezione, la 
conservazione e l’espansione della pesca del salmone sockeye nelle acque del 
fiume Fraser. Convenzione (con regolamenti allegati) conclusa tra la Finlandia e 
la Norvegia (Oslo, 21 aprile 1938) relativa ad un nuovo regolamento della pesca 
nel Tana. Scambio di note (con appendici) tra Canada e Stati Uniti d’America 
(Washington, 21 luglio e 5 agosto 1944) costituente un accordo per facilitare la 
riproduzione del salmone nel cañon di Hell’s Gate e in altri spazi del bacino 
del Fraser. Scambio di note tra la Finlandia e la Norvegia (Oslo, 21 aprile 
1938, 13 giugno 1949) costituente un accordo che modifica l’articolo 4 della 
Convenzione relativa ad un nuovo regolamento della pesca nel Tana. Accordo (con 
annesso) concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Helsinki, 20 maggio 1953) 
concernente la regolamentazione della pesca nel Tana. Convenzione (con annesso) 
conclusa tra la Bulgaria, l’ex Jugoslavia, la Romania, l’ex U.R.S.S., relativa 
alla pesca nel Danubio. Convenzione relativa alla pesca in Bidassoa e Baia del 
Figuier, conclusa a Madrid in data 14 luglio 1959, tra Francia e Spagna. Accordo 
concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Oslo, 15 novembre 1960) concernente un 
nuovo regolamento della pesca nel Tana. Protocollo sottoscritto tra la Norvegia 
e la Svezia (Helsinki, 19 Marzo 1960) che modifica il par. 3 dell’art. 6 del 
regolamento concernente lo sfruttamento della zona di pesca del Tornio, annesso 
alla Dichiarazione congiunta (Svezia-Norvegia) del 10 maggio 1927. Accordo 
concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Helsinki, 12 maggio 1972) concernente 
la regolamentazione della pesca comune nel Tana (con regolamento della pesca). 
Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Ottawa, 21 settembre 1972) 
costituente un accordo riguardante la preservazione della qualità dell’acqua 
nell’area internazionale del fiume Saint-Jean (con annesso). Scambio di note 
(con annesso) tra la Finlandia e la Norvegia (Helsinki, 5 gennaio 1979) 
costituente un accordo che modifica e completa l’Accordo del 12 maggio 1972. 
Accordo-quadro concluso tra l’Organizzazione Mondiale della Sanità, Alto Volta, 
Benin, Costa d’Avorio, Ghana, Mali, Niger e Togo (Accra, 1° novembre 1973), per 
il programma sulla lotta contro l’oncocercosi nella regione del bacino del 
Volta. Accordo multilaterale che istituisce un Fondo per la lotta contro 
l’oncocercosi (con annessi), sottoscritto a Washington in data 7 maggio 1975. 
Convenzione conclusa tra la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, l’ex 
Repubblica Federale Tedesca e la Svizzera (Bonn, 3 dicembre 1976) relativa alla 
protezione del Reno contro l’inquinamento chimico (con annessi). Convenzione 
conclusa tra la Comunità economica europea, la Francia, il Lussemburgo, i Paesi 
Bassi, l’ex Repubblica Federale Tedesca e la Svizzera (Bonn, 3 dicembre 1976), 
relativa alla protezione del Reno contro l’inquinamento da cloruri (con annessi 
e scambio di lettere costituente un emendamento, a Neuilly il 29 aprile 1983, a 
Bonn 4 maggio 1983, L’Aja il 4 maggio 1983, Lussemburgo 13 maggio 1983, Berna 13 
maggio 1983). Accordo multilaterale relativo al Fondo per la lotta contro 
l’oncocercosi (con protocollo), sottoscritto a Washington in data 19 settembre 
1979. Regolamento applicabile alla pesca nell’area internazionale del Miño, 
sottoscritto a Madrid in data 3 dicembre 1980, tra Portogallo e Spagna. Accordo 
concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Helsinki, 1° marzo 1989) concernente la 
regolamentazione della pesca comune nel Tana (con regolamento della pesca). 
Accordo concluso tra l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal e 
gli Stati Uniti d’America (Dakar, 25 febbraio 1976), per la sovvenzione di uno 
studio sull’ambiente del bacino del fiume Senegal (con annesso e lettera 
connessa). Accordo di cooperazione concluso tra Brasile ed Uruguay (Antigas, 11 
marzo 1991) per lo sfruttamento delle risorse naturali e la valorizzazione del 
bacino del fiume Quaraí. Scambio di note tra il Brasile e il Regno Unito della 
Gran Bretagna/Irlanda del Nord (Brasilia, 11 settembre 1991) costituente un 
accordo sussidiario concernente un progetto di cooperazione tecnica relativa ad 
un programma di preservazione e di gestione dell’ambiente nelle regioni 
produttrici di carbone in pezzatura noce del Brasile del fiume Tocantis dello 
Stato di Para (con annesso). Scambio di lettere tra Brasile ed Uruguay 
(Brasilia, 16 settembre 1991) costituente un accordo per la valorizzazione a 
titolo provvisorio dell’Accordo dell’11 marzo 1991. Scambio di note tra 
Portogallo e Spagna (Madrid, 10 e 27 luglio 1992) costituente un accordo 
relativo ai regolamenti sulla pesca applicabili alle zone frontaliere dei fiumi 
tra la Spagna e il Portogallo, ad eccezione dell’area internazionale del fiume 
Miño e della regione costiera del fiume Guadania (con regolamenti di pesca 
annessi). Scambio di note tra Portogallo e Spagna (Madrid, 21 maggio 1992 e 24 
febbraio 1995) costituente un accordo che stabilisce le regole della “caccia” 
nelle acque e nei fiumi dell’area internazionale del fiume Miño (con annesso).
31) La perfetta eguaglianza degli Stati rivieraschi nell’uso di 
un corso d’acqua internazionale e l’assenza di qualsiasi posizione privilegiata 
tra di essi si ritrova, come principio, nel caso risolto dalla Corte Permanente 
di Giustizia Internazionale, relativo alla Giurisdizione territoriale della 
Commissione Internazionale del fiume Oder (in Permanent Court of International 
Justice, Collections of Judgements, Serie A, n. 23, p. 27) e similmente nella 
pronunzia resa dalla Corte Distrettuale di Rotterdam il 16 dicembre 1983 nella 
complessa vicenda della salinità del fiume Reno (in Nordical Journal of 
Internazional Law, 1984, p. 479).
32) L’obbligo generale di cooperare, è tuttavia previsto in 
precedenti strumenti internazionali: l’art. 3, par. 3 e artt. 7-8 dell’Accordo 
del 17 luglio 1964 concluso tra la Polonia e l’ex U.R.S.S. relativo all’idroeconomia 
delle acque di frontiera. La Convenzione del 16 novembre 1962 tra la Francia e 
la Svizzera concernente la protezione delle acque del lago Lemano dalla 
polluzione. L’Accordo di cooperazione del 14 agosto 1983 tra gli Stati Uniti 
d’America e il Messico per la protezione e il miglioramento ambientale nella 
zona di frontiera, che è un accordo-quadro contenente le acque di frontiera. 
L’art. 4 dell’Atto relativo alla navigazione e alla cooperazione economica tra 
gli Stati del bacino del Niger. La Convenzione relativa allo statuto del fiume 
Senegal e Convenzione che istituisce l’Organizzazione per la valorizzazione del 
fiume Senegal. La Convenzione e Statuto relativi alla valorizzazione del bacino 
del Chad. Il Trattato relativo all’uso delle acque dell’Indo. La Risoluzione 
dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, n. 2995 (XXVII) sulla cooperazione 
tra gli Stati nel settore dell’ambiente. La Risoluzione dell’Assemblea generale 
delle Nazioni Unite n. 3129 (XXVIII) sulla cooperazione nel settore 
dell’ambiente in materia di risorse naturali partagées da due o più Stati. Il 
Principio n. 24 della Dichiarazione di Stoccolma. Il Piano d’Azione del Mare del 
Plata, adottato dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua (si veda 
raccomandazione n. 90 ). Il Principio n. 2 dei «Principi relativi alla 
cooperazione nell’ambito delle acque transfrontaliere» adottati dalla CEE nel 
1987. L’art. 4 delle Regole sulla polluzione delle acque di un bacino di 
drenaggio internazionale, adottate dall’ILA nel 1982. Il Principio n. 12 della 
Carta europea dell’acqua, adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio di 
Europa nel 1967). 
33) L’utilità della raccolta e dello scambio regolari di una 
vasta gamma di dati e informazioni sui corsi d’acqua internazionali è 
riconosciuta in numerosi accordi internazionali, risoluzioni adottate dalle 
organizzazioni internazionali, conferenze internazionali, studi degli organismi 
governativi e non. Si vedano: l’art. 9, alinea j del Trattato del 3 febbraio 
1944 concluso tra gli Stati Uniti d’America e il Messico relativo all’uso delle 
acque del Colorado, della Tijuana e del rio Grande (rio Bravo) da Fort-Quitman 
(Texas) al golfo del Messico; l’art. VI del Trattato del 1960 concluso tra 
l’India e il Pakistan relativo all’uso delle acque dell’Indus; l’art. 8, par. 1, 
dell’Accordo del 1964 tra la Polonia e l’ex U.R.S.S. relativo all’idroeconomia 
delle acque transfrontaliere; l’art. 2, alinea c, dell’Accordo del 25 novembre 
1964 relativo alla commissione sul fiume Niger e alla navigazione e ai trasporti 
sul fiume Niger; l’art. 3, cap. 9 dell’Accordo del 16 settembre 1971 tra la 
Finlandia e la Svezia relativo ai fiumi di frontiera. Il principio n. 11 dei 
«Principi relativi alla cooperazione nell’ambito delle acque transfrontaliere» 
adottati dalla CEE nel 1987. In numerosi casi gli Stati hanno istituito degli 
organismi misti incaricati soprattutto di raccogliere, elaborare e diffondere 
dei dati e delle informazioni di vario genere. Es., tra i più importanti, in 
Africa, ricordiamo: la commissione del bacino del lago Chad, l’Autorità del 
bacino del Niger, la commissione tecnica mista e permanente per le acque del 
Nilo (Egitto e Sudan) e l’Organizzazione per il coordinamento e lo sviluppo del 
bacino del fiume Kagera. Negli Stati Uniti d’America, il comitato 
intergovernativo di coordinamento del bacino di Rio del Plata, la commissione 
mista internazionale (Stati Uniti-Canada) e la commissione internazionale delle 
frontiere e delle acque (Stati Uniti-Messico). In Asia: il comitato per il 
coordinamento degli studi relativi al bacino inferiore del Mekong, la 
commissione permanente dell’Indo (India-Pakistan), la commissione fluviale mista 
(India-Bangladesh) e la commissione del delta dell’Hilmand (Afghanistan-Iran). 
In Europa: la commissione del Danubio, la commissione internazionale per la 
protezione della Mosella contro l’inquinamento, la commissione internazionale 
per la protezione del Reno contro l’inquinamento e la commissione mista 
finlando-sovietica dell’uso delle acque frontaliere.
34) Il sistema dello scambio delle informazioni e dati è 
previsto anche ne diritto marittimo internazionale e nel diritto internazionale 
fluviale. Il Protocollo per la cooperazione nella lotta operativa contro 
l’inquinamento del mare Mediterraneo causato da petrolio e da altre sostanze 
pericolose in situazioni di emergenza (Barcellona, 16 febbraio 1976) stabilisce 
che le Parti contraenti si impegnano a trasmettere informazioni concernenti le 
autorità nazionali competenti per la lotta contro l’inquinamento marino, i nuovi 
metodi di prevenzione e le nuove procedure di lotta nonché sui relativi 
programmi di ricerca (art. 6). Il Protocollo per la protezione del mar 
Mediterraneo dall’inquinamento di origine terrestre (Atene, 17 maggio 1980) 
prevede che le Parti elaborino dei rapporti per tenersi reciprocamente informate 
sulle misure prese, sui risultati ottenuti e sulle difficoltà incontrate 
nell’applicazione del presente Protocollo (art. 13). La Convenzione quadro 
europea sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività o autorità 
territoriali (Madrid, 21 maggio1980) stabilisce che le Parti s’impegnino a 
fornire, per quanto possibile, tutte le informazioni che le sono richieste dalle 
altre Parti (art. 6). La Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti 
transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento (Basilea, 22 marzo 
1989) stabilisce che i Paesi che intendono effettuare movimenti transfrontalieri 
di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti devono notificare tutte le esportazioni 
ai Paesi destinatari e di transito e aspettare il loro assenso scritto (artt. 6 
e 7). Ed ancora, le Parti se accertano che, in caso di incidente verificatosi 
durante un movimento transfrontaliero di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti o 
il loro smaltimento che potrebbero presentare rischi per la salute dell’uomo e 
per l’ambiente di altri Stati, questi ultimi ne siano immediatamente informati 
(art. 13). Nell’Accordo ai fini dell’applicazione delle disposizioni della 
Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 - 
relative alla conservazione ed alla gestione degli stock di pesci i cui 
spostamenti avvengono sia all’interno sia al di là delle zone economiche 
esclusive e degli stock di pesci grandi migratori (New York, 4 agosto 1995) - 
sono inclusi due Allegati relativi alle norme richieste per la raccolta e la 
messa in comune dei dati (Allegato I) e alle direttive per l’applicazione di 
punti di riferimento prudenziali ai fini della conservazione e della gestione 
degli stock i cui spostamenti si effettuano sia all’interno sia al di là delle 
zone economiche esclusive e degli stock di pesci migratori (Allegato II). Il 
Protocollo relativo alle zone particolarmente protette e alla diversità 
biologica nel Mediterraneo (Barcellona, 10 giugno 1995) auspica che si adottino 
potenzi la ricerca scientifica, tecnologica, anche nel settore della gestione 
(art. 20). Per quanto concerne il diritto internazionale fluviale si ricordano: 
a) la Convenzione sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua 
transfrontalieri e dei laghi internazionali (Helsinki, 17 marzo 1992) nella 
quale sono specificate le disposizioni relative allo scambio di informazioni e 
ad eventuali consultazioni tra le Parti in relazione all’inquinamento delle 
acque transfrontaliere (artt. 6,10, 13, 14 e 16) nonché all’assistenza reciproca 
(art. 15); b) il Protocollo alla convenzione del 1992 sulla protezione e 
l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, 
relativo all’acqua e alla salute (Londra, 17 giugno 1999) nella quale si 
stabilisce che ciascuna Parte procede alla raccolta, all’esame ed alla 
valutazione dei dati e dei progressi compiuti e pubblica dei rapporti periodici 
all’attenzione della Riunione delle Parti (art. 7).
35) Il principio della notifica delle misure progettate è già 
contenuto in precedenti strumenti internazionali. A titolo di esempio 
ricordiamo: l’art. 4 della Convenzione del 1923 relativa allo sfruttamento delle 
forze idrauliche interessanti più Stati; l’art. 17 del Trattato del 19 novembre 
1973 tra l’Argentina e l’Uruguay relativo a Rio de La Plata e al suo fronte 
marittimo; gli artt. 7-12 dello Statuto del fiume Uruguay del 1975, adottato 
dall’Uruguay e dall’Argentina; l’art. 4 della Convenzione conclusa tra l’ex 
Repubblica Federale Jugoslava e la Repubblica austriaca, concernente certe 
questioni d’idroeconomia interessanti la Drava; il Trattato di Bayonne (Trattato 
di delimitazione tra la Francia e la Spagna) e il suo Atto addizionale (art. XI); 
l’art. 1, par. 3, della Convenzione sulla protezione delle acque del lago di 
Costanza contro la polluzione, concluso tra il Bade-Wurtemberg, Baviera, Austria 
e Svizzera; l’art. 4 della Convenzione relativa allo statuto del fiume Senegal; 
l’art. 7, par. 2, del Trattato relativo all’uso delle acque dell’Indo; l’art. 4 
dell’Atto relativo alla navigazione e alla cooperazione economica tra gli Stati 
del bacino del Niger e l’art. 12 dell’Accordo relativo alla commissione del 
fiume Niger e alla navigazione e ai trasporti sul fiume Niger. Dal punto di 
vista delle sentenze arbitrali, citiamo l’affaire du Lac Lanoux (parr. 22-24 
della sentenza). Tra le raccomandazioni, ricordiamo la n. 51, alinea b), del 
Piano d’Azione per l’ambiente, adottata dalla Conferenza delle Nazioni Unite 
sull’ambiente, la Raccomandazione C(74)224, adottata il 14 novembre 1974 dall’OCDE, 
le Raccomandazioni relative alla “cooperazione regionale” adottate dalla 
Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua del 1977; i parr. 6-8 della 
Dichiarazione di Montevideo adottata anteriormente alla settima Conferenza 
internazionale degli Stati americani. Tra le Risoluzioni ricordiamo: la 
Risoluzione sull’uso dei fiumi internazionali, adottata dall’Associazione 
interamericana degli avvocati alla sua decima conferenza, nel 1957 (par. I.3); 
la Risoluzione intitolata «Utilizzazione delle acque internazionali non 
marittime (al di fuori della navigazione)» adottata nel 1961 dall’Istituto di 
diritto internazionale (artt. 4-9); le Regole di Helsinki – ILA - del 1966 (art. 
XXIX); i «Principi guida nell’ambito dell’ambiente per l’orientamento degli 
Stati in materia di conservazione e uso armonioso delle risorse naturali 
partagées da due o più Stati», adottate dal Consiglio d’amministrazione del PNUE 
nel 1978 (principi 6-7); gli artt. 7-8 sulla «Regolazione della portata dei 
corsi d’acqua internazionali» adottati dall’ILA nel 1980; le «Regole sulla 
polluzione delle acque di un bacino di drenaggio internazionale», adottate dall’ILA 
nel 1982 (artt. 3, 5-6).
36) L’ammontare dell’indennizzo richiesto può essere ridotto 
delle spese sostenute dallo “Stato notificatore” per le misure che sono state 
prese dopo la scadenza del termine previsto per la risposta e che non sarebbero 
state affrontate se il “paese notificato” avesse sollevato delle obiezioni nei 
termini previsti [art. 16, CUDN]. Lo scopo che sottintende raggiungere l’art. 16 
[CUDN] è che, se uno Stato al quale la notifica è stata indirizzata non risponde 
entro i termini consentiti al par. 2 dell’art. 15 [CUDN], questo paese, tra le 
altre conseguenze, non è ammesso ad usufruire dei vantaggi derivanti dal regime 
di protezione che stabilisce la terza parte della CUDN. Quindi, lo Stato autore 
della notifica può solo procedere alla messa in opera dei suoi progetti sotto 
riserva delle condizioni esposte al par. 1 del presente articolo [della CUDN].
37) L’obbligo di informare è previsto anche in precedenti 
accordi internazionali. Vedi tra gli altri: Accordo franco-svizzero 
sull’intervento degli organi incaricati di lottare contro la polluzione 
accidentale delle acque per gli idrocarburi o le altre sostanze che possano 
alterare le acque e riconosciuti come tali nel quadro della Convenzione 
franco-svizzera del 16 novembre 1962 concernente la protezione delle acque del 
Lago Lemano contro la polluzione (5 maggio 1977). Art. 11 della Convenzione 
relativa alla protezione del Reno contro la polluzione chimica. Accordo tra 
Canada e Stati Uniti d’America sulla qualità delle acque dei Grandi Laghi 
(Ottawa, 22 novembre 1978).
38) Anche le convenzioni di diritto internazionale 
marittimo-fluviale prevedono dei piani di intervento ed assistenza in caso di 
inquinamento. Il Protocollo per la cooperazione nella lotta operativa contro 
l’inquinamento del mare Mediterraneo causato da petrolio e da altre sostanze 
pericolose in situazioni di emergenza (Barcellona, 16 febbraio 1976) stabilisce 
che le Parti contraenti, con situazioni di emergenza, s’impegnano a procedere 
alle necessarie valutazioni della natura e dell’entità del sinistro, prendere i 
provvedimenti atti ad eliminare o ridurre gli effetti dell’inquinamento e 
informare le altre Parti e fare rapporto (art. 9). Ogni Parte che abbia bisogno 
di assistenza per un’operazione di lotta contro l’inquinamento causato da 
petrolio o da altre sostanze pericolose che inquinino o minaccino di inquinare 
le sue coste può chiedere assistenza (consulenza di esperti, fornitura o messa a 
disposizione di prodotti, attrezzature e mezzi nautici) alle altre Parti. 
Qualora le Parti impegnate in un’operazione di lotta all’inquinamento non 
riescano ad accordarsi sull’organizzazione dell’operazione, il Centro regionale 
può, con il loro consenso, coordinare le attività di intervento messe in atto 
dalle Parti (art. 10). La Convenzione internazionale sulla preparazione, la 
lotta e la cooperazione in materia di inquinamento da idrocarburi (Londra, 30 
novembre 1990) stabilisce che ciascuna Parte è tenuta ad esigere che le navi 
battenti la propria bandiera abbiano a bordo un piano di emergenza di bordo per 
l’inquinamento da idrocarburi come prescritto ed in conformità con le 
disposizioni adottate a tal fine dall’IMO. Ugualmente, gli operatori di unità 
off-shore soggetti alla giurisdizione delle Parti devono avere piani di 
emergenza di bordo contro l’inquinamento da idrocarburi, coordinati con 
l’ordinamento nazionale (art. 3). La Convenzione stabilisce la procedura di 
notifica di un qualsiasi fatto che comporti o rischi di comportare una discarica 
o probabile discarica di idrocarburi (art. 4) e le misure da adottare nel 
ricevere un rapporto su un inquinamento da idrocarburi (art. 5). Nel settore 
fluviale il Protocollo alla convenzione del 1992 sulla protezione e 
l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, 
relativo all’acqua e alla salute (Londra, 17 giugno 1999) stabilisce che 
ciascuna Parte vigila affinché siano predisposti dei sistemi d’intervento 
includendo sistemi nazionali e/o locali completi per la sorveglianza e l’allarme 
tempestivo, piani di emergenza nazionali e locali completi ivi compresi i mezzi 
d’intervento per fare fronte ad episodi o incidenti, nonché a minacce di episodi 
o incidenti, relativi a malattie legate all’acqua (art. 8). 
39) Ai sensi dell’art. 27 della CUDN gli Stati rivieraschi, 
singolarmente o congiuntamente, sono tenuti ad adottare tutte le misure idonee 
per prevenire o attenuare dei pericoli derivanti da cause naturali o da attività 
dell’uomo che possono causare danni agli altri paesi rivieraschi (inondazioni, 
formazione di ghiacciai, malattie trasmissibili attraverso i corsi d’acqua, 
interramento, erosione, introduzione di acqua salata, desertificazione o 
siccità). Il divieto di causare danni ad altri Stati nell’esercizio di un 
proprio diritto, è un istituto già previsto in sentenze arbitrali e in strumenti 
di diritto internazionale. Assume la forma di abuso di diritto, nell’art. 300 
della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982 (che viene 
ripreso nell’Accordo per l’esecuzione delle disposizioni della Convenzione delle 
Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982, relative alla 
conservazione e gestione delle specie ittiche transzonali ed altamente 
migratrici, adottato dalla Conferenza delle Nazioni Unite il 4 agosto 1995) 
sfocia a volte in una violazione del principio di buon vicinato [principio 
contenuto nell’accordo italo-britannico, per la soluzione delle loro 
controversie originate dalla gestione del fiume Gash (corso d’acqua africano 
scorrente dell’ex Colonia italiana dell’Eritrea al Sudan inglese) concluso 
mediante scambio di note avvenuto a Roma il 12 e 15 giugno 1925]. Oppure nella 
violazione del principio sic utere tuo ut alienum non leades (Corte Distrettuale 
di Rotterdam, 8 gennaio 1979, la quale affermò che tale era un principio 
generale di diritto riconosciuto dalle nazioni civili, ai sensi dell’art. 38, 
par. c dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia; sentenza della 
Corte Internazionale di Giustizia, resa nel 1949, nell’affare dello stretto di 
Corfù). Ed ancora, il divieto di causare danni è espresso nella sentenza 
arbitrale della CIG resa nel caso della Fonderia di Trail, 11 marzo 1941), 
sentenza arbitrale della CIG resa nell’affare del Lago Lanoux (1950), e in 
tribunali interni e federali (es., sentenza resa nel 1939 dalla Corte di 
Cassazione italiana nel caso della Sociétè énergie électrique du littoral 
méditerranéen vs. Compagnia imprese elettriche liguri). Nella prassi 
convenzionale tale principio è previsto: a) nell’art. 17 del Trattato tra Stati 
Uniti e Messico circa l’utilizzazione delle acque dei fiumi Colorado, Tijuana e 
Rio Grande (Washington, 3 febbraio 1944); b) nell’art. 2 della Convenzione sui 
lavori e corsi d’acqua comuni, conclusa il 26 ottobre 1905, tra Svezia e 
Norvegia; c) nell’art. 12 della Convenzione conclusa tra Svezia e Norvegia su 
certe questioni relative al diritto dei corsi d’acqua (Stoccolma, 11 maggio 
1929); d) nell’art. 58 del Trattato riguardante il tracciato della frontiera 
comune e le acque di frontiera, concluso all’Aja l’8 aprile 1969 tra Paesi Bassi 
e l’ex Repubblica federale tedesca; e) nell’art. 3, par. 1 del Trattato 
concernente la regolamentazione delle questioni di gestione idrica relative alle 
acque di confine, sottoscritto a Vienna il 7 dicembre 1967, tra Austria ed ex 
Cecoslovacchia; f) nell’art. 4 dell’Atto riguardante la navigazione e la 
cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger (Niamey, 23 ottobre 
1963); g) nell’art. 5 dello Statuto relativo allo sviluppo del bacino del Chad 
(Fort Lamy, 22 maggio 1964); h) nell’art. 4 della Convenzione relativa allo 
statuto del fiume Senegal (Nouakcott, 11 marzo 1972); i) nell’art. 1 del 
Protocollo specifico addizionale sulle risorse idriche condivise tra Repubblica 
del Cile e Repubblica di Argentina (Buenos Aires, 10 agosto 1991); j) nel 
Trattato sulle acque dell’Indo del 1960 (spec., art. 4, par. 2; art. 7, par. 2); 
k) nell’art. II, par. 3 del Trattato sulla ripartizione delle acque del Gange, 
firmato il 12 dicembre 1996 da Bangladesh ed India; l) nell’art. 7 dell’Accordo 
sulla cooperazione per lo sviluppo sostenibile del bacino del fiume Mekong, 
concluso tra Cambogia, Laos, Tailandia e Vietnam, il 5 aprile 1995. Tra gli atti 
non vincolanti: La Risoluzione dell’Istituto di Diritto Internazionale (Madrid, 
1911) «Regolamentazione internazionale dell’uso dei corsi d’acqua al di fuori 
dell’esercizio del diritto della naviagazione» (punti I-II). La Risoluzione 
dell’Istituto di Diritto Internazionale (Salisburgo, 1961) «Risoluzione 
sull’utilizzazione delle acque non marittime (al di fuori della navigazione)» 
(art. 4). La Risoluzione dell’Istituto di Diritto Internazionale (Helsinki, 
1966) «Regole di Helsinki sull’uso delle acque dei fiumi internazionali» (art. 
X). Il par. 2 della Dichiarazione di Asunciόn sull’utilizzazione dei corsi 
d’acqua internazionali, inclusa nell’Atto di Asunciόn, adottato nel giugno del 
1971 dalla quarta riunione dei ministri degli esteri dei 5 Stati rivieraschi del 
Rio de la Plata (Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay ed Uruguay). Il par. 4 
dell’Atto finale di Santiago sui bacini idrologici, sottoscritta il 26 giugno 
1971 dai ministri degli esteri di Argentina e Cile. Il principio 21 della 
Dichiarazione di Stoccolma del 1972 sull’Ambiente Umano (ripreso nella Ris. Ag., 
15 dicembre 1972, n. 2995 ai parr. 1-2; nell’art. 30 della Carta dei diritti e 
doveri economici degliStati contenuta nella Ris. Ag., 12 dicembre 1974, n. 3281. 
La Risoluzione dell’Istituto di Diritto Internazionale (Atene, 1979) 
«Risoluzione sull’inquinamento dei fiumi e dei laghi ed il diritto 
internazionale» (art. II); i ) nell’art. 6 della Risoluzione dell’Istituto di 
Diritto Internazionale (Belgrado, 1980). L’art. 1 della Risoluzione 
dell’Istituto di Diritto Internazionale (Montreal, 1982). La parte terza della 
Carta mondiale della natura contenuta dalla Ris. Ag., 29 ottobre 1982, n. 37/7). 
Il principio 2 della Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo del 1992. 
40) Il contrasto tra i due principi è stato oggetto di 
discussione durante i lavori preparatori della CUDN. Alcuni Stati rivieraschi a 
monte – che propendevano per la superiorità del principio dell’equa 
utilizzazione sul principio del divieto di cagionare danni – proponevano o 
l’introduzione di apposite clausole di salvaguardia negli artt. 5 o 7 [CUDN] 
atte a sancire la priorità della norma dell’equo utilizzo, oppure una radicale 
soppressione dell’articolo che si occupa del divieto di danneggiare, al limite 
accompagnata dalla menzione degli effetti dannosi di un’utilizzazione tra i 
fattori rilevanti per la determinazione in concreto del carattere equo e 
ragionevole di un’utilizzazione (UN Doc. A/51/275: Etiopia, pp. 33-34 e 41, 
Spagna, pp. 44-45, Svizzera, p. 47, Turchia, p. 45. (UN Doc. AC.6/51/R.16: 
Repubblica Ceca, p. 3, par. 9, Romania, p. 9, par. 39). Alcuni paesi costieri a 
valle, invece, auspicavano o una formulazione più stringente del divieto di 
cagionare danni, oppure l’introduzione di clausole nel testo dell’art. 5 [CUDN] 
tendenti a salvaguardare l’applicabilità del principio suddetto (UN Doc. 
A/51/275: Ungheria, pp. 34-35 e 43). (UN Doc. AC.6/51/R.16: Argentina, p. 11, 
par. 49, Egitto p. 11, par. 47). 
41) (S. C. MCCAFFREY, Quatrième rapport sur le droit relatif 
aux utilisations des voies d’eau internationales à des fins autres que la 
navigation (1988) Doc. A/CN.4/412 et Add.1 et 2, in Annuaire de l’Institut de 
Droit International, 1988, vol. II, 1ª parte, parr. 15-26).
42) [S. C. MCCAFFREY, Troisième rapport sur le droit relatif 
aux utilisations des voies d’eau internationales à des fins autres que la 
navigation (1987) (Doc. A/CN.4/406 et Add.1 et 2, in Annuaire de l’Institut de 
Droit International, 1987, vol. II, 1ª parte, parr. 63-72 e p. 47)]. 
43) Gli obblighi derivanti dall’art. 20 della CUDN sono già 
presenti in altri strumenti internazionali. Così: gli artt. 6, 11, 17 della 
Convenzione del 1904 tra la Repubblica francese e la Confederazione svizzera per 
la regolamentazione della pesca nelle acque limitrofe. Il Trattato del 1958 tra 
l’ex U.R.S.S. e l’Afghanistan relativo al regime della frontiera sovieto-afghana. 
La Convenzione del 1956 tra la Repubblica francese e il Granducato di 
Lussemburgo relativo alla canalizzazione della Mosella. Gli artt. 36-37 dello 
Statuto del 1975 relativo al fiume Uruguay, concluso tra l’Argentina e 
l’Uruguay. La Convenzione del 1978 relativo allo statuto del fiume Gambia. 
L’Atto del 1963 relativo alla navigazione e alla cooperazione economica tra gli 
Stati del bacino del Niger. L’art. II dell’Accordo del 1978 relativo alla 
qualità dell’acqua dei Grandi Laghi, concluso tra il Canada e gli Stati Uniti 
d’America. Tra gli atti non vincolanti ricordiamo, infine, l’Atto di Assunzione, 
adottato dai ministri degli affari esteri dei paesi rivieraschi di Rio de La 
Plata nel 1971 (risoluzioni, n. 15 e n. 23) e la Raccomandazione n. 35 della 
Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua, tenutasi al Mare della Plata nel 
1977.
44) In materia di protezione dell’acqua dei fiumi da una 
possibile alterazione qualitativa provocata dall’inquinamento (per effetto dello 
smaltimento dei rifiuti domestici ed industriali, dello sfruttamento delle 
risorse in acqua dolce) e per un equilibrio ecologico, si ricordano: a) l’art. 
IV del Trattato sulle acque di confine del 1909, concluso tra gli Stati Uniti 
d’America e il Canada, che vietava l’inquinamento lesivo alla proprietà della 
controparte; b) l’art. II, par. 1, dell’Accordo sulla qualità delle acque dei 
Grandi Laghi (Ottawa, 22 novembre 1978) concluso tra il Canada e gli Stati Uniti 
d’America. Il protocollo alla convenzione del 1992 sulla protezione e 
l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali 
(Helsinki, 17 marzo 1992) secondo cui le Parti adottano tutti i provvedimenti 
opportuni per adempiere gli obblighi imposti dalla convenzione, in particolare 
per (a) prevenire, tenere sotto controllo e ridurre l’inquinamento delle acque 
che ha o può avere un impatto transfrontaliero, (b) garantire una gestione delle 
acque innocua per l’ambiente e razionale, la conservazione delle risorse idriche 
e la protezione dell’ambiente, (c) promuovere un uso ragionevole ed equo delle 
acque transfrontaliere, (d) assicurare la conservazione e, se necessario, il 
ripristino degli ecosistemi, (e) prendere delle misure precauzionali per evitare 
l’inquinamento delle acque transfrontaliere dallo scarico di sostanze 
pericolose, (f) applicare il principio “chi inquina paga” per scoraggiare 
l’inquinamento, (g) gestire le risorse idriche in modo sostenibile, (h) 
promuovere la cooperazione tra gli Stati rivieraschi al fine di elaborare 
politiche, programmi e strategie armonizzati per il controllo dell’inquinamento 
delle acque (art. 2). Del problema dell’inquinamento e della conseguente 
protezione dell’ambiente si sono occupate anche le convenzioni (ratificate da 
numerosi Stati) sul diritto internazionale marittimo: la Convenzione 
internazionale per la prevenzione dell’inquinamento delle acque marine da 
idrocarburi (Londra, 12 maggio 1954) si pone l’obiettivo d’intraprendere 
un’azione comune per prevenire l’inquinamento delle acque marine da idrocarburi 
scaricate dalle navi. Si proibisce, quindi, lo scarico di idrocarburi o di 
miscele di idrocarburi a meno che la nave stia seguendo la rotta o che il flusso 
istantaneo di scarico degli idrocarburi non superi i 60 litri per miglio. 
Inoltre il divieto non è applicabile nei seguenti casi: a) nel caso di una nave 
che non sia una nave-cisterna, se il contenuto di idrocarburi dello scarico è 
inferiore a 100 parti per milione di miscela, o se lo scarico è effettuato il 
più lontano possibile delle terre; b) nel caso di una nave-cisterna, se la 
quantità totale di idrocarburi scaricati nel corso di un viaggio in zavorra non 
supera 1/15.000 della totale capacità dello spazio riservato al carico, o se la 
nave-cisterna si trova a più di 50 miglia della terraferma (art. 3). Viene fatta 
eccezione all’articolo 3 nei casi in cui è necessario assicurare la sicurezza di 
una nave, evitare un’avaria alla nave o al suo carico, salvare delle vite umane 
in mare, o nell’impossibilità di evitare lo scarico di idrocarburi o di miscele 
di idrocarburi provenienti da un’avaria o da una perdita inevitabile malgrado 
siano stati presi i dovuti provvedimenti (art. 4). Ogni contravvenzione ai 
provvedimenti degli art. 3 e 9 costituisce un’infrazione punibile dalla 
legislazione del territorio di appartenenza della nave (art. 6). Tutte le navi 
devono essere munite di dispositivi che permettano di evitare, per quanto sia 
ragionevole e possibile, la fuga di idrocarburi nelle sentine (art. 7). La 
Convenzione internazionale sull’intervento in alto mare in caso di incidente che 
causa o può causare un inquinamento da idrocarburi (Bruxelles, 29 novembre 1969) 
si prefigge di proteggere gli interessi delle popolazioni dalle gravi 
conseguenze di sinistri marittimi, comportanti il rischio di inquinamento del 
mare e del litorale da idrocarburi, mediante l’adozione di misure eccezionali in 
alto mare che non pregiudicano tuttavia in alcun modo il principio della libertà 
dell’alto mare. Prima di adottare i provvedimenti, uno Stato rivierasco consulta 
gli altri paesi interessati dal sinistro marittimo, in particolare lo Stato o 
gli Stati di bandiera, notifica le misure previste alle persone che potrebbero 
avere interessi compromessi o lesi da tali misure, consulta degli esperti 
indipendenti. Nei casi di urgenza, lo Stato rivierasco può adottare le misure 
rese necessarie dall’urgenza senza notifiche o consultazioni preliminari. In 
ogni caso, lo Stato rivierasco si adopera per evitare ogni rischio per le vite 
umane e per assistere le persone in pericolo (art. 3). La Convenzione sulla 
prevenzione dell’inquinamento marino causato dallo scarico di rifiuti ed altre 
sostanze (Città del Messico, Londra, Mosca, 29 dicembre 1972) si pone 
l’obiettivo di controllare e prevenire l’inquinamento marino causato dallo 
scarico di rifiuti o di altri materiali tali da mettere in pericolo la salute 
dell'uomo, di nuocere alle risorse biologiche, alla fauna e alla flora marina, 
di pregiudicare le zone di interesse turistico, o di ostacolare un altro uso 
legittimo del mare (art. 1). È vietato lo scarico di qualunque rifiuto o altro 
materiale elencato nell’Allegato I. È subordinato al preventivo rilascio di 
un’autorizzazione lo scarico di rifiuti e di altri materiali elencati 
nell’Allegato II; e ad una preventiva autorizzazione generale lo scarico di 
qualunque altro rifiuto e materiale. Sono fissati nell’Allegato III i criteri 
che regolano le autorizzazioni di scarico di materiali (art. 4). Le disposizioni 
dell’art. 4 non sono applicate nei casi di forza maggiore o di gravissima 
emergenza (art. 5). Si stabilisce, infine, che le Parti contraenti si impegnano 
a promuovere delle misure di protezione dell’ambiente marino contro 
l’inquinamento dovuto a(d): a) idrocarburi, ivi compresi i prodotti petroliferi 
e i loro residui; b) altri materiali nocivi o dannosi trasportati da navi per 
scopi diversi dello scarico; c) rifiuti dovuti all’utilizzazione delle navi, 
aeronavi, piattaforme e altre opere collocate in mare; d) agenti radioattivi di 
qualunque origine, ivi compresi quelli delle navi; e) agenti destinati alla 
guerra biologica e chimica; f) rifiuti o altri materiali provenienti 
dall’esplorazione del fondale marino (art. 12). La Convenzione per la protezione 
del mare Mediterraneo dall’inquinamento (Barcellona, 16 febbraio 1976) si 
prefigge di prevenire, ridurre e combattere l’inquinamento nella zona del Mare 
Mediterraneo, nonché di proteggere e migliorare l’ambiente marino in tale zona. 
A tal fine le Parti contraenti adottano le misure idonee per prevenire, ridurre 
e combattere l’inquinamento della zona del Mare Mediterraneo dovuto allo scarico 
di rifiuti da parte di navi ed aeromobili, allo scarico delle navi, 
all’esplorazione e allo sfruttamento della piattaforma continentale, del fondo 
marino e degli strati sottostanti, agli scarichi dei corsi d’acqua, degli 
stabilimenti costieri, o provocati da qualsiasi altra fonte di origine terrestre 
(artt. 4-8). Il Protocollo per la cooperazione nella lotta operativa contro 
l’inquinamento del mare Mediterraneo causato da petrolio e da altre sostanze 
pericolose in situazioni di emergenza (Barcellona, 16 febbraio 1976) si prefigge 
di proteggere le coste e l’ecosistema marino del Mare Mediterraneo 
dall’inquinamento causato da petrolio o da altre sostanze pericolose. Il 
Protocollo per la prevenzione dell’inquinamento del mare Mediterraneo da 
operazioni di scarico effettuate da navi ed aeromobili (Barcellona, 16 febbraio 
1976) si prefigge di controllare e impedire lo scarico di rifiuti o di altre 
sostanze nel Mare Mediterraneo. Così, l’immersione di rifiuti o di altre 
sostanze è vietata ad eccezione di cinque categorie di sostanze: a) materiali di 
dragaggio; b) rifiuti di pesci o materie organiche prodotte da operazioni 
industriali della trasformazione del pesce e di altri organismi marini; c) navi, 
fino al 31 dicembre 2000; d) piattaforme o altre installazioni in mare, a 
condizione che i materiali che possono produrre rifiuti galleggianti, o 
contribuire sotto altre forme all’inquinamento dell’ambiente marino siano stati 
rimossi nella misura massima possibile; e) materiali geologici inerti non 
inquinanti i cui costituenti chimici non rischiano di essere liberati 
nell’ambiente marino (art. 4). L’immersione delle sostanze di cui all’articolo 4 
è subordinata al rilascio preliminare da parte delle autorità nazionali 
competenti di un’autorizzazione speciale. Tale autorizzazione viene rilasciata 
solo dopo un attento esame di tutti i fattori enumerati all’annesso del presente 
Protocollo o dei criteri, linee direttive e procedure pertinenti adottate dalle 
Parti al fine di prevenire, ridurre ed eliminare l’inquinamento (artt. 5 e 6). 
Il Protocollo alla convenzione internazionale del 1973 per la prevenzione 
dell’inquinamento causato da navi (Londra, 17 febbraio 1978) si prefigge di 
migliorare ulteriormente la prevenzione ed il controllo dell’inquinamento marino 
da parte delle navi e in particolare delle navi petroliere integrando le regole 
per la prevenzione dell’inquinamento da petrolio contenute nell’Allegato I della 
Convenzione del 1973. Il Protocollo per la protezione del mar Mediterraneo 
dall’inquinamento di origine terrestre (Atene, 17 maggio 1980) si prefigge, 
mediante delle misure appropriate, di prevenire, ridurre, combattere e tenere 
sotto controllo l’inquinamento della zona del Mare Mediterraneo dovuto agli 
scarichi dei fiumi, degli stabilimenti costieri o degli emissari oppure 
provenienti da qualsiasi altre fonte terrestre situata sul loro territorio 
(artt. 1). La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay, 
10 dicembre 1982) si pone l’obiettivo, innanzitutto, di stabilire un ordine 
giuridico per i mari e per gli oceani che faciliti le comunicazioni 
internazionali e che favorisca gli usi pacifici dei mari e degli oceani, 
l’utilizzazione equa ed efficiente delle loro risorse, la conservazione delle 
loro risorse viventi e lo studio, la protezione e la preservazione dell’ambiente 
marino. La Parte XII concerne i provvedimenti e le misure che gli Stati 
s’impegnano ad adottare, singolarmente o congiuntamente secondo i casi, per 
prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento dell’ambiente marino 
(artt. 192-201), in particolare l’assistenza tecnica e scientifica agli Stati in 
via di sviluppo (artt. 202-203), il monitoraggio e gli accertamenti ambientali 
(artt. 204-206), le norme internazionali e la legislazione nazionale per la 
prevenzione, la riduzione ed il controllo dell’inquinamento dell’ambiente marino 
da fonti terrestri (art. 207), da attività relative al fondo marino (art. 208), 
da attività condotte nell’Area (art. 209), da immissione (art. 210), da navi 
(art. 211), di origini atmosferiche o transatmosferiche (art. 212). Infine gli 
Stati adottano misure atte a facilitare lo svolgimento dei procedimenti, in caso 
di inquinamento provocato da una qualsiasi violazione (artt. 223-233). Il 
Protocollo sull’intervento in alto mare in caso di inquinamento causato da 
sostanze diverse dagli idrocarburi (Londra, 3 marzo 1983) si pone l’obiettivo di 
mettere in grado gli Stati di intervenire in caso di incidenti in alto mare che 
possono causare, per le loro coste o per gli interessi connessi, l’inquinamento, 
o che possono costituire una minaccia di inquinamento da sostanze diverse dagli 
idrocarburi. Così si dispone che le Parti possono adottare, in alto mare, le 
misure necessarie a prevenire, attenuare o eliminare i pericoli gravi ed 
imminenti che presentano, per le loro coste o per gli interessi connessi, 
l’inquinamento o una minaccia di inquinamento da sostanze diverse dagli 
idrocarburi conseguenti ad un sinistro marittimo o ad azioni connesse a tale 
sinistro (art. 1). La Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti 
transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento (Basilea, 22 marzo 
1989) si prefigge di controllare rigorosamente i movimenti transfrontalieri di 
rifiuti pericolosi (e di altri rifiuti) e ridurre per quanto possibile al minimo 
tali movimenti. Così, le Parti si impegnano ad adempiere agli obblighi previsti 
dall’articolo 4 relativi alla procedura di divieto di importazione di rifiuti 
pericolosi e ad adottare le disposizioni necessarie per ridurre al minimo la 
produzione e i movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e di altri 
rifiuti, assicurandone una gestione efficace e razionale dal punto di vista 
ecologico (art. 4). La Convenzione, tra l’altro, prevede l’obbligo di 
reimportazione dei rifiuti qualora il loro movimento transfrontaliero non possa 
essere portato a termine (art. 8). L’Accordo di attuazione della Parte XI della 
Convenzione sul diritto del mare del 1982 (New York, 28 luglio 1994) si prefigge 
di rivedere le modalità di attuazione della parte XI della Convenzione sul 
diritto del mare del 1982, in particolare per quanto riguarda l’Autorità 
internazionale dei fondali marini. L’Allegato, che è parte integrante di questo 
Accordo, stabilisce: a) le regole relative all’assetto istituzionale, in 
particolare all’organizzazione, le funzioni e le attività dell’Autorità 
internazionale dei fondali marini, nonché la procedura di approvazione di un 
piano di lavoro (sezione 1); b) le funzioni e le modalità di funzionamento 
dell’Impresa (sezione 2); c) la fase decisionale, in particolare i ruoli 
dell’Assemblea e del Consiglio (sezione 3); d) la Conferenza di riesame (sezione 
4); e) il trasferimento di tecnologia (sezione 5); f) la politica della 
produzione (sezione 6); g) l’assistenza economica (sezione 7); h) le clausole 
finanziarie del contratto (sezione 8); i) il comitato finanziario (sezione 9). 
Il Protocollo sulla protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento derivante 
dall’esplorazione e dalla sfruttamento della piattaforma continentale del fondo 
marino e del sottosuolo (Madrid, 14 ottobre 1994) si prefigge di proteggere e 
salvaguardare il Mare Mediterraneo dall’inquinamento causato da attività di 
esplorazione e di sfruttamento. Le Parti s’impegnano ad adottare, 
unilateralmente o tramite accordi di cooperazione bilaterali o multilaterali, 
tutte le misure appropriate al fine di prevenire, ridurre, combattere e 
controllare l’inquinamento nell’area delineata dal Protocollo, risultante di 
attività relative all’esplorazione e allo sfruttamento delle risorse. A tal 
fine, devono ricorrere all’impiego delle migliori tecniche disponibili, che 
siano efficaci sul piano ambientale e appropriate sul piano economico (art. 3). 
Le Parti contraenti possono regolamentare, limitare o impedire l’uso di sostanze 
chimiche per le attività relative all’esplorazione e/o allo sfruttamento delle 
risorse, nell’area indicata dal Protocollo, in conformità con delle direttive 
adottate dalle Parti contraenti. L’eliminazione delle sostanze e dei materiali 
pericolosi, o nocivi, elencati nell’allegato I è vietata, mentre l’eliminazione 
delle sostanze elencate nell’allegato II è subordinata al rilascio di un previo 
permesso specifico. Per l’eliminazione di tutte le altre sostanze, o materiali 
nocivi, o pericolosi, è richiesto un previo permesso generale (art. 9). Sono 
previste delle disposizioni specifiche per l’eliminazione di oli, miscugli di 
oli, fluidi di perforazione e relativi residui (art. 10), acque di scarico (art. 
11) e rifiuti (art. 12). Sono inclusi 7 Allegati che completano le disposizioni 
contenute nel presente Protocollo. Gli Allegati I e II elencano rispettivamente 
le sostanze e materiali pericolosi o nocivi la cui eliminazione è vietata o 
subordinata al rilascio di un previo permesso specifico. L’Allegato III elenca i 
fattori che devono essere considerati per il rilascio dei permessi (generali e 
specifici). L’Allegato IV disciplina la valutazione d’impatto ambientale. 
L’Allegato V riguarda gli oli, i miscugli di oli, i fluidi di perforazioni e i 
relativi residui. L’Allegato VI disciplina le misure di sicurezza che le Parti 
devono osservare. L’Allegato VII è dedicato ai piani di emergenza. L’art. 17 del 
Protocollo relativo alle zone particolarmente protette e alla diversità 
biologica nel Mediterraneo (Barcellona, 10 giugno 1995) prevede la necessità 
d’instaurare degli studi di impatto ambientale. Il Protocollo alla convenzione 
del 1972, per la prevenzione dell’inquinamento marino causato dallo scarico di 
rifiuti e altre sostanze (Londra, 7 novembre 1996) si pone diversi obiettivi e 
precisamente: «proteggere e salvaguardare l’ambiente marino da qualsiasi fonte 
di inquinamento e prendere delle misure efficaci per prevenire, ridurre e, dove 
possibile, eliminare l’inquinamento causato dallo scarico o dall’incenerimento a 
mare di rifiuti ed altre sostanze». Esso, infatti, vieta: «lo scarico di 
qualsiasi rifiuto o altra sostanza ad eccezione di quelle contenute 
nell’Allegato I, ovvero: 1) materiali di dragaggio; 2) acque di scarico; 3) 
rifiuti di pesci o materie organiche prodotte da operazioni industriali della 
lavorazione dei pesci; 4) navi e piattaforme o altre installazioni in mare; 5) 
materiali geologici non inquinanti; 6) materiali organici di origine naturale; 
7) materie prime, inclusi ferro, acciaio e altri materiali simili non pericolosi 
(art. 4)». Si vieta, altresì, l’esportazione dei rifiuti o di altre sostanze in 
Stati non contraenti per il loro smaltimento o incenerimento in mare (art. 6). 
L’unica eccezione prevista al divieto di smaltimento in mare è il caso di forza 
maggiore, di pericolo di vita, o di grave rischio per la nave (art. 8). Il 
Protocollo sulla prevenzione dell’inquinamento del mare Mediterraneo causato dai 
movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e dal loro smaltimento (Smirne, 
1° ottobre 1996) il quale stabilisce all’art. 5 che le Parti contraenti 
s’impegnano a prendere: a) le misure appropriate per prevenire, ridurre ed 
eliminare l’inquinamento causato dai movimenti transfrontalieri di rifiuti 
pericolosi e dal loro smaltimento; b) le appropriate misure legali ed 
amministrative per proibire l’esportazione ed il transito di rifiuti pericolosi 
verso Paesi in via di sviluppo. Ed inoltre, le Parti che non sono Stati membri 
dell’Unione Europea proibiscono qualsiasi importazione o transito di sostanze 
pericolose. Il Protocollo prevede, infine, una serie di provvedimenti relativi 
al controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi: a) la 
procedura di notificazione, secondo le modalità indicate nell’articolo IV, che 
tiene conto dei provvedimenti della Convenzione di Basilea sul controllo dei 
movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento 
(l’Allegato IV individua le informazioni che devono essere obbligatoriamente 
rese attraverso la notifica (art. 6); b) il dovere di reimportare i rifiuti 
pericolosi (art. 7), appropriate misure legislative per prevenire e penalizzare 
il traffico illecito (art. 9). 
45) Per inquinamento di un corso d’acqua internazionale, 
s’intende ogni modificazione pregiudizievole alla composizione (cioè di tutte le 
sostanze contenute nell’acqua, ivi compresi les corps en solution ainsi que les 
particules en suspension et autres substances insolubles), o alla qualità delle 
proprie acque (natura, grado di purezza dell’acqua) derivanti, direttamente o 
indirettamente, dalle attività di natura umana. 
46) L’obbligo di adottare le necessarie misure di prevenzione 
del danno non è nuovo nella prassi del diritto internazionale: a) l’art. 3 della 
Convenzione di Helsinki impegna le Parti all’adozione di adeguate misure 
legislative, amministrative e tecniche per il controllo e la restrizione dello 
scarico di sostanze nocive nelle acque transfrontaliere, da basarsi sullo 
standard delle migliori tecnologie disponibili; b) il Protocollo per la 
protezione del Mar Mediterraneo del 1980 (emendato a Siracusa nel 1996) il cui 
art. 5 prevede degli “Obblighi generali”, l’art. 6 un “Sistema di autorizzazione 
o regolamentazione”, e il cui Annesso I (indica settori di attività e sostanze 
che le Parti contraenti sono tenute a considerare nella preparazione dei 
programmi per l’eliminazione dell’inquinamento da fonte terrestre) e Annesso II 
(ove vengono indicati gli elementi che le parti debbono prendere in 
considerazione nel rilascio di autorizzazioni per lo scarico di sostanze). In 
successivi strumenti internazionali vincolanti e non vincolanti si prevedono 
ulteriori principi a sostegno della protezione dell’ambiente. Così la 
valutazione dell’impatto ambientale. Si vedano: a) l’art. 206 della Convenzione 
delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay, 1982); b) l’art. 16 della 
Convenzione per la protezione delle risorse naturali e dell’ambiente nella 
regione del sud Pacifico (Nomea, 25 novembre 1986); c) l’art. 2, parr. 1 e 3 
della Convenzione per la valutazione di impatto ambientale in ambito 
transfrontaliero (Espoo, 25 febbraio 1991); d) il principio n. 17 della 
Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo adottata nella Conferenza delle 
Nazioni Unite nel 1992 che prevede, come strumento nazionale, la valutazione 
dell’impatto ambientale; e) l’art. 3, par. 1(h) della Convenzione sulla 
protezione ed uso dei corsi d’acqua transfrontalieri e laghi internazionali 
(Helsinki, 17 marzo 1992); f) l’art. 7, par. 5 della Convenzione di Sofia sulla 
protezione ed uso sostenibile in materia di protezione del Danubio. Così anche 
il principio precauzionale espresso: a) nel principio n. 15 della Dichiarazione 
di Rio su ambiente e sviluppo del 1992; b) nell’art. 2, par. 5 della Convenzione 
di Helsinki del 1992. Il principio precauzionale è stato richiamato anche da una 
sentenza della Corte internazionale di giustizia e precisamente nella 
controversia Slovacchia/Ungheria relativa al progetto Gabčikovo-Nagymaros (22 
ottobre 1992). 
47) In materia di protezione e conservazione delle specie 
ricordiamo alcune convenzioni del diritto internazionale marittimo. Nella 
Convenzione per la protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento 
(Barcellona, 16 febbraio 1976) le Parti contraenti, per proteggere l’ambiente e 
contribuire allo sviluppo durevole delle zona del Mediterraneo, s’impegnano ad 
applicare il principio precauzionale ed il principio “chi inquina-paga”, a 
intraprendere studi d’impatto ambientale, a incoraggiare la cooperazione nella 
procedura di valutazione d’impatto ambientale nel caso di attività che possono 
avere effetti transfrontalieri, a promuovere la gestione integrata del litorale 
(art. 4.1, 4.2, 4.3, 4.6). La Convenzione per la conservazione delle risorse 
marine viventi dell’Antartide (Canberra, 20 maggio 1980) si pone l’obiettivo di 
salvaguardare l’ambiente e proteggere l’integrità dell’ecosistema dei mari che 
circondano l’Antartide e assicurare la conservazione delle risorse marine 
viventi dell’Antartide (art. 9, parr. 2-6). Si prevede l’istituzione di un 
Comitato Scientifico per la Conservazione delle Risorse Marine Viventi 
dell’Antartide che è un organo consultivo della Commissione (artt. 14-16) e la 
nomina di un Segretario Esecutivo che aiuta la Commissione e il Comitato 
Scientifico (art. 17). La Convenzione sulla futura cooperazione multilaterale 
per la pesca nell’Atlantico del Nord-Est (Londra, 17 marzo 1982) si pone 
l’obiettivo di promuovere la conservazione e l’utilizzazione ottimale delle 
risorse della pesca della zona Atlantica nord-orientale nel quadro del regime 
della giurisdizione sulla pesca estesa alle zone costiere e incoraggiare, in 
conseguenza, la cooperazione e la consultazione internazionale in merito a dette 
risorse. L’Accordo ai fini dell’applicazione delle disposizioni della 
Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 
relative alla conservazione ed alla gestione degli stock di pesci i cui 
spostamenti avvengono sia all’interno, sia al di là delle zone economiche 
esclusive e degli stock di pesci grandi migratori (New York, 4 agosto 1995) si 
pone innanzitutto i seguenti obiettivi: assicurare la conservazione a lungo 
termine e l’utilizzazione sostenibile degli stock di pesci i cui spostamenti 
avvengono sia all’interno, sia al di là delle zone economiche esclusive e degli 
stock di pesci grandi migratori, grazie all’applicazione effettiva delle 
disposizioni pertinenti della Convenzione (art. 2). In secondo luogo, gli Stati 
costieri e i paesi che praticano la pesca in alto mare s’impegnano a(d): a) 
adottare misure per realizzare gli obietti del presente Accordo; b) accertarsi 
che tali misure siano fondate sui dati scientifici affidabili e siano atte a 
mantenere o ripristinare gli stock a livelli tali da garantire il massimo 
rendimento costante; c) applicare l’approccio precauzionale ai sensi dell’art. 
6; d) valutare l’impatto della pesca e delle altre attività dell’uomo, nonché 
dei fattori ecologici, sugli stock in oggetto e sulle relative specie; e) 
adottare le misure di conservazione e di gestione necessarie; f) ridurre al 
minimo l’inquinamento, i rifiuti, gli scarichi, le catture con attrezzature 
perse o abbandonate, le catture di specie di pesci e di altre non previste, 
nonché l’impatto sulle specie affini o dipendenti, in particolare quelle 
minacciate di estinzione; g) proteggere la diversità biologica nell’ambiente 
marino; h) adottare misure per impedire o far cessare uno sfruttamento, o una 
capacità eccessivi e affinché le attività di pesca non raggiungano un livello 
incompatibile con l’utilizzazione sostenibile delle risorse ittiche; i) tener 
conto degli interessi dei pescatori che si dedicano alla pesca artigianale ed 
alla pesca di sussistenza; j) raccogliere e mettere in comune dati completi ed 
esatti sulle attività di pesca; k) incoraggiare la ricerca scientifica e 
l’elaborazione di tecnologie appropriate; l) applicare misure di conservazione e 
di gestione mediante efficaci sistemi di osservazione, di controllo e di 
sorveglianza, e a vigilare sulla loro osservanza (art. 5). Ed infine, gli Stati 
parti stabiliscono delle modalità specifiche per garantire una larga 
applicazione dell’approccio precauzionale in materia di conservazione, di 
gestione e di utilizzazione degli stock i cui spostamenti avvengono sia 
all’interno, sia al di là delle zone economiche esclusive e degli stock di pesci 
grandi migratori, per proteggere le risorse biologiche marine e preservare 
l’ambiente marino (art. 6). La Convezione sulle zone umide di importanza 
internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli acquatici (Ramsar, 12 
dicembre 1975), si prefigge, innanzitutto, di promuovere la tutela e l’uso 
razionale delle zone umide, soprattutto come habitat primari per la vita degli 
uccelli acquatici, attraverso interventi in ambito nazionale e di cooperazione 
internazionale, intesi come strumenti per lo sviluppo sostenibile e la 
conservazione della biodiversità nel mondo. Così: a) ciascuna Parte contraente 
designa le zone umide idonee del proprio territorio, da inserire nell’Elenco 
delle zone umide di importanza internazionale (art. 2); b) le Parti contraenti 
elaborano e mettono in pratica programmi per l’utilizzo razionale delle zone 
umide che si trovano sul loro territorio (art. 3), favoriscono la tutela delle 
zone umide e degli uccelli acquatici creando delle riserve naturali nelle zone 
umide indipendentemente dal fatto se siano o meno inserite nell’Elenco, e ne 
assicurano un’adeguata sorveglianza; c) infine, esse incoraggiano le ricerche e 
gli scambi di dati e pubblicazioni relativi alle zone umide, alla loro flora e 
fauna e favoriscono la formazione di personale competente per lo studio, la 
gestione e la sorveglianza delle zone umide (art. 4). Il Protocollo relativo 
alle zone particolarmente protette e alla diversità biologica nel Mediterraneo 
(Barcellona, 10 giugno 1995) si prefigge di conservare, proteggere e ristabilire 
la salute e l’integrità degli ecosistemi nonché la diversità biologica nel 
Mediterraneo. Le Parti adottano le misure necessarie per adempiere i loro 
obblighi, in particolare per proteggere, preservare e gestire, in maniera 
durevole e rispettosa dell’ambiente, gli spazi aventi un valore naturale o 
culturale particolare, specialmente mediante la creazione di zone 
particolarmente protette (art. 3). L’istituzione di zone particolarmente 
protette ha come obiettivo la salvaguardia degli ecosistemi marini e costieri, 
degli habitat in pericolo di estinzione o critici per la sopravvivenza, degli 
habitat necessari per la sopravvivenza, la riproduzione ed il ricambio delle 
specie animali e vegetali in pericolo, minacciate o endemiche, dei siti di 
speciale interesse sul piano scientifico, estetico, culturale o educativo (art. 
4). Ed infine, le Parti s’impegnano ad adottare tutte le misure appropriate per 
regolamentare l’introduzione volontaria o accidentale, nella natura, di specie 
non indigene o modificate geneticamente e per sradicare quelle già introdotte 
che causano o potrebbero causare danni ad ecosistemi, habitat o specie (art. 
13). L’Accordo sulla conservazione dei cetacei del Mar Nero, del Mare 
Mediterraneo e della zona Atlantica adiacente (Monaco, 24 novembre 1996) si 
prefigge l’obiettivo di promuovere la conservazione dei cetacei e del loro 
habitat nelle zone previste dall’accordo in questione. L’annesso 2 esplicita il 
piano di conservazione. 
48) Principio enunciato dalla Corte Internazionale di Giustizia 
in alcune decisioni prese (arrêt rendu dans l’affaire de la Donauversinkung, 
affaire de la Compétence en matière de pêcheries (Regno Unito c. Islanda). Da 
segnalare l’orientamento (precedente) di utilizzare nei precedenti progetti 
l’espressione “appreciable harm”, proposta dal Relatore Schwebel e ribadita dal 
Relatore Evans. Se da un lato l’espressione “apprezzabile danno” poteva 
rappresentare un giusto equilibrio tra le esigenze di tutela delle utilizzazioni 
di un corso d’acqua internazionale e la necessità di evitare proibizioni troppo 
stringenti che avrebbero potuto bloccare i progetti di sfruttamento futuro dello 
stesso corso d’acqua (Schwebel), dall’altro lato, si rilevava in successive 
sessioni il carattere vago ed incerto del termine “apprezzabile” che avrebbe 
posto delle difficoltà nel determinare l’entità del danno e nel rendere 
applicabile la norma concernente il divieto di danneggiare (delegazione 
svizzera, UN Doc. A/CN.4/447, p. 47), favorendo un eccessivo abbassamento della 
soglia di proibizione, col risultato di compromettere la ratio del giusto 
equilibrio a favore degli utilizzatori (delegazione ungherese, UN Doc. 
A/CN.4/447, Add. 2, p. 6). La proposta di sostituire il termine “appreciable” 
con l’espressione “significant”, del Relatore speciale Rosenstock fu accolta 
favorevolmente dalla Commissione del diritto internazionale (Report of the 
International Law Commission on the Work of Its Forty-Fifth Session, General 
Assembly, Official Records, Forty-Eighth Session, Supplement n. 10 (Un Doc. 
A/48/10), New York, 1993, pp. 229-231, nonostante le discussioni e le riserve da 
parte di alcuni Stati che auspicavano una definizione chiara della soglia di 
interferenza proibita (Un Doc. A/6/51/SR. 16, Finlandia, p. 5, par. 19, Egitto, 
p. 11, par. 47, Grecia, p. 6, par. 22, Iraq, p. 6, par. 21, Kuwait, p. 14, par. 
66, Norvegia, p. 13, par. 64, Pakistan, p. 14, par. 68, Portogallo, p. 8, par. 
30, Tunisia, p. 11, par. 48, Ungheria, p. 8, par. 31; Un Doc. A/C.6/51/SR. 17, 
Bagladesh, p. 4, par. 16, Israele, p. 3, par. 7) . Si rinvia a M. ARCARI, Il 
regime giuridico delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali, op. cit., 
pp. 181-184. 
49) Le procedure per la valutazione dei danni e delle 
responsabilità sono previste anche in alcune convenzioni internazionali del 
diritto marittimo internazionale. La Convenzione internazionale sulla 
responsabilità civile per i danni provocati da inquinamento da idrocarburi (Bxuxelles, 
29 novembre 1969) si pone l’obiettivo di garantire un equo indennizzo alle 
persone che subiscono i danni causati dall’inquinamento derivante dalla fuga e 
dallo scarico di idrocarburi delle navi, nonché di adottare norme e procedure 
uniformi sul piano internazionale per definire le responsabilità e garantire in 
tali occasioni un equo indennizzo. Il proprietario della nave, al momento di un 
incidente che causi una fuga o uno scarico di idrocarburi, è responsabile di 
ogni danno, tranne che nel caso d’incidente dovuto a un atto di guerra, a un 
fenomeno naturale di carattere eccezionale, inevitabile ed ineluttabile, a un 
atto intenzionale effettuato da un terzo e diretto a causare un danno, alla 
negligenza di un governo od di un’altra autorità responsabile della navigazione 
(art. 3). In particolare, ove siano avvenuti fughe o scarichi di idrocarburi da 
due o più navi e ne risulti un danno da inquinamento, i proprietari di tutte le 
navi interessate sono responsabili in solido per la totalità del danno che non 
può essere ragionevolmente ripartito (art. 4). Il proprietario di una nave ha, 
ai sensi della presente Convenzione, il diritto di stabilire i limiti della 
propria responsabilità, per ogni incidente, ad un ammontare totale di 2.000 
franchi per unità di tonnellaggio della nave, con un massimo di 210 milioni di 
franchi; a tal fine, costui deve costituire un fondo per la somma totale che 
rappresenta il limite della sua responsabilità presso il tribunale, od ogni 
altra autorità competente di uno qualsiasi degli Stati contraenti (artt. 5 e 6). 
Il proprietario di una nave immatricolata in uno Stato contraente e che 
trasporti più di 2.000 tonnellate di idrocarburi è tenuto a fornire 
un’assicurazione od altra garanzia finanziaria per coprire la propria 
responsabilità per i danni da inquinamento (artt. 7). La procedura per il 
risarcimento dei danni è prevista negli artt. 8-10. La Convenzione 
internazionale sull’istituzione di un Fondo internazionale per il risarcimento 
dei danni dovuti ad inquinamento da idrocarburi (Bruxelles, 18 dicembre 1971) si 
prefigge d’istituire un sistema di risarcimento che completi quello della 
Convenzione internazionale sulla responsabilità civile per i danni derivanti da 
inquinamento da idrocarburi, al fine di assicurare un risarcimento soddisfacente 
alle vittime dei danni da inquinamento e allo scopo di esonerare al tempo stesso 
il proprietario della nave dall’obbligo finanziario supplementare che gli viene 
imposto da detta Convenzione. Viene così costituito un “Fondo internazionale di 
risarcimento per i danni derivanti da inquinamento da idrocarburi” con lo scopo 
di assicurare il risarcimento per i danni da inquinamento nella misura in cui la 
protezione che deriva dalla Convenzione sulla responsabilità sia insufficiente e 
di esonerare il proprietario della nave dall’obbligo finanziario supplementare 
che gli impone la Convenzione sulla responsabilità (art. 2). Il Fondo è tenuto a 
risarcire chiunque abbia subito un danno da inquinamento e non è in grado di 
ottenere un equo risarcimento dei danni in base alla Convenzione sulla 
responsabilità civile del 1969 (art. 4). Il Fondo è esonerato totalmente o 
parzialmente da ogni obbligo se il danno risulta: da un atto di guerra, di 
ostilità, o se è imputabile a fughe o a scarichi di idrocarburi provenienti da 
una nave da guerra, da una mancanza di intervento con intenzione di causare un 
danno o per negligenza, ecc. (art.4). Il Fondo indennizza i proprietari di navi 
per la parte dell’ammontare totale delle responsabilità che supera 1.500 franchi 
per tonnellate di stazza o i 125 milioni di franchi e non supera i 2.000 franchi 
per tonnellate di stazza o i 210 milioni di franchi (art. 5). Il Protocollo del 
1976 emenda l’articolo 1 della Convenzione sostituendo il “franco” con l’“unità 
di conto” o “unità monetaria”, nello stesso modo in cui è stata modificata la 
Convenzione sulla responsabilità civile dal Protocollo adottato il 19 novembre 
1976. I contributi al Fondo sono versati, per quanto concerne ciascuno degli 
Stati contraenti, da ogni persona che, nel corso dell’anno solare che precede 
quello in cui la presente Convenzione è entrata in vigore nei confronti di tale 
Stato, abbia ricevuto in totale dei quantitativi di idrocarburi superiori alle 
150.000 tonnellate; l’ammontare di tali contributi è calcolato dall’Assemblea 
del Fondo in base ad una somma fissa per tonnellata (artt. 10-12). La 
Convenzione include dei provvedimenti relativi alla procedura dei reclami, dei 
diritti e obblighi, e dell’azione giudiziaria (artt. 6-9). Nella Convenzione 
sulla prevenzione dell’inquinamento marino causato dalla scarico di rifiuti ed 
altre sostanze (Città del Messico, Londra, Mosca, 29 dicembre 1972) si 
stabilisce che le Parti contraenti elaborano delle procedure per la 
determinazione delle responsabilità e per la definizione delle vertenze 
riguardanti lo scarico (art. 10). In virtù della Convenzione delle Nazioni Unite 
sul diritto del mare (Montego Bay, 10 dicembre 1982) gli Stati hanno la 
responsabilità dell’adempimento dei propri obblighi internazionali in materia di 
protezione e preservazione dell’ambiente marino e ne rispondono conformemente al 
diritto internazionale, in particolare per quanto riguarda l’indennizzo dei 
danni causati (art. 235). La Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti 
transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento (Basilea, 22 marzo 
1989) stabilisce che un movimento transfrontaliero di rifiuti pericolosi, o di 
altri rifiuti, è considerato come traffico illecito e che la responsabilità di 
garantire lo smaltimento razionale dei rifiuti è dello Stato cui appartiene il 
soggetto che ha commesso l’illecito (art. 9). Nella Convenzione internazionale 
sulla responsabilità e l’indennizzo per i danni causati dal trasporto via mare 
di sostanze nocive e potenzialmente pericolose (Londra, 3 maggio 1996) si 
prevede l’istituzione di un Fondo Internazionale per le Sostanze Nocive e 
Potenzialmente Pericolose (Fondo SNNP), costituito da un’Assemblea e da un 
Segretariato (artt. 13-14) e si specifica i criteri di responsabilità per i 
danni causati da SNNP (artt. 7-11). Nel Protocollo sulla prevenzione 
dell’inquinamento del mare Mediterraneo causato dai movimenti transfrontalieri 
di rifiuti pericolosi e dal loro smaltimento (Smirne, 1° ottobre 1996) sono 
previste, infatti, delle procedure specifiche per la verifica di comportamenti 
ritenuti in violazione degli obblighi sanciti dal Protocollo (art. 13), per la 
valutazione dei danni nonché della responsabilità e dell’indennizzo per danni 
causati dal movimento transfrontaliero e dallo smaltimento dei rifiuti 
pericolosi (art. 14). 
50) La previsione del risarcimento danni nel contesto delle 
utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali è gia stata cristallizzata della 
prassi del diritto internazionale (es., l’art. V, par. j, delle Regole di 
Helsinki), potenziato successivamente dal principio “chi inquina paga” che si è 
formato nel diritto internazionale dell’ambiente. Da ricordare, a tal proposito, 
anche il Codice di condotta sull’inquinamento incidentale delle acque interne 
transfrontaliere, adottato nel 1990 dalla ECE (sezioni II, par. 3 e XV, par. 3).
51) L’obbligo de faire preuve de toute la diligence voulue, è 
gia previsto in precedenti strumenti di diritto internazionale (art. IV, par. 
10, del Trattato del 1960 tra l’India e il Pakistan relativo alle acque 
dell’Indo; art. 194, par. 1 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto 
del mare del 1982; art. 1 della Convenzione sulla prevenzione dell’inquinamento 
dei mari derivante dallo sprofondamento in mare dei rifiuti; art. 2 della 
Convenzione di Vienna per la protezione dello strato di ozono; art. 7, par. 5, 
della Convenzione sulla regolamentazione delle attività relative alle risorse 
minerarie dell’Antartico; art. 2, par. 2 della Convenzione sulla valutazione 
dell’impatto ambientale in un contesto transfrontaliero; art. 2, par. 1, della 
Convenzione sulla protezione e l’utilizzo dei corsi d’acqua transfrontalieri e 
dei laghi internazionali). 
52) Anzi, il ripopolamento delle acque è vietato: dalle 
Convenzioni dell’Aja del 1907 (art. 23) concernente le leggi e i costumi della 
guerra terrestre; dal par. 2 dell’art. 54 del Primo Protocollo Addizionale alle 
Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 e il par. 1 dell’art. 56 del medesimo 
Protocollo che protegge le barriere, le dighe e le altre opere dagli attacchi 
che possono provocare la liberazione di sostanze dannose e, di conseguenza, 
causare delle pesanti perdite umane. Secondo gli artt. 14-15 del II Protocollo 
Addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, una protezione 
simile è anche necessaria in caso di conflitto armato interno. Ed infine, da 
citare: l’art. 55, par. 1, del I Protocollo Addizionale alle Conv/Ginevra; gli 
accordi che includono la clausola Martens (che figurava inizialmente nel 
Preambolo delle Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907) secondo cui, in 
assenza di un accordo internazionale disciplinante una data situazione, le 
popolazioni civili e i belligeranti restano protetti e salvaguardati dai 
principi del diritto delle genti che risultano dalla prassi degli Stati, dalle 
leggi dell’umanità e dalle esigenze della pubblica coscienza; il Protocollo 
concernente il divieto d’impiegare in guerra dei gas asfissianti, tossici, o 
simili, e dei mezzi batteriologici (preambolo, parr. 1 e 3); le Convenzioni di 
Ginevra del 12 agosto 1949 (I, art. 63, par. 4; II, art. 62, par. 4; III, art. 
142, par. 4; IV, art. 158, par. 4); Il Protocollo Addizionale alle Convenzioni 
di Ginevra del 1949 (art. 1, par. 2); la Convenzione sul divieto o limitazione 
di certe armi classiche che possono essere considerate come causa di effetti 
traumatici eccessivi o come frappant sans discrimination (preambolo, art. 5).
53) Anche l’Accordo sul mantenimento della riservatezza dei 
dati concernenti le aree dei fondi marini (Mosca, 5 dicembre 1986) si prefigge 
di porre in essere tutte le misure appropriate al fine di assicurare la 
riservatezza delle coordinate delle aree dei fondi marini, così come delle altre 
informazioni riservate, o di quelle concernenti i diritti di loro esclusiva 
proprietà relative a quelle aree, ricevute in via riservata dalle altre Parti. 
In particolare: a) ciascuna Parte, al fine di assicurare la riservatezza sui 
dati ricevuti da una o più delle restanti Parti, adotta le misure appropriate 
affinché le persone fisiche e giuridiche soggette alla propria giurisdizione, 
aventi accesso a dette informazioni, ne mantengano la riservatezza (art. 1); b) 
La durata della riservatezza, a far data dal ricevimento delle coordinate, è 
fissata in due anni per le coordinate stesse, e in cinque anni per le altre 
informazioni di cui all’art. 1. Essa potrà essere prolungata con l’assenso delle 
Parti (art. 2).
54) L’obbligo derivante dall’art. 32 della CUDN si ritrova 
anche in alcuni precedenti strumenti internazionali: art. 3 della Convenzione 
relativa alla protezione dell’ambiente, conclusa tra la Danimarca, la Finlandia 
la Norvegia e la Svizzera; art. 2, par. 6 della Convenzione sulla valutazione 
dell’impatto ambientale in un contesto transfrontaliero; Parte II.B.8 dei 
Principi guida sulla responsabilità e l’obbligo di riparare in caso di 
polluzione delle acque transfrontaliere, elaborati dalla commissione speciale 
sulla responsabilità e l’obbligo di riparare in caso di polluzione delle acque 
transfrontaliere; par. 4, alinea a, Raccomandazione OCDE [(doc. C(77)28 (Final), 
annesso]. Il principio della non discriminazione e quello dell’eguaglianza di 
accesso stabiliscono che quando gli Stati adottano delle politiche ambientali 
differenti devono applicarle senza fare delle discriminazioni a seconda che si 
tratti di un danno ambientale prodottosi nel proprio territorio, o sul 
territorio di un altro paese (vedi art. 3 della Carta dei diritti e doveri 
economici degli Stati, principio n. 7 del PNUE).
55) Del resto, procedure di soluzione delle controversie 
riguardanti la interpretazione e l’applicazione della CUDN sono prese in 
considerazione, ad esempio: dall’art. 11 della Convenzione sulla prevenzione 
dell’inquinamento marino causato dalla scarico di rifiuti ed altre sostanze 
(Città del Messico, Londra, Mosca, 29 dicembre 1972); dal Protocollo per la 
protezione del mar Mediterraneo dall’inquinamento di origine terrestre (Atene, 
17 maggio 1980) nel quale si prevede che le Parti collaborino nei settori 
scientifici e tecnologici (artt. 9-10) e per la risoluzione delle controversie 
(artt. 11-12); dalla Convenzione quadro europea sulla cooperazione 
transfrontaliera delle collettività o autorità territoriali (Madrid, 21 
maggio1980) nella quale si stabilisce che le Parti contraenti si adoperino a 
risolvere le difficoltà di ordine giuridico, amministrativo o tecnico che 
potrebbero ostacolare lo sviluppo e il buon funzionamento della cooperazione 
transfrontaliera e si consultano con la o le altre Parti interessate (art. 4); 
dalla Parte XV della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare 
(Montego Bay, 1982) che stabilisce le modalità di soluzioni delle controversie 
(artt. 279-299); dall’Accordo ai fini dell’applicazione delle disposizioni della 
Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 - 
relative alla conservazione ed alla gestione degli stock di pesci i cui 
spostamenti avvengono sia all’interno sia al di là delle zone economiche 
esclusive e degli stock di pesci grandi migratori (New York, 4 agosto 1995) – in 
cui si stabilisce che gli Stati hanno l’obbligo di risolvere le loro 
controversie per via negoziale, d’inchiesta, di mediazione, di conciliazione, di 
arbitrato, di soluzione giudiziaria, di ricorso ad organismi o accordi regionali 
o con altri mezzi specifici di loro scelta (artt. 27-32); dall’art. 22 della 
Convenzione sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua 
transfrontalieri e dei laghi internazionali (Helsinki, 17 marzo 1992).
56) Se una delle parti alla controversia non designa entro tre 
mesi (dalla data di richiesta di istituzione della commissione) un proprio 
delegato, ogni altra parte della controversia può chiedere al Segretario 
generale delle Nazioni Unite di designare un membro che non abbia la nazionalità 
degli Stati parti della controversia o dei paesi rivieraschi. La persona 
designata dal Segretario generale delle Nazioni Unite, sarà membro unico della 
commissione d’inchiesta [art. 33, comma 5, CUDN].
57) Se entro tre mesi dalla richiesta di istituzione della 
commissione non si riesce a nominare il presidente della commissione, qualsiasi 
Stato interessato può chiedere al Segretario generale delle Nazioni Unite di 
designare un presidente che non abbia la nazionalità degli Stati parti della 
controversia o dei paesi rivieraschi [art. 33, comma 5, CUDN]. 
58) A meno che il Tribunale arbitrale non stabilisca 
diversamente in funzione della particolarità del caso, le spese sono sopportate, 
in parti uguali, dai controvertenti [art. 9, in appendice alla CUDN].
59) Se le parti della controversia sono più di due, coloro che 
hanno gli stessi interessi designano un arbitro di comune accordo. In caso di 
vacanza si provvede secondo le procedure previste per la nomina iniziale [art. 
3, par. 2, in appendice alla CUDN].
60) Se entro due mesi dalla ricezione della richiesta, una 
delle parti della controversia non ha proceduto alla nomina di un arbitro, 
l’altra parte potrà adire il presidente della Corte internazionale di giustizia 
affinché proceda alla designazione entro i successivi due mesi [art. 4, par. 2, 
in appendice alla CUDN].
61) Il presidente del tribunale non deve essere cittadino o 
residente abituale di uno dei paesi parte della controversia, né di uno Stato 
rivierasco del corso d’acqua interessato, né deve essersi occupato della 
questione a qualsiasi titolo [art. 3, par. 1, in appendice alla CUDN].
62) Ogni parte della controversia, avente un interesse di 
natura giuridica suscettibile di essere limitato dalla decisione, può 
intervenire nella procedura su assenso del tribunale arbitrale [art. 10, in 
appendice alla CUDN].
63) Finlandia (23 gennaio 1998), Germania (15 gennaio 2007), 
Giordania (22 giugno 1999) Iraq (9 luglio 2001), Libano (25 maggio 1999), Libia 
(14 giugno 2005), Namibia (29 agosto 2001), Norvegia (30 settembre 1998), Paesi 
Bassi (9 gennaio 2001), Portogallo (22 giugno 2005), Qatar (28 febbraio 2002), 
Siria con riserva (2 aprile 1998), Sud-Africa (26 ottobre 1998), Svezia (15 
giugno 2000), Ungheria con riserva (26 gennaio 2000). 
64) Costa d’Avorio (25 settembre 1998) Finlandia (31 ottobre 
1997), Germania (13 agosto 1998), Giordania (17 aprile 1998) Iraq, Libano, 
Libia, Lussemburgo (14 ottobre 1997), Namibia (19 maggio 2000), Norvegia (30 
settembre 1998), Paesi Bassi (9 marzo 2000), Paraguay (25 agosto 1998) 
Portogallo (11 novembre 1997), Qatar, Siria (11 agosto 1997), Sud-Africa (13 
agosto 1997), Svezia, Tunisia (19 maggio 2000), Ungheria (20 luglio 1999), 
Venezuela (22 settembre 1997), Yemen (17 maggio 2000). 
65) http://untreaty.un.org/ENGLISH/bible/englishinternetbible/Bible.asp#partI
66) Sulla natura dell’accordo-quadro la dottrina, seppure 
esigua, ha espresso concetti diversi, da come si evince da un esaustivo 
contributo (A. BASSU, Sull’efficacia obbligatoria dell’Accordo-quadro, in Com. 
Studi, vol. II, Giuffré, 2002). Alcuni Autori ritengono l’accordo-quadro come 
non vincolante in quanto contenente norme di principio, o tale da richiedere 
un’integrazione con norme dettagliate, o la conclusione di ulteriori accordi 
internazionali (pp. 528-531). In buona sostanza sarebbe composto da disposizioni 
de lege ferenda che lo accosterebbe alla nozione di soft law (pp. 531-532). Ed 
ancora, affine ad un accordo preliminare – «accordo con il quale le parti si 
obbligano “preliminarmente” ad avviare i negoziati o a stipulare il trattato 
definitivo in quanto al momento di concludere l’accordo preliminare le parti non 
sono in grado di concordare la disciplina applicabile alle questioni cui 
l’accordo suddetto fa riferimento, ovvero ritengono opportuno rinviare ad un 
momento successivo le norme di dettaglio» – in quanto entrambi gli strumenti 
internazionali «costituirebbero le premesse in base alle quali dovrà svilupparsi 
la cooperazione futura fra gli Stati contraenti», e in secondo luogo perché 
anche nell’accordo-quadro «vengono formulati dei principi suscettibili di 
vincolare, in vario modo le parti contraenti: sia nel senso che il successivo 
accordo, se verrà concluso, dovrà attenersi ai principi medesimi, sia in quanto 
venga altresì concordato l’obbligo di dare vita ad un nuovo accordo» (pp. 
533-534). Coloro che propendono per l’obbligatorietà dell’accordo-quadro (tesi 
alla quale aderisce A. Bassu) sostengono che l’obbligatorietà si evince: a) 
dalla volontà degli Stati contraenti d’impegnarsi, presente in alcuni 
accordi-quadro (convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari del 3 
marzo 1980, accordo-quadro di cooperazione economica, industriale, 
scientifico-tecnologica, tecnica e culturale, concluso tra l’Italia e il Cile, 
in data 8 novembre 1990, ecc.); b) dalla previsione di accordi di esecuzione; c) 
dalla presenza di disposizioni in materia di soluzione delle controversie; d) 
dalla c.d. clausola di compatibilità inserita all’interno dell’accordo-quadro 
«per salvaguardare i rapporti giuridici derivanti da accordi vincolanti 
stipulati dagli Stati in tempi diversi e suscettibili di dar vita ad obblighi 
tra loro incompatibili» (pp. 541-549). 
67) Già la Commissione del diritto internazionale era orientata 
sull’opportunità di una convenzione-quadro contenente un insieme di regole di 
natura residuale, destinate ad essere applicabili in assenza di trattati 
internazionali specifici tra gli Stati rivieraschi, e costituenti, allo stesso 
tempo, delle linee-guida per i paesi nell’elaborazione di accordi particolari. 
Il progetto di Convenzione, il cui art. 3 si ispirava a tale orientamento, ha 
subito, tuttavia, una modifica nella stesura finale della Convenzione-quadro a 
causa di opposti emendamenti introdotti, nel corso dei lavori, da parte di 
alcune delegazioni. Così all’Etiopia e ai Paesi Bassi - favorevoli ad una 
prevalenza dei principi contenuti nella convenzione-quadro su accordi 
internazionali preesistenti e futuri conclusi dagli Stati membri – si opponevano 
altri Stati (Francia, India, Israele, Romania, Stati Uniti d’America, Svizzera, 
Turchia) che avanzavano «proposte di modifica finalizzate non solo a preservare 
la validità ed integrità degli accordi particolari già esistenti, ma soprattutto 
a salvaguardare la discrezionalità degli Stati di derogare alle previsioni della 
CUDN nella conclusione di futuri accordi relativi ai singoli corsi d’acqua» (M. 
ARCARI, Il regime giuridico delle utilizzazioni dei corsi d’acqua 
internazionali, op. cit., pp. 21-23). Si arriva quindi ad una formula di 
compromesso nella stesura finale dell’art. 3, secondo cui la convenzione servirà 
come “modello-guida” nella conclusione di futuri accordi particolari, e non 
altererà i diritti e gli obblighi previsti negli accordi particolari 
posteriormente conclusi a meno che questi prevedano diversamente. Ed ancora, si 
precisa, sempre nell’art. 3, che: a) in assenza di accordi contrari, le 
disposizioni della CUDN non pregiudicheranno i diritti e gli obblighi degli 
Stati ad essa parte derivanti da accordi particolari preesistenti (par. 1); b) 
gli Stati parte ad accordi particolari preesistenti potranno, quando necessario, 
considerare l’opportunità di armonizzare i medesimi accordi con le disposizioni 
della CUDN (par. 2).
68) Si menzionano: a) Il Trattato - concluso tra Argentina, 
Bolivia, Brasile, Paraguay e Uruguay a Brasilia, il 23 aprile 1969 – del bacino 
di Rio del Plata; b) l’Accordo concluso tra Argentina e Paraguay (Asunciόn, 15 
luglio 1969) in vista della regolamentazione, della canalizzazione, del 
dragaggio, della segnalazione e della manutenzione del fiume Paraguay; c) Il 
Trattato concluso tra Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 2 aprile 
1984), concernente il fiume Skagit e il lago Ross, oltre che i serbatoi Seven 
Mile del fiume Pend d’Oreille. 
69) Già l’art. 7 dell’Annesso 8 (Navigazione fluviale) al 
Trattato concluso tra la Francia e l’ex Repubblica Federale Tedesca sulla 
regolamentazione della questione relativa alla Saar (Lussemburgo, 27 ottobre 
1956) stabilisce che «Dans la zone inondable de la partie comune de la rivière 
Sarre formant frontière, aucun ouvrage principale ou accessoire ne peut être 
établí qu’après accord entre les administrations compétentes des deux pays. La 
même procédure est appliquée pour toutes modifications notables apportées à un 
ouvrage pour autant que ces changements puissent avoir une influence sut l’écoulement 
des crues».
70) Già nel 1963, ad esempio, il Camerum, la Costa d'Avorio, il 
Dahomey, la Guinea, l’Alto Volta, il Mali, la Nigeria, il Niger e il Chad, hanno 
concluso «L’Atto finale relativo alla navigazione e alla cooperazione economica 
tra gli Stati del bacino del Niger», in cui si prevede (art. 2) che lo 
sfruttamento del fiume Niger, dei suoi affluenti e sotto-affluenti, è aperto a 
ogni Stato rivierasco nella porzione del bacino del fiume Niger che si trovi sul 
suo territorio e nel rispetto della sua sovranità secondo il principio stabiliti 
nell’Atto e le modalità da determinarsi in accordi speciali e potranno essere 
conclusi ulteriormente. La Convenzione e lo Statuto conclusi nel 1964 tra il 
Camerum, la Nigeria, il Niger e il Chad per la valorizzazione del “bacino” del 
Chad, prevedono che lo sfruttamento del “bacino”, e in particolare l'utilizzo 
delle acque in superficie e delle acque sotterranee, si intendono in senso 
ampio, e ha per oggetto i bisogni dello sviluppo per fini domestici, industriali 
e agricoli oltre che per la raccolta dei prodotti della fauna e della flora 
fluviali (Statuto, art. 4). In tal caso il termine, “bacino” include le acque 
sotterranee (e quindi) sinonimo di “bacino idrografico”. Il sottocomitato dei 
fiumi internazionali del Comitato giuridico-consultivo africano-asiatico ha 
fondato i suoi lavori sulla nozione di “bacino di drenaggio internazionale”. Il 
comitato giuridico inter-americano ha limitato il campo di applicazione di un 
suo progetto di convenzione sull'utilizzo industriale e agricolo dei corsi 
d'acqua e dei laghi internazionali, nel 1965, ai fiumi internazionali contigui e 
successivi e ai laghi internazionali. Successivamente, nel 1966, il Consiglio 
economico e sociale interamericano ha adottato una risoluzione sulla 
regolamentazione e utilizzazione economica dei corsi d'acqua, dei bacini e degli 
accidents hydrographiques dell'America Latina, nella quale raccomanda ai paesi 
membri dell'Alleanza per il progresso di intraprendere ogni studio per «la 
regolamentazione e l'utilizzazione economica delle corsi d’acqua, dei bacini e 
degli accidents hydrographiques della regione di cui fanno parte, al fine di 
promuovere, mediante dei progetti multilaterali, la loro utilizzazione, per il 
miglior bene di tutti». Il Trattato del bacino di Rio della Plata, concluso 
dall'Argentina, la Bolivia, il Brasile, il Paraguay e l’Uruguay, il 23 aprile 
1969, prevede l'istituzione di accordi e strumenti giuridici di esecuzione 
miranti ad assicurare un utilizzo razionale delle risorse idriche, specialmente 
per la regolamentazione dei corsi d'acqua e una disciplina equa dei loro diversi 
utilizzi. Ai sensi dell'articolo 2 del trattato, i ministri degli affari esteri 
degli Stati del bacino del Rio de la Plata si riuniscono ogni anno per definire 
gli orientamenti di politica generale miranti a raggiungere gli obiettivi del 
trattato. Nel 1971 (quarta riunione) i ministri degli affari esteri hanno 
adottato l’Atto di Assunzione, al quale sono allegati 25 risoluzioni al fine di 
promuovere la valorizzazione e l'integrazione tra armoniosa del bacino del Rio 
de La Plata. Il Trattato, tuttavia, non contiene alcuna definizione precisa del 
termine “bacino”. Nella risoluzione 25, che tratta dell'utilizzo dei fiumi 
internazionali, si riportano le nozioni di fiumi internazionali contigui e dei 
fiumi internazionali successivi che sono utilizzati come base per risolvere i 
problemi giuridici come segue: Nel caso di fiumi internazionali contigui, che 
appartengono simultaneamente alla sovranità di due Stati, risulta necessario 
concludere un accordo internazionale fra gli Stati rivieraschi prima di 
qualsiasi utilizzo, sia fatto, delle acque. Il sistema degli accordi 
internazionali, o eventuale obbligo di negoziare derivante anche dall’art. 33 
della Carta delle Nazioni Unite (e/o dal diritto consuetudinario) nel momento in 
cui delle difficoltà insorgono nei rapporti tra Stati interessati (e non in un 
momento successivo), costituisce il modo migliore per regolare le (eventuali) 
controversie ed appare l’unica soluzione visto che ogni bacino idrografico è 
differente dagli altri e richiede un trattamento differente. La prassi dimostra 
che, se da un lato certi principi possono essere applicati a tutti gli Stati, 
risulta assai difficoltosa, viste le differenze tra le varietà dei corsi d’acqua 
internazionali, formulare dei principi generali. È pur vero che bisognerà tener 
conto del principio della sovranità degli Stati sulle loro risorse naturali, del 
principio della responsabilità per danni arrecati agli altri Stati, di quello 
dell’equa partizione, la cui applicazione è prevista dal diritto internazionale 
consuetudinario, o dagli accordi internazionali, ovvero da altri strumenti di 
internazionale vincolanti per gli Stati firmatari (A/CN.4/SR.1406, punti 26-27, 
in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1976, vol. I). Nel caso di 
fiumi internazionali successivi, che non appartengono simultaneamente alla 
sovranità di due Stati, ogni paese può utilizzare le acque conformemente ai suoi 
bisogni a condizione che non causi dei pregiudizi notevoli a ciascuno degli 
altri Stati del bacino. La Convenzione del 1964 conclusa tra la Guinea, Mali, 
Mauritania e Senegal prevede che il comitato interstatale istituito dalla 
convenzione del 1963 è incaricato, in modo particolare, di raccogliere (art. 11) 
i dati di base concernente insieme del “bacino fluviale” e di informare gli 
Stati rivieraschi su tutti progetti o i problemi concernenti il “bacino 
fluviale”.
71) Certi recenti accordi bilaterali sudamericani adottano un 
approccio differente utilizzando nella stessa terminologia a seconda si tratti 
di inquinamento o di utilizzo. Anzi, l’Atto di Santiago concernente i bacini 
idrografici - concluso nel 1971 tra l'Argentina e il Cile - stabilisce al 
paragrafo 2 che «le parti eviteranno di inquinare i loro fiumi e i loro laghi» 
in qualsiasi modo. Tuttavia, per quel che riguarda il termine “utilizzazione”, 
le espressioni “tronconi contigui di fiumi internazionali”, “laghi comuni” e 
“fiumi internazionali successivi” sono impiegati (parr. 3-5). Sembra dunque che 
i testi normativi in questione prevedano per la polluzione un campo di 
applicazione più ampio rispetto quello concernenti le “utilizzazioni”. L'accordo 
del 1972 tra il Canada e gli Stati Uniti d'America - relativo alla qualità 
dell'acqua dei Grandi Laghi si occupa delle acque limitrofe della rete 
idrografica in questione – stabilisce all’art. V che, per migliorare la qualità 
delle sue acque, è necessario mettere a punto tutta una serie di misure per 
ridurre la polluzione causata dalle fogne, dalle industrie, dall'agricoltura, 
dallo sfruttamento delle foreste ed agli altri usi dei suoli nell'ambito dei 
Grandi Laghi, che è definito come «tutti i corsi d'acqua, riviere, fiumi, laghi 
e altre dimensioni d'acqua che si trovano nel bacino idrografico di San Lorenzo» 
(art. I, al. d). 
72) Nell’affare del Lago Lanoux, il tribunale arbitrale, 
riconoscendo la natura reale dell’unità del bacino fluviale, dal punto di vista 
della geografia fisica, ha concluso che «l’unité d’un bassin, n’est sanctionnée 
sur le plan juridique que dans la mesure où elle correspond à des réalités 
humaines» [in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1974, vol. II (2ª 
parte), p. 209, doc. A/5409, 3ª parte, cap. II, sez. 6, par. 1064], e che «la 
règle suivant laquelle les Etats ne peuvent utiliser la force hydraulique des 
cours d’eau internationaux qu’à la condition d’un accord préalable entre les 
Etats intéressés ne peut être établie ni à titre de costume, ni encore moins à 
titre de principe général du droit» [in Annuaire de l’Institut de Droit 
International, 1974, vol. II (2ª parte), p. 211, doc. A/5409, 3ª parte, cap. II, 
sez. 6, par. 1066]. 
73) Attualmente 120 paesi (unitamente all’Unione europea) hanno 
ratificato o aderito alla Convenzione sul diritto del mare. Gli Stati che hanno 
sottoscritto la convenzione risultano 142. 
74) Le regole proposte dall’Istituto di diritto internazionale 
nel 1911 e i diversi progetti adottati dall’International Law Association nel 
1959, costituiscono un prematuro tentativo di codificazione; la ricca 
giurisprudenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, non può costituire una 
particolare regola di diritto internazionale applicabile all’utilizzo delle 
corsi d’acqua, perché non è univoca sugli stessi problemi (A/CN.4/SR.1406, punti 
23-24, in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1976, vol. I). 
75) La CUDN è stata adottata ed aperta alla firma 
dell’Assemblea generale con la Risoluzione Ag., 21 maggio 1997, n. 51/229. È 
stata adottata dall’Assemblea generale con 104 voti favorevoli, e voti contrari 
(Burundi, Cina e Turchia) e 26 astensioni.
76) Nella Ris. Ag., 15 dicembre 1976, n. 31/97, si pregava gli 
Stati membri di presentare le loro osservazioni per iscritto al Segretario 
generale delle Nazioni Unite sul diritto delle utilizzazioni dei corsi d’acqua 
diverse dalla navigazione. Ed ancora, in una circolare datata 18 gennaio 1977, 
il Segretario generale ribadiva tale invito. Nel 1979, alla sua 31ª sessione, la 
commissione di diritto internazionale reiterava la richiesta di avere a 
disposizione, per proseguire il proprio studio, il punto di vista di numerosi 
Stati sui quesiti relativi alla questione in oggetto e quindi invitava gli Stati 
membri “inadempienti”, per il tramite del Segretario generale, a esprimersi. In 
una circolare del 18 ottobre 1979, il Segretario generale torna di nuovo ad 
invitare gli Stati a fare delle osservazioni scritte sul questionario elaborato 
dalla Commissione di diritto internazionale. Nella Ris. Ag., 17 dicembre 1979, 
n. 34/141, par. 4, al. d), si raccomanda alla Commissione di diritto 
internazionale di proseguire i propri lavori sulla questione in oggetto, tenendo 
conto delle risposte dei governi al questionario. In seguito, dei nuovi quesiti 
furono preparati dalla Commissione di diritto internazionale e sottoposti nel 
1980, nonché pubblicati. Nella Ris. Ag., 15 dicembre 1980, n. 35/163, si 
raccomanda alla Commissione di diritto internazionale di proseguire 
nell’elaborazione del progetto di articoli sulla questione in oggetto, tenendo 
conto delle risposte al questionario pervenute dai governi e dei dati forniti da 
essi. Raccomandazione ribadita nella successiva Ris. Ag., 10 dicembre 1981, n. 
114. Nelle Ris. Ag., 35/163 e 36/114, si pregano i governi “ancora inadempienti” 
a rispondere in maniera completa e possibilmente rapida ai quesiti della 
Commissione di diritto internazionale. Nel periodo febbraio-giugno 1982 delle 
risposte giunsero dai governi del Bangladesh e del Portogallo. Successivamente, 
al 15 giugno 1982, solo trentadue Stati membri hanno risposto ai questionari 
(Argentina, Austria, Bangladesh, Barbados, Brasile, Canada, Colombia, Ecuador, 
Filippine, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Indonesia, Libia, Lussemburgo, 
Nicaragua, Niger, Paesi Bassi, Pakistan, Polonia, Portogallo, Siria, Spagna, 
Sudan, Stati Uniti d’America, Svezia, Swaziland, Ungheria, Venzuela, Yemen e 
Yugoslavia). 
77) La possibilità di stipulare accordi bilaterali o 
multilaterali è anche prevista in convenzioni internazionali di diritto 
marittimo. La Convenzione sulla prevenzione dell’inquinamento marino causato 
dalla scarico di rifiuti ed altre sostanze (Città del Messico, Londra, Mosca, 29 
dicembre 1972) stabilisce che le Parti aventi interessi comuni a proteggere 
l’ambiente marino di una determinata zona geografica e cercheranno di concludere 
degli accordi regionali compatibili con la presente Convenzione e di collaborare 
a detti accordi (art. 8). La Convenzione quadro europea sulla cooperazione 
transfrontaliera delle collettività o autorità territoriali (Madrid, 21 
maggio1980) stabilisce che le Parti contraenti si adoperino a promuovere, nel 
rispetto delle norme costituzionali proprie, la conclusione di accordi ed intese 
al fine di raggiungere gli obiettivi della Convenzione (art. 1). Le Parti 
contraenti agevolano le iniziative delle collettività ed autorità territoriali 
che prendano in considerazione gli schemi di intesa tra collettività e autorità 
territoriali elaborati nel quadro del Consiglio d’Europa. Esse potranno prendere 
in considerazione i modelli d’accordi interstatali, bilaterali o plurilaterali 
inclusi nell’Allegato (art. 3). È incluso un Allegato che contiene dei modelli e 
degli schemi di accordi, di statuti e di contratti in materia di cooperazione 
transfrontaliera di collettività o autorità territoriali. La possibilità di 
stipulare accordi bilaterali o multilaterali è anche prevista in altre 
convenzioni di diritto internazionale fluviale. Nella convenzione sulla 
protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi 
internazionali (Helsinki, 17 marzo 1992) si prevede che le Parti rivierasche 
concludano accordi bilaterali o multilaterali al fine di definire le relazioni 
reciproche e le direttive da seguire per quanto riguarda la prevenzione, il 
controllo e la riduzione dell’impatto transfrontaliero.
78) Come già si è sostenuto a suo tempo [A. BERNARDINI, Fiumi e 
laghi (diritto internazionale), in Enc. Dir., vol. XVII, Giuffré, 1968], 
attraverso le norme convenzionali o, talora, derivanti da consuetudini 
particolari, «sono risolti i conflitti di interessi ed è disciplinata la 
collaborazione fra gli Stati circa le diverse utilizzazioni delle loro acque 
interne» anche in deroga dei princìpi che regolano la coesistenza fra paesi 
sovrani. «L’importanza economica di tali utilizzazioni [...] è tale che essa 
obiettivamente occasiona conflitti di interessi ed esigenze di coordinamento e 
di collaborazione fra gli Stati, situazioni per le quali i principi generali di 
coordinamento delle sovranità territoriali sono di solito inadeguati. Si profila 
dunque per gli Stati l’opportunità e sovente la necessità di regolare con norme 
apposite convenzionali, nei rapporti reciproci, le utilizzazioni delle acque 
interne, a cominciare, per i fiumi ed i laghi navigabili, dalla navigazione 
interna, fluviale e lacuale. Altrimenti, il fatto stesso della coesistenza fra 
Stati porterà con il tempo alla formazione di norme consuetudine particolare per 
i singoli fiumi e laghi» (pp. 698-699). «Per le utilizzazioni delle acque 
diverse dalla navigazione, l’internazionalizzazione primaria» - che viene 
stabilita in generale mediante accordo fra tutti o parte degli Stati 
rivieraschi, senza che sia poi escluso che essa venga di fatto stabilita anche a 
vantaggio di paesi rivieraschi non parti dell’accordo - «costituisce la forma di 
internazionalizzazione prevalente, seppure non esclusiva» (pp. 701-702).
79) M. ARCARI, Il regime giuridico delle utilizzazioni dei 
corsi d’acqua internazionali, op. cit., p. 6. 
80) UN Doc. A/CN.4/447, Paesi Nordici, p. 26, Regno Unito pp. 
32 e 35. Canada in UN Doc. A/CN.4/447/Add. 1, p. 3. Paesi Bassi in UN Doc. 
A/CN.4/447/Add. 3, pp. 8-10. Messico in UN Doc. A/C.6/46/SR.28, p. 7, par. 35.
81) Si propose di sostituire la formula “utilizzazione 
ottimale” con “utilizzazione sostenibile” da parte di tre delegati (Tomuschat, 
in Summary Records of the Meetings of the Forty-Sixth Session, in Yearbook of 
the International Law Commission, 1994, vol. I, p. 174, par. 24; Yankov, p. 175, 
par. 26 e Idris, p. 175, par. 32). Ma prevalse la tesi di coloro che 
sottolineavano i contorni imprecisi della nozione di sviluppo sostenibile e 
l’inopportunità della sua inclusione nel testo dell’articolo 5, par. 1 [CUDN] (Calero 
Rodrigues, in Summary Records of the Meetings of the Forty-Sixth Session, in 
Yearbook of the International Law Commission, 1994, vol. I, p. 175, par. 27) e 
il fatto che l’espressione stessa fosse già implicita nel duplice riferimento 
del par. 1 alle finalità di ottima utilizzazione ed adeguata protezione del 
corso d’acqua (Fomba, in Summary Records of the Meetings of the Forty-Sixth 
Session, in Yearbook of the International Law Commission, 1994, vol. I, p. 175, 
par. 33). Si veda anche, M. ARCARI, Il regime giuridico delle utilizzazioni dei 
corsi d’acqua internazionali, op. cit., pp. 335-341.
82) In particolare: a) principio n. 4 della Dichiarazione di 
Rio su ambiente e sviluppo adottata durante la Conferenza di Rio su ambiente e 
sviluppo del 1992; b) art. 2 par. 5 (c) Convenzione di Helsinki sull’uso e la 
protezione dei corsi d’acqua transfrontalieri; c) l’art. 2 della Convenzione 
sulla diversità biologica (Rio de Janeiro, 5 giugno 1992); d) art. 2 della 
Convenzione di Sofia del 1995 sulla cooperazione per la protezione ed uso 
sostenibile del fiume Danubio. 
83) In particolare: l’Accordo che istituisce l’Organizzazione 
per la regolamentazione e lo sviluppo del bacino del fiume Kagera; la 
Convenzione relativa allo statuto del fiume Senegal e la Convenzione che 
istituisce l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal; l’Atto 
relativo alla navigazione e alla cooperazione economica tra gli Stati del bacino 
del Niger; l’Accordo relativo alla commissione del fiume Niger e alla 
navigazione e ai trasporti sul fiume Niger; la Convenzione tra il Senegal e il 
Gambia, oltre che l’Accordo del 1968 per la valorizzazione integrata del bacino 
del Gambia; la Convenzione del 1976 sull’istituzione del Comitato di 
coordinamento per il progetto del bacino del Gambia; la Convenzione e lo Statuto 
relativi alla valorizzazione del bacino del Chad; il Trattato relativo al bacino 
di Rio de La Plata.
84) Si vedano: i principi 3-4 della Dichiarazione di Rio su 
ambiente e sviluppo del 1992; il capitolo 18 («protezione della qualità e 
approvvigionamento delle risorse in acqua dolce») dell’Agenda 21. La Convenzione 
sulla protezione ed uso dei corsi d’acqua transfrontalieri e laghi 
internazionali, aperta alla firma ad Helsinki il 17 marzo 1992 tra gli Stati 
membri della ECE; la Convenzione sulla cooperazione per la protezione e l’uso 
sostenibile del fiume Danubio (Sofia, 29 giugno 1994) firmata da Austria, 
Bulgaria, Comunità europea, Croazia, Germania, Moldavia, Romania, Slovenia, 
Ucraina, Ungheria; l’Accordo sulla cooperazione per lo sviluppo sostenibile del 
bacino del fiume Mekong (Chiang Rai, 5 aprile 1995) firmato da Cambogia, Laos, 
Tailandia, Vietnam. 
85) Per esempio: Il Segretario generale pose a suo tempo, agli 
Stati membri delle Nazioni Unite, dei quesiti inerenti alla definizione e alla 
disciplina delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali diverse dalla 
navigazione [Document A/CN.4/352 e Add. 1, Estratto dall’Annuaire de l’Institut 
de Droit International, 1982, vol. II (1)]. A tal proposito il Bangladesh (che 
non figura tra gli Stati ratificanti), pur essendo stato uno dei due paesi 
(l’altro il Portogallo) a rispondere ai quesiti, riteneva che la nozione 
geografica di bacino idrografico internazionale sarebbe stata la piu adatta a 
configurare un corso d’acqua internazionale poiché, tale formula è stata 
adottata dalla maggior parte degli Stati rivieraschi e dei giuristi. 
L’orientamento opposto che emerge dalla Convenzione probabilmente ha fatto 
desistere il Bangladesh dall’assumere lo status di paese contraente-ratificante.
86) Ad esempio, alla nozione di «corsi d’acqua internazionali» 
si opponeva quella di bacino idrografico, ivi compresa quella del bacino di 
drenaggio che, a detta di alcuni delegati, rappresentava una nozione adatta per 
gli studi economici e geografici, per i progetti di sviluppo o sfruttamento 
delle risorse. Anche sulla nozione di “corso d’acqua internazionale” si è 
discusso in sede di commissioni. Secondo alcuni, per determinare il senso e la 
portata della nozione di «corso d’acqua internazionale», si dovrebbe tener conto 
della risoluzione adottata nel 1911 dall'Istituto di diritto internazionale 
concernente la «Regolamentazione internazionale dell'uso dei corsi di acqua 
internazionali» (Annuaire de l’Institut de droit international, 1911, Parigi, 
vol. 24, 1911, pp. 365-367). La risoluzione dell’IDI, tuttavia, impiega la 
nozione di bacino idrografico come sinonimo di “corsi d'acqua”. Si precisa, 
infatti, che: a) «Le presenti regole e raccomandazioni si applicano all'utilizzo 
delle acque facenti parte di un corso d'acqua o di un bacino idrografico che si 
estende sul territorio di due o più Stati» (art. 1); b) «Ogni Stato ha il 
diritto di utilizzare le acque che attraversano o costeggiano il suo territorio, 
sotto riserva dei limiti imposti dal diritto internazionale, e specialmente di 
quelle risultanti dalle disposizioni che seguono»; c) «Questo diritto ha per 
limite il diritto di utilizzo degli altri Stati interessati allo stesso corso 
d'acqua o bacino idrografico». Perché si possa parlare di “corso d’acqua 
internazionale”, è indispensabile che delle porzioni di tale spazio acquifero si 
trovino in Stati differenti (art. 2, punto b). Ed invero, applicandosi la teoria 
dell’integrità o dell’unità del bacino fluviale, a cui si ispirano le Regole di 
Helsinki sulle utilizzazioni delle acque di fiumi internazionali, si 
assoggetterebbe, ad esempio, la vasta regione bagnata dal Rio del Plata (il 
bacino di Rio de La Plata ha una superficie di 2.400.000 km²) ad un regime di 
doppia o multipla sovranità, almeno per certi bisogni specifici. Il bacino di 
Rio del Plata, infatti, copre la totalità del territorio del Paraguay, i due 
terzi del territorio dell'Uruguay, praticamente tutto il Nord dell'Argentina, 
delle parti consistenti del territorio della Bolivia e la quasi totalità del 
Brasile al sud del bacino dell'Amazzonia. Tuttavia, limitazioni di questo 
genere, avrebbe scontentato quei paesi che hanno un interesse legittimo affinché 
le loro risorse naturali siano potenziate, e che godono di una sovranità piena 
ed intera su queste risorse, accettino delle limitazioni di questo genere 
(A/CN.4/SR.1406 (punto 16), in Annuaire de l’Institut de Droit International, 
1976, vol. I). La nozione di bacino di drenaggio internazionale fu respinta in 
sede di commissione, per le considerazioni negative di alcuni Stati (Brasile, 
Colombia, Ecuador) espresse nel rispondere al questionario del 1974 – nonostante 
altri paesi fossero favorevoli (Finlandia, Stati Uniti) sull’opportunità di 
utilizzare la nozione di “bacino di drenaggio internazionale” come base di 
partenza su cui strutturare la convenzione-quadro. Si riteneva che tale 
concezione sarebbe stata troppo restrittiva rispetto ad un’area territoriale 
interessata dall’alimentazione di un corso d’acqua internazionale (in Yearbook 
of the International Law Commission, 1976, vol. II, p. 1, pp. 152-154, 162-163; 
oppure: M. ARCARI, Il regime giuridico delle utilizzazioni dei corsi d’acqua 
internazionali, op. cit., pp. 36-38). Tale nozione, tuttavia, è contenuta: nella 
Risoluzione adottata dall’ILA nella sessione di New York del 1958 [ILA, Report 
of the 48th Conference (New York), 1958, pp. 1-2]; nell’art. 1 della Risoluzione 
sull’uso delle acque internazionali non marittime adottata dall’Istituto di 
Diritto Internazionale (sessione di Salisburgo, 1961, in Annuaire IDI, 1961, t. 
II, p. 371); nel preambolo del Trattato relativo alla valorizzazione delle 
risorse idrauliche del bacino del fiume Columbia (Washington, 17 gennaio 1961) 
concluso tra Canada e Stati Uniti; nell’art. II delle Regole di Helsinki del 
adottate dall’ILA nel 1966; nell’art. I del Trattato sul bacino del Rio de la 
Plata (Brasilia, 23 aprile 1969), concluso tra Argentina, Bolivia, Brasile, 
Paraguay e Uruguay; nell’art. II del Trattato per la cooperazione amazzonica 
(Brasilia, 3 luglio 1978) concluso tra Bolivia, Brasile, Guyana, Perù, Suriname 
e Venezuela; nel Protocollo per la protezione del Mar Mediterraneo contro 
l’inquinamento di fonte terreste (Atene, 17 maggio 1980); negli artt. 1 e 3 
dell’Accordo per la protezione della Mosa e dell’Accordo per la protezione dello 
Scheda (Charleville Mézières, 26 aprile 1994) conclusi tra Francia, tre governi 
regionali del Belgio (Bruxelles, Fiandre e Valloni) Paesi Bassi; negli artt. 1 e 
3 della Convenzione sulla cooperazione per la protezione e l’uso sostenibile del 
fiume Danubio (Sofia, 29 giugno 1994). Implicitamente la nozione in questione 
viene menzionata: nell’art. 2 dell’Atto riguardante la navigazione e la 
cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger (Niamey, 23 ottobre 
1963) concluso tra Alto Volta (ora Burkina Faso) Camerun, Chad, Dahomey (ora 
Benin – Guinea), Costa d’Avorio, Mali, Niger, Nigeria; nell’art. I dello Statuto 
relativo allo sviluppo del bacino del Chad (Fort Lamy, 22 maggio 1964) concluso 
tra Camerun, Chad, Niger e Nigeria; nell’art. 1 della Convenzione relativa allo 
Statuto del fiume Senegal (Nouakchott, 11 marzo 1972) sottoscritta tra Mali, 
Mauritania e Senegal; negli artt. 1-2 dell’Accordo recante creazione 
dell’organizzazione per la gestione e sviluppo del fiume Kagera (Rusumo, 24 
agosto 1977) concluso tra Burundi, Ruanda, Tanzania ed Uganda. Dalla prassi 
degli Stati, dai trattati, dagli studi delle organizzazioni regionali, dalle 
ricerche degli organismi giuridici, risulta un modo diverso d’intendere 
l'espressione “corso d’acqua internazionale”. L’orientamento non univoco 
rappresenta, quindi, un altro motivo per il quale la convenzione-quadro non ha 
avuto, finora, risvolti positivi. 
87) Considerando i problemi riguardanti numerosi corsi d’acqua 
internazionali, tra i quali l’aumento del consumo e della polluzione, 
l’Assemblea generale ha ritenuto importante, ai sensi degli artt. 1-2 della 
Carta delle Nazioni Unite, promuovere ed elaborare una convenzione quadro 
mirante a regolare l’utilizzo, il miglioramento, la conservazione, la gestione e 
la protezione dei corsi d’acqua internazionali per fini diversi dalla 
navigazione e anche per un uso ottimale e duraturo a beneficio delle generazioni 
presenti e futuri. Il suggerimento dell’Assemblea generale sull’opportunità di 
adottare un accordo-quadro è stato recepito dalla CUDN, considerandosi i corsi 
d’acqua variegati e diversi tra loro tali da richiedere una regolamentazione 
specifica a seconda delle caratteristiche del corso d’acqua e degli esigenze 
degli Stati interessati. La CUDN ha solo la funzione di stabilire principi e 
regole di portata generale.
 
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it 
il 07/02/2008