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NOZIONE E STRUTTURA DEL CONTRATTO DI DONAZIONE (*)

ANTONINO CATAUDELLA




SOMMARIO: 1. Struttura contrattuale della donazione. - 2. Tipo legale e art. 769 c.c. - 3. L'arricchimento. - 4. Lo spirito di liberalità, la spontaneità ed il perseguimento di interessi non patrimoniali. - 5. Lo spirito di solidarietà. - 6. La donazione come contratto unilaterale o, comunque, con prestazioni non corrispettive. Donazione e comodato. Donazione e contratti con obbligazioni del solo proponente. - 7. Le prestazioni: disposizioni di diritti. - 8. Le prestazioni: donazioni liberatorie. - 9. Le prestazioni: assunzioni di obblighi. - 10. Il tipo legale donazione ed i sottotipi. -11. Donazione e gratuità. - 12. Donazione e liberalità. Donazioni indirette. - 13. Donazione mista.


1. Struttura contrattuale della donazione

 

La donazione, pur essendo qualificata contratto, è collocata, nel c.c., non nella parte del Libro IV ("Delle obbligazioni") dedicata ai singoli contratti (art. 1470 ss.) ma nel Libro II, di seguito alle norme dettate per le successioni.

Sotto questo riguardo il c.c. vigente non ha innovato rispetto a quello del 1865, anche se dai lavori preparatori emerge che ciò è avvenuto non senza perplessità e contrasti.

Il progetto preliminare del c.c., presentato al Ministro Guardasigilli il 23 marzo 1936, disciplinava la donazione di seguito alle successioni, e di tale collocazione la relazione dava sintetica giustificazione richiamando l'avviso del Pisanelli, secondo il quale "il titolo delle donazioni viene ad essere un punto di transizione tra queste e i contratti".

Giustificazione maggiormente articolata si rinveniva nella relazione del Guardasigilli al progetto definitivo del c.c., che manteneva ferma tale collocazione. Il Guardasigilli notava che "la donazione ha in comune col testamento lo spirito di liberalità e la sua disciplina presenta sensibili deviazioni dalla normale regolamentazione dei rapporti contrattuali"; si soffermava, poi, a sottolineare particolarità della disciplina della donazione rispetto a quella generale dei contratti.

Le obbiezioni a tale collocazione non si attenuarono e trovarono eco nella relazione della Commissione Parlamentare ma continuarono a non sortire esito, sicché il c.c., nella sua redazione definitiva, pur affermando in maniera formalmente recisa la natura contrattuale della donazione (mentre nei progetti si parlava di "atto" ora la si qualifica "contratto"), tien ferma la collocazione della sua disciplina nel libro delle successioni. Collocazione che il Guardasigilli motiva facendo leva sulle divergenze tra la disciplina della donazione e quella dettata per gli altri contratti e sui punti di contatto tra tale disciplina e quella delle successioni testamentarie.

Quale che sia il giudizio che si ritenga di poter dare sulle ragioni che sono state addotte per giustificare tale collocazione, ciò che importa sottolineare è che i lavori preparatori confermano che non si è mai dubitato, anche da chi l'ha voluta, della struttura contrattuale della donazione: struttura conclamata dall'art. 769.

Del resto, non è certo, questa della donazione, l'unica deroga all'inserimento dei contratti nella parte del c.c. destinata ai singoli contratti. Le c.d. "convenzioni matrimoniali" sono regolate nel Capo VI del Libro I (art. 159 ss.); il contratto di divisione nel Titolo IV del Libro II (artt. 713 ss.) e nel Titolo VII del Libro III (artt. 1111 ss.); le regole sul contratto collettivo di lavoro (artt. 2067 ss.), sul contratto individuale di lavoro (artt. 2096 ss., 2239 ss.), sul contratto di lavoro autonomo (artt. 2222 ss.), sul contratto di consorzio (artt. 2602 ss.) sono collocate nel Libro V, ove pure si ritrovano, nell'ambito della normativa dettata per le società (artt. 2247 ss.), le regole sui contratti costitutivi delle stesse; nel Libro VI è delineato il contratto costitutivo di pegno (art. 2786) ed è disciplinato il contratto costitutivo di ipoteca (art. 2821 ss.).
Né all'attribuzione di struttura contrattuale alla donazione poteva essere d'ostacolo la normale attitudine della stessa a recare vantaggio al donatario. È connaturato al riconoscimento dell'autonomia privata il limite alla sua incidenza rappresentato dalla sfera di interessi propria dell'autore o degli autori dell'atto di esercizio dell'autonomia: limite che opera anche nei confronti di chi dall'atto tragga vantaggio e che, nella donazione, viene garantito con la partecipazione dello stesso al negozio giuridico, cui viene imposta, appunto, struttura contrattuale.

Il principio antico, invito beneficium non datur, è regola del nostro ordinamento giuridico, che viene garantita, nei negozi che comportano attribuzioni gratuite, o imponendo una struttura contrattuale o consentendo, comunque, al beneficiario, di rendere inoperante il negozio unilaterale volto all'attribuzione. La scelta tra le due vie è stata operata dal legislatore, nel caso della donazione, imponendo la struttura contrattuale.

Non costituisce una deroga alla struttura contrattuale la "donazione fatta in riguardo di un determinato futuro matrimonio" (c.d. donazione obnuziale), anche se l'art. 785, c. 1° ne prevede il perfezionamento "senza bisogno che sia accettata". L'incontro tra proposta ed accettazione non è il modo esclusivo di formazione del contratto: v. gli artt. 1327, c. 1°; 1331; 1333.
Nel caso della donazione obnuziale il contratto si perfeziona, allo stesso modo della previsione dell'art. 1333, quando alla proposta di donare non segua un rifiuto del destinatario della stessa.


2. Tipo legale e art. 769 c.c.

La donazione, trovando menzione e disciplina nel c.c., assurge a tipo legale.
Nella gran parte dei casi i tipi legali sono delineati, nel c.c., con una norma iniziale che ne prospetta la nozione.
Nel delineare i tipi legali il legislatore fa preminentemente capo alle prestazioni dedotte in contratto, intendendosi per tali non solo i comportamenti che le parti si obbligano ad attuare in adempimento degli obblighi assunti col contratto ma anche i risultati che, nei contratti ad effetti reali, conseguono immediatamente al contratto.
Il riferimento diretto è, quindi, ad elementi esterni alla struttura del contratto. Tale riferimento comporta peraltro, in maniera implicita ma necessitata, il richiamo ad un elemento strutturale: il contenuto del contratto: Il legislatore, nell'indicare le prestazioni che qualificano il contratto, muove infatti dalla necessaria premessa che le stesse siano pattuite dai contraenti.
La delineazione del tipo legale comporta l'individuazione del contenuto essenziale del contratto e consente l'individuazione delle fattispecie contrattuali concrete alle quali dovranno trovare applicazione le regole dettate per il tipo.
A tal fine si impone un raffronto tra lo schema contrattuale, in astratto delineato dal legislatore, ed il contratto concretamente posto in essere. Raffronto che darà luogo a conclusioni positive solo se si constaterà che il contenuto del contratto concreto (inteso come complesso delle regole dettate dalle parti per disciplinare i propri interessi) presenta le note essenziali che caratterizzano lo schema contrattuale astratto.
Come per la gran parte dei contratti la nozione del contratto di donazione è data all'inizio, nell'art. 769, che così la delinea: "la donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l'altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa una obbligazione".
Rispetto al modo consueto di definire il tipo di contratto, quello seguito per la donazione sembra, almeno ad un primo esame, alquanto diverso.
L'art. 769 non si limita, infatti, a richiamare prestazioni, quali sono il trasferimento di diritti o i comportamenti dedotti in obbligazioni ("disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa una obbligazione"), ma attribuisce rilievo a connotazioni che non appaiono qualificabili come "prestazioni". Tali l'arricchimento del donatario ad opera del donante, che dovrebbe conseguire dal trasferimento di un diritto o dall'assunzione di una obbligazione ("una parte arricchisce l'altra, disponendo … o assumendo …"), e lo "spirito di liberalità".
La conferma o la smentita di questa prima impressione potranno essere date solo all'esito dell'esame, prima autonomo e poi complessivo, delle componenti della definizione.


3. L'arricchimento

Il senso più immediato che si potrebbe attribuire al termine "arricchimento", utilizzato nell'art. 769, è quello di oggettivo incremento del patrimonio del donatario.
Così inteso, si tratterebbe di connotazione inconsueta per i contratti, in quanto estranea al contenuto e costituita da un effetto economico del contratto stesso.
Constatare questa singolarità non offre peraltro argomento sufficiente per disattendere siffatta lettura, della quale va invece, e soprattutto, sottolineata l'incompatibilità col disposto dell'art. 793, c. 2°, dal quale emerge che può esservi donazione senza oggettivo incremento del patrimonio del donatario ("il donatario è tenuto all'adempimento dell'onere entro i limiti del valore della cosa donata").
Si è tentato di superare l'ostacolo frapposto dalla norma assumendo che sarebbe stata dettata con esclusivo riguardo all'ipotesi che l'onere sia diventato di valore pari o superiore alla donazione dopo la stipula della stessa.
Questa lettura restrittiva, che comporta una corrispondente restrizione delle fattispecie annoverabili tra le donazioni, contrasta col tenore della disposizione, che non contiene limitazioni del genere, e non elimina l'ostacolo che la regola da essa dettata frappone all'assunto che la donazione debba essere connotata dall'oggettivo incremento del patrimonio del donatario: tale incremento, infatti, non avrebbe comunque luogo nei casi ai quali si vorrebbe limitare l'applicazione della norma.
Si è sostenuto che l'"arricchimento" non è situazione che debba protrarsi necessariamente nel tempo, essendo sufficiente che si realizzi al momento della stipula della donazione.
Da questa premessa discenderebbe non solo l'inidoneità del successivo incremento di valore dell'onere, sino al livello della donazione ed anche oltre, ad escludere l'esistenza dell'arricchimento ma anche la presenza dell'arricchimento pure quando l'onere raggiunga o superi il valore della donazione già al momento della conclusione del contratto, dato che l'adempimento dello stesso ha luogo in periodo cronologicamente successivo all'arricchimento prodotto dalla donazione.
L'argomentazione che si è esposta presta, peraltro, il fianco a critica sotto un duplice profilo.
In primo luogo, essa, nel far seguire all'incremento patrimoniale prodotto dalla donazione il decremento patrimoniale causato dall'onere, scompone arbitrariamente l'unitario regolamento contrattuale: in una visione unitaria incremento e decremento vanno apprezzati contestualmente, al fine di accertare se al contratto consegua, oppure no, un incremento patrimoniale.
In secondo luogo, l'assunto che il decremento patrimoniale conseguente all'onere è cronologicamente successivo all'arricchimento prodotto dalla donazione può reggersi solo sul presupposto che incrementi e decrementi patrimoniali non possano realizzarsi con l'acquisto di diritti e con l'assunzione di obblighi, mentre dovrebbe essere pacifico, all'opposto, che il patrimonio del donatario, così come può essere incrementato con l'assunzione da parte del donante di un obbligo nei confronti del donatario, può essere negativamente inciso con l'assunzione di un obbligo dal donatario nei confronti del donante o di terzi.
Se di ciò si tiene conto, non è dato ravvisare, nella donazione modale, successione cronologica tra incrementi e decrementi patrimoniali, che si realizzano contemporaneamente, nel momento in cui il contratto di donazione è efficace. Una successione cronologica si può individuare con riguardo non agli effetti ma all'adempimento degli obblighi discendenti dal contratto, e va aggiunto che, pure su questo piano, non sempre si prospetta, potendo i contraenti pattuire che gli obblighi del donatario siano adempiuti prima di quelli del donante.
In conclusione, l'incremento patrimoniale del donatario, pur essendo un effetto assai frequente del contratto, non rappresenta una costante della donazione e perciò non può valere a connotarla.
Questa conclusione può essere disattesa solo se si segua la tesi di una dottrina, nettamente minoritaria anche se autorevole, che configura la donazione modale, alla quale ha riguardo l'art. 793, come autonomo tipo contrattuale: ma la tesi, come si vedrà in seguito (v. § 10), non può essere condivisa.
Resta dunque da chiedersi se l'"arricchimento" del quale parla l'art. 769 non possa essere inteso in senso diverso da quello di oggettivo incremento patrimoniale del donante. Se così non fosse, dato che per la configurazione del tipo contrattuale non ci si può fermare alla nozione delineata nel c.c. ma occorre tenere in conto tutta la disciplina che lo stesso detta per il tipo, sarebbe giocoforza negare che costituisca una connotazione della donazione.
Sembra peraltro che dell'"arricchimento" si possa, e si debba, dare lettura diversa da quella che si è criticata, intendendolo in senso non oggettivo ma soggettivo.
La sussistenza di un nesso di corrispettività tra le prestazioni è lasciata all'apprezzamento dei contraenti, cui spetta stabilire se le prestazioni di una parte trovino o no la loro ragion d'essere nelle prestazioni dell'altra parte.
Quando la risposta al quesito è negativa, nella valutazione di non corrispettività operata dalle parti è necessariamente implicata la valutazione dell'esistenza di un arricchimento del donatario: valutazione che, quindi, è anch'essa da ritenere demandata alle stesse.
Se così è, il dato che il valore economico oggettivo dell'onere eguagli o superi quello della donazione non può incidere sulla qualificazione data al contratto, allo stesso modo che un divario oggettivo di valore tra le prestazioni corrispettive non incide sulla qualificazione di un contratto come contratto con prestazioni corrispettive quando, nell'apprezzamento delle parti, ciascuna delle prestazioni trovi la sua ragion d'essere nell'altro.
La circostanza che nella donazione, diversamente dai contratti con prestazioni corrispettive, le parti non hanno composto interessi potenzialmente confliggenti cercando di trovare, ciascuna, la misura di scambio più vantaggiosa ma sono state mosse dall'intento concorde di avvantaggiare una di esse, può spiegare i modi dell'intervento correttivo dell'ordinamento giuridico, contemplato dall'art. 793, c. 2° allorché, per la gravosità dell'onere, emerga che il contratto non comporta incrementi o addirittura determina perdite per il patrimonio del donatario.


4. Lo spirito di liberalità, la spontaneità ed il perseguimento di interessi non patrimoniali

Lo "spirito di liberalità", spesso identificato con il c.d. animus donandi, può essere inteso, e talvolta lo è, come intento o scopo del donante di beneficare il donatario.
Così inteso, andrebbe considerato come il motivo che induce il donante al contratto, con prospettazione che attribuirebbe ad un motivo l'attitudine a connotare lo schema donativo.
La conclusione porterebbe ad un esito singolare, vista la normale inettitudine dei motivi ad incidere sulla vita dei contratti e, ancor più, sulla configurazione degli stessi. Tale singolarità non sarebbe, peraltro, sufficiente per negare plausibilità alla conclusione se alla stessa non frapponesse ostacolo insuperabile il dettato dell'art. 794: norma che ammette la possibilità che l'onere costituisca "il solo motivo determinante" alla donazione. Quando ciò accada, è evidente che allo spirito di liberalità non si può riconoscere idoneità ad indurre il donante al contratto.
Inoltre, l'art. 770, c. 1° annovera tra le donazioni anche quelle c.d. "rimuneratorie", nelle quali il donante non è animato da un intento puramente liberale, inducendosi a donare "per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale rimunerazione".
Vero è che le motivazioni del donare possono essere le più varie e che il puro intento di beneficare costituisce, più che la regola, l'eccezione. Da qui l'orientamento autorevole a far coincidere lo spirito di liberalità con la mancanza di costrizioni.
Una caratterizzazione in senso meramente negativo dell'intento del donante non può, però,riuscire pienamente appagante. Essa, infatti, da un lato appare insufficiente perché palesemente inidonea a dare alla donazione una connotazione atta a distinguerla dagli altri tipi contrattuali, dall'altro, risulta eccessiva, essendo possibile individuare, nel novero dei motivi che possono ispirare il donante, l'intento che costantemente lo anima.
Un primo passo in questa direzione è consentito dalla constatazione che è, certamente, intento costante del donante quello di porre in essere un assetto di interessi che comporti un'attribuzione senza corrispettivo a favore del donatario.
Tale intento è, altrettanto certamente, condiviso dal donatario, sicché lo si può configurare come intento comune ad entrambi i contraenti, andando così oltre la formulazione letterale della norma, che sembra avere riguardo esclusivo alla volontà del donante ma che trova spiegazione nel rilievo preminente che nella donazione assume, per la funzione che il contratto svolge, tale volontà.
Se si ritenesse di esaurire la funzione donativa nella realizzazione di un'attribuzione patrimoniale senza corrispettivo a favore del donatario, si dovrebbe ravvisare nel comune intento prima individuato nulla più che la proiezione soggettiva della funzione, finendo col negare autonoma rilevanza all'animus donandi.
Se, peraltro, ci si fermasse a questo esito il risultato non potrebbe ritenersi appagante perché la nota individuata, certamente propria della donazione, non è della stessa esclusiva, in quanto si ritrova non solo in tutti i contratti liberali ma anche in tutti i contratti gratuiti, sicché non può dirsi caratterizzante la donazione.
È quindi il caso di tentare ancora un approfondimento, volto a pervenire ad un ulteriore affinamento del senso da attribuire, nel quadro normativo, allo "spirito di liberalità", che ne eviti l'appiattimento a mera proiezione soggettiva della funzione della donazione e consenta di attribuirgli, invece, una precisa valenza caratterizzante.
A questo fine appare utile procedere, in primo luogo, alla puntuale valorizzazione della nota della spontaneità, in secondo luogo, a segnare un discrimine alla stregua della natura, patrimoniale o non patrimoniale, degli interessi perseguiti.
L'assenza di coazione (spontaneità), se per tale si intenda la mancanza di un vincolo giuridico a porre in essere il contratto, è, lo si è già accennato, nota soggettiva comune a gran parte delle manifestazioni dell'autonomia privata (il vincolo alla conclusione del contratto definitivo, che nasce dal preliminare, ha carattere di eccezione).
Può assumere valore caratterizzante solo se la si intenda come mancanza di vincoli, anche non giuridici, a concludere il contratto.
E che così debba intendersi lo conferma l'art. 770, c. 2° che, negando esplicitamente natura donativa alla "liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi", assume valenza sistematica di consistente rilievo perché, da una parte, a fronte di un negozio senza dubbio gratuito posto in essere in conformità ad usi che non hanno forza di consuetudine, ne afferma la natura liberale anche in presenza di un vincolo all'agire, in considerazione della circostanza che non si tratta di vincolo giuridico, dall'altra, proprio per la presenza di un vincolo, sia pure non giuridico, ne esclude esplicitamente la natura donativa ("non costituisce donazione …").
La fattispecie prevista dalla norma presenta come nota oggettiva costante l'esistenza di un uso liberale privo di vincolatività giuridica, che talora è collegato a servizi resi (è il caso delle mance), talaltra no (è il caso dei doni che si è soliti fare in occasione di matrimoni, di ricevimenti, di compleanni ed onomastici, di festività).
Contrastata è la necessaria presenza, in capo a chi pone in essere il negozio senza corrispettivo, dell'intento di conformarsi all'uso: intento la cui sussistenza suppone non solo la conoscenza dell'uso ma anche la volontà, così operando, di attenersi allo stesso.
Chi nega questa necessità fa esclusivamente leva sull'assenza, nella norma, di esplicito richiamo ad un intento del genere. Argomento, da solo, non decisivo perché, sul piano testuale, la disposizione è inserita in un articolo che, nel suo primo comma, attribuisce significativo rilievo all'intento dell'autore della liberalità, e nel secondo comma non solo non esclude la rilevanza dell'intento ma anzi, quando parla di un agire "in conformità agli usi", sembra supporla.
D'altro lato, la presenza dell'uso non riesce a dare, in sé, motivazione convincente del diniego della qualificazione della liberalità come donazione, che trova invece coerente ragion d'essere allorché sia accertato, o non possa escludersi, l'intento di conformarsi all'uso, perché in tal caso manca la spontaneità che caratterizza la donazione.
La mancanza dell'uso o, comunque, dei presupposti di fatto necessari per il suo operare non consente di configurare una liberalità d'uso ma non comporta, diversamente da quanto taluno ha opinato, la nullità del negozio per mancanza di causa.
Quando l'intento di conformarsi ad un uso non trovi riscontro nell'effettività dell'uso l'intento stesso finisce infatti col prospettarsi come motivo della donazione ed appare, come tale, inidoneo ad incidere sulla causa della stessa. La causa della donazione potrebbe essere esclusa da un intento siffatto solo se la donazione fosse caratterizzata, sul piano soggettivo, dall'intento di beneficare: e si è visto che così non è. Pure se si fa coincidere l'animus donandi col mero intento di arricchire il donatario la copresenza di un intento di uniformarsi all'uso non è atta a negarlo perché non vale ad annullare questo intento ma si colloca a motivo propulsivo dello stesso o a fine ulteriore, indiretto, dell'assetto di interessi (arricchimento del donatario) perseguito.
La circostanza che nelle liberalità d'uso sia dato ravvisare l'animo liberale (inteso come scopo di arricchire) che si ravvisa nella donazione consente di ricondurle nell'ambito delle liberalità ma non può, a mio avviso, legittimare la conclusione, cui autorevole dottrina è pervenuta, che la causa della liberalità d'uso si identifichi con la causa della donazione. Tale conclusione contrasta con l'inapplicabilità alle liberalità d'uso, almeno in linea di principio, delle regole dettate per la donazione. Ora, la diversità di disciplina si ricollega, nel sistema normativo, a diversità tipologiche, e alla diversità del tipo corrisponde una diversità di funzione o causa. Questa diversità viene negata sulla premessa che la causa della donazione sia connotata esclusivamente dall'intento di arricchire una delle parti ma il tipo donazione è connotato rispetto ad altri tipi, come vedremo, anche dalla natura delle prestazioni con le quali l'attribuzione patrimoniale si attua, e con riguardo alle liberalità d'uso dalla mancanza del vincolo, sia pure non giuridico, rappresentato dall'uso.
Pure nei contratti a titolo gratuito conclusi "in esecuzione di doveri morali o sociali" (art. 2034, c. 1°), vale a dire in adempimento di obbligazioni naturali, manca un vincolo giuridico, dato che la pretesa nascente dall'obbligazione naturale non è azionabile e che la stessa diventa giuridicamente rilevante solo a seguito dell'esecuzione perché, quando la stessa abbia avuto luogo, la legge preclude la possibilità di ripetizione (art. 2034, c. 1°).
La circostanza, peraltro, che anche in questo caso il contratto sia posto in essere in attuazione di un vincolo, sia pure non giuridico, porta ad escludere la spontaneità, intesa in senso lato, che caratterizza la donazione e preclude pertanto la qualificabilità come donazione di contratti posti in essere in adempimento di obbligazioni naturali. Conclusione, questa, argomentabile a fortiori dall'art. 770, c. 2°, che nega la configurabilità di donazioni a fronte di vincoli alla determinazione certamente meno incisivi.
Un punto di confine può essere costituito dalle donazioni c.d. rimuneratorie ma la denominazione abbraccia donazioni di varia natura nelle quali la spinta alla liberalità non sembra trovare fondamento in vere e proprie obbligazioni naturali.
L'affermazione non richiede particolare motivazione per le donazioni poste in essere "in considerazione dei meriti del donatario" (art. 770, c. 1°) perché non si può certo configurare un dovere morale o sociale del singolo di riconoscenza per meriti acquisiti dal donatario nei confronti della collettività. Né per le donazioni poste in essere "per speciale rimunerazione" (art. 770, c. 1°, c.c.) perché, se vi è un dovere giuridico di rimunerare, non può configurarsi un dovere, neppure morale o sociale, di rimunerare in maniera particolare.
Restano le donazioni fatte "per riconoscenza".
La riconoscenza, a seconda del comportamento dell'altra parte al quale si ricollega, può assurgere oppure no a dovere morale ed il discrimine tra donazione rimuneratoria ed adempimento di obbligazione naturale è rappresentato, appunto, dall'essersi venuto o meno a configurare un dovere del genere.
Pure nel caso di operazioni gratuite poste in essere da società nell'interesse del gruppo cui appartengono, la natura donativa va esclusa per mancanza di spontaneità, dovendosi le società adeguare alle direttive del gruppo.
La lettura dell'art. 769 anche alla luce del disposto dell'art. 770, c. 2° induce, quindi, ad intendere lo spirito di liberalità come volontà del donante di porre in essere un'attribuzione gratuita spontanea, intesa tale spontaneità come assenza di vincoli, in senso lato, all'agire.
Sotto un ulteriore riguardo lo spirito di liberalità appare connotato, anche qui in senso negativo, del mancato perseguimento di un interesse patrimoniale diretto da parte del donante: la presenza di un interesse del genere appare, invero, logicamente inconciliabile con lo spirito di liberalità, sia pure inteso, come è stato, nella maniera più blanda.
L'interesse diretto perseguito dal donante può essere di varia natura: purché si tratti di interesse non patrimoniale.
Allo stesso modo dell'intento di attuare un'attribuzione senza corrispettivo la finalità non direttamente patrimoniale perseguita dal donante deve essere conosciuta dall'altra parte e dalla stessa anche condivisa; condivisione che non sta a significare che l'intento non patrimoniale diventi anche proprio del donatario e, quindi, comune, bensì che entrambe le parti si prospettano e vogliono, oppure accettano, che l'atto realizzi un interesse non patrimoniale del donante.
La presenza di un interesse economico sia pure indiretto ha fornito alla giurisprudenza un argomento per negare natura di donazioni alle operazioni gratuite poste in essere dalle società nell'interesse del gruppo cui appartengono.
Sulla stessa linea si può negare tale natura alle attribuzioni senza corrispettivo poste in essere nel commercio al fine di incrementare le vendite (ad es. premi da sorteggiare tra i clienti) e anche alle elargizioni gratuite per promozione di opere artistiche o culturali o di ricerca scientifica, usualmente ricondotte sotto le denominazioni di "mecenatismo" o di "patrocinio", quando siano poste in essere da imprese nella prospettiva di pubblicizzare le stesse o di valorizzarne l'immagine con conseguente ritorno economico, sia pure indiretto ed a lungo termine.
Situazione affatto diversa si ha nei contratti di sponsorizzazione, nei quali le prestazioni dello sponsor sono finalizzate ad un ritorno pubblicitario, e quindi economico, diretto: scopo per realizzare il quale sono imposti allo sponsorizzato obblighi di comportamento preordinati alla diffusione dei segni distintivi dello sponsor. Si tratta, quindi, di contratti con prestazioni corrispettive.
Non sono riconducibili allo schema donativo, e neppure annoverabili tra le liberalità non donative, gli accordi traslativi conclusi tra coniugi in occasione della separazione personale o del divorzio quando trovino la loro ragion d'essere nella regolamentazione patrimoniale dei rapporti tra i coniugi. Non si può escludere l'eventualità che, pure in queste occasioni, siano poste in atto vere e proprie liberalità, ma si tratta, appunto, di tener distinti i casi nei quali vi è mera coincidenza temporale tra accordo e separazione o divorzio e quelli nei quali l'accordo si colloca nel quadro della separazione o del divorzio e trova in questi la sua ragion d'essere
Le incertezze sulla classificazione di questi accordi non dovrebbero , in vero, giungere a far dubitare della natura onerosa degli stessi.


5. Lo spirito di solidarietà

I motivi del donante possono, quando ricorrano determinate condizioni, incidere sulla vita del contratto: così il motivo erroneo, che quando risulti dall'atto e sia stato il solo a determinare il donante alla liberalità rende annullabile la donazione (art. 787); così il motivo illecito, che la rende nulla, sempre che risulti dall'atto e sia stato il solo a determinare il donante alla liberalità (art. 788); così il motivo che abbia indotto il donante a prevedere un onere illecito o impossibile, che rende nulla la donazione se è stato il solo determinante (art. 794).
I motivi non sono però, di regola, atti a caratterizzare il tipo donazione né a configurare un tipo diverso: ed il già cit. art. 770, c. 1° ne dà conferma.
Ci si può chiedere, peraltro, se questa normale inettitudine a caratterizzare un tipo valga anche con riguardo al motivo di solidarietà.
Si suole parlare di "spirito di solidarietà" con riguardo a prestazioni senza corrispettivo ispirate dall'intento di aiutare altri per far fronte ai loro bisogni.
Se lo "spirito di liberalità" si intendesse come scopo di beneficare l'altra parte, lo "spirito di solidarietà" se ne staccherebbe, sul piano psicologico,già per il fatto che non è volto a soddisfare un interesse individuale bensì un interesse di più generale portata, e poi perché, in esso, l'intento di avvantaggiare l'altra parte è connotato dall'essere, questo vantaggio, finalizzato al soddisfacimento di un bisogno della stessa. Su questa linea, la contrapposizione tra "spirito di solidarietà" e "spirito di liberalità" può apparire, in effetti, sufficientemente netta.
Si è già visto, però, che l'intento di beneficare non caratterizza la donazione e che, per configurare la stessa, occorre e basta il mero intento di porre spontaneamente in essere, per soddisfare un interesse non patrimoniale del donante, un'attribuzione patrimoniale senza corrispettivo a vantaggio del donatario.
In questo quadro, l'individuazione di un ulteriore intento di solidarietà, così come di qualsivoglia diverso intento ulteriore,non appare atta ad incidere sulla natura di donazione del contratto, rimanendo fermo, in tutti i casi, il predetto intento primario.
A conclusione diversa si può giungere se si ritiene, sulla scia di un recente assunto, che la liberalità ha acquisito "connotati di un rapporto giuridico misurato dall'equilibrio fra due reciproche convenienze" e che va intesa "come modo di camuffare uno scambio fra prestazioni reciprocamente convenienti".
È evidente, infatti, che su questa linea la solidarietà tende a diventare addirittura alternativa alla liberalità già sotto il profilo dell'atteggiamento psicologico del soggetto; e lo diventa tanto più se venga, in qualche modo, colorata di doverosità giuridica, nell'assunto che il principio di solidarietà debba essere inteso come principio generale del nostro ordinamento, "in quanto tale sotteso al sistema degli enunciati ed utilizzabile nei processi ermeneutici indipendentemente dall'esistenza di un testuale riferimento normativo".
La contrapposizione così prospettata tra liberalità e solidarietà appare però il frutto, per quanto riguarda lo "spirito di liberalità", di un'eccessiva generalizzazione di note di corrispettività, che si possano rinvenire in concrete donazioni: si tratta, del resto, di corrispettività impropria, nella quale la dimensione commutativa non è data dallo scambio di prestazioni ma è suggerita dalla presenza di interessi del donante, normalmente non patrimoniali, che con la donazione verrebbero ad essere soddisfatti.
Vero è, piuttosto, che quando l'attribuzione gratuita risulti strettamente connessa ad un interesse patrimoniale di chi la attua, si è di fronte, come si è già visto (supra n. 4), ad un atto gratuito che non configura una liberalità e che, quindi, non può offrire spunto per intendere il senso attuale dello spirito di liberalità.
Per quanto riguarda, poi, lo "spirito di solidarietà" la nota della doverosità che gli si attribuisce non consente, per la mancanza di riferimento normativo, del resto esplicitamente riconosciuta da chi la ravvisa, di attribuire alla solidarietà natura di clausola generale ma induce ad assegnare alla stessa portata di principio generale dell'ordinamento: principio che, peraltro, non si sostanzia in doveri per chi operi a fini di solidarietà ma ha solo valenza ermeneutica per intendere gli enunciati normativi.
Le considerazioni svolte inducono alla conclusione che lo "spirito di solidarietà", allorché ispiri un contratto volto a realizzare a vantaggio di una parte un'attribuzione patrimoniale senza corrispettivo, non è atto, in mancanza di supporti normativi che a tale effetto lo valorizzino, a far esulare la fattispecie dallo schema donativo.
Un supporto del genere si ritrova con riguardo alle attività prestate nelle organizzazioni di volontariato "in modo personale, spontaneo e gratuito … senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà" (art. 2, c. 1°, l. 11 agosto 1991, n. 266).
La scarna disciplina che la legge riconnette all'attività di volontariato (divieto di retribuzione, ammissione del rimborso spese, incompatibilità con qualsiasi rapporto di contenuto patrimoniale con l'organizzazione della quale il volontario fa parte) non appare, per vero, atta a consentire la configurazione di un autonomo tipo contrattuale né risulta del tutto inconciliabile con la disciplina della donazione.
La non riconducibilità allo schema della donazione discende, peraltro, dal modo nel quale il rapporto del volontario si atteggia.
Si tratta di un rapporto bifronte, che vede, da una parte, l'organizzazione di volontariato, alla quale il volontario promette prestazioni di attività non retribuita, che però sono destinate a vantaggio non dell'organizzazione bensì di soggetti terzi, dall'altra, terzi, di volta in volta individuati, a beneficio dei quali il volontario rende la prestazione. Manca però, sia con riguardo ai terzi sia con riguardo all'organizzazione, l'assunzione di un obbligo del volontario di eseguire le prestazioni.
Ciò è evidente per quanto riguarda i terzi, del resto ancora, normalmente, non individuati quando la promessa è resa, ma è vero anche per l'organizzazione, visto che il cit. art. 2, c. 1°, l. n. 266/1991 richiede che l'attività sia prestata (non solo promessa) "… in modo … spontaneo", vale a dire non in attuazione di obblighi. D'altro lato la stessa norma, allorché parla di "attività di volontariato … prestata … tramite l'organizzazione di cui il volontario fa parte …", mostra di vedere nell'organizzazione non la controparte del volontario bensì il canale del quale lo stesso si avvale per realizzare l'intento di solidarietà.
L'inidoneità dell'intento solidaristico ad escludere, di per sé solo, la configurabilità di una donazione è comprovata dalla constatazione che la nozione di volontariato - quale è formulata nella norma appena citata - si attaglia ai contratti dai quali nascono obbligazioni di fare, sicché solo per essi, e non per i contratti dai quali nascano obbligazioni di dare o che comportino disposizioni di diritti, pur se animati da intento solidaristico, sembra sussistere l'impedimento che all'inquadramento nello schema donativo appare frapposto dalla mancanza di un vincolo giuridico alla prestazione.
La lettura che ravvisa nella definizione data dall'art. 2, c. 1° della cit. l. n. 266/1991 una nozione legale unitaria dell'attività di volontariato avente portata generale, quindi estesa anche al volontariato individuale, non porta alla conseguenza di ampliare l'ambito di applicazione delle agevolazioni previste dalla legge, che si riconosce limitato al volontariato collettivo, ma consente, certamente, di affermare - sebbene la norma sia dettata con riguardo all'attività di volontariato e non ai contratti che, in ipotesi, tale attività pattiziamente regolino - che il perseguimento di un fine di solidarietà può costituire funzione contrattuale che l'ordinamento giuridico riconosce meritevole di tutela. Per passare, però, da questa constatazione alla conclusione che, in tal modo, sia stato introdotto uno schema contrattuale connotato dalla funzione di solidarietà occorrerebbe individuare una disciplina unitaria allo stesso dedicata: disciplina che non è dato ritrovare.
È appena il caso di precisare che restano estranee al discorso che si è condotto le donazioni di organi umani. Prestazioni con le quali lo spirito di solidarietà attinge il livello più elevato ma che, pur essendo consuetamente denominate donazioni, non possono essere considerate tali in senso tecnico, non avendo natura patrimoniale, mentre è proprio non solo della donazione ma di tutti i contratti il regolare rapporti giuridici patrimoniali (art. 1321), e che non sono neppure poste in essere in adempimento dei doveri di solidarietà sociale cui ha riguardo l'art. 2 Cost., dacché si tratta di prestazioni superetiche, rese per soddisfare comandi etici che trovano la loro unica fonte nella coscienza personale dell'autore e non in obblighi giuridici o in doveri posti dalla morale comune o religiosa. Comandi etici che si connotano anche per non essere la mancata attuazione degli stessi accompagnata, come avviene per i doveri morali e sociali richiamati dall'art. 2034, da riprovazione sociale ma, piuttosto, per la valutazione molto positiva che, sul piano sociale, incontra l'attuazione degli stessi.
Restano estranee, altresì, le c.d. prestazioni di cortesia, che sono attuate nella logica della solidarietà che nasce dai rapporti sociali e, normalmente, si collocano su un piano diverso dal giuridicamente vincolato.


6. La donazione come contratto unilaterale o, comunque, con prestazioni non corrispettive. Donazione e comodato. Donazione e contratti con obbligazioni del solo proponente

La donazione, quale è delineata dall'art. 769 c.c., è connotata anche dalla mancanza di una controprestazione. Si tratta infatti di un contratto con prestazioni a carico del solo donante o, anche quando siano previste prestazioni del donatario (donazione modale), di un contratto con prestazioni non corrispettive: nel quale, cioè, le prestazioni del donante non sono legate da un nesso di interdipendenza con quelle del donatario.
Per affermare un nesso di interdipendenza tra prestazioni non è necessario accertare l'equivalenza tra le stesse, sia che tale equivalenza la si intenda in senso oggettivo sia che la si intenda in senso soggettivo (vale a dire come comune convincimento delle parti che le prestazioni scambiate si equivalgono). Occorre, e basta, accertare l'esistenza di un intento, comune alle parti del contratto, di realizzare un assetto di interessi attraverso lo scambio di prestazioni, che trovano così, ciascuna, la sua ragion d'essere nell'altra.
L'inquadramento, che ne consegue, della donazione nell'ambito dei contratti con prestazioni non corrispettive, se vale a porre in evidenza una nota fondamentale della sua funzione non basta per delinearla compiutamente, occorrendo all'uopo individuare note che valgano a distinguerla dagli altri contratti con prestazioni a carico di una sola delle parti oppure con prestazioni che, pur essendo a carico di entrambe le parti, non siano legate da un nesso di interdipendenza e nei quali la prestazione unica o prevalente è ispirata da spirito di liberalità, inteso nel senso del quale prima si è detto (v. supra, § 4).
L'elemento differenziale va cercato nella diversa natura della prestazione, a fronte della quale non è previsto corrispettivo.
Così, rispetto al comodato, la nota distintiva non può essere ravvisata nell'arricchimento che, come si è visto, può mancare nella donazione mentre è normalmente presente nel comodato: contratto che comporta anch'esso un vantaggio per il comodatario. Né può essere cercata nella mancanza di un impoverimento del comodante, dato che l'impoverimento del donante non costituisce una nota caratterizzante la donazione e che, comunque, pure nel comodato si può ravvisare un impoverimento del patrimonio del comodante nella circostanza che questi, per effetto della cessione in uso di un bene determinato, perde per un certo periodo, senza il corrispettivo di un vantaggio, le utilità che il bene è atto a fornire.
Diverse, invece, sono le prestazioni contemplate nei due contratti: nel comodato vi è la cessione in uso, per un certo periodo, di una cosa mobile o immobile, mentre nella donazione vi è la disposizione di un diritto o l'assunzione di un obbligo. Ora, la cessione in uso, che caratterizza il comodato, non può valere a configurare una disposizione del diritto di proprietà mentre l'obbligo di non richiedere la cosa per il tempo nel quale è stata ceduta in uso, non configurabile nei casi di precario (v. l'art. 1810 sul "comodato senza determinazioni di durata"), non ha valenza caratterizzante il tipo, costituendo il mero risvolto obbligatorio della cessione in uso.
Comunque, la soluzione negativa appare imposta dall'esigenza di considerare gli schemi legali di contratti delineati dal legislatore in maniera armonica, e perciò atta a differenziarli.
Non possono, a tale stregua, rientrare tra le prestazioni donative prestazioni che il legislatore indica come proprie e caratterizzanti di altri schemi contrattuali: così, anche quando non sia previsto corrispettivo, la consegna, con obbligo di restituzione, di una somma di danaro o di una quantità di cose fungibili (che caratterizza il contratto di mutuo: art. 1813), il compimento di uno o più atti giuridici per conto del mandante (che costituisce l'obbligazione fondamentale del mandatario: art. 1703), l'attività di custodia (che costituisce l'obbligo primario del depositario; art. 1766).
La circostanza che la donazione, almeno nella prospettazione delle parti, comporta un vantaggio per il donatario, ha indotto il legislatore ad imporre la forma dell'atto pubblico, salvo che per le donazioni di modico valore, proprio a tutela del donante (cfr. gli artt. 782 e 783).
Ad una logica diversa, intesa a rendere più semplice il procedimento di formazione del contratto, si ispira l'art. 1333 quando, con riguardo ai contratti con obbligazioni del solo proponente, non richiede, ai fini del perfezionamento dell'accordo, l'accettazione del destinatario della proposta ma si accontenta della mancata comunicazione di un rifiuto.
La formula della norma è potenzialmente atta a ricomprendere anche le donazioni obbligatorie non modali e - se della stessa si accolga la lettura che, superando lo specifico richiamo alle obbligazioni, la riferisce anche alle prestazioni traslative - tutte le donazioni non modali.
L'attuarsi di siffatta potenzialità è peraltro precluso dalle regole specificatamente dettate per la donazione, palesemente incompatibili col procedimento di formazione del contratto delineato nell'art. 1333 in quanto richiedono l'accettazione sia nel caso, normale, in cui la donazione debba rivestire la forma dell'atto pubblico sia in quello in cui (donazioni di modico valore aventi ad oggetto beni mobili) ci si accontenta, purché vi sia stata traditio, di una forma non solenne (art. 783, c. 1°). Quando, come avviene per le donazioni in riguardo di matrimonio, non la richiedono è apparsa necessaria, all'uopo, espressa previsione normativa: cfr. l'art. 785, c. 1°.
La considerazione di queste norme, se consente di affermare che le donazioni non rientrano nel novero dei contratti ai quali l'art. 1333 ha riguardo, non offre elementi per segnare la linea di confine tra le une e gli altri. Linea che, peraltro, occorre individuare se si vuole, com'è necessario, correttamente definire l'ambito di applicazione dell'art. 1333.
Se si muove dall'assunto, già formulato, che il criterio differenziale tra la donazione e gli altri contratti non a prestazioni corrispettive e animati da spirito di liberalità va individuato facendo capo alla diversa natura delle prestazioni dedotte in contratto e che lo schema donativo ha valenza residuale, nel senso che può avere riguardo solo a prestazioni che non siano già considerate tipiche di altri contratti, ne discende che l'art. 1333 è potenzialmente applicabile ai contratti tipici non a prestazioni corrispettive diversi dalla donazione (quale - ad es. - la fideiussione) la cui formazione non sia disciplinata in maniera incompatibile con il procedimento nello stesso delineato. Incompatibilità che si ravvisa nel comodato, nel mutuo, nel deposito: contratti tutti "reali", vale a dire caratterizzati dall'insufficienza dell'accordo tra le parti, richiedendosi, per il loro perfezionamento, la traditio della cosa.
Discorso analogo non potrebbe, ovviamente, valere con riguardo ai contratti gratuiti atipici, qualora degli stessi si ammettesse la configurabilità. Qui il criterio distintivo non potrebbe più poggiare sulla posizione residuale della donazione ma dovrebbe essere dato dalla constatazione che, nella fattispecie concreta, non si ravvisano le note essenziali dello schema donativo. Conclusione alla quale è dato pervenire ogniqualvolta l'intento comune dai contraenti non risulti indirizzato solo al vantaggio patrimoniale della parte alla quale è destinata la prestazione, in quanto emerge anche un interesse patrimonialmente apprezzabile per la parte che attua la prestazione o alla stessa si obbliga.
Una dottrina recente ha inquadrato nella previsione dell'art. 1333 i contratti posti in essere in adempimento di obblighi, quali: le attribuzioni patrimoniali tra coniugi in occasione di separazione e divorzi, gli atti di trasferimento posti in essere dal mandatario a favore del mandante nel mandato senza rappresentanza, l'adempimento del legato di cosa del terzo.
Tale inquadramento si fonda sulla sicura inconciliabilità della doverosità di questi contratti con la funzione donativa ma suppone anche la compatibilità tra doverosità dell'adempimento e negozialità dello stesso: compatibilità discutibile, venendo meno, in questo caso, la possibilità di configurare un ambito di autonomia privata e di ravvisare quindi, nel comportamento volto all'adempimento, l'esercizio di autonomia privata che connota l'attività negoziale.
 

(**) ANTONINO CATAUDELLA
LA DONAZIONE
volume del Trattato di diritto privato
diretto da Mario Bessone
Casa editrice Giappichelli -Torino



INDICE


CAPITOLO I

NOZIONE

1. Struttura contrattuale della donazione
2. Tipo legale e art. 769 c.c.
3. L'arricchimento
4. Lo spirito di liberalità, la spontaneità ed il perseguimento di interessi non patrimoniali
5. Lo spirito di solidarietà
6. La donazione come contratto unilaterale o, comunque, con prestazioni non corrispettive. Donazione e comodato. Donazione e contratti con obbligazioni del solo proponente
7. Le prestazioni: disposizioni di diritti
8. Le prestazioni: donazioni liberatorie
9. Le prestazioni: assunzioni di obblighi
10. Il tipo legale donazione ed i sottotipi
11. Donazione e gratuità
12. Donazione e liberalità. Donazioni indirette
13. Donazione mista


CAPITOLO II
SOGGETTI E OGGETTO

1. Soggetti ed oggetto. Limiti soggettivi
2. Persone giuridiche pubbliche
3. Persone giuridiche private
4. Persone fisiche. La piena capacità di disporre
5. Divieto di rappresentanza e arbitratore
6. Limiti alla capacità di ricevere per donazione
7. Le donazioni ai nascituri
8. Limiti oggettivi: i beni futuri, i beni altrui
9. Universalità di cose, azienda, eredità, donazione universale, partecipazioni sociali, beni immateriali


CAPITOLO III
FORMAZIONE

1. Contatti preliminari
2. Modi di conclusione dell'accordo
3. Accettazione per i nascituri
4. Accettazione per il minore e l'interdetto. Accettazione del minore emancipato e dell'inabilitato
5. Turbative del procedimento di formazione dell'accordo: vizi della volontà
6. Segue. Incapacità naturale
7. Segue. Stato di bisogno e stato di pericolo


CAPITOLO IV
STRUTTURA

1. La forma
2. Il contenuto ed i suoi elementi
3. La condizione
4. Il termine
5. Il modo
6. La causa


CAPITOLO V
EFFICACIA E INEFFICACIA

A)
L'EFFICACIA

1. Donazioni di prestazioni periodiche. Donazioni congiunte a più donatari e accrescimento. Sostituzione. Donazione e comunione
2. Garanzia per evizione
3. Responsabilità per vizi della cosa
4. Obbligazione di prestare gli alimenti

B)
L'INEFFICACIA

5. Inefficacia e invalidità
6. Nullità
7. Annullabilità
8. Inefficacia in senso stretto
9. Revocazione per ingratitudine e per sopravvenienza di figli
10. Revocatoria ordinaria e fallimentare
11. Collazione
12. Riduzione per lesione di legittima

C)
IL RECUPERO DELL'EFFICACIA

13. Conferma - convalida - conversione


Indice delle fonti normative

Indice analitico

(*) Per cortese autorizzazione dell'editore, omesse le note di riferimento bibliografico e giurisprudenziale, si pubblicano pagine che sono parte di capitolo della monografia La donazione,compresa nel Trattato di diritto privato diretto da Mario Bessone in corso di pubblicazione presso la casa editrice Giappichelli , e qualificata dai contenuti indicati dal circostanziato indice del volume (**)